Il Primo Maggio per un nuovo Internazionalismo!
Intervista a Salvatore Ricciardi*
di Annalisa Melandri, contributo speciale per La Pluma
A.M. – Salvatore, ci racconti cosa ha rappresentato il Primo Maggio per i lavoratori italiani negli anni passati?
S.R. — Ricordare il 1° maggio e ciò che ha significato per i lavoratori, è oggi un ricordo amaro. Questi sono anni in cui l’offensiva capitalista-neoliberista cerca di distruggere le conquiste dei lavoratori dei decenni passati. È ancor più amaro ricordarlo perché le organizzazioni sindacali maggioritarie, invece di organizzare un fronte di lotta per difendere quelle conquiste e contrattaccare sugli obiettivi operai, al contrario retrocedono in omaggio alle esigenze del profitto capitalistico, distruggendo perfino i simboli di oltre cento anni di avanzata operaia. Per i lavoratori italiani e non solo, il 1° maggio ha rappresentato il simbolo del riscatto operaio. Il non dover più subire; drizzare la schiena; non togliersi il cappello quando passava il “padrone”; non tremare di fronte al “capoccia”; non dover aspettare che il “domani migliore” ce lo regalasse la provvidenza, ma conquistarlo con la lotta giorno dopo giorno. E soprattutto ha significato la presa di coscienza del fatto che un lavoratore da solo può far poco, ma uniti e organizzati invece possono essere una forza inarrestabile di trasformazione sociale.
A.M. — Il primo maggio anni fa rappresentava un momento di riflessione ma anche di orgoglio per le conquiste ottenute, oggi può ancora dirsi così?
S.R. — Ricordo da ragazzo il duro dopoguerra italiano. Città devastate, paesaggi di macerie seminate da quella guerra sciagurata e vigliacca che aveva lasciato odio, malessere e disagio negli uomini e nelle donne. Le condizioni di lavoro erano durissime. L’orario di lavoro superava di molto le otto ore, proprio quello “otto ore” che erano state la rivendicazione principale delle lotte del 1° maggio. Una sola cosa poteva affascinare noi giovani: la possibilità di cambiare tutto questo, di costruire una società in cui la barbarie che aveva distrutto vite e città e che ancora ci massacrava non trovasse più spazio. Quella barbarie aveva per noi un nome: capitalismo; una sola possibilità davanti a noi: l’organizzazione dei lavoratori e la lotta di classe. Per questo speranza c’era un simbolo: il primo maggio. Non era retorica, ci convinceva il significato stesso del 1° maggio, le lotte e il costo altissimo per ottenere quelle vittorie. E anche la testardaggine di chi non ha voluto arrendersi ai soprusi e allo sfruttamento dei padroni e neanche allo strapotere degli apparati militari al loro servizio. Il nostro pensiero guardava al passato per trovare la forza di andare avanti. Nel nostro immaginario le manifestazioni organizzate negli Usa dai Cavalieri del lavoro ( Knights of Labor) una delle prime associazioni di lavoratori salariati. Il massacro perpetrato dalle polizie di tutti i potenti del mondo contro i manifestanti, a Chicago, ad Haymarket square, il 3 e 4 maggio 1886, quando furono uccisi numerosi operai. Ma non si chinò la testa; in molti paesi l’anno successivo, il 1887, vennero organizzati raduni operai per opporsi alla repressione; fu scelta la data del 1° maggio per scioperi e manifestazioni con l’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro a otto ore. Arresti e scontri ovunque; negli Usa vennero condannati a morte sette sindacalisti “colpevoli” di aver organizzato il raduno operaio di Chicago. Per la legge statunitense lo sciopero generale era “illegale” (ancora oggi per la legge Usa lo sciopero generale è illegale. In opposizione a questa legge liberticida il 1° maggio prossimo, 2012, i movimenti di lotta negli Usa (occupy) praticheranno uno sciopero generale-illegale). Sette compagni, dirigenti operai, furono condannati a morte (August Spies, Michael Schwab, Samuel Fielden, Albert R. Parsons, Adolph Fischer, George Engel e Louis Lingg). August Spies, a nome di tutti prima di morire pronunciò queste parole: “Salute a tutti, verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!”.
A.M. — Cosa e’ cambiato da allora ad oggi nella sostanza ma anche nella forma delle celebrazioni del Primo Maggio?
S.R. — Il potere capitalista aveva mostrato la sua ferocia, ma il movimento non era arretrato, insorgeva di fronte a questa brutalità. Nel città di Livorno, e in molte altre città europee, i portuali, marinai e la popolazione assaltavano le navi statunitensi, distruggendole.
In un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890: “Lavoratori ricordatevi il 1° maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”.
La straordinaria partecipazione dei lavoratori alle manifestazioni di quell’anno vinse la timidezza dei vertici e costrinse i dirigenti dell’Internazionale a dichiarare il 1° maggio “festa dei lavoratori di tutti i paesi”.
In Italia l’orario di lavoro quotidiano fu fissato in otto ore nel 1923 (regio decreto legge n. 692/1923).
Durante il fascismo la festa del primo maggio fu abolita. Ma non si fermarono le manifestazioni convocate clandestinamente, con repressione e arresti. Dopo la seconda guerra mondiale, spazzato via il regime fascista, fu ripristinata la festa, in un paese squassato da tensioni sociali e politiche. Il 1° maggio 1947 inSicilia si tenne una manifestazione a Portella della Ginestra (provincia di Palermo) per la rivendicazione della terra ai contadini, terra dei latifondisti legati al regime fascista e al clero. I manifestanti furono presi a fucilate, con numerosi morti, da bande criminali assoldati dagli stessi latifondisti e dai servizi segreti Usa per terrorizzare i lavoratori agricoli e impedire la diffusione delle organizzazioni comuniste e socialiste.
Per tutti gli anni 60 e 70 il 1° maggio è stato il momento in cui il nuovo movimento operaio si presentava nelle piazze proponendo una prospettiva rivoluzionaria, spesso scontrandosi con le organizzazioni ufficiali sempre più schierate a difesa del sistema esistente. Sono state queste, Cgil, Cisl e Uil, ossia le confederazioni ufficiali maggioritarie e collaborazioniste a distruggere anche il valore simbolico del 1° maggio, degradandolo da giornata di lotta a squallido spettacolo musicale.
A.M. — Si può parlare di classe operaia ancora oggi, con le nuove forme di lavoro, con il precariato e soprattutto esiste oggi ancora la coscienza di classe?
S.R. — La classe operaia non si può racchiudere in una categoria sociologica. Non si può affermare che oggi la classe operaia è scomparsa perché i contratti di lavoro hanno assunto, nominalmente, le più variegate tipologie. Operai sono coloro che producono tutto quello che esiste, che siano merci “materiali” oppure “immateriali”, non fa differenza. Operai sono coloro cui viene estratta la capacità lavorativa, la loro vitalità e questa viene utilizzata dai proprietari dei mezzi di produzione (capitalisti) per fare profitti. La classe operaia può diventare un soggetto della trasformazione sociale se prende coscienza del proprio ruolo determinante e progetta una società in cui i lavoratori possano associarsi liberamente tra di loro, facendo a meno di padroni e capi, producendo con tempi e modalità consone alla dimensione umana ciò di cui abbiamo bisogno.
A che punto è questa coscienza di classe oggi? In questo e altri paesi capitalisti, l’offensiva neoliberista degli ultimi decenni ha fatto arretrare la coscienza e l’organizzazione della classe operaia. Ma la crisi capitalistica attuale, dimostra che se i lavoratori abbassano la testa e smettono di lottare, per loro andrà sempre peggio. Chi è costretto ad andare a lavorare per un salario non ha alcuna possibilità di miglioramento all’interno delle compatibilità capitaliste, ci riuscirà soltanto organizzandosi e lottando per imporre gli interessi operai contro il capitalismo e l’imperialismo.
A.M. — Quali sono le nuove sfide e i compiti della classe operaia oggi e della sinistra in Italia? E in Europa?
S.R. — Ritrovare quell’unità intorno agli interessi di classe, unità scompaginata dalle false ideologie propinate dal padrone e dai suoi media. Non dobbiamo dividerci in base alla tipologia contrattuale, (lavoro a progetto, lavoro a chiamata, part-time, a partita Iva, ecc.) altrimenti diventiamo corporativi e saremo più deboli e perdenti. È questo il nemico che ostacola la ricomposizione di classe: il corporativismo. Ricordiamoci che il corporativismo è stato prodotto dal fascismo per dividere i lavoratori, scompaginare le organizzazioni operaie e portare il paese a una guerra devastante. L’altro falso ideologico che bisogna rapidamente sbugiardare è quello di credere che se l’economia di un paese migliora, con i sacrifici dei lavoratori poi, in un secondo tempo, di quel miglioramento ne godranno anche i lavoratori. È questa la più grossa menzogna! Una ripresa dell’economia capitalista, ossia dei profitti dei padroni, renderà questi sempre più forti e dunque in grado di sottomettere ancor di più i lavoratori e le popolazione. Gli interessi dei lavoratori debbono al contrario indebolire la forza dei padroni, del capitalismo, dell’imperialismo, ridurre i profitti, per renderli più deboli e preparare il terreno per spazzarli via.
Il debito degli Stati? Un altro imbroglio! Non dobbiamo farci carico noi lavoratori di sanare il debito degli Stati. Dobbiamo ritrovare i nostri interessi e non rincorrere lo sviluppo capitalistico; bisogna fermarlo prima che questo distrugga oltre la nostra vita anche l’intero pianeta. E si può fermarlo solo unendo e organizzando le forze del lavoro di tutto il mondo in un nuovo internazionalismo!
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Salvatore Ricciardi, nasce nel 1940 inun quartiere proletario di Roma, frequenta l’Istituto tecnico industriale, dopo occupazioni saltuarie, lavora in un cantiere edile e lì incontra l’attività sindacale. Sono gli anni dei duri e violenti scioperi e scontri con la polizia del 1962–63: anni della “ripresa operaia” dopo le bastonature del dopoguerra. Poi entra nelle Ferrovie dello Stato (FS) come tecnico e si getta nell’attività sindacale. Militante del Sindacato ferrovieri aderente alla Cgil (Sfi-Cgil), aderisce alla sinistra sindacale impegnata a fermare la deriva collaborativa del maggior sindacato, la Cgil. Nel 1969, lo scontro tra destra e sinistra della Cgil diventa sempre più caldo, fino alla rottura. È tra gli organizzatori del Comitato Unitario di Base (CUB) dei ferrovieri di Roma, un organismo autorganizzato che si batte per i veri interessi dei ferrovieri e non per collaborare con l’azienda FS, (per avere in cambio posti nel Consiglio di Amministrazione). Nell’estate del 1971 il CUB dei ferrovieri di Roma organizza uno sciopero per la riduzione dell’orario di lavoro che blocca completamente il traffico ferroviario con una partecipazione straordinaria. Gli Organismi di base si diffondono in tutti i posti di lavoro e nei quartieri proletari del paese. Questa rete di comitati mette all’ordine del giorno la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente. Era dunque necessario organizzare strumenti adeguati allo scontro di potere. Sorsero diverse organizzazioni, S.R. aderisce all’organizzazione comunista combattente Brigate Rosse. Nel maggio 1980 viene arrestato e condannato all’ergastolo. Nelle carceri speciali organizza rivolte e tentativi di evasione. Ma nel corso degli anni 80 quel movimento rivoluzionario viene sconfitto, in quella fase. Dopo 30 anni di carcere (20 anni di carcere speciale, gli altri 10 insemilibertà e libertà condizionale), nel 2010 ha riconquistato la libertà. Nel 2011 pubblica “Maelstrom. Scene di rivolta e autorganizzazione di classe in Italia dal 1960 al 1980” con la casa editrice Derive e Approdi.
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