Victor Jara, si riapre nuovo processo per la sua morte
“Siamo cinquemila, qui/in questa piccola parte della città./Quanta umanità/in preda alla fame, al freddo, alla paura, al dolore,/alla pressione morale, al terrore, alla pazzia./Ma tutti con lo sguardo fisso alla morte./Che spavento fa il volto del fascismo!”
Sono alcuni dei versi dell’ultima poesia scritta da Victor Jara prima di essere barbaramente torturato e poi ucciso da 44 colpi di pistola nello stadio Cile ( che oggi porta il suo nome), il 15 settembre 1973, pochi giorni dopo il golpe cileno che in brevissimo tempo gettò speranze, sogni e le stesse vite di milioni di persone in un pozzo nero senza fondo. Il volto terribile del fascismo fu quello del generale Augusto Pinochet e di tutti i militari di vario ordine e grado che interpreti di un delirio al limite della follia omicida, misero in pratica fedelmente ogni passaggio dei più efferati manuali di tortura.
In quello stadio, trasformato in campo di concentramento a cielo aperto, i destini e le storie di cinquemila persone si intrecciarono. Moltissimi morirono, altri scomparvero e non se ne ritrovarono mai più nemmeno i resti, altri ancora riuscirono a salvarsi. Tra questi un avvocato e professore universitario, Boris Navia, militante comunista. E’ grazie al suo racconto che sono state ricostruite le ultime ore di vita di Victor Jara, ed è grazie a lui che fu possibile far uscire dallo stadio una copia dell’ ultima poesia di Victor, scritta sui fogli di un taccuino di cui l’avvocato Navia ancora conserva la copertina. Egli stesso fu torturato perchè nascondeva nelle scarpe una seconda copia della poesia.
“Sei tu Victor Jara, coglione. Il cantautore marxista, il cantautore di merda”. Così si rivolse a Victor un alto ufficiale il 12 settembre, il giorno in cui il cantautore fu prelevato dall’Università Tecnica dello Stato insieme ad altri 600 tra studenti e docenti e condotto nello stadio. E fu con disumana violenza che quell’ ufficiale si accanì proprio su Victor Jara nei tre giorni successivi, fino al 15 settembre, quando ormai allo stremo dopo giorni di torture e dopo che le sue dita furono maciullate dalle percosse e la sua lingua tagliata, fu finito da diversi colpi di pistola. Il suo cadavere venne ritrovato nei pressi del cimitero di Santiago.
Quell’ufficiale era conosciuto nello stadio come “El Príncipe”. “Il casco sugli occhi, il volto dipinto, il fucile sulle spalle, le granate in petto, una pistola alla cintura, dondolando il suo corpo nervoso e prepotente sui suoi stivali neri.” Così lo descrive Boris Navia. Come ha descritto anche le terribili torture che “El Príncipe” ha inflitto direttamente a Victor o ha ordinato ai suoi uomini: “E il suo stivale con furia colpisce una, due, tre, dieci volte il corpo, il volto di Victor, che cerca di proteggersi la faccia con le mani”. Ma ci sono anche altri testimoni e sono le decine di studenti e professori della UTE che in quei giorni terribili si trovavano nello stesso settore dello stadio. Probabilmente grazie proprio alle loro testimonianze adesso si riuscirà a far luce sulle responsabilità degli autori materiali dell’omicidio di Victor Jara, scoprendo così il velo di impunità che li protegge da quel 15 settembre di 35 anni fa.
Il 15 maggio scorso il giudice Juan Manuel Fuentes aveva infatti chiuso ufficialmente il processo sulla morte del cantautore cileno con la condanna di Victor Manríquez, colonnello in ritiro e allora capo del campo di concentramento dello stadio Cile. A quest’unica condanna si è opposta la famiglia Jara, con l’appoggio della società civile cilena e della comunità internazionale, poiché di fatto in quel modo non venivano condannati gli autori materiali e morali dell’assassinio. La domanda è stata quindi accolta dal giudice che finalmente il 3 giugno scorso ha comunicato la sua decisione di riaprire il processo. Si prospetta tuttavia un lungo iter da seguire e da portare avanti per identificare i vari militari presenti allora nello stadio e per ricostruire i gradi diversi di responsabilità nella morte del cantautore. Le testimonianze raccolte hanno permesso ad oggi di identificare due o tre ufficiali tra i quali Edwin Dimter Bianchi, alias “El Príncipe”.
Dimter Bianchi è stato riconosciuto da decine di testimoni che mai potranno dimenticare la figura sadica e crudele di quel sinistro personaggio, alto, biondo e con gli occhi chiari che gridando passeggiava per i corridoi dello stadio. Mai potranno dimenticare la sua voce: “Mi ascoltate cloaca marxista”? Mi ascoltate pezzi di merda? Ora dovete lavorare, quelli che si rifiuteranno di lavorare, saranno fucilati”. Era uno dei più violenti all’interno dello stadio. Dimter, “aveva il sangue agli occhi” come dicono i testimoni, forse perchè era stato arrestato poco prima dell’11 settembre per aver partecipato, il 29 giugno 1973, da tenente, al Tanquetazo (il fallito golpe con i carri armati) contro il governo di Allende in cui morirono circa venti persone tra le quali il giornalista argentino Leonardo Henrichsen, che filmò il soldato nel momento stesso in cui gli sparava. Liberato proprio l’11 settembre fu inviato “in servizio” presso lo stadio Cile.
Un paio di anni fa la Commissione Funa, formata da varie associazioni politiche, di familiari di persone scomparse e di ex prigionieri politici manifestò nel modo consueto che caratterizza la tipica forma di protesta cilena della “funa” (una denuncia pubblica nei luoghi di lavoro o di residenza delle persone accusate di aver commesso violazioni dei diritti umani, esibendo fotografie e cartelli) sotto gli uffici del Ministero del Lavoro di cui Dimter Bianchi era funzionario.
Tuttavia l’ex colonnello non ha mai ammesso di essere “El Príncipe” e nonostante le varie testimonianze raccolte non si è mai potuto dimostrare che egli fosse veramente l’alto ufficiale biondo e dagli occhi chiari, responsabile della morte di Victor Jara, e che è stato fino a questo momento sicuramente protetto da alti vertici dell’esercito cileno, ancora fortemente compromesso con il pinochettismo.
Con la riapertura del processo, la vedova Joan Turner e le due figlie sperano che proprio l’esercito venga chiamato a collaborare con la magistratura affinché vengano condannati gli autori materiali della morte di Victor Jara. Se non ha avuto il diritto di vivere in pace, come recitava il titolo di una sua celebra canzone (El derecho de vivir en paz) che gli si possa almeno rendere giustizia.
Queste terribili atrocità sembrano lontane nel tempo e nello spazio, ma non è così, basterebbe pensare ai fatti di Genova durante il G8. Il fascismo è sempre presente, anche se non se ne parla sulla stampa “libera” IL SUO ODORE DI MORTE LO SI SENTE SEMPRE PIU FPRTE.
Credi che il prossimo futuro si manifesterà con SEMPRE maggior forza vistà l’impunità di cui gode ed il sostegno di buona parte della popolazione del nostro sciagurato Paese.
Per questo io continuo ad insistere sulla necessità di rifarci agli ideali partigiani per dar vita ad una Nuova Resistenza.
Será la rabia?
Será la decepción?
O quizás el dolor?
Tal vez la traición?
Que me perdonen todos, que em perdone Víctor Jara pero es imposible coordinar mis pensamiento y expresar una opinión.
Nadie mejor que un trovador popular, con su canto libre y rebelde le rinda homenaje al mártir chileno.
Les dejo una canción de Jorge Cafrune.
No me pregunten quien soy,
ni si me habían conocido
los sueños que había tenido
crecerán aunque no estoy,
ya no vivo pero voy
en lo que andaba buscando
y otros que siguen peleando
verán nacer otras rosas
que en el nombre de esas cosas
todos me estarán nombrando.
No me recuerden la cara
que fue mi cara de guerra
mientras hubiera en mi tierra
necesidad de que odiara
en el cielo que ya aclara
verán como era mi frente
me oyó reír poca gente
y aunque mi risa ignorada
la hallarán en la alborada
del día que se presiente.
No me pregunten la edad,
tengo los años de todos,
yo elegí entre muchos mudos
ser más viejo que mi edad
y los años de verdad
son los tiros que he tirado
nazco en cada fusilado
y aunque el cuerpo se me muera
tendré la edad verdadera
del niño que he lberado.
Mi tumba no anden buscando
porque no al encontrarán
mis manos son las que van
en otras manos tirando.
mi voz la que va gritando
mi sueño que sigue entero
y sepan que sólo muero
si ustedes van aflojando
porque el que murió peleando
vive en cada COMPAÑERO.
… ( en el año del natalicio de Salvador Allende)
Cien años, mil sueños.
…el derecho de vivir…
non è stata solo una bellissima canzone, ma anche una invocazione al diritto ad una esistenza dignitosa per ogni essere umano.…
QUISUIERON MATARTE VICTOR Y CADA DIA ERES MAS GRANDE.JUNTO CON ALLENDE Y NERUDA ENTIBIAN CON SU HIDALGUIA LAS CALLES FRIAS DE MI PAIS QUE PARECE HABER PERDIDO TODA ESPERANZA
Vendetta !
Viva il FPMR !
America Latina Rossa !!!!!!!!!!!
chi ha vissuto anche di lontano quei giorni terribili non potrà mai dimenticare victor jara e ttti gli ltri fratelli che hanno conosciuto l’orrore sui loro stessi corpi innocenti.io ancora oggi sento le lacrime gingere qando ci penso,e ci penso spesso.oltre a qesto victor e violeta parra sono musicisti e poeti meravigliosi che non cessano di donarci amore.gracias gracias gracias.…
A Lucio.A proposito di Venezuela, le tue informazioni sono piuttosto strampalate, a meno che prendi per oro colato ciò che dice il dittatore Ugo Chavez. La realtà è ben diversa. Negli 11 anni di governo del tenente colonnello vi sono stati 130000 omicidi a mano della delinquenza. E questi sono dati incontrovertibili e facilmente reperibili. La verità é che Chavez è ormai un re nudo, che ha dimostrato di essere incapace e aver favorito una corruzione spaventosa per arricchire la sua famiglia ( vedi le proprieà in Barinas ) ed i suoi amici. Togliti i salami dagli occhi e ragiona con la tua testa.