“Falsi positivi” anche in Messico?
Nello stato del Guerrero rischia di scoppiare uno scandalo per le esecuzioni sommarie di semplici civili per farli passare come sicari morti in combattimento
Sierra del Filo Mayor, tra le montagne dello stato del Guerrero, in Messico. Una delle zone del paese di maggior produzione del papavero da oppio e di marijuana. Qui ha origine la catena produttiva del narcotraffico, almeno quello che controlla il mercato degli oppiacei, in aumento esponenziale negli ultimi anni. La cocaina in Messico arriva invece dall’America latina, soprattutto dalla Colombia; qui il clima non è ideale per la coltivazione delle piante di coca. Tuttavia, in Messico come in Colombia, nelle zone dove si coltiva la ’materia prima’ dalla quale verranno estratti gli stupefacenti, la miseria regna sovrana e sono lontani i fiumi di denaro che ruotano intorno al traffico di droga e il lusso del quale si circondano i capi dei cartelli.
Nella sierra di Guerrero, la produzione degli oppiacei negli ultimi anni ha registrato un aumento significativo e le comunità rurali di questa zona si trovano coinvolte in guerre di potere tra gruppi criminali rivali in cui spesso l’esercito stringe strane alleanze, ora con gli uni, ora con gli altri. La situazione è peggiorata notevolmente — è l’opinione ricorrente dei difensori dei diritti umani e degli abitanti del luogo - in questi ultimi sei anni, e cioè durante il governo del presidente uscente Felipe Calderòn che, in sinergia di denaro, uomini e mezzi con gli Stati Uniti, ha condotto una imponente quanto fallimentare lotta al narcotraffico in tutto il territorio messicano. Questa guerra non è stata tuttavia esente da ’danni collaterali’: militarizzazione estrema del paese, ingente aumento del numero di armi sul territorio, un numero impressionante di morti, circa 60mila, anche non legati direttamente al traffico di droga (per vendette trasversali o per stragi) e circa 13mila scomparsi.
Nella zona di Filo Mayor, una comunità rurale abitata da una trentina di famiglie, il primo settembre scorso, di sabato pomeriggio, i giovani del luogo si erano riuniti per festeggiare i 17 anni di Jorge Granados Ávila e la partenza di suo cugino, Heber Daniel Granados García, coetaneo, che si recava in un altro stato per proseguire gli studi. All’improvviso l’arrivo di un gruppo di militari trasforma in tragedia l’allegra riunione familiare. Jorge, suo cugino ed altre quattro persone, tra i quali due minorenni e un uomo paralitico di 37 anni, sono arrestati e portati via con la forza.
I militari, secondo la testimonianza della nonna di Jorge, avevano il volto coperto, ed erano accompagnati da tre persone, probabilmente civili, anch’esse non riconoscibili, che chiedevano i nomi ai presenti ed indicavano ai soldati quelli da portare via. Erano le due del pomeriggio. Più tardi gli abitanti del luogo sentirono in lontananza degli spari. I familiari dei giovani ebbero la conferma che questi erano stati giustiziati solo a notte inoltrata, quando un uomo a cavallo avvisò tutti della presenza poco lontano di sei cadaveri.Erano, oltre a quello di Jorge e di suo cugino Heber, entrambi diciassettenni, quello di Bulmaro Granados Sanchez di 17 anni, di Joaquín Granados Vargas di 37 anni e paralitico, di José Olea Lopéz di 17 anni e di José Carlos Atrixo Isidro di 23 anni.
Il giorno seguente, un rapporto della Procura Generale della Giustizia dello stato di Guerrerorese noto che durante una ricognizione in zona, membri dell’Esercito Messicano avevano subito un’imboscata da alcuni civili ai quali i militari avevano risposto con il fuoco provocandone la morte. I civili vennero fatti passare come ’sicari’ e le autorità dichiararonoalla stampa che erano stati trovati in possesso di un gran numero di armi.
Alla notizia, la risposta dei familiari e della comunità intera fu immediata. Le madri e le nonne dei giovani in conferenza stampa denunciarono l’accaduto testimoniando che gli stessi erano stati prelevati con la forza dalla festa e il 10 settembre circa un migliaio di persone occuparono la strada Acapulco-Zihuatanejo in segno di protesta contro le violenze e gli abusi commessi dall’esercito contro la popolazione civile e chiedendo la rimozione delle tre caserme installate nella zona. La prova del guanto di paraffina effettuata sui corpi dei ragazzi inoltre dette esito negativo e i cadaveri presentavano segni di tortura. I familiari sporsero immediata denuncia alla Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH), entità governativa che ha assunto immediatamente il caso.
A completare l’evidenza dei fatti, un supertestimone, identificato con il nome di fantasia diFelipe, dichiarò di aver visto da lontano quel pomeriggio, mentre cercava degli animali scappati da una fattoria, i militari picchiare ripetutamente sul volto i ragazzi con i loro fucili, accanirsi soprattutto su quello paralitico e poi giustiziarli a sangue freddo. Felipepresenterà la sua testimonianza alla Procura della Giustizia. Il portavoce della comunità, Leopoldo Soberanis Hernández, infatti, dopo una riunione con i vertici dell’esercito dello stato di Guerrero, ha ottenuto che venga aperta un’indagine sulla vicenda.
Se dovesse essere confermata la versione dei fatti offerta dalle famiglie dei ragazzi, come sembrano indicare tutte le evidenze, anche il Messico potrebbe trovarsi al centro di uno scandalo come quello che investì la Colombia nel 2008 e conosciuto come dei ’falsi positivi’ e cioè l’esecuzione sommaria di semplici civili, per lo più giovani, contadini o provenienti dai quartieri poveri delle città, per farli passare come guerriglieri morti in combattimento. In Colombia la pratica aveva lo scopo di ottenere ricompense in danaro e permessi premio per i militari e di elevare il numero dei guerriglieri caduti per giustificare le spese militari stanziate dal Plan Colombia, finanziato dagli Stati Uniti.
La colombianizzazione del Messico è un fenomeno noto, del quale parlano ormai da tempo giornalisti e difensori dei diritti umani. La lotta al narcotraffico, come dicevamo, ha portato con sé e con il suo fallimento, un costo umano e sociale altissimo, che negli stati del paese più vulnerabili e dal tessuto sociale più fragile, come appunto quello di Guerrero, assume aspetti ancora più tragici. La violenza da parte dell’esercito in Guerrero può dirsi cronica e risale fin dagli anni ’60, come ci spiega Julio Mata, segretario generale dell’Associazione dei Familiari dei Detenuti Scomparsi e delle Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico (AFADEM), nonché portavoce della Federazione Latinoamericana delle Associazioni dei Familiari dei Detenuti Scomparsi (FEDEFAM). “Da allora infatti lo Stato è vittima di coloro i quali devono proteggere i suoi cittadini - e aggiunge - la fame, la disoccupazione, la mancanza di opportunità sono i fattori scatenanti di molteplici movimenti sociali e politici nella regione, ai quali le autorità hanno sempre risposto con la repressione cruenta e dove l’esercito messicano ha sempre colpito la popolazione usando i mezzi di comunicazione per creare l’immagine del delinquente, del criminale e del terrorista”.
In quell’epoca, ciò accadeva per “controllare e intimorire la popolazione criminalizzando ogni forma di protesta sociale”. Ma adesso, è diversa la situazione in Guerrero? Sicuramente l’imponente presenza del narcotraffico ha modificato il tessuto sociale. Gli abitanti della comunità dove sono stati uccisi i sei ragazzi raccontano di alleanze tra i militari del luogo e i vari gruppi criminali vincolati al narcotraffico e di come questi si facciano favori a vicenda o addirittura partecipino insieme in operazioni che si potrebbe definire di ’pulizia sociale’, magari volte all’eliminazione di persone scomode, come potrebbe essere accaduto in questo caso.
Anche se Julio Mata è cauto nell’emettere giudizi rispetto alla vicenda, sicuramente conferma che “entrare nelle case, tirar fuori con la violenza le persone, identificarle per mezzo di liste predisposte, portarle via in veicoli militari in caserme che funzionano come vere e proprie carceri clandestine dove vengono torturate fisicamente e psicologicamente e poi giustiziarle è una pratica ricorrente che continua a ripetersi in questa zona per l’impunità del passato”.
Con amarezza Julio Mata, che rappresenta le famiglie di coloro che non hanno fatto più ritorno a casa ricorda che “sono infatti ancora impuniti i criminali, militari e civili, responsabili degli oltre 650 detenuti scomparsi nello stato di Guerrero durante gli anni della Guerra Sucia, 450 solo nella cittadina di Atoyac de Álvarez, i quali come è accaduto oggi, negli anni ’70 erano prelevati con la forza dalle loro case, arrestati nel corso di operativi militari e portati in caserma per poi essere torturati e fatti sparire. Dopo oltre 40 anni, in molti casi, i loro resti ancora non sono stati ancora consegnati ai loro familiari”.
*Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione