La Bolivia depenalizza lo sciopero
di Annalisa Melandri per L’Indro* 19 dicembre 2012
La Bolivia riconosce ufficialmente il diritto di sciopero. Il presidente Evo Morales ha infatti promulgato la settimana scorsa una legge, la n. 316, di “Depenalizzazione del Diritto di Sciopero e di protezione dell’Attività Sindacale”.
L’atto ufficiale è stato realizzato nel Palazzo del Governo alla presenza di Juan Carlos Trujillo, segretario generale della Central Obrera Boliviana (COB) e di altri funzionari di quella che è considerata la maggiore associazione sindacale del paese alla quale appartengono operai del settore minerario ma anche dell’industria, nonché contadini organizzati.
Juan Carlos Trujillo ha dichiarato che la nuova legge ha una portata storica, ricordando come nel passato i governi dittatoriali e neoliberali “hanno applicato a noi lavoratori decreti e leggi per penalizzare la difesa dei nostri diritti economici, sociali e culturali” e di come sia importante oggi questa data, per essere stata finalmente accolta una richiesta del settore operaio e sindacale.
Con la nuova legge viene modificato l’articolo 232 del Codice Penale che tipifica il ‘sabotaggio’ e condanna con la reclusione da uno a otto anni quei lavoratori o dirigenti sindacali che hanno occupato fabbriche o miniere e hanno provocato danni nello svolgimento dello sciopero o dell’occupazione; ha revocato inoltre l’articolo 234 del C.P. che prevedeva la condanna da uno a cinque anni di carcere e la multa da uno a 500 giorni di salario per chi promuoveva il lock-out (serrata patronale), ma anche scioperi che fossero stati dichiarati illegali dalle autorità del lavoro.
La legge ha effetto retroattivo e quindi gli attuali processi in corso inoltre saranno portati avanti secondo il nuovo codice. Ha ricordato Evo Morales nel suo discorso al Palazzo di Governo tenuto per l’occasione, di come il Codice Penale sia frutto di un decreto emesso durante il governo dittatoriale di Hugo Banzer Suárez e di come in passato fossero state promulgate norme per punire i lavoratori che hanno fatto tante vittime e tanti arresti soprattutto negli anni ’70 e ’80 quando “eravamo accusati di essere dei sovversivi, dei rossi, dei comunisti, solo per difendere i diritti dei lavoratori”. E’ stato un momento importante quello di martedì scorso che ha dato un attimo di respiro alle altalenanti relazioni che intercorrono tra il governo e il forte movimento sindacale del paese.
Il cocalero Evo Morales, al suo secondo mandato presidenziale, governa la Bolivia dal gennaio del 2006. Massimo dirigente di un sindacato di contadini produttori di coca, formato per la maggior parte da indigeni Quechua e Aymara (lo stesso presidente è di discendenza Aymara) Morales e la sua federazione si opposero con coraggio e tenacia al secondo governo (1997–2001) di Hugo Banzer Suázer, il quale aveva promesso agli Stati Uniti il piano ‘coca zero’ cioè lo sradicamento totale delle coltivazioni della coca. I cocaleros, con Morales alla guida proponevano invece in alternativa il piano ‘cocaina zero’ e chiedevano al governo aumenti salariali per il settore e la fine del piano di privatizzazioni delle imprese statali.
Una volta eletto presidente della Bolivia, Evo Morales con il partito da lui fondato Movimento al Socialismo, ha generato molte aspettative tra gli indigeni — che rappresentano per lo meno la metà della popolazione -, tra i sindacati dei contadini e soprattutto deicocaleros. Non è riuscito nella sua battaglia contro la produzione della cocaina, ma ha promosso un’Assemblea Costituente epolitiche economiche contrarie al neoliberismo fino a quel momento imperante nel paese, volte alla nazionalizzazione (il 1 maggio del 2006) delle risorse naturali soprattutto del settore del gas e del petrolio. Ha innalzato inoltre il salario minimo e realizzato importanti e innovative riforme sociali. La Costituzione boliviana è una delle più avanzate al mondo soprattutto in tema ambientale, riconoscendo per la prima volta i diritti della Madre Terra.
Il governo si è tuttavia trovato nel 2008 a fare i conti con forti proteste di matrice indipendentista e razzista (contro la rappresentanza indigena per la prima volta al governo del paese) organizzate dall’opposizione fedele all’ex presidente (e dittatore) Banzer e vicina agli Stati Uniti, soprattutto nella zona più ricca della Bolivia, quella della cosiddetta Mezza Luna, rappresentata dall’Oriente Boliviano e cioè dalle regioni di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija che sono quelle più sviluppate economicamente e dove risiede il motore economico di tutto il paese.
Non solo la destra conservatrice, ma anche vari settori di sinistra organizzati, spesso soltanto per difendere interessi corporativi, sono riusciti a tenere in scacco il governo Morales, in America latina sicuramente uno dei più progressisti della regione.
La Central Obrera Boliviana (COB) e il potente ed agguerrito sindacato dei minatori (quelli che protestano con i candelotti di dinamite in mano, per intendersi) hanno esercitato anche recentemente forti pressioni sul governo, accusandolo talvolta di ‘tradimento’ e di governare secondo le volontà delle multinazionali straniere e degli imprenditori nazionali, portando avanti uno strenuo braccio di ferro su temi quali aumenti salariali e critiche sui programmi di nazionalizzazione e riforme sociali considerate troppo timide.
Anche ampi settori indigeni che hanno costituito la vera forza che ha portato al governo Evo Morales, negli ultimi mesi hanno dato vita a forti proteste causate dalla decisione del governo di costruire una strada che attraversa il Tipnis (un parco naturale e territorio indigeno). Il governo in tutti questi mesi ha dovuto continuamente sedersi a trattare con la rappresentanza indigena e rimandare la realizzazione del progetto, che riveste senza dubbio una importanza strategica per lo sviluppo del paese.
Troppi interessi convergono infatti intorno al governo di Evo Morales: indigeni, cocaleros (che molti accusano di essere usati e manovrati dal narcotraffico), movimento operaio e i minatori, sia statali che organizzati in cooperative private, ognuno con le sue richieste e rivendicazioni di categoria, spesso contrastanti tra loro. Un braccio di ferro costante con un governo considerato ‘amico’ che tuttavia, rischia di metterlo in difficoltà più di quanto non abbiano fatto i separatisti e i razzisti di destra della Mezza Luna appena qualche anno fa.
*articolo scritto in esclusiva per L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione