Sonia Pierre: la sua vita, la sua lotta.
di Annalisa Melandri
E’ morta il 4 dicembre scorso, all’età di 48 anni, per complicazioni cardiache, l’attivista dominicana di origini haitiane Sonia Pierre. Sebbene in un primo momento si fosse diffusa la notizia che la causa della morte era imputabile a un infarto fulminante, soltanto alcuni giorni dopo il decesso l’esito della autopsia alla quale era stata sottoposta, ha confermato che Sonia è deceduta per una trombosi scatenata da un coagulo alle valvole cardiache che portava dopo un intervento urgente effettuato negli Stati Uniti. Sembra che non avesse presso l’anticoagulante, la cui assunzione è fondamentale nelle patologie come quelle di cui soffriva Sonia, da oltre 48 ore. La militante ed attivista dominico-haitiana lascia quattro figli.
Originaria del batey (comunità rurale dove risiedono i tagliatori di canna da zucchero) “La lechería” nel municipio di La Altagracia, aveva trascorso tutta la vita nella difesa del diritto all’identità degli haitiani di seconda generazione nati in Repubblica Dominicana.
I suoi genitori erano giunti in Repubblica Dominicana dalla vicina Haiti, circa 50 anni fa, nell’ambito degli accordi stipulati tra il dittatore Trujillo e il governo haitiano per l’ingresso nel paese di manodopera da utilizzare nelle piantagioni di canna da zucchero. Il padre di Sonia muore lo stesso giorno nel quale lei viene al mondo, malato e vittima di una febbre altissima mentre si sta recando in ospedale e vedere la figlia appena nata. La madre resta sola al mondo con dieci figli e deve affrontare miseria e umiliazioni per poterli crescere. Sonia la aiuta fin da piccola come può anche con i lavori più umili ma già giovane adolescente inizia a sentire brucianti sulla sua pelle le ferite per le ingiustizie e le umiliazioni inferte da un sistema che se da un lato era profondamente razzista ed escludente, dall’altro si beneficiava altamente dell’ ingresso, anche illegale nel paese di braccia a basso costo e senza diritti proveniente dalla vicina Haiti per le esigenze del settore legato alla produzione e commercio dello zucchero.
A tredici anni Sonia viene arrestata per la sua partecipazione ad uno sciopero dove affronta con coraggio la guardia campestre al servizio dei latifondisti locali. Comincia in quel momento la lotta al fianco della sua gente, della quale per il suo coraggio (verrà chiamata mujer coraje, donna coraggio) conquista la fiducia e la stima. Attira tuttavia su di sé inevitabilmente anche minacce di morte e repressione, aggiunte ad una campagna mediatica volta a screditarla ed umiliarla, al servizio dei potenti proprietari terrieri che vedevano nelle sua battaglie una minaccia al loro status quo.
Il suo impegno la porta fuori dal paese, spesso negli Stati Uniti, dove ottiene riconoscimenti internazionali e attestati di merito per il suo impegno nella difesa dei diritti civili delle minoranze, tra i quali nel 2006 il Robert F. Kennedy Human Rights Award e più recentemente, l’anno scorso, il Premio al Coraggio della Donna, del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, consegnatole direttamente da Hillary Clinton insieme ad altre nove donne al mondo di riconosciuta traiettoria per il “coraggio e leadership eccezionali” nel movimento femminista internazionale.
Sonia Pierre è stata infatti anche la fondatrice del Movimento delle Donne dominico – haitiane (MUDHA) che ha la finalità di “promuovere l’integrazione e partecipazione delle donne dominicane di discendenza haitiana e di donne haitiane nei processi sociali che si sviluppano nelle rispettive comunità con al finalità di contrastare il sessismo, il razzismo, l’anti-haitianismo che permea ampi settori della società, oltre a difendere e salvaguardare i diritti civili, politici, economici, sociali, culturali e umani della popolazione dominicana di discendenza haitiana”.
Amatissima dalla comunità haitiana e di discendenza haitiana della Repubblica Dominicana, non godeva di altrettanta simpatia purtroppo nella maggiornanza della popolazione dominicana.
Molti la consideravano “nemica del paese”, la accusavano di essere una portavoce di istanze straniere che tramano per il ricongiungimento di Haiti e della Repubblica Dominicana, accuse queste diffuse anche attraverso i media dai settori ultra nazionalisti, in un paese dove il razzismo verso gli haitiani è fortemente radicato e dove è stato sempre fomentato in tempi passati anche dai vari governi che si sono succeduti alla guida della Repubblica Dominicana . La campagna di discredito contro Sonia si era fatta più forte soprattutto dopo la condanna al paese dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani avvenuta nel 2005 per non aver concesso la nazionalità a due bambine di discendenza haitiana. La Repubblica Dominicana fu condannata al pagamento di 8mila dollari ad ogni bambina ed altrettanti alle tre organizzazioni che portarono avanti la denuncia, il MUDHA di Sonia Pierre, il Centro per la Giustizia e il Diritto Internazionale (CEJAIL) e la International Human Right Law Clinic della Scuola di Diritto dell’ Università di Berkley.
Il governo dominicano ha sempre respinto con veemenza tale condanna qualificando le pretese come “infamanti” e negando ogni accusa sulla base delle leggi nazionali. Fino al 2010 vigeva nel paese lo ius soli senza restrizioni al diritto di nazionalità degli haitiani nati in territorio dominicano. Tuttavia già nel 2005 una sentenza della Suprema Corte di Giustizia dette il via a limitazioni dello ius soli che furono definite formalmente nella nuova Costituzione del 2010 con l’introduzione del paragrafo in cui si specifica che “sono dominicane tutte le persone nate in territorio della Repubblica Dominicana con eccezione dei figli degli stranieri residenti in rappresentazioni diplomatiche o di quelli in transito o residenti illegalmente nel paese”. Secondo dati in eccesso sarebbero circa 500mila i migranti haitiani di prima e seconda generazione che vivono in Repubblica Dominicana, su una popolazione complessiva di circa 10 milioni di abitanti.
La popolazione migrante proveniente da Haiti è al momento fortemente diversificata, ci sono migranti recenti ma anche come abbiamo visto una considerevole quota di haitiani di seconda e terza generazione che non hanno alcun legame con Haiti (se non affettivo, culturale e come forma di rispetto per i loro genitori) dove spesso non sono nemmeno mai stati, che sono generalmente ben integrati con il resto della popolazione domenicana (per lo meno con quella della stessa classe sociale), ci sono inoltre i discendenti di unioni miste tra haitiani e dominicani nati nel paese.
Tuttavia la “distinzione tra haitiano e dominico-haitiano viene rifiutata o per lo meno evitata da forti opinioni che prevalgono nella burocrazia statale e in certi settori della popolazione . Questi settori pretendono negare la nazionalità dominicana ai figli degli haitiani e considerano i nati e i non nati nel paese nello stesso modo”.1
L’origine di questo atteggiamento risale ai pregiudizi scatenati dalla campagna di “dominicanizzazione” portata avanti da Trujillo durante la sua dittatura (e culminata con il tragico massacro degli haitiani avvenuto sulle rive del fiume Dajabón da allora ribattezzato Masacre, che in spagnolo vuol dire “massacro”, nel 1937), ma anche dalla successiva politica di Joaquín Balaguer, uomo profondamente legato a Trujillo, razzista e conservatore, figura chiave nella politica dominicana che governò il paese per 24 anni divisi in tre mandati presidenziali (l’ultimo conclusosi nel 1996).
Più recentemente, nel 2007 una risoluzione della Giunta Centrale Elettorale ha negato la consegna degli atti di nascita a cittadini discendenti da stranieri che non possano provare la residenza o lo status legale dei loro genitori. Evidentemente la risoluzione aveva come obiettivo gli haitiani di seconda generazione nati in Repubblica Dominicana e almeno formalmente fu emessa con l’intenzione di depurare le liste da errori e falsificazioni commesse nel passato. Di fatto però nega il rilascio di documenti di identità a un numero considerevole di persone di discendenza haitiana (secondo il MUDHA almeno 200mila) già adulte che ad Haiti non sono mai state, che non sanno parlare il creolo, che si sentono a tutti gli effetti dominicani e che a un certo punto si pretende di rispedire in quello che sicuramente non è il loro paese, dopo che la migrazione legale e illegale dei loro genitori, zii o nonni è stata favorita e incentivata (vedi per esempio gli accordi tra i governi dominicano e haitiano degli anni passati ) per necessità di avere manodopera a basso costo e zero diritti per la raccolta della canna da zucchero.
Applicando tale politica volta a contrastare l’immigrazione ma anche a liberarsi di un certo numero di dominico-haitiani la Repubblica Dominicana ha in diverse occasioni effettuato delle vere e proprie deportazioni massive e arbitrarie vietate tra l’altro da ogni trattato internazionale e dai trattati con la stessa Haiti. Il quotidiano El Caribe riporta quanto avvenuto nel corso di uno degli operativi militari dell’ Ufficio di Migrazione il 1 novembre del 2003: “Nell’ autobus della Migrazione stazionato nel chilometro nove dell’autopista Duarte era in corso un dramma, le grida scuotevano i finestrini del veicolo coperti di inferriate. Molte donne, alcune con bambini in braccio anche appena nati, piangevano sconsolatamente non potendo tornare quella sera nelle loro case dove avevano lasciato i figli e i mariti. I militari della Migrazione erano arrivati al chilometro nove dopo le sei del pomeriggio, come ormai di consuetudine tutti i venerdì. A tutti gli haitiani che passavano e anche a persone semplicemente di pelle scura, chiedevano i loro documenti e quelli che non li avevano in ordine erano portati fino all’autobus. I veicoli del trasporto pubblico che si fermavano al chilometro nove erano perquisiti dai militari in cerca di illegali. Il console generale di Haiti nel paese criticò gli operativi affermando che “in molti casi sono eccessivi e disumani non permettendo che gli haitiani detenuti possano comunicare con i loro familiari e raccogliere le loro cose. In molti casi i familiari li danno per dispersi perché non sanno cosa gli è successo”.2
Con la crisi del settore dello zucchero negli anni ’80, ma anche con la caduta ad Haiti del regime di Duvalier figlio, Baby Doc, nel 1986 la politica migratoria tra i due paesi cambia radicalmente, la popolazione di discendenza haitiana è diventata “scomoda” e si cerca in qualche modo di rimediare a una situazione complicata, trattata sempre con superficialità ed evidente ambiguità dai governi dei due lati della frontiera, anche se gli immigranti haitiani di prima e seconda generazione vengono comunque impiegati come manodopera (sempre a basso costo e senza diritti) in altri settori quali quello edilizio e del turismo.
Le misure che si sono volute adottare e che ancora oggi si perseguono per ovviare a tale situazione tuttavia violano i diritti umani, civili e politici di una comunità consistente di persone. Oltre alle deportazioni indiscriminate in un paese che non hanno mai conosciuto se non nei racconti dei loro nonni o genitori, che raggiunsero il culmine nel 1991 sotto Balaguer (si stima che furono espulse 35 mila persone in quell’anno3) ma che abbiamo visto continuarono anche negli anni successivi, si è anche provveduto a cancellare dai registri civili documenti come gli atti di nascita e le carte di identità a persone che ne erano in possesso da decenni, con la motivazione che erano stati rilasciati sulla base di documentazioni false. Varie associazioni per la difesa dei diritti civili degli immigranti haitiani denunciano che tali cancellazioni sono state fatte sulla base di supposizioni o illazioni senza nessun fondamento, a volte soltanto sulla base del colore della pelle o di un cognome haitiano. In ogni caso si è negato a persone adulte in possesso dei propri documenti fin dalla nascita, per esempio la possibilità di trovare un lavoro o di iscriversi all’università, di chiedere un prestito, di avere un conto corrente bancario, diventando improvvisamente apolidi, cioè privi di nazionalità, in evidente violazione della Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo che proprio nel suo articolo n. 15 stabilisce che “ogni persona ha diritto a una nazionalità” e che “nessuno verrà privato arbitrariamente della sua nazionalità o del diritto a cambiare nazionalità”.
Per questa ragione in Repubblica Dominicana l’ Agenzia dell’ONU per i Rifugiati (UNHCR), che ha riaperto la sua sede dopo il recente terremoto che ha colpito la vicina Haiti nel 2010, sta seguendo da vicino oltre agli haitiani che cercano rifugio in Repubblica Dominicana dalla fame e miseria del loro paese, anche la situazione delle persone di discendenza haitiana che vivono qui da decenni.
Antonio Guterres, l’ Alto Commissario per le Nazioni Unite per i Rifugiati, in una sua recente visita ha visitato molte comunità di discendenti haitiani nati e vissuti in Repubblica Dominicana che dal 2007 si stanno vedendo negare i loro documenti da funzionari del registro civile.
L’UNHCR considera che “centinaia di migliaia di persone nate fuori da Haiti da genitori haitiani migranti potrebbero potenzialmente diventare apolidi o correre il rischio di diventarlo”4.
L’UNHCR ha recentemente dato il via ad una campagna mondiale per combattere l’apolidia,5 considerando che “questa condizione rende (gli apolidi) tra le persone più escluse al mondo. Oltre alla sofferenza che viene inferta loro, l’effetto di emarginare gruppi interi di persone attraverso le generazioni, crea grosse tensioni nelle società in cui vivono e a volte può essere fonte di conflitto.”
1Inmigrantes haitianos y dominicanos de ascendencia haitiana en la República Dominicana – a cura di SJR e CID pag. 34
2Inmigrantes haitianos y dominicanos de ascendencia haitiana en la República Dominicana – a cura di SJR e CID pag 10
3La Commissione Interamericana dei Diritti Umani in un rapporto del settembre 1991 conclude che il decreto per le espulsioni disposto da Balaguer “aveva imposto una esplusione collettiva” e “scatenato una persecuzione indiscriminata contro gli haitiani e i loro discendeti, nati o no in Repubblica Dominicana con l’intenzione di espellerli”. Fonte “Inmigrantes haitianos y dominicanos de ascendencia haitiana en la República Dominicana” – a cura di SJR e CID pag. 79
4http://www.acnur.org/t3/noticias/noticia/el-alto-comisionado-visita-las-operaciones-del-acnur-en-la-republica-dominicana/
5http://www.unhcr.it/news/print/1039/28/l-unhcr-lancia-la-campagna-per-combattere-l-apolidia.html
Mi dispiace…