Cile, indulto per i detenuti stranieri
I primi a uscire dal carcere e a varcare i confini del paese nel quale erano detenuti, il Cile, per ritornare in patria in regime di libertà vigilata, sono stati 122 cittadini peruviani. Lo scorso mese di agosto, alla presenza delle autorità cilene rappresentate dal ministro dell’Interno, Rodrigo Hinzpeter, dal ministro della Giustizia, Teodoro Ribera e dal Direttore Nazionale della Gendarmeria, Luis Masferrer, hanno attraversato la frontiera con il Perú, beneficiando della Legge di Indulto Generale n. 20.588, che era stata approvata all’unanimità dal Congresso, qualche mese prima.
Questa legge rientra nell’ambito della nuova politica penitenziaria, voluta dal governo dell’attuale presidente cileno Sebastián Piñera, di destra, che ha lo scopo di migliorare le condizioni di detenzione nelle carceri del paese e di ridurre l’alto tasso di sovraffollamentodegli stessi, una problematica ormai comune anche a molti paesi europei, l’Italia in testa.
E’ stata pensata in seguito alla morte di 81 detenuti, carbonizzati nel corso di un incendio, avvenuto in un carcere di Santiago del Cile l’8 dicembre del 2010. Il carcere poteva ospitare soltanto 632 detenuti, ve ne erano 1875. Il governo non poteva più tergiversare ormai su di una situazione carceraria definita ’esplosiva’.
La Legge d’Indulto beneficerà circa 7mila detenuti, dei quali quasi 1.000 stranieri irregolari, su un totale complessivo di 1.700. Contempla benefici per coloro i quali non abbiano commesso reati gravi, che stiano scontando misure riduttive della pena, come per esempio il pernottamento notturno in carcere, e prevede agevolazioni particolari per le donne con figli piccoli e che abbiano scontato almeno i due terzi della pena.
I detenuti che potranno beneficiare dell’indulto dovranno firmare un impegno scritto a non commettere in futuro più reati e nel caso che vengano arrestati di nuovo, sconteranno anche la pena sospesa.
Da agosto ad oggi pian piano, via via che vengono formalizzati gli accordi con i paesi di origine, stanno tornando in patria tutti i detenuti stranieri irregolari, la maggior parte accusati di reati legati al traffico di droga. Viaggiano in autobus o in aereo (se il paese di origine non confina direttamente con il Cile), non ammanettati, con i loro vestiti e con una razione di cibo fornita dalle autorità penitenziarie. All’arrivo nel loro paese riceveranno un nuovo documento d’identità, quelli che erano ricercati dalle autorità per crimini precedenti verranno giudicati e gli altri per un certo periodo di tempo avranno l’obbligo della firma.Tutti avranno il divieto di tornare in Cile per almeno dieci anni.
La maggior parte di loro proviene dalla Bolivia (circa 500) e dal Perú (circa 400), in misura minore dall’Argentina, dalla Colombia, dal Brasile, dal Venezuela, ma ci sono anche italiani, spagnoli, israeliani e filippini.
Il ministro della Giustizia Teodoro Ribera si dice convinto che la misura “permetterà una migliore gestione all’interno delle carceri come parte della nuova politica penitenziaria che sta implementando il governo. Non vogliamo che le carceri del paese siano note come scuole del crimine”.
Ad agosto, nel ’momento storico’ (come fu definito) del rimpatrio dei 122 detenuti peruviani, dei quali 81 donne e 41 uomini, il ministro ha sottolineato il fatto che “le persone che stanno scontando le pene all’estero non possono godere di reti sociali e familiari per poi realmente integrarsi alla società e poter fare del bene” e di quanto sia importante potersi riavvicinare alle loro famiglie e alle loro comunità di origine. La popolazione carceraria cilena ammonta a 54.112 detenuti, mentre la capacità totale delle 103 strutture carcerarie del paese è di 33.822.
Tutti gli organismi internazionali per la difesa dei Diritti Umani concordano sulla terribile condizione di detenzione nelle carceri latinoamericane, denunciando l’irresponsabilità dei governi nazionali nel non riuscire a trovare una soluzione definitive al problema.
L’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha recentemente espresso la sua preoccupazione per gli alti indici di violenza registrati nelle carceri dell’America latina e centrale. Il rappresentante regionale dell’organismo per l’America latina, Amerigo Incalcaterra ha parlato di una “situazione allarmante”, conseguenza diretta delle precarie condizioni di detenzione.
Il presidente dell’Istituto Latinoamericano delle Nazioni Unite per la prevenzione del Crimine e il Trattamento degli Autori del reato (ILANUD), Elías Carranza, ha affermato nel corso di un recente congresso sul tema realizzato a Buenos Aires, in Argentina, che la situazione “è grave” e che i detenuti all’interno delle carceri sono possibili vittime di veri e propri “massacri”. “I governi militari sono finiti ma continuano ad accadere veri massacri che ironicamente avvengono nel cuore del sistema di giustizia penale che è il carcere” e mette in relazione l’affollamento carcerario con gli alti indici di violenza nella regione. Sono 17 i paesi al mondo con il numero di morti superiore a 30 ogni 100mila abitanti. Di questi, 10 sono paesi dell’America latina e centrale.
L’esempio più recente di quello di cui parla Carranza è quanto avvenuto lo scorso 15 febbraio a Comayagua, in Honduras, dove un incendio in un carcere ha provocato la morte atroce di circa 400 reclusi che sono rimasti intrappolati nelle loro celle senza nessuna possibilità di uscire.
*Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione
Cara Annalisa,
vedo che altrove il problema se lo pongono ed in qualche modo cercano di gestirselo.
Da noi, nonostante moniti su moniti anche presidenziali, il problema rimane. Nè si fanno nuovi carceri moderne, nè si svuotano quelle vecchie…
Buona giornata.