Lezioni di giornalismo dal settimanale dei rumeni in Italia
“Abbiamo fatto un esperimento: sbattere in prima pagina il mostro italiano”, dice il direttore editoriale del giornale, Sorin Cehan. “Farà capire ai nostri lettori il meccanismo perverso usato da alcuni giornali italiani che genera poi la rivolta dei cittadini contro un intero popolo”.
Nell’editoriale, il direttore spiega la scelta: “Una volta, una sola volta proviamo a fare una prima pagina nello stile oramai consacrato della stampa italiana. Sono tutti fatti reali, ma estratti con la pinzetta dalla realtà. L’immagine degli italiani è filtrata dalle stesse lenti con le quali loro ci osservano tutti i giorni: la cronaca nera di quanti uccidono, stuprano e rubano”.
“Il fatto di cronaca, si impara nelle scuole di giornalismo, è chiuso in se stesso. Per questo le pagine di cronaca nera di solito alla fine dei giornali, perche il loro significato è pari quasi a zero. – scrive Cehan — Se uno stupratore romeno aggredisce un’italiana, non significa che “i romeni violentano le italiane”, cosi come l’italiano che abusa di un bambino romeno non rappresenta “gli italiani che stuprano i bambini romeni”.
“Abbiamo avuto difficoltà a trovare i nomi degli accusati e le loro fotografie, perchè la stampa italiana non ha dato loro importanza. La maggior parte dei giornali non dà i nomi degli arrestati italiani, al massimo le iniziali, e le fotografie sono una rarità. Una pratica corretta, visto la presunzione d’innocenza della quale gode chiunque, in uno stato democratico e moderno, per quanto odioso possa essere il fatto di cui è accusato.
“Con i romeni, è il contrario. Sono filmati in diretta, sbattuti in primo piano, condannati già dalla stampa. La manipolazione dell’opinione pubblica è diventata grossolana ed è dannosa. La prima pagina può essere fatta in tanti modi. Questo è il modo più sbagliato” conclude il direttore di Gazeta Romaneasca.
I ferrovieri scioperano



Neo-fascismo: è imperativo resistere
Richiesta di scuse formali del Governo italiano ai familiari delle vittime della dittatura argentina




Paolo Maccioni pubblicista
Livia Pelloni, insegnante, Lugo, Ravenna
Lucio Ricci architetto
Amadeo Marchitto operaio.
Daniela Marchitto studentessa
Pablo Marchitto: impiegato
Patricia Vena
Felix Norberto Ferrucci
Desanso Melania
Bernocco Guglielmina
Desanso Francesco
Merlo Luigia
Valter Campioni
Jacopo Venier responsabile Esteri del Partito dei Comunisti Italiani
Massimo Sestili – Roma
Renata Ilari insegnante
Adriana Bernardotti
Marilena Ambrosini, delegata CGIL Sanità-Como
Claudio Cattaneo, Como
Cooperativa sociale ONLUS Ridere per Vivere
Ass. ALICE NEL MONDO
Nadia Ballestrin – insegnante
Seconda giornata internazionale per le vittime dei crimini di Stato in Colombia
Giornata continentale di protesta per le Vittime di Sucumbíos
Il due marzo 2009 è stata designata Giornata Continentale di Protesta per le Vittime di Sucumbíos per ricordare i quattro ragazzi messicani massacrati un anno prima, precisamente il primo di marzo del 2008 in Ecuador, nel corso dell’attacco contro l’accampamento delle FARC realizzato dall’esercito colombiano e dall’aviazione statunitense dove sono rimasti uccisi anche una ventina di guerriglieri e il numero due delle FARC, Raúl Reyes.
Per capire bene quello che è accaduto a Sucumbíos, quella tragedia di un anno fa va contestualizzata rispetto agli altri avvenimenti che si stavano svolgendo in quei giorni nella regione.
Innnanzitutto si era appena concluso a Quito il II congresso della Coordinadora Continental Bolivariana, una grande movimento che raggruppa studenti, giovani, movimenti sociali e associazioni latinoamericane che lottano e si confrontano per la costruzione di una grande America latina bolivariana.
Al congresso avevano partecipato migliaia di delegati da tutta la regione e anche da altri paesi. I cinque giovani messicani avevano appena lasciato Quito prima di recarsi a Sucumbíos e nel campo delle FARC erano stati preceduti da una delegazione di studenti cileni.
Inoltre va ricordato che in quei giorni in Ecuador si stavano svolgendo importanti e decisive trattative tra le FARC da una parte e il governo francese, ecuadoriano, ma soprattutto quello venezuelano di Hugo Chávez dall’altra, volte alla liberazione di Ingrid Betancourt e di altri ostaggi nelle mani della guerriglia colombiana.
Trattative che avevano portato alla liberazione nel gennaio del 2008, di Consuelo Gonzales de Perdomo e di Clara Rojas e la promessa proprio da parte di Reyes della liberazione dell’ex candidata presidenziale.
La prima considerazione da fare è infatti proprio questa ed è strettamente legata al ruolo di Hugo Chávez. Il governo colombiano e quello statunitense sicuramente non accettavano di buon grado il suo crescente prestigio e i suoi successi nelle trattative per la liberazione degli ostaggi. Hugo Chávez e la senatarice colombiana Piedad Córdova stavano ottenendo quello che il governo di Álvaro Uribe e anni di politica di “sicurezza democratica” non erano riusciti ad ottenere.
L’attacco colombiano al campo delle FARC fu condannato duramente da tutti i governi che erano direttamente coinvolti nelle trattative: Ecuador e Venezuela ruppero le relazioni diplomatiche con la Colombia e schierarono i rispettivi eserciti ai loro confini. Si rischiò lo scontro, evitato per un soffio e grazie alla diplomazia, mentre il ministro degli esteri francese dichiarò che “la morte di Reyes non era affatto una buona notizia dal momento che egli era l’uomo delle FARC con le quali parlavamo e con il quale avevamo contatti per la liberazione di Ingrid Betancourt”.
I cinque giovani messicani si sentivano sicuri nel campo delle FARC a Sucumbiós in quanto il campo si trovava in Ecuador e non in Colombia e perchè era un luogo di mediazione internazionale e di politica. Non era infatti un campo militare.
Era un accampamento frequentato da molti giovani, tanto che il giorno prima era stato lasciato da studenti cileni. Ma cosa potevano cercare degli studenti in un campo di guerriglieri?
Innanzitutto erano mossi dal desiderio di partecipazione alla vita politica latinoamericana e ai suoi cambiamenti, erano mossi da impegno civile, politico e sociale, ma anche e soprattutto dal desiderio di conoscenza e di approfondimento.
In quel campo sono stati uccisi Verónica Natalia, Juan, Soren e Fernando ma avrebbero potuto trovare la morte anche deputati, giornalisti o ministri.
I genitori dei quattro ragazzi deceduti e i genitori di Lucía Morett, l’unica sopravvissuta al massacro, hanno costituito qualche mese fa la Asociación Padres y Familiares de las Victímas de Sucumbías con lo scopo di riscattare la memoria dei loro figli e di chiedere giustizia nei confronti del governo colombiano vero responsabile della strage.
Dei ragazzi è stato detto di tutto. Dalle autorità colombiane immediatamente dopo l’attacco al campo delle FARC per voce direttamente del presidente Uribe e del vicepresidente Santos in conferenza stampa e quindi riportato da tutti i media: che erano terroristi, narcotrafficanti e che si trovavano in Ecuador per preparare attentati da realizzare nel loro paese. L’opinione pubblica messicana fu influenzata notevolmente dalle notizie che giungevano dai mezzi di comunicazione colombiani. L’estrema destra messicana denunciò immediatamente, già alcuni giorni dopo il fatto di Sucumbíós, Lucía Morett ed altri 15 giovani messicani tra i quali anche i quattro deceduti alle autorità . La denuncia partì da un dirigente di un gruppo di estrema destra, il Yunque, l’ala più radicale e intollerante del Partito di Azione Nazionale del presidente Felipe Calderón, (che recrimina proprio a Calderón di non prendere misure abbastanza repressive e restrittive contro la sinistra messicana e i movimenti sociali del paese).
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Per ricordare i ragazzi messicani morti in Ecuador sono state organizzate varie attività che si sono realizzate contemporaneamente in Messico, Argentina, Canada, Colombia, Cile Spagna, Ecuador, Francia, Nicaragua e Venezuela.
Il bollettino n. 7 è stato consegnato a tutte le rappresentanze diplomatiche colombiane di questi paesi. In Messico si è realiizzata una grande manifestazione che dal ministero degli Esteri è arrivata fino all’ambasciata colombiana.
In Italia il giorno sabato 28 febbraio si è parlato di quanto è accaduto all’emittente locale romana Radio Onda Rossa e lo stesso si è fatto lunedì pomeriggio quando è stato intervistato Adrián Ramirez presidente della LIMEDDH, Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani.
Personalmente ho consegnato invece all’ambasciatore colombiano a Roma, Sabas Pretelt de la Vega il bollettino n. 7 (che si è rifiutato di firmare in segno di accettazione), il quale ha pienamente confermato la versione governativa dell’accaduto ma soprattutto ha ribadito che i ragazzi erano nell’accampamento in addestramento presso la guerriglia e che al fatto che stavano lì per motivi di studio e che erano testimoni internazionali di una soluzione diplomatica e pacifica del conflitto colombiano con l’obiettivo di uno scambio umanitario, credono “solo i loro genitori”. Praticamente il governo colombiano aveva tutto il diritto di bombardare quel campo delle FARC, ritiene l’ambasciatore, in barba ai trattati internazionali sull’inviolabilità dei confini territoriali e al Diritto Internazionale dei Diritti Umani.
Qui una parte della trasmissione di Radio Onda Rossa di sabato 28 febbraio.
QUESTO IL CONTENUTO DEL BOLLETTINO N. 7 — scaricabile qui
- Editoriale dell’ Associazione dei Genitori e dei Familiari delle vittime di Sucumbiós.
- Un anno fa a Sucumbíos, in Ecuador
- Ho conosciuto Chac…
- Ho conosciuto Soren Ulises
- Ho conosciuto Verónica
- Ho conosciuto Juan
- Parla Lucía a un anno dal massacro
- Militarizzazione in America latina – intervista ad Ana Esther Ceceña, coordinatrice dell’Osservatorio Latinoamericano di Geoplotica
- Memoria storica di Verónica Oikión Solano, El Colegio de Michoacan
- Lettera di Lucía
- Comunicato alle Organizzazioni sociali, politiche e studentesche, ai popoli latinoamericani, ai popoli del mondo, ai mezzi di comunicazione