La riforma della Legge Federale del Lavoro in Messico: verso la precarizzazione dei rapporti di lavoro
La riforma politica recentemente approvata in Messico ha concesso, il primo settembre scorso, la facoltà al presidente uscente Felipe Calderón di proporre al Congresso, insieme al suo ultimo rapporto di governo, anche la proposta relativa alla riforma della Legge Federale del Lavoro attualmente vigente nel paese.
Questa, dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati, avvenuta sabato scorso, si trova adesso al vaglio del Senato che deciderà la sua ratifica o le modifiche da apportare. La riforma delle Legge del lavoro, che sta provocando forti tensioni sociali in Messico, vede l’approvazione del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) del quale il neo presidente eletto Enrique Peña Nieto, che si insedierà formalmente a dicembre, è rappresentante, ed è invece duramente criticata dalla sinistra rappresentata dal Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), dal Partito del Lavoro (PT), dal Partito Comunista Messicano (PCM) e da partiti e movimenti minori.
La Legge Federale del Lavoro in Messico risale al 1932, e aveva allora una forte impronta corporativista tanto da essere paragonata dalla Centrale Unitaria del Messico alle leggi in materia sindacale di Mussolini. Fu il frutto della grande crisi economica del ’29 negli Stati Uniti, quando si cercò di istituzionalizzare le lotte e i malesseri in aumento nel mondo operaio, ma anche di riunificare in una sola legge, alcune diverse disposizioni preesistenti in materia di lavoro. Già allora fu ampiamente criticata soprattutto per le restrizioni contenute in materia di libertà sindacale, ma nel 1942 furono introdotte ulteriori limitazioni al diritto di sciopero.
La Legge Federale del Lavoro non veniva modificata dal 1970, quando la severa legislazione in materia di diritto di sciopero venne ammorbidita e quando fu introdotto l’Istituto del Fondo Nazionale per gli Alloggi.
A distanza di 42 anni, in un clima politico effervescente per le recenti elezioni, che hanno visto ritornare al potere in Messico il Partito Rivoluzionario Istituzionale (assente nella scena politica da oltre 70 anni), e in un clima sociale caratterizzato da profonde tensioni e malesseri per il fallimento e l’alto costo umano (circa 60mila morti nei sei anni di governo diFelipe Calderón) della lotta al narcotraffico portata avanti dal presidente uscente durante il suo mandato, viene quindi approvata una riforma strutturale di fondamentale importanza per l’economia del paese.
Calderón se ne assume il peso politico, ma lascia tuttavia al suo successore il pesante fardello delle contestazioni e malesseri che si sono già manifestati fin dentro l’aula della Camera dei Deputati nel corso delle votazioni.
La riforma era stata infatti contestata duramente da ampi settori della società civile fin dall’inizio del suo dibattimento, che nella sua fase più recente si può far risalire al 2010, quando il PAN, il Partito di Azione Nazionale al quale appartiene Felipe Calderón, provò a presentarla senza successo.
Tra i punti che hanno provocato maggiori polemiche e violente proteste cittadine anche in queste ore, ci sono quelli relativi al cosiddetto outsourcing, l’esternalizzazione e il subappalto dei posti di lavoro e la definizione di nuove forme contrattuali, alle quali oltre a quelle attualmente vigenti (contratto a tempo determinato e indeterminato) si aggiunge anche quello orario. La riforma aumenta inoltre il tempo limite per i periodi di prova e di formazione, semplifica la possibilità di licenziamento, introduce alcune restrizioni al diritto di sciopero e alla libertà sindacale. In poche parole la classica riforma di stampo neoliberale.
Particolarmente importante il dibattito intorno all’outsourcing, perché, fanno notare le voci critiche della riforma, violerebbe apertamente i trattati internazionali firmati dal Messico in materia di lavoro, per esempio con l’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) delle Nazioni Unite.
Legalizzando le figure dell’insourcing e dell’outsourcing attualmente al margine del diritto, in quanto usate per precarizzare il lavoro e per evitare le normative vigenti in materia di contrattazione collettiva del lavoro, si legittima definitivamente l’attività di imprese che si dedicano all’esternalizzazione della gestione delle risorse umane, (recruitment process outsourcing) come per esempio il gigante Manpower Group il cui valore è stimato in 22 miliardi di dollari, con 3900 filiali in oltre 80 paesi del mondo e che fanno del lavoro un vero e proprio business, contravvenendo alla Convenzione di Filadelfia del 1944 adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro che dichiara proprio nel suo punto 1(a) che “il lavoro non è una merce”.
Il Dr. Alfonso Bouzas, avvocato specialista in materia di lavoro, professore di Diritto e ricercatore dell’Istituto di Ricerche Economiche dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) spiega in una recente intervista alla ’Cnn’ che questa riforma “non deve passare perché sta depauperando ancor di piú le persone che vivono del proprio lavoro e se la logica che si sta seguendo è quella di trovare una via d’uscita alla situazione economica del paese, allora quello che si deve fare è produrre e non pagare meno chi produce”.
Anche la proposta di riformare la tipologia contrattuale, prevedendo l’introduzione di un contratto orario, aggiunge Bouzas, va rifiutata categoricamente perché il calcolo della paga oraria viene fatto sulla base del salario minimo, salario che in Messico è stato ’polverizzato’ a partire dalla metà degli anni 80 e rispetto al quale non si è vista né in questa riforma, né nelle altre che la hanno preceduta, nessuna proposta di aumento. Con 1332 dollari annui, il salario minimo messicano è infatti tra i più bassi dell’America latina e dei paesi emergenti, secondo un recentissimo rapporto del Banco Mondiale.
La flessibilizzazione e la precarizzazione dei rapporti di lavoro, la deregolamentazione della protezione dei lavoratori, se da un lato creeranno insicurezza sociale e una massa di lavoratori senza diritti e senza certezze, dall’altra assicurano i suoi fautori, attirerà sicuramente gli investimenti stranieri dei quali ha bisogno il paese per rilanciare la sua economia e creerà la competitività necessaria per superare la crisi. Ma a quale prezzo?Napoleón Gómez Urrutia, leader del Sindacato dei minatori in un articolo pubblicato dal quotidiano messicano ’La Jornada’ assicura che la riforma del lavoro “è una bomba ad orologeria che viene lasciata innescata nelle mani del prossimo governo e che prima o poi scoppierà con risultati terribili”. Assicura Urrutia che altri paesi in via di sviluppo stanno seguendo vie differenti proprio per l’esperienza degli errori accumulati con riforme di questo tipo.
La Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL) crede che più lavoratori entreranno nel settore formale proprio grazie alla riforma, ma questa, tuttavia, difficilmente potrà creare nuovi posti di lavoro, mentre i legislatori si aspettano che ne crei oltre un milione ogni anno per soddisfare le necessità dei giovani e dei messicani che stanno facendo ritorno dagli Stati Uniti.
Il tasso di disoccupazione in Messico attualmente è del 5,4%, il valore più alto negli ultimi undici mesi, mentre il 28,87% degli occupati lavora nel settore informale, che è quello che la riforma pretende di regolamentare.
Fanno notare numerosi analisti che la riforma contiene anche elementi positivi e innovatoriquali ad esempio la proposta di rendere un delitto il lavoro minorile condotto fuori dalle famiglie, il fatto che, sebbene legittimi in qualche modo l’outsourcing, nello stesso momento pone alcune limitazioni alla sua applicazione e in qualche modo lo regola, e che favorisce il lavoro giovanile e delle donne.
Ieri è stata la giornata di inizio del dibattito per l’approvazione al Senato, che avrà un mese di tempo per la sua ratifica o meno. Violenti scontri si sono verificati tra le forze dell’ordine e circa cinquecento studenti e sindacalisti che volevano impedire il passaggio dei legislatori.
Il Senato ha comunque già avanzato la proposta di realizzare un tavolo di dialogo con le organizzazioni sindacali per la discussione del contenuto sia della riforma che di altre proposte alternative che erano state già presentate alla Camera dei Deputati, ma che erano state ignorate.
* Pubblicato in esclusiva su l’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione