Il Venezuela si ritira dalla CIDH
Chavez accusa l’organizzazione di essere uno strumento imperialista degli Stati Uniti. Che ne ospita la sede ma non ne ha mai ratificato la convenzione.
di Annalisa Melandri — 21 settembre 2012 per L’Indro*
Sicuramente non è stata una decisione improvvisa, quella del governo del Venezuela di uscire dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). I malumori del presidente venezuelano Hugo Chávez, e di buona parte dell’officialismo, verso il Sistema Interamericano di Protezione dei Diritti Umani, accusato di usare una ’doppia morale’ nella denuncia delle violazioni dei diritti umani, risalgono a diversi anni fa. Chávez fin dal 2002 ha accusato l’organismo di essere uno strumento imperialista utilizzato dagli Stati Uniti con lo scopo di esercitare pressioni e di destabilizzare il suo governo.
In quell’anno, un golpe ’classico’ organizzato dall’opposizione venezuelana, appoggiata da settori ultraconservatori della Chiesa Cattolica e dai governi di Spagna e Stati Uniti, rimosse il presidente Chávez, arrestandolo. La sua detenzione durò appena 48 ore, fu infatti liberato da una imponente mobilitazione popolare.
Allora, la CIDH non espresse nessuna condanna per il tentato golpe e anzi, il Segretario Generale dell’ organismo, Santiago Cantón in una lettera inviata a una ONG colombiana, riconobbe la presidenza de facto dell’imprenditore Pedro Carmona Estanga.
E successivamente, nel 2008, alla notizia del mancato rinnovo del contratto per la catena televisiva RCTV (che ebbe un ruolo principe nell’esecuzione del golpe, ruolo documentato da filmati e registrazioni), la CIDH denunciò il Venezuela per “violazione della libertà d’espressione”.
Poco importò che la decisione fosse dettata da esigenze di equa ridistribuzione dello spazio radioelettrico disponibile e che comunque RCTV passò sul satellite di lì a poco, la decisione di condannare il Venezuela sembrò eterodiretta dagli Stati Uniti. Poco importò anche che il canale RCTV inondasse quotidianamente di sesso e violenza il mercato televisivo venezuelano e incitasse esplicitamente dalle sue antenne alla ’soluzione militare’ per rovesciare il governo.
La responsabilità sociale dei media non è esattamente la stessa cosa che la ’libertà di espressione’ e Chávez non è esattamente un presidente qualsiasi. Dal 1959 (anno della fondazione della CIDH) al 1999, anno della elezione di Hugo Chávez, l’organismo di difesa dei diritti umani ha emesso contro il paese solo 5 condanne. E questo sebbene le violazioni più gravi, con centinaia di casi di detenzioni arbitrarie, desaparecidos, prigionieri politici, siano avvenute proprio negli anni ’70,’80 e ’90. In 12 anni invece, tra il 2000 e il 2012 le condanne della CIDH al Venezuela sono state 36, per i più disparati motivi.
E così nell’aprile di quest’anno Hugo Chávez ha chiesto al rinnovato Consiglio di Stato e al vicepresidente di avviare le procedure per il ritiro “immediato” del Venezuela dalla“tristemente celebre” Commissione Interamericana dei Diritti Umani. “Ya basta!(Adesso basta!) — ha detto - fino a quando dobbiamo stare con questa spada di Damocle? Il primo paese a non riconoscere questa Commissione Interamericana sono gli Stati Uniti, questa ha sede a Washington, ed è un meccanismo usato dagli Stati Uniti contro di noi. Da tempo avremmo dovuto ritirarci dalla CIDH”.
In effetti, come non puntualizzare questo paradosso. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha sede a Washington ed è un organo giuridico autonomo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Ha l’obiettivo, insieme alla Corte Interamericana dei Diritti Umani, che ha sede a San José in Costa Rica e con la quale forma il Sistema Interamericano di Protezione dei Diritti Umani, di applicare la Convenzione Americana dei Diritti Umani (il trattato sul quale si fondano i due organismi) e di “promuovere l’osservanza e la difesa dei diritti umani nelle Americhe”.
La Convenzione, stipulata il 22 novembre 1969 a San José in Costa Rica, è entrata in vigore il 18 luglio del 1978. A oggi è stata ratificata da 24 paesi dei 35 che sono membri della Organizzazione degli Stati Americani. Tra i 9 che non hanno ancora provveduto alla ratifica finale ci sono proprio gli Stati Uniti, che, pur avendola sottoscritta nel 1977, non ne riconoscono la giurisprudenza. La ratifica infatti esprime la volontà degli Stati di“obbligarsi giuridicamente al rispetto delle disposizioni del trattato” (A. Cassese). Le violazioni dei diritti umani, nelle Americhe quindi, vengono giudicate e condannate negli Stati Uniti, da un organismo e da un trattato internazionale non riconosciuto giuridicamente da questo paese.
Tuttavia la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la sentenza, nel luglio di quest’anno, della CIDH a favore di Raúl José Díaz Peña, sentenza che ha condannato lo stato venezuelano “internazionalmente responsabile per la violazione del diritto all’integrità personale e per il trattamento inumano e degradante”.
Il Venezuela considera Díaz Peña un terrorista, fu arrestato nel 2003 con l’accusa di aver realizzato alcuni attentati all’Ufficio del Commercio di Spagna e al consolato colombiano a Caracas. Condannato a 9 anni di carcere, nel 2010 riesce a fuggire durante un permesso e a raggiungere gli Stati Uniti chiede asilo politico. A seguito della condanna della CIDH Chávez ha accusato l’organismo internazionale di difesa dei diritti umani di appoggiare i terroristi.
Il 10 settembre scorso, il governo del Venezuela, in virtù di tutto ciò, ha denunciato la Convenzione Americana dei Diritti Umani, comunicando tale intenzione al Segretario Generale dell’OSA, il cileno José Miguel Insulza. In termini di diritto internazionale la ’denuncia’ è il “procedimento per il quale uno stato sovrano notifica la decisione di concludere alcune obbligazioni internazionali”. (Juan Carlos Sainz-Borgo).
Insulza ha dichiarato di sperare che il Venezuela ritorni sui suoi passi: “sarebbe un peccato che diventasse l’unico paese latinoamericano a non far parte della Corte Interamericana dei Diritti Umani o che non la riconosca”, mentre la CIDH in un comunicato ha manifestato che la “decisione del Venezuela di denunciare la Convenzione Americana costituisce un passo indietro nel raggiungimento dell’importante obiettivo dell’universalizzazione del sistema di difesa dei diritti umani”.
In verità anche Cuba non fa parte della CIDH in quanto espulsa dall’Organizzazione degli Stati Americani nel 1962 per esplicita pressione degli Stati Uniti. In verità, molti paesi latinoamericani, adesso che i nuovi governi progressisti della regione premono per un’integrazione regionale e politica svincolata dall’ingerenza degli Stati Uniti, condannano l’operato della CIDH sempre più spesso. Nel corso dell’ ultima riunione dell’OSA in Bolivia, a giugno di quest’anno, la maggior parte dei governi progressisti dell’America latina ha messo in discussione l’operato della CIDH, considerandolo troppo dipendente dall’ingerenza degli Stati Uniti.
Il Venezuela e i paesi dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America) stanno lavorando perché dalla CELAC, la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici, il primo organismo regionale costituito senza la presenza degli Stati Uniti, nasca una nuova Commissione per la Difesa dei Diritti Umani.
Sembra di essere tornati al 1945, durante la Conferenza di San Francisco nel corso degli incontri per la redazione della Carta dell’ONU, quando nelle discussioni sulla definizione di diritti umani e sulle priorità, apparve evidente che “all’epoca non c’era accordo su quale fosse la nozione unitaria di diritti dell’uomo” (A. Cassese). Quest’accordo sembra mancare ancora oggi.
Antonio Cassese, giurista, scrittore e docente di Diritto Internazionale alla Facoltà di Scienze Politiche di Bari, recentemente scomparso, scriveva nel suo libro “I diritti umani oggi” che “ciò a cui bisogna prestare attenzione, dunque, è che i diritti umani, di indubbia matrice occidentale e giusnaturalistica, non si trasformino in una sorta di imperialismo culturale”.
La conciliazione dell’universalità dei diritti umani con il pluralismo culturale e morale si figura pertanto come imperativo necessario per il raggiungimento della pacifica convivenza fra i popoli.
*Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione