Appello per Rudra Bianzino e per tutte le vittime dei crimini di Stato in Italia
Questa volta non stiamo parlando del Messico della guerra sucia o quello più vicino a noi di Felipe Calderón dove ancora oggi si registrano casi di sparizioni forzate di persone. Non stiamo parlando dell’Argentina dei 30.000 desaparecidos o del Chile di Pinochet. Quello che segue avviene in Italia.
Il 12 ottobre del 2007 vengono arrestati nella loro casa di “Le Caselle”, una frazione di Pietralunga, poco distante da Città di Castello e condotti nel carcere di Perugia, Aldo Bianzino un ebanista di 44 anni e la sua compagna Roberta Radici con l’accusa di spaccio e detenzione di marijuana.
In realtà si trattava di poche piantine ad uso personale e Roberta fu rilasciata dopo due giorni mentre nel casolare in aperta campagna erano stati lasciati soli la madre ultranovantenne di lei e il figlio tredicenne della coppia.
Dopo due giorni Aldo viene trovato morto in cella. Inizialmente si pensa a un problema cardiaco ma la successiva autopsia sfata ogni ragionevole dubbio dal momento che Aldo godeva di ottima salute. L’autopsia parlò di danni al cervello, emorragie interne, lesioni a milza e fegato, e alcune costole rotte.
A seguito di una serie di diversi comunicati, smentite, perizie e contro perizie “sembrerebbe accertato” che Aldo sia morto per un aneurisma cerebrale mentre restano confermate le lesioni al fegato che sarebbero state provocate (evento quanto mai raro) da un massaggio cardiaco particolarmente violento.
Presentata quindi la richiesta di archiviazione del caso, che tuttavia continua a suscitare notevoli dubbi (se ne interessò anche Amnesty International), a questa si è opposto il Gip Massimo Ricciarelli, accogliendo così l’istanza presentata in tal senso dai familiari di Aldo.
Nel frattempo Rudra il figlio di Aldo è rimasto veramente solo, è morta prima la nonna e poi anche la mamma Roberta, in attesa di un trapianto di fegato e sofferente di una malattia che probabilmente si è aggravata in seguito agli eventi.
Il blog di Beppe Grillo ha lanciato un appello per Rudra Bianzino e un parlamentare, Antonio Palagiano dell’Italia dei Valori ( (palagiano_acamerait) e-mail), ha risposto all’appello per Aldo Bianzino e ha depositato un’interrogazione parlamentare sulla sua morte. Aspettiamo ora la risposta del ministro della Giustizia Alfano.
Ringrazio l’amico Carmelo Sorbera di Qui News che ha seguito fin dall’inizio il caso Bianzino e continua a farlo tutt’ora. Inoltre sul sito Lettera 22 si può trovare un intero dossier sul caso a cura di Emanuele Giordana.
E’ importante non dimenticare simili casi, che passano il più delle volte inosservati all’attenzione pubblica. E‘ importante non dimenticare storie come quelle di Aldo Bianzino, o di Federico Aldovrandi, ucciso da alcuni poliziotti a colpi di manganello nel settembre del 2005 dopo essere stato arrestato, o di Marcello Lonzi, morto nel carcere delle Sughere l’11 luglio 2003. E’ importante parlarne e ricordare che in Italia, nelle prigioni italiane, sotto le manganellate di chi sarebbe preposto all’applicazione della giustizia muoiono delle persone. Appena un mese fa sono stati condannati gli assassini di Federico Aldovrandi, Forlani Paolo, Segatto Monica, Pontani Enzo e Pollastri Luca. Tre anni e qualche mese, e la certezza di non passarne nemmeno uno in carcere, per quello che in altri tempi e altri paesi sarebbe stato definito “omicidio di Stato”.
I poliziotti citati dovrebbero essere come minimo radiati dal pubblico servizio, invece a quanto risulta, stanno ancora regolarmente prestando il loro servizio. Assassini.
Tra l’altro a sentenza avvenuta uno di quei quattro ha avuto il coraggio di dichiarare “Io posso dormire sereno alla notte, altri no…” forse sarebbe meglio se fosse un sonno eterno!
Rovereto (Tn): 50enne, arrestato per hascisc, s’impicca in cella
IL CARCERE UCCIDE OGNI GIORNO
Il Trentino, 27 luglio 2009
Aveva 50 anni e faceva l’artigiano. Stefano Frapporti era un muratore provetto e stimato, malgrado la sorte disgraziata gli avesse riservato una menomazione ad una mano, massacrata anni fa da un terribile incidente sul lavoro. Con la legge non aveva mai avuto particolari problemi, fino a martedì scorso, quando una pattuglia di Carabinieri lo ha fermato mentre percorreva in bici viale Vittoria contestandogli una manovra errata.
Perquisito, i militari gli avevano trovato dell’hashish e per andare a fondo della questione lo avevano sottoposto a perquisizione domiciliare. Dai verbali dei carabinieri emerge che a Frapporti sarebbe stato sequestrato oltre un etto di stupefacente. Da qua, l’arresto. Ineccepibile, sotto il profilo del codice di procedura penale: la soglia per sostenere l’uso personale è superata di gran lunga, per la legge. L’artigiano viene dunque accompagnato in carcere.
Al mattino viene ritrovato morto dalle guardie, impiccato con le lenzuola in una delle tre celle del reparto Osservazione, dove vengono alloggiati i detenuti in arrivo per dare loro un impatto meno duro con la realtà del carcere. “Sono cose che non dovrebbero mai succedere — commenta Giampaolo Mastrogiuseppe, delegato della Cgil funzione pubblica -.
La sera in cui è arrivato in via Prati, il detenuto pareva tranquillo, ha anche scherzato con le guardie. Nulla lasciava presagire ciò che avrebbe fatto…