Non sono d’accordo con chi condanna le violenze

3 commenti

posto qui di seguito il secondo articolo che considero valga la pena di leggere rispetto al 15 ottobre.

Consiglio inoltre questo di Gennaro Carotenuto, da Giornalismo Partecipativo :

Caccia all’uomo: cambia l’ Italia, denuncia un Black bloc!

 

Rivolta morale in Italia! Finalmente i cittadini compatti denunciano il crimine. I mafiosi? No! Gli evasori che tutti conoscono? Nooo! I politici corrotti? Nooooo! Sbatti il mostro in prima pagina, denuncia un black bloc! (continua sul sito)

e con questi la mia rassegna stampa sul 15 ottobre finisce qui… il resto e’ aria fritta

Non sono d’accordo con chi condanna le violenze

di Francesco Piccinini — AgoraVOX  Italia 

“E’ meglio essere violenti, se c’è violenza nei nostri cuori, che vestire i panni della non violenza per nascondere l’impotenza. C’è speranza perché il violento diventi non-violento. Non c’è speranza per colui che è impotente”.

Mahatma Gandhi

 

Se per trent’anni si è spinta la società dei consumi oltre il limite stesso del denaro, il “conflitto” è il meno che possa accadere.

Ho letto centiaia di articoli, analisi e opinioni sugli scontri di Roma. In tutti si stigmatizza la violenza senza se e senza ma. Fiumi di parole per criticare chi ha distrutto vetrine e auto, critiche perché “avevano l’iPhone”, perché sono “fuori dalla democrazia” o perché sono dei “poveracci”. Alla fine di questa lava di parole mi resta un solo sentimento: la tristezza. Anni di informazione da stadio hanno trasformato questo mondo in un’arena in cui il migliore è colui sa puntare il dito verso il fango piuttosto che investigarlo. Il migliore è colui che si “eleva” sopra questo “fango” per dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato. Il migliore è colui che decide chi può indignarsi e chi no. Il migliore è colui che celebra per giorni la morte di Jobs e poi critica il manifestante sfasciavetrina che compra l’iPhone. 

Per trent’anni in Italia abbiamo perorato un’idea di emancipazione sociale non legata alla scolarizzazione – tipica della cultura contadina – ma al possesso di prodotti. Chi si sente indenne da questo pensiero rilegga le prime pagine dei giornali che hanno condotto un’interminabile celebrazione di uno degli uomini più ricchi del mondo, il quale ha costruito la sua fortuna economica sulla decentralizzazione della produzione in Cina e sulla sua enorme capacità comunicativa capace di trasformare il prodotto in culto. Qual è il frutto di questa celebrazione se non l’istigazione all’acquisto?
Perché siamo così ipocriti da parlare, ancora oggi, di uno spettacolo a Broadway sulla vita di Steve Jobs e poi ci indignamo se un giovane vuole un oggetto Apple? Chi ha deciso dove mettere la soglia di ciò che si può desiderare? Il PD? Sel? L’IDV? Gli intellettuali di questa gauche caviarSolo gli operai di Termini possono “incazzarsi” o può farlo il ragazzo per il quale l’iPhone è l’unico oggetto di riscatto sociale? 
Ciò che è terribile che da una parte si perora un sistema che pretende la crescita attraverso l’aumento dei consumi – da cui dipende l’aumento della produzione e non viceversa — e dall’altro si stigmatizza chi li acquista se non è conforme al gruppo che può possederlo. Dire che sono dei “poveracci”, inoltre, pone lo scrivente in una posizione di superiorità che non vuole sforzarsi di capire i perché di una reazione violenta. E’ fin troppo facile dire “sono delle merde”; e soprattutto ricorda i discorsi post 11 settembre in cui da destra a sinistra si diedero la mano per scatenare la guerra in Afghanistan – si leggano in proposito le ultime dichiarazioni di Di Pietro su una Legge Reale 2 che ha subito trovato una sponda favorevole in Maroni -.
Ricorda il pensiero unico che non vuole capire ma solo accusare. Sa di società che esclude chi non si siede al tavolo delle regole prestabilite. Sa di gruppo chiuso che per nulla al mondo pretenderà mai di riscrivere, realmente, le regole di una società allo sbando. Se è questa l’Italia che sognate, mi spiace ma io non ci sto. Non ci sto anche se a scrivere le regole fosse il 99% della popolazione, perché è da chi non si allinea che, spesso, nascono i cambiamenti. I cambiamenti non emergono da un gruppo di amici che si tutelano, ma da visioni differenti, da incontri di mondi differenti. I cambiamenti non nascono nel seno della reazione “indignada” del “cancelliamo il debito?” (anche se fosse tra trent’anni che facciamo? Lo ricancelliamo?). I cambiamenti non nascono in seno a questo consumismo laico. E nemmeno in seno alla frase fascista che condanna le violenze “senza se e senza ma”. Quanto è reazionario il pensiero unico buonista postveltroniano? Ciò che dovrebbe indignare è che in questo sentimento nazionalpopolare non c’è ricerca di dialogo ma solo la solita Italia fatta di guelfi e ghibellini. Non conta se in questo caso i guefli siano la stragrande maggioranza, perché non hanno necessariamente ragione tout court. E non starò qui a tediarvi con vecchi discorsi sulle maggioranze oceaniche…
Sulle bacheche dei reazionari del “senza se e senza ma” si continua a citare Pasolini e la sua Valle Giulia senza attualizzarlo e senza aprire gli occhi alla diversità che emergono dagli scontri. Perchéla violenza è diversità, che ci piaccia o no. E’ un sentimento umano che esisteva prima di noi e continuerà ad esistere anche dopo piazza San Giovanni. Stigmatizzarla non aiuterà a fermarla ma ne accrescerà solo le dimensioni. Se non fosse chiaro guardate questo video del Fatto Quotidiano e la frase del manifestante “pacifico” che invita il “black-bloc” a coordinarsi con loro. La violenza è un sentimento che esiste in ciascuno di noi, comprenderne i fattori scatenanti è uno sforzo necessario
Sono stanco di questa Italia ipocrita sempre pronta a delineare il limite dell’indignazione. Di quest’Italia che condanna la violenza “senza se e senza ma” ma che celebra Piazza Tahrir o la fine di Ben Ali.
Se la rabbia cresce, sale, esplode e ha bisogno di sfogarsi, un motivo ci sarà. Cerchiamolo, invece di sentirci migliori. Poniamoci la domanda se sia giusto continuare a perorare modelli di vita irragiungibili – vedi il caro Jobs – o se questo porterà, prima o poi, ad una condizione per cui chi non può accedervi si stancherà di fare il precario/emarginato a vita e si unirà a chi già ha rotto le vetrine. E allora saranno ancora di più mentre noi continueremo a sentirci migliori. La rabbia crescerà e potrebbe trovare sponda negli strati più esposti della popolazione
Invece di continuare a emarginarli cerchiamo di capirne le ragioni; ascoltare servirà a capire quali bisogni abbiamo “indotto” e poi non siamo stati in grado di mantenere. Ascoltiamo anche se non ci vogliono parlare, anche se è difficile, anche se all’inizio diranno che “noi non discutiamo di politica con i giornalisti”. E’ difficile, è vero… Se fosse semplice sarebbe banale e non saremmo qui a scriverne. Ascoltandoli possiamo inziare ad immaginare un mondo in cui non ci sia, per forza, una continua richiesta di consumo dei beni. Ascoltiamo i “black bloc” (perdonatemi la banalizzazione), ascoltiamo gli spacciatori, ascoltiamo i carcercarati, ascoltiamo i folli, ascoltiamo gli immigrati, ascoltiamo gli emarginati: solo loro ci possono dire dove abbiamo sbagliato. Solo ascoltandoli possiamo inziare ad immaginare un mondo che non sia esclusivo e top-down ma che sia, veramente, partecipato. L’informazione è specchio di questa realtà che guarda dall’alto in basso le persone, basta leggere il Corriere di oggi che, riguardo al caso dell’uomo con il giaccone, parla di “ingenuità del popolo della Rete”. Come se in rete esistesse un “popolo”, magari anche un po’ di serie b…
In fondo è tutto qui il problema pretendiamo un mondo 2.0 ma solo quando non tocca il nostro orto o destabilizza le nostre certezze. Non siamo pronti, davvero, ad ascoltare tutti ma solo chi non si allontana troppo dal nostro pensiero (fermatevi a riflettere, ad esempio, su come navigate e vi informate in rete). L’ascolto serve per costruire un’alternativa alla violenza e finché non saremo capaci di offrirne una, continueremo a costuire una società fondata solo sulla repressione. Ne arrestiamo 800? Benissimo, tra sei mesi ce ne saranno altri 800 che ne prendereanno il posto, perché non avremmo affrontato le ragioni sociali e culturai che spingono al “conflitto”.
I tempi non sono maturi per una società post-capitalista data la mancanza di modelli economici antagonisti. I tempi non sono maturi per gettarci alle spalle il capitalismo perché crediamo di avere ancora troppo da perdere.
Ma siamo sicuri che ci sia rimasto ancora qualcosa?
  1. Sono passati alcuni giorni dal 15 ottobre ma continuo a meditarci. Ho già scritto in vari posti la mia opinione ma col passare del tempo sento che si approfondisce.
    Penso a quante forme di violenza ci possono essere e mi viene alla mente la foto di quel povero ragazzo che ha lanciato un estintore. Sì, mi viene da chiamarlo proprio così, povero ragazzo, e potete criticarmi, insultarmi, dirmi che sto dalla parte dei delinquenti e dei terroristi ma non cambierò di una virgola queste mie parole. Perchè non c’è solo la violenza dei violenti, di quelli manipolati dai potenti (che li condannano subito dopo) pronti a sfogare la propria frustrazione su chiunque e tutto ciò che capiti a tiro. C’è la violenza delle forze dell’ordine, che devono mostrare la loro forza perchè non si dica che non riescono a fermare i delinquenti, e spesso vanno molto al di là dell’obbedienza agli ordini. C’ è la violenza dei non-violenti che non si sognerebbero mai di lanciare pietre, incendiare auto, sfasciare bancomat ma se qualcuno altro lo fa è un black block da individuare e far arrestare perchè sia sbattuto in prigione senza pietà, con la speranza che ci rimanga per molto tempo, per anni e anni, che spesso non se li fanno neanche gli assassini. E poi cè un’altra forma di violenza, subdola, molto pericolosa: la violenza mediatica. Prendere la foto di un ragazzo mentre compie un gesto orrendo e sbatterla in prima pagina su tutti i giornali, senza sapere nulla di costui e come se si potesse racchiudere l’intera esistenza di un essere umano in un singolo gesto, per quanto bruttissimo e insensato, non è forse una forma di violenza? Io credo di sì. Trasformare qualcuno in un mostro per un gesto compiuto o per delle frasi intercettate al telefono, come è successo a un altro giovane accusato di aver partecipato all’assalto a una camionetta dei carabienieri, senza interrogarsi su chi sono queste persone e come hanno vissuto fino all’attimo prima di compiere qualcosa di insensato, per me è una forma di violenza. Mentirei se dicessi che vorrei abbracciare chi ha ridotto in frantumi una statua della Madonna perchè, oltre ad essere un gesto senza senso, l’attacco ai luoghi di culto offende la mia fede e quella di tante altre persone. Ma i danni che queste persone hanno arrecato, sia quelle arrestate sia quelle sfuggite ai controlli, possono essere riparati mentre la violenza mediatica che si sta facendo su queste persone è qualcosa che non si può cancellare.
    Per non parlare dell’occasione persa per l’Italia di far sentire la propria voce contro una politica sbagliata: tutto questo gridare alla violenza durante la manifestazione è una manovra costruita ad arte per distogliere l’attenzione dalle motivazioni che hanno spinto a questo evento nazionale.

  2. avatar
    Silvano ha detto:

    Peccato per me che son Cardiopatico…Malandato.…65enne, Ma la voglia di combattere in qualche modo Questo Schifo c’e.…Quanto Marciume.…Troppo.…Basta!!!!!!!!!

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