Lettera all’Ambasciata svedese a Roma sul caso Joaquín Pérez Becerra
Il 16 aprile prossimo inizierà formalmente a Bogotá il processo farsa contro il giornalista Joaquín Pérez Becerra, direttore di Anncol. Ho creduto doveroso scrivere una lettera, che le arriverà’ anche via posta ordinaria, all’Ambasciatrice svedese in Italia, Sig.ra Ruth Jacoby. Joaquín e’ cittadino svedese dal 2000 eh ha diritto a tutto l’ appoggio del suo governo. Chiunque voglia (spero che siate in tanti) puo’ copiare il seguente testo e inviarlo all’ambasciata aggiungendo la sua firma, o scrivendone uno nuovo, se desidera. Questo il fax 06/441941 e questa la mail: ambassadenromforeignministryse
Egregia Ambasciatrice Sig.ra Ruth Jacoby,
presso Ambasciata di Svezia in Italia
Roma, 10 aprile 2012
Oggetto: Detenzione e processo in Colombia al cittadino svedese Joaquín Pérez Becerra
Da quasi un anno, Joaquín Pérez Becerra, giornalista di origine colombiana e cittadino svedese dal 2000, direttore dell’Agenzia di Notizie per la Nuova Colombia (Anncol), si trova in carcere in Colombia, accusato ingiustamente di terrorismo per presunti vincoli con la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).
Il suo arresto all’aereoporto di Caracas, in base ad un “codice rosso” dell’Interpol creato ad hoc su richiesta del governo colombiano mentre era in volo, e la successiva deportazione 55 ore dopo in Colombia, sono avvenuti in totale spregio di ogni convenzione internazionale sulla difesa dei rifugiati politici e in violazione della Costituzione venezuelana. In particolare non si è rispettata la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 (e il suo protocollo del 1967) sullo statuto dei Rifugiati, nella quale oltre a descrivere la figura del “rifugiato” (“chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato” (Art. 1) dichiara che “nessuno stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche” (art. 33).
Joaquín Pérez Becerra, cosa della quale sicuramente le autorità del Suo paese sono a conoscenza, era stato costretto a chiedere asilo politico alla Svezia nel 1993 per non diventare uno degli oltre 4000 assassinati dai paramilitari e membri dell’esercito nell’ambito del genocidio politico del partito Unión Patriotíca nel quale militava. Abbandonò il paese dopo il sequestro e l’omicidio della sua prima moglie.
La Svezia, si è sempre distinta tra i paesi europei nei decenni passati per la sua ospitalità e per la difesa dei diritti politici e civili di tutti i cittadini che cercavano rifugio dalle dittature e dai regimi violenti che imperavano in quegli anni in America latina. La situazione della Colombia, purtroppo, non é molto diversa da allora, pur essendo (sic), oggi come ieri, a tutti gli effetti, una “democrazia”. Non sto qui ad elencare le ultime, in ordine di tempo,vicende colombiane che non fanno ben sperare per la democrazia in quel lontano paese. La scoperta della fossa comune più grande dell’America latina, lo scandalo dei “falsi positivi”, i forni crematori dei paramilitari delle AUC, sono storia recente uscita alle cronache di tutti i mezzi di informazione internazionali.
Joaquín Pérez Becerra oggi, sta rischiando la sua vita giorno dopo giorno, ancora una volta, nel carcere La Picota di Bogotá tra narcotrafficanti e paramilitari, senza nessuna misura di protezione.
La Procura della Repubblica della Colombia, in piena continuità con la politica del governo dell’ex presidente Álvaro Uribe, che aveva dichiarato alla stampa “che bisognava farla finita con i colombiani criminali e psicopatici in Svezia e in Europa” sta armando un processo farsa contro Becerra.
Il processo inizierà formalmente il 16 aprile prossimo, ma è fondato su prove (i documenti word rinvenuti nel portatile di Raúl Reyes) ritenute inutilizzabili da una sentenza della Suprema Corte di Giustizia, ma anche e soprattutto ritenute false da un investigatore della polizia antiterrorismo colombiana (DNJIN),Ronald Hayden Coy Ortiz, che ha dichiarato alla magistratura che la catena di custodia del computer di Reyes dal momento del suo ritrovamento fino alla consegna all’Interpol, fu interrotta per un ragionevole periodo di tempo da lasciar supporre che il suo contenuto sia stato oggetto di manipolazioni.
Si sta esaudendo il desiderio di Álvaro Uribe, cioé di farla finita con i colombiani in Svezia? Alcuni di questi, tra i quali Joaquín Pérez Becerra, da decenni, tramite le pagine di Anncol e l’emittente radiofonica Radio Café Stereo, operando in assoluto rispetto della legislazione svedese, denunciano il terrorismo di Stato imperante, e purtroppo sempre attuale in Colombia. Questo non vuol dire essere complici delle FARC o terroristi.
Il Suo governo, e lo dico con profondo rammarico, in questa vicenda purtroppo non sta brillando per il sostegno e la difesa che pur avrebbe dovuto offrire al Suo concittadino Joaquín Pérez Becerra.
Ricordo la storia passata e il rispetto che il mondo intero aveva per un vostro grande politico che probabilmente é morto perché credeva che ogni persona avesse diritto di vivere in almeno un luogo della terra senza paura. E’ vero che la Svezia odierna non è più quella di Olof Palme, ma il rispetto per i diritti umani da allora è diventato un principio che universalmente distingue gli Stati democratici da quelli che non lo sono.
Joaquín Pèrez Becerra non aveva paura di vivere in Svezia per questo motivo. Forse si stava sbagliando?
Cordialmente,
Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
giornalista, attivista per la difesa dei diritti umani
membro della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) e della Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH).
P.S. Vista l’enorme indignazione che ha causato l’arresto di Joaquín Pérez Becerra in ampi settori della società civile, e visto il grande dibattito che ne è nato, ho creduto opportuno dare alla missiva carattere pubblico.