Il governo del Perù accusato di crimini di guerra e l’estradizione di Fujimori è sempre più vicina.
Tempi duri per il governo del Perù e particolarmente per l’ex presidente e dittatore Alberto Fujimori attualmente detenuto in Cile e del quale il Perù attende da mesi l’estradizione. Con due sentenze del Tribunale Interamericano per i Diritti Umani, con sede in Costa Rica emesse a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, sembra avvicinarsi sempre di più il momento per poter rendere finalmente giustizia alle vittime della dittatura di Fujimori. Quella più importante, del 21 dicembre scorso e che ha già causato grande clamore, nonché la disapprovazione dell’attuale presidente del Perù Alan García, condanna lo stato peruviano per crimini di guerra.
Questa sentenza può già considerarsi storica perché è la prima volta che viene applicata la convenzione di Belem do Parà redatta nel 1994 per prevenire, condannare e combattere la violenza sulle donne e per la prima volta dallo stesso tribunale la violenza sessuale contro una donna viene intesa secondo i canoni del diritto internazionale. La sentenza riguarda i fatti accaduti nel penitenziario di Miguel Castro Castro di Lima tra il 6 e il 9 maggio 1992, allora presidente Fujimori, dove con un’operazione militare in piena regola furono giustiziati 42 detenuti, 175 furono feriti e 322 furono torturati, giustificando agli occhi del paese tanta violenza con il tentativo fallito, a causa di un’insurrezione tra i detenuti, di trasferire le donne accusate di terrorismo in un altro carcere.
In effetti i penitenziari peruviani, in quegli anni affollati di dirigenti, attivisti e semplici simpatizzanti dei gruppi eversivi Sendero Luminoso e Túpac Amaru erano in una situazione di sovraffollamento e mal gestiti dall’autorità giudiziaria, per cui nel 1991 si autorizzò l’ingresso delle forze armate nelle prigioni. I problemi maggiori si avevano all’interno del penitenziario di Miguel Castro Castro, dal quale i ribelli riuscivano comunque a portare avanti la loro attività eversiva.
Il legale dei 300 detenuti vittime di torture, Mónica Feria, lei stessa ex detenuta e sopravvissuta al massacro, è riuscita a dimostrare al Tribunale Interamericano per i Diritti Umani, dopo 10 anni di discussione del caso, che in realtà il trasferimento dei detenuti fu solo un pretesto per effettuare decine di esecuzioni sommarie dei capi dei gruppi ribelli che si trovavano a quel tempo in carcere. Fu usato allo scopo un vero e proprio arsenale di guerra, incluse armi chimiche tra cui il fosforo bianco. Molte delle donne detenute erano in avanzato stato di gravidanza e fu rifiutato espressamente dal governo peruviano nella persona dell’ex presidente Alberto Fujimori, l’intervento sia della Croce Rossa Internazionale che di vari organismi internazionali per la difesa dei diritti umani.
Il Tribunale Interamericano ha riconosciuto colpevole lo stato peruviano per la violazione dei diritti umani e in particolar modo per quelli delle donne (per cui è stata applicata la convenzione di Belem do Pará), “le quali sono state colpite dagli atti di violenza in modo differente rispetto agli uomini e alcuni atti violenti sono stati diretti loro in quanto donne”. Sono stati riconosciuti dal giudice Cancado Trindade casi di violenza pre-natale in quanto alcune vittime erano in stato di gravidanza che sicuramente hanno causato traumi prenatali nei nascituri, la cui entità è difficilmente valutabile.
Alle violenze subite da queste donne è stato riconosciuto inoltre il carattere di continuità in quanto sono proseguite anche in seguito alla conclusione dell’operazione militare. Alcune di essere sono state ripetutamente violentate e nei mesi successivi sono state tenute in regime di stretto isolamento nonostante avessero bisogno di cure.
La seconda sentenza, del 29 novembre 2006, condanna invece lo stato peruviano, per il caso di “
E per un ex presidente e dittatore, che vede sempre più vicina la possibilità di finire in prigione nel paese dove ha commesso i suoi crimini più efferati , ce n’è un altro, quello in carica, evidentemente in calo di popolarità, che responsabile anch’egli di numerosi crimini durante il suo precedente mandato (1985–1990), teme un giorno di poter fare la stessa fine del suo collega e infatti condanna a gran voce la sentenza del Tribunale Interamericano dei Diritti Umani relativa al caso del penitenziario Miguel Castro Castro, affermando che non è disposto in nessun modo ad adempiere all’obbligo prescritto in essa di rivendicare pubblicamente la responsabilità dello stato nel massacro, ritenendo inappropriata una sentenza che dia risarcimenti e indennizzi a criminali terroristi.
García forse non sa che i diritti umani si applicano ANCHE ai detenuti. E che torturare un essere umano è SEMPRE un crimine.
si hubiera que matar a mil para que puedan vivir 5 mil pues que bien, el comunista vivo es una amenaza para la existencia humana y su hedor contamina. Por eso es mejor si los comunistan aprendiesen a practicar la eutanasia entre ellos.
mi sapete dire se è il primo caso, in America latina, di estradizione di capi di stato? grazie!