Patria es Solidaridad: dal Venezuela solidarietà con i prigionieri politici colombiani

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Nonostante il governo colombiano si neghi a considerarli tali, sono più di 7500 i prigionieri politici rinchiusi in condizioni disumane nelle prigioni  della Colombia. Proprio il fatto di non accettare  il loro status di prigionieri politici (questo vorrebbe dire considerare i guerriglieri come belligeranti e non come terroristi)  fa parte della strategia  con la quale lo Stato continua a negare la  matrice politica e sociale del conflitto che da più di 50 anni affligge il paese.

7500 sono gli attivisti, i politici, i sindacalisti, appartenenti ai movimenti giovanili, difensori dei diritti umani, intellettuali e guerriglieri che, ognuno a suo modo,  e dalle proprie trincee di lotta, rappresentano le mille sfaccettature della resistenza  politica e sociale colombiana, invisibilizzata sistematicamente agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

La giornalista colombiana Azalea Robles parla di “distorsione  mediatica”  dei prigionieri politici nelle carceri colombiane, contrariamente a quanto accade invece  per i prigionieri nelle mani della guerriglia,   per i quali invece si ha una vera e propria sovraesposizione nei mezzi di comunicazione del paese.

D’altra parte si sa che in Colombia l’ opposizione politica ha  poche vie di scampo: sottoterra in una delle centinaia di fosse comuni che ogni tanto vengono alla luce o dietro le sbarre di una prigione. E’ il volto purtroppo ancora troppo nascosto di un paese che l’opinione pubblica internazionale continua a chiamare “democrazia”.

Se sopravvivono ai massacri e agli omicidi mirati,  le voci delle denunce, delle lotte e della resistenza di migliaia di persone vengono zittite nelle 140 prigioni del paese.

Dei 7500 detenuti politici,  i guerriglieri  sono circa 500, accusati di terrorismo, un’accusa quasi sempre abbinata a quella di narcotraffico o di qualche altro delitto comune con lo scopo di far sparire la figura del  delitto politico. Tutti gli altri  sono chiamati “ prigionieri di coscienza”, cioè quelli arrestati per il loro pensiero critico e l’impegno sociale” come nel caso emblematico di Angye Gaona, poeta e giornalista, donna di riconosciuto percorso umano e  sociale arrestata  nel mese di gennaio di quest’ anno  per presunti vincoli con la guerriglia.

Lo scambio dei prigionieri o “accordo umanitario” potrebbe  rappresentare  sicuramente  un passo decisivo verso la cosiddetta “umanizzazione del conflitto”. Tuttavia proprio l’atteggiamento  del governo colombiano di spoliticizzazione del conflitto, fa sì  che la militarizzazione del paese vada di pari passo con il sovraffollamento  delle carceri.  Le uniche liberazioni unilaterali fino a questo momento sono quelle avvenute da parte della guerriglia delle  FARC– EP, mentre il governo continua a giustificare  la sua incapacità ma soprattutto la sua mancanza di volontà nel raggiungere la pace, con il pretesto  della lotta al terrorismo e della “sicurezza democratica”.

La situazione  sanitaria e umanitaria in cui sono reclusi i prigionieri politici, nelle prigioni colombiane  è  terribile.  Proprio  questa tipologia di detenuti viene sottoposta a vessazioni e torture  volte a svilire la loro militanza, a sfiancare la loro caparbietà e il loro impegno sociale.

Ci incontriamo a Caracas con gli attivisti e gli avvocati  di Patria es Solidaridad (Patria è Solidarietà) un’associazione  formata per la maggior parte da colombiani e venezuelani che si occupa dei detenuti politici in Colombia  attraverso diverse iniziative e soprattutto attraverso una mirata campagna informativa.

Patria es Solidaridad si occupa anche di sfollati  e cittadini colombiani irregolari in Venezuela, l’altra faccia del conflitto, forse la meno conosciuta.

 

di Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it

Caracas, marzo 2011

 

AM: “Patria es Solidaridad” è un’organizzazione che opera a Caracas per la “mobilitazione della solidarietà mondiale con i prigionieri politici colombiani”. Quando  nasce e perché a Caracas?

PeS: Abbiamo fondato l’associazione tre anni fa ma stiamo lavorando attivamente da due anni. La nostra impronta è bolivariana e lavoriamo dal Venezuela  per la difesa dei diritti umani dei colombiani  in quanto le condizioni del conflitto politico in Colombia non ce lo permettono. Lavorare a Caracas ci offre maggiori  possibilità di esercitare e di dispiegare una solidarietà internazionale con i nostri fratelli che si trovano nelle carceri del regime colombiano con molta più libertà rispetto alla  Colombia,  dove forse avremmo dovuto realizzare questa intervista clandestinamente. Bisogna ricordare che fare solidarietà dal Venezuela è importante  anche perché questo paese è un punto di riferimento per i cambiamenti in America latina e nel mondo. E’ importante ricordare   che nonostante le difficoltà  che rappresenta il fatto di lavorare in Colombia su un tema così sensibile per gli interessi del governo, ci sono organizzazioni  che lo fanno nel mezzo di una politica di sicurezza democratica che ha criminalizzato la solidarietà. Questi compagni solidali che operano  nell’ occhio del ciclone meritano tutto il nostro rispetto e il nostro aiuto per il loro coraggioso lavoro. Noi siamo,  per dirla in altri termini, una loro estensione in Venezuela e svolgiamo compiti che per loro sono più complicati. Rispetto alla composizione di Patria es Solidaridad per la maggior parte siamo colombiani e venezuelani che facevamo parte di varie organizzazioni e che abbiamo deciso di solidarizzarci con il dramma che vive la popolazione colombiana.

 

AM: Praticamente in  cosa consiste  il vostro lavoro?

PeS: Come associazione ci muoviamo su tre fronti: quello dei prigionieri politici e i prigionieri di guerra, quello studentesco e quello dei rifugiati, sfollati o migranti irregolari in Venezuela. Per noi la solidarietà con i prigionieri politici va in due direzioni:  prima rispetto all’aspetto materiale, poi rispetto a quello  morale e politico. Entrambi  sono molto importanti perché i prigionieri hanno molte necessità materiali ma sono anche importanti le prese di  posizione rispetto ai prigionieri politici che vengono da  altri paesi  del mondo. Per esempio è importante che in Europa si sappia  che nelle carceri della  Colombia ci sono 7500 prigionieri politici  e che la nostra associazione sostiene lo scambio umanitario. Per questo sono importanti le denunce che facciamo di maltrattamenti nelle prigioni  e che mensilmente (a volte  anche quattro o cinque ogni mese) pubblichiamo  nella nostra pagina web.  Abbiamo bisogno che tutto ciò venga diffuso e che la comunità internazionale  si esprima sul dramma umanitario dei prigionieri. Inoltre, lo Stato colombiano cerca di demoralizzare al massimo i prigionieri politici, cerca di annientare la lotta sociale e i militanti con qualsiasi meccanismo, quindi  per i detenuti  è molto gratificante che in Europa qualche  collettivo o associazione si esprima  pubblicamente rispetto alla situazione che stanno vivendo.  Il  morale è fondamentale  per  un detenuto, quindi per esempio possono essere  importanti  una lettera, un video, una registrazione, una dichiarazione che permetta ai compagni di sapere che non sono soli e che ci sono altre  persone o altre organizzazioni che si stanno mobilitando per loro.

 

AM: Cosa vuol dire in Colombia essere un prigioniero politico e chi sono i prigionieri politici?

PeS: Abbiamo tre categorie di prigionieri politici: i prigionieri di coscienza che sono quelle persone arrestate per aver manifestato i propri ideali contro il governo,  i prigionieri e le prigioniere di guerra e cioè i guerriglieri delle FARC e dell’ELN presi in combattimento e che si riconoscono come guerriglieri e  i prigionieri politici  “falsi positivi” che sono quei detenuti arrestati durante le retate nelle loro case o in detenzioni massicce nelle comunità, ai quali viene preparato un montaggio giudiziario  e che sono accusati  senza prove. Questo è anche uno dei modi usato dallo Stato per  intimorire qualsiasi espressione di opposizione contro il governo. Un detenuto al quale viene preparato un montaggio giudiziario trascorre uno o due anni in carcere e poi viene rilasciato con tante scuse da parte dello Stato. Resta però segnato a vita, senza risarcimento, senza possibilità di trovare lavoro e con il  tessuto sociale e familiare frantumato. Questo  senza  tenere presente le implicazioni in materia di sicurezza perché in molti casi la persona diventa obiettivo sociale del paramilitarismo. Per stabilire una differenza tra un prigioniero politico e un delinquente comune o un prigioniero sociale bisogna tener presente che il prigioniero politico è quella persona arrestata e alla  quale viene tolta la sua libertà  per i suoi ideali. Per esempio questa è la differenza tra i prigionieri politici colombiani e quelli che si fanno chiamare “prigionieri politici” venezuelani, i quali per la maggior parte si trovano  dietro le sbarre per corruzione. In  Venezuela i prigionieri politici sono dei politici prigionieri. L’unico prigioniero politico venezuelano che consideriamo tale è Carlos Ilich Ramirez,  militante comunista internazionalista arrestato per la difesa  della causa palestinese.

 

AM: Quale è  la situazione dei prigionieri politici nelle carceri colombiane?

PeS: La situazione dei prigionieri politici colombiani è drammatica. I compagni sono  praticamente “invisibili”, sembrano non esistere per la gente comune, sembra che in Colombia non ci siano prigionieri politici. Noi in questo ultimo mese abbiamo denunciato tre suicidi di prigionieri politici. Ci sono casi di maltrattamenti continui da parte della  polizia carceraria (INPEC) e del Gruppo di Reazione Immediata (GRIP). Tramite il carcere si esercitano  diverse  modalità di repressione. Per prima cosa la Colombia è un paese molto montagnoso e i detenuti quasi sempre sono contadini. Uno dei metodi utilizzati  è quello di trasferirli da una città all’altra oppure  metterli in recinti carcerari insieme ai paramilitari o con i prigionieri sociali.

 

AM: Quanti prigionieri politici ci sono nelle carceri del paese e in particolare quante sono le donne detenute?

PeS: In generale e senza fare distinzioni tra i prigionieri politici e i prigionieri sociali, secondo le statistiche del mese di gennaio del 2010 dell’ INPEC, nelle prigioni del regime colombiano (139 carceri con capacità di 55.042 detenuti) ci sono 76.471 persone private della loro libertà di cui 71.644 uomini e 4.827 donne. Di questi  25.619 sono quelli in attesa di giudizio e 50.852 sono i condannati, per cui ci sono 23.837 uomini e 1.782 donne ancora in attesa di giudizio. Tra i nostri compiti c’è quello di censire i prigionieri politici.  Abbiamo introdotto nelle carceri un  “diagnostico” con il quale realizziamo un censimento quantitativo ma anche valutativo della situazione. Abbiamo un dato di oltre  7500 prigionieri che è un numero abbastanza conosciuto  e molto diffuso in internet. Di questi 500 sono i guerriglieri detenuti. Questa è una cifra ufficiale perché  in questo momento non possediamo un dato certo. Sicuramente il numero è molto più alto, circa  1000 o 1200, per la maggior parte guerriglieri delle FARC-EP. Circa il 20% dei prigionieri politici sono donne. Non ci sono distinzioni di genere nella criminalizzazione  della lotta politica, tuttavia vale la pena ricordare che nel caso delle donne si riproduce e  aumenta la violazione dei diritti sessuali e riproduttivi, colpevolizzando  la donna prigioniera politica maggiormente rispetto agli  uomini, per essere  uscita dagli schemi femminili che storicamente le vengono imposti. Ci sono prigionieri politici appartenenti a ogni settore della società colombiana, quello contadino,  operaio, studentesco,  indigeno, comunitario etc. La repressione dello Stato colombiano non fa distinzioni nemmeno tra le lotte portate avanti legalmente e quelle delle  organizzazioni armate.  Ogni protesta sociale in Colombia è stata criminalizzata e vincolata con il narcotraffico e il  terrorismo con lo scopo di eliminare il delitto politico.

 

AM: Perché  il governo colombiano non riconosce i prigionieri politici e li invisibilizza? Come si fa a dargli visibilità?

PeS: Per lo stesso motivo che  non riconosce lo status di belligeranza  alle forze insorgenti. Riconoscendo il delitto politico, il governo colombiano dovrebbe riconoscere  anche che il conflitto in Colombia è un conflitto armato dalle profonde radici sociali e che ha come origine la disuguaglianza sociale ed economica;  dovrebbe quindi anche riconoscere la  grande responsabilità dell’ oligarchia colombiana nello spargimento di sangue che si protrae da oltre cinquanta anni. Lo Stato si ostina a continuare la guerra e a cercare una soluzione militare  al conflitto anche perché  la guerra produce denaro ma non sono i suoi figli che la combattono ma i figli del popolo. Siamo i poveri quelli che ingrossiamo le fila della guerriglia,  dell’esercito e del paramilitarismo che rappresenta l’altra macchina da guerra dello Stato. Per tutte queste ragioni non sono stati capaci nemmeno di avviare uno scambio umanitario con le FARC come primo passo verso un dialogo. I governi narco-paramilitari in Colombia hanno cambiato la legislazione nazionale per condannare i ribelli per molti delitti comuni. Ora un guerrigliero non viene catturato soltanto per ribellione, ma anche per narcotraffico, per terrorismo e altri delitti che vengono cumulati così che la  condanna superi i 40 anni. Per questo è importantissimo  prima di tutto avviare il dibattito, informare che  in Colombia esistono  prigionieri politici e che questi sono il prodotto del conflitto sociale e armato che vive il  paese.

 

AM: Come si organizzano i prigionieri politici nelle carceri?

PeS: La prima cosa che fanno i detenuti è proprio quella di organizzarsi perché se non lo fanno sono più deboli ed è più facile poterli reprimere.  Le donne del Buon Pastore per esempio si sono organizzate in una associazione che si chiama Manuelita Sáenz. In generale si organizzano per difendersi dalle arbitrarietà del regime penitenziario, in altri casi per  produrre per esempio oggetti di artigianato  per sostenersi economicamente. Le organizzazioni politico-militari fanno un grande sforzo  per mantenere un certo livello di organizzazione tra i loro militanti in carcere ma è molto difficile perché il sistema penale colombiano ha subito delle trasformazioni per evitare ogni tipo di organizzazione interna. Nelle carceri di massima sicurezza per esempio,   i prigionieri politici non hanno contatti tra di loro  e a volte nemmeno con gli altri prigionieri,  altre volte i detenuti vengono mandati  molto lontano dai loro luoghi di origine o di militanza o di attivismo politico. Il detenuto quindi viene isolato  perfino dalla sua famiglia e dalla sua organizzazione. Il governo colombiano per mezzo della repressione in carcere cerca di mantenere il morale dei detenuti basso e così questi vengono trasferiti anche molto lontano dalle loro famiglie. Difficilmente una famiglia di contadini potrà affrontare un viaggio di 25/26 ore per visitare un detenuto nel carcere modello di Barranquilla o del Buon Pastore di Bogotá. Noi di Patria es Solidaridad realizziamo un grande sforzo per appoggiare e diffondere  tutte le iniziative di organizzazione dei prigionieri politici all’interno delle carceri  nonostante le difficoltà e l’opposizione di tutto l’apparato giuridico e penale

 

AM: Come fate dal Venezuela a seguire i prigionieri politici in Colombia?

PeS: Noi lavoriamo direttamente con gli avvocati in Colombia perché l’unico modo per poter seguire i prigionieri politici è tramite i loro avvocati o i loro familiari.  Gli avvocati che seguono i processi e che lavorano con noi possono incontrarsi con i detenuti e quindi è possibile fare con loro una diagnosi   sulla  situazione rispetto alla salute e alle principali necessità. La necessità fondamentale di un detenuto ovviamente è la libertà e il prigioniero politico con la sua mente sta sempre fuori dalla sua famiglia e vicino alla lotta per la libertà  del popolo colombiano in ognuno dei fronti che occupa: studentesco, contadino, operaio, sindacalista. In Colombia abbiamo collettivi  di avvocati  che lavorano con noi e gli apporti economici provengono da iniziative che noi realizziamo  qui o in altri luoghi e vengono canalizzati tramite noi  ai familiari e agli avvocati.

 

AM. Dicevate che siete favorevoli allo scambio umanitario. Ci  sono passi avanti in questo senso con il governo?

 

PeS: Lo stato colombiano non riconosce l’esistenza di  un conflitto sociale e politico, afferma che esiste una guerra con dei narcotrerroristi. Riconoscere  uno scambio umanitario vorrebbe dire, come abbiamo detto,  riconoscere che esiste una organizzazione belligerante. Umanizzare la  guerra vuol dire avere una possibilità di dialogo. Prima dello  scambio umanitario semplicemente deve esserci volontà dalle due parti di  umanizzare  la guerra. Sappiamo  che le FARC sono state l’attore politico che ha  realizzato con le liberazioni unilaterali un gesto molto nobile per la pace in Colombia e che il governo colombiano fino a questo momento non lo ha voluto accettare come un reale gesto di pace. Inoltre uno scambio umanitario sarebbe previsto anche  dalla Costituzione in quanto previsto  dal Diritto Internazionale Umanitario. Noi sosteniamo inoltre anche tutti gli altri prigionieri politici che si trovano nelle carceri dell’impero. In questo senso noi come Patria es Solidaridad chiediamo  il rimpatrio di Simon Trinidad, di Sonia e degli altri detenuti politici che  si trovano negli Stati Uniti per narcotraffico e terrorismo. Sappiamo anche che si tratta di semplici montaggi giudiziari, uno degli strumenti che lo Stato utilizza per demoralizzare i combattenti delle FARC. Ovviamente le organizzazioni che lavorano per la difesa dei  Diritti Umani e per la pace in Colombia non sono interlocutori validi  per il governo colombiano nello scambio umanitario dei detenuti,  con alcune eccezioni come Colombiani e Colombiane per la Pace per il riconoscimento del grande lavoro che svolge la ex senatrice Piedad Córdoba. Rispetto allo scambio umanitario Il nostro lavoro per il momento è stato quello di diffondere informazioni rispetto alla sua importanza e necessità,  per questo è importante creare solidarietà  internazionale e fare pressioni dal movimento sociale mondiale  per obbligare il governo colombiano a discutere  i termini di una vera pace con giustizia sociale per tutti che metta fine a cinquanta anni di spargimento di sangue.

 

AM: Vi occupate anche di sfollati e problematiche relative ai migranti?

PeS: Sì, in Venezuela ci sono  circa 5 milioni di colombiani sfollati,  rifugiati, alcuni che godono di asilo politico, altri  che semplicemente si spostano per motivi economici, gli “sfollati economici”. Questi ultimi non si riconoscono come tali ma arrivano in questo paese  in condizione di precarietà,   senza nessun vincolo politico o familiare. Vivono  una vita molto difficile svolgendo compiti che li emarginano anche politicamente. Chi in Colombia  per esempio era un leader contadino, impegnato  politicamente con la sua famiglia e i suoi figli si ritrova a vivere nella cintura della miseria di  Caracas, dedicandosi alla  buhonería cioè al commercio ambulante per strada,  costretto ad abbandonare la sua condizione di contadino, tutto il suo sapere. Praticamente arriva qui in una condizione di abbandono totale e perde tutto.

 

AM: Quale è l’atteggiamento dei venezuelani  verso i colombiani?

Pes: La risposta che abbiamo  ricevuto in generale dal popolo venezuelano è stata di piena solidarietà, piena di profondo affetto bolivariano. La politica del governo è una politica che nelle strategie di benessere sociale non emargina i colombiani, come dimostrato per esempio con  il piano Simón Bolivar dove il fine ultimo è la suprema felicità sociale. I casi di schiavismo, di maltrattamento, di abuso o di discriminazione che si verificano  in Venezuela contro i colombiani ovviamente non sono dovuti  a politiche di governo ma ad azioni individuali e nemiche del processo bolivariano. Noi di Patria es Solidaridad, come bolivariani consideriamo che più che  fratelli,  i colombiani e i venezuelani sono  uno stesso popolo.

 

AM: Per concludere, la campagna di solidarietà promossa da Patria es Solidadridad con i prigionieri  politici si chiama  “Plan de Hermanamiento” (programma di fratellanza o gemellaggio).  In cosa consiste?

PeS: Questa  campagna  consiste nel “gemellaggio” di un organizzazione o di una persona con un detenuto  politico, nel dargli  assistenza tanto materiale come morale. Un’ associazione italiana per esempio  può inviargli denaro oppure  le cose di cui ha bisogno e questo invio viene fatto per prigioniero politico. Si può organizzare una campagna di solidarietà, un recital poetico o inviare delle lettere. Questa  solidarietà materiale può arrivare alla nostra associazione che fa da tramite con il detenuto politico.

Qui di seguito i dati per contattarci e per ricevere i record dei detenuti con i quali avviare un Plan de Hermanamiento:

Tel: 0212–7425751 – Caracas Venezuela

e-mail: patriaessolidaridadatyahoodotcom  (patriaessolidaridadatyahoodotcom)  

Pagina web: www.patriaessolidaridad.com.ve

 

 

 

 

 

 

 

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