Il caso Tenorinho: quando il Condor volava in Brasile

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Francisco Tenório Cerqueira Júnior

Il giornalista italiano Paolo Manzo dal Brasile racconta del ruolo rispetto alla dittatura dei media e spiega che “la maggior parte della popolazione effettivamente pensa che si sia trattato di una “ditabranda” solo perché ha fatto 300–500 morti”.

di Annalisa Melandri 

E’ stato ascoltato in Brasile qualche settimana fa,  dai membri della Commissione della Verità (recentemente formata dal presidente Dilma Roussef), Claudio Vallejos, torturatore argentino ed ex sottufficiale dell’ESMA, nell’ambito delle indagini sulla scomparsa nel 1976,  del musicista Francisco Tenório Cerqueira. 

Presto Vallejos sarà estradato in Argentina dove dovrà rispondere di questo crimine, considerato emblematico  del Plan Condor,  (il coordinamento delle dittature latinoamericane del Cono Sud), le cui ramificazioni in Brasile ne costituiscono  uno dei suoi capitoli meno conosciuti soprattutto per la difficoltà del paese  nel  fare i conti con la sua memoria storica, a differenza di quanto accaduto per esempio in Argentina e in Cile.

Francisco Tenório Cerqueira Júnior scomparve a Buenos Aires il 18 marzo 1976. Tenorinho, come lo chiamavano, era un promettente pianista di Bossa nova di 35 anni,  si trovava in quel momento in Argentina in tournée  con   il chitarrista  Toquinho e il compositore e poeta Vinícius de Moraes. 

Quella notte, dopo il concerto al teatro Gran Rex,  uscì dall’hotel Normandie dove alloggiava con gli  altri,  per andare a comprare delle sigarette e delle medicine. Di lui non si seppe  più nulla per dieci anni, sequestrato dagli artigli implacabili del  Condor.

Francisco probabilmente  fu arrestato per errore,  scambiato per un “sovversivo”, forse  per i suoi capelli lunghi e la barba incolta. In Argentina il colpo di Stato era nell’aria, appena sei giorni dopo, il 24 marzo,  si manifestò pubblicamente.

Altrove in America latina,  già da tempo si stava vivendo invece in un incubo: il golpe in Cile e in Uruguay fu nel 1973, in Brasile nel 1964, Stroessner in Paraguay prese il potere nel 1954 e lo mantenne per 35 lunghi anni, fino al  1989.

Nonostante gli amici di Francisco Tenório Cerqueira si attivarono immediatamente  con l’ambasciata brasiliana a Buenos Aires,  questa negò sempre di avere sue notizie e offrì scarsa collaborazione nelle ricerche. 

Solo dieci anni dopo, nel 1986, il repressore argentino Claudio Vallejos, ex sottufficiale della Esma, la tristemente nota Scuola di meccanica dell’armata, che divenne il più grande centro di detenzione e tortura di Buenos Aires, fece luce sulla vicenda.

Vallejos, dopo aver lavorato all’Esma fino al 1979,  si trasferisce infatti in Brasile, dove vive di espedienti di vario tipo e dove inizia a vendere interviste alla stampa locale raccontando la sua “carriera criminale” come repressore a Buenos Aires. In una di queste, concessa nel  1986, confessa di aver partecipato al sequestro di Tenorinho e  dichiara che il pianista fu prima torturato e poi ucciso,  da Alfredo Astiz,  ex capitano della Marina, con un colpo di pistola alla tempia. “Camminava per l’Avenida Corrientes e lo abbiamo confuso con un’altra persona,  un sovversivo” dichiara in quell’occasione, confermando anche come  l’ambasciata brasiliana fosse  stata informata sia dell’arresto che della morte del pianista.

Passano gli anni, Vallejos viene arrestato in Brasile per vari delitti, l’ultima volta  nel gennaio di quest’anno, per truffa. In un primo momento nessuno si accorge del suo passato di torturatore e repressore, fino a  quando la notizia arriva a Buenos Aires, dove le autorità allertano  immediatamente l’Interpol per ottenere la sua estradizione dal Brasile.

Le cose infatti in Argentina sono cambiate. Dopo l’annullamento, nel 2003, da parte del governo di Néstor Kirchner,  delle Leggi di Obbedienza Dovuta e di Punto Finale del 1986 e 1987 che garantivano l’impunità ai militari responsabili di crimini durante la dittatura, iniziano nel 2007 i processi contro i repressori e il paese inizia  finalmente a fare i conti con la sua memoria storica e a far luce sui crimini terribili di quegli anni.

Lo stesso avviene, anche se in forma diversa e con maggior difficoltà e lentezza in Cile, in Uruguay  e perfino in Guatemala.

Il Brasile invece non è ancora arrivato all’appuntamento con la verità e la giustizia. Poiché  è ancora vigente la legge di Amnistia del 1979, nonostante la condanna nel 2010 della Corte Interamericana dei Diritti Umani, decide di iniziare dalla memoria.  Nel novembre  dello scorso anno Dilma Roussef,  attuale presidente del paese ed ex guerrigliera,   che nel 1970  soffrì sulla propria pelle carcere e tortura,  crea la Commissione della Verità che avrà due anni di tempo per redarre un rapporto dettagliato per far luce sulle violazioni dei diritti umani commesse durante la dittatura ma senza tuttavia avere l’obiettivo della condanna dei suoi responsabili. 

Ma qual’è stato in passato il ruolo dei media in Brasile rispetto alla dittatura e come affrontano oggi questa  vicenda, che potrebbe rappresentare l’inizio del processo di recupero della verità e giustizia?

Ne parliamo con  il giornalista Paolo Manzo, corrispondente dal Brasile del quotidiano torinese La Stampa: “La cosa grave è proprio che il Brasile è arrivato ultimo nel fare i conti con il suo passato dittatoriale, mentre la cosa incredibile – aggiunge -  è che  gran parte dei media, quando nel 1964 ci fu il golpe, lo salutò  definendolo alla lettera “la rivoluzione”. La cosa infelice invece è che  il quotidiano progressista ovvero la Folha de Sao Paulo, circa tre anni fa definì la dittatura come “ditabranda”, ossia una “dittatura molle”.Oggi, invece  con la stessa ipocrisia, i media, soprattutto la Folha,  stanno effettivamente  dando una copertura ai lavori della  Commissione della Verità ma per il semplice motivo che mai e poi mai questa Commissione avrà effetti  concreti sulle leggi. Del resto, un paio d’anni fa il Supremo Tribunale Federale (STF), il massimo organo giuridico del paese disse che torturati e torturatori erano lo stesso e “amnistiò” qualunque crimine.

Il Brasile quindi non sembra ancora  pronto a fare i conti con il suo passato, la società sembra anestetizzata rispetto all’orrore che ha vissuto.

Spiega infatti  Paolo Manzo che:  “non c’è indignazione popolare  per il fatto che questo è l’unico paese  sudamericano dove nessuno dei torturatori è stato arrestato. Dove vige ancora l’amnistia e dove la maggior parte della popolazione effettivamente pensa che si sia trattato di una “ditabranda” solo perché ha fatto 300–500 morti.

Sicuramente in Brasile il lavoro più importante da fare è proprio quello del recupero  della memoria storica, senza memoria infatti non può esserci verità e quindi giustizia.

Come conferma infatti Paolo Manzo: “triste a dirsi ma la pancia del “povo brasileiro” continua a conoscere poco il tema e in molti  non si vergognano a dirti che “non fu vera dittatura”, che “non c’era violenza” e che “si stava meglio”. 

In questo senso quello che potrebbe fare la Commissione della Verità è proprio dare informazione ai brasiliani “spiegandogli finalmente una storia che nessuno ha mai raccontato loro”.

 

 

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    Paolo Manzo ha detto:

    Cara Annalisa,
    grazie innanzi tutto per la fiducia. Solo un’aggiunta ed una precisazione. L’aggiunta, che aiuta forse i lettori a meglio comprendere il ruolo effettivo del Brasile nell’elaborazione/organizzazione del Plan Condor, è il film Missing. Nella scena terribile dello stadio di Santiago il poliziotti dediti alle torture/sterminio pinochettista parlano portoghese con accento brasiliano, il che non è un caso perché furono proprio le forze dell’intelligence verde-oro ad “allenare” i cileni e molti altri. Insomma, nel Plan Condor il ruolo della dittatura brasiliana fu ben maggiore a quanto sino ad oggi ritenuto dai mass-media mainstream.
    La precisazione è sull’occhiello, nel senso che non è che la popolazione creda nella falsità della terminologia inventata da la Folha di “ditabranda”, semplicemente la gran parte dei brasiliani ignora quanto accaduto nei 21 anni della “loro” dittatura perché mai nessuno, a cominciare dai libri di scuola, glielo ha mai insegnato in modo oggettivo. Credo sia questa la sfida maggiore della Commissione della Verità, quello di far capire a tutti i brasiliani che tra torturatori e torturati, vittime e carnefici, assassini e morti ammazzati, ci sono quelle differenze abissali che sinora la legge di amnistia ha anestetizzato. E di questo bisogna dare merito alla presidente Dilma Rousseff. Un grande abbraccio cara Annalisa e speriamo che presto, anche in Brasile, le cose cambino su questo fronte. Paolo Manzo

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      Annalisa ha detto:

      Grazie Paolo per l’importante aggiunta e la necessaria precisazione. Si sa veramente molto poco rispetto alla dittatura brasiliana e il suo ruolo nel Plan Condor. Spero che con Dilma qualcosa cambi. Ti prego da laggiù di farti tramite per la diffusione di qualsiasi notizia importante che possa dipanare questo velo. Un abbraccio

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        Paolo Manzo ha detto:

        Senz’altro lo farò. Un fuerte abrazo a ti y tu familia y que el 2013 sea mejor del 2012!

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