Javier Sicilia: fermate la strage dell’antidroga
“FERMATE LA STRAGE DELL’ANTIDROGA”
La Carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità organizzata dal poeta e giornalista messicano Javier Sicilia, è arrivata questo lunedì a Washington nei pressi della Casa Bianca. Partita l’11 agosto da Tijuana in Messico, la Carovana ha già percorso10mila chilometri e visitato 25 città statunitensi per denunciare il fallimento e l’inadeguatezza delle politiche di lotta al narcotraffico portate avanti dai governi di Messico e Stati Uniti: è formata da attivisti, giornalisti, difensori dei diritti umani ma anche e soprattutto dai familiari dei desaparecidos e dei morti che gli ’effetti collaterali’ (come li ha definiti l’ex Presidente messicano Felipe Calderòn) della guerra contro i potenti cartelli dei narcos messicani ha prodotto in questi ultimi anni.
60mila morti (altre fonti considerano addirittura il doppio) in Messico dal dicembre del 2006, da quando cioè il governo di Calderón, ad appena dieci giorni dal suo insediamento,scatenò la sua offensiva militare contro il narcotraffico con l’appoggio logistico e militare degli Stati Uniti, nello stato di Michoacán. Qui si erano registrati in pochi mesi addirittura 500 morti. Tuttavia l’imponente militarizzazione con una presenza massiccia dell’esercito nelle strade non ha risolto la situazione. Anzi. Addirittura alcune operazioni segrete condotte dal governo degli Stati Uniti come la ormai tristemente nota ’Fast and Furios’, con la quale si voleva facilitare la vendita illegale di armi in Arizona per poi monitoraresegretamente l’utilizzo di queste da parte dei narcos, si risolse in un fiasco. Di circa duemila armi si persero completamente le tracce e si pensa che siano finite senza troppe difficoltà in mano ai cartelli della droga e a criminali di ogni tipo.
Il governo messicano è stato messo sotto accusa da numerose associazioni della società civile e internazionali per le violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito e dalle forze di sicurezza dello stato nella lotta al narcotraffico. Lo stesso ex presidente, insieme ai vertici dell’Esercito, della Sicurezza Pubblica, della Marina e addirittura il capo del cartello diSinaloa, El Chapo Guzmán, sono stati denunciati alla Corte Penale Internazionale dell’ Aja per crimini contro l’umanità. La denuncia porta le firme di oltre 23mila cittadini e sebbene con ogni probabilità non verrà presa in considerazione dalla Corte, rimane pur sempre un momento significativo di presa di posizione della società civile.
Dei 60 mila morti registrati fino ad oggi, 1.226 erano bambini, uccisi nel corso dei conflitti a fuoco o per vendette trasversali, mentre oltre 13mila sono state le persone scomparse, 250 mila gli sfollati e 30mila i minori arruolati dai cartelli della droga. Numeri da guerra. Lo stesso Javier Sicilia ha perso suo figlio il 28 marzo dello scorso anno a Cuernavaca, ucciso da una banda di narcos insieme ad altre sei persone. I loro cadaveri vennero rinvenuti in un’automobile legati mani e piedi con evidenti segni di tortura. Fu un tragico errore, scambiati per narcotrafficanti. Uno dei tanti ’danni collaterali’ dei crimini legati al traffico di droga e alle lotte per il potere dei cartelli rivali.
“Il mondo non è più degno della parola, è la mia ultima poesia, non posso più scrivere… la poesia non esiste più in me” disse il poeta e scrittore una settimana dopo l’omicidio del figlio, concludendo la lettura di quella che dichiarò essere la sua ultima poesia, dedicata al suo Juan Francisco. Successivamente, insieme ai genitori degli altri sei giovani assassinati, organizzò iniziative in tutto il Messico con l’obiettivo di sensibilizzare i messicani su quanto stava accadendo nel loro martoriato paese, invitandoli a ricostruire un tessuto sociale e una cittadinanza attivi.
La prima Marcia per la Pace con Giustizia e Dignità partì dalla fontana de la Paloma de La Paz di Cuernavaca il 5 maggio e raggiunse lo Zócalo capitolino l’8 maggio. Con il motto ’Estamoshasta la madre!’ (’Non ne possiamo più!’) migliaia di messicani con il poeta in testa, giunseroa Città del Messico con lo scopo di far pressione sulle autorità per la stipula di un patto nazionale per la pace che rivedesse soprattutto alcuni aspetti della lotta al narcotraffico portati avanti dal governo.
Oltre alle dimissioni del segretario di Sicurezza Pubblica Federale, Genaro García Luna, le richieste di quello che già allora si era trasformato in Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità erano le seguenti: fare chiarezza sui crimini e le sparizioni e assicurare la detenzione certa degli autori degli omicidi e dei sequestri, fine della strategia di guerra come lotta al narcotraffico, lotta alla corruzione e all’impunità, combattere la matrice economica e i profitti del crimine organizzato, politiche sociali rivolte ai giovani e alla ricostruzione del tessuto sociale.
Il Patto Nazionale per la Pace venne firmato dal governo e da oltre 300 organizzazioni della società civile a Ciudad Juárez, l’’epicentro del dolore’ come la ribattezzò Sicilia, l’11 giugno del 2011. Juárez, città simbolo della lotta al narcotraffico ma anche del suo completo fallimento, fino allo scorso anno era considerata infatti la città piu pericolosa al mondo. Un anno dopo, nel maggio di quest’anno alla vigilia delle nuove presidenziali, il Movimento per la Pace con Giustizia Sociale di Javier Sicilia è tornato a riunirsi al Castello di Chapultepec, dove iniziarono i dialoghi propedeutici al Patto Nazionale, questa volta con i quattro candidati presidenziali.
Il messaggio fu uguale per tutti: i messicani e le messicane chiedono a gran voceun cambiamento strutturale delle politiche e delle strategie di lotta al narcotraffico che fino a questo momento hanno portato solo morte e dolore, ma soprattutto pretendono la ricostruzione della società su nuovi principi e una nuova etica. Per ognuno dei quattro candidati Javier Sicilia ebbe in quell’occasione parole dure, non risparmiando critiche e osservazioni ’personalizzate’ e invitandoli alla firma di un accordo di unità nazionale.
Oggi, a distanza di alcuni mesi, dopo il controverso risultato elettorale che ha visto EnriquePeña Nieto (accusato anche di vincoli con il narcotraffico) diventare il 60esimo Presidente degli Stati Uniti Messicani, Javier Sicilia si è diretto con la sua Carovana fin del cuore del problema, negli Stati Uniti. Sono questi infatti i maggiori consumatori di droga al mondo e il maggior produttore di armi.
Proprio negli Stati Uniti, il poeta e i componenti del Movimento stanno chiedendo a gran voce in questi giorni la legalizzazione delle droghe e la regolamentazione dell’uso delle armi,oltre alla fine del finanziamento della lotta al narcotraffico del governo degli Stati Uniti alle autorità messicane. Sono previsti incontri con le autorità statunitensi, con l’ambasciatore messicano e con numerose associazioni ed organizzazioni che solidarizzano con il Movimento.
Si dice “molto stanco”, e tuttavia Javier Sicilia e annuncia una nuova fase di lotta. “Abbiamo raggiunto un risultato importante, dare visibilità alle vittime del narcotraffico” e aggiunge: “è stato uno sforzo sovrumano. Non è stato facile. Non abbiamo denaro e non abbiamo ceduto a nessuna tentazione di corruzione economica o politica. Questo ci ha lasciato poveri ma dignitosi”. Anticipa che si farà da parte, pur non abbandonando completamente il Movimento e che ha bisogno di tornare a scrivere, anche se con la poesia ha chiuso dalla morte del figlio.Il Movimento non ha bisogno di leader ma di nuovi attori sociali “che verranno fuori dalle reti presenti in tutto il paese”, spiega.
La sfida più grande e una nota di amarezza: “sembra che la classe politica non abbia capito e non capendo continua ad alimentare l’inferno”. Peña Nieto infatti si dice convinto di voler continuare la lotta al narcotraffico con la stessa strategia seguita fino ad oggi. Evidentemente il numero dei morti non è ancora sufficiente per decretare il fallimento della lotta al narcotraffico.
*pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione