Tensione al confine tra Repubblica Dominicana e Haiti
A migliaia di haitiani senza documenti è stato negato il rientro dopo le feste.
di Annalisa Melandri in esclusiva per L’Indro — 11 gennaio 2013
Momenti di tensione si stanno vivendo in questi giorni a Dajabòn in Repubblica Dominicana, nei pressi del confine dominico-haitiano.Migliaia di haitiani senza documenti hanno occupato il ponte sul fiume Masacre, teatro nel 1937 del massacro — di qui il nome — di circa 15mila haitiani che furono trucidati in due giorni a colpi di machete per mano dell’esercito del dittatore dominicanoLeónidas Trujillo. Una vera e propria pulizia etnica, una delle pagine più nere della storia recente dominicana.
Il 6 gennaio scorso, le autorità dominicane hanno negato l’ingresso a oltre duemila haitiani, che lavoravano privi di documenti nei campi e nei cantieri edili della zona nord orientale della Repubblica Dominicana, ai quali un accordo intercorso tra le autorità della Direzione Generale di Migrazione e il padre gesuita Regino Martínez, presidente dell’associazione Solidaridad Fronteriza, aveva permesso di poter trascorrere le vacanze natalizie ad Haiti insieme ai loro familiari.
Il gruppo di haitiani era entrato ad Haiti il 23 dicembre scorso, tuttavia, al momento di far ritorno in Repubblica Dominicana si è visto negare l’autorizzazione per il reingresso nel paese, perché privi di documenti. La situazione con il trascorrere dei giorni si è fatta via via più incandescente, ne sono nate accuse reciproche tra l’ONG e Josè Ricardo Tavares, direttore della Direzione Generale di Migrazione il quale ha dichiarato di non poter permettere l’entrata nel paese in forma illegale di migliaia di persone, mentre padre Martìnez ha accusato le autorità di aver disatteso un accordo precedentemente stabilito.
I 2230 haitiani che facevano parte della lista di coloro ai quali il 23 dicembre è stato permesso l’ingresso in Repubblica Dominicana, hanno occupato il ponte sul fiume che collega i due paesi provocando il blocco del commercio transnazionale che avviene attraverso quella via tra i due paesi e la sospensione del mercato binazionale che si tiene due volte a settimana a Dajabón e che è di importanza nevralgica per le fragili economie familiari che vivono ai due lati della frontiera, oltre alla militarizzazione della zona e della linea di confine.
Padre Martìnez fin dal primo giorno è rimasto con gli haitiani in attesa che la situazione venisse risolta dalle autorità, mentre davanti agli uffici della sua associazione sono state bruciate gomme di auto da persone che non vedono di buon occhio il suo operato e il lavoro svolto in favore dei migranti.
Gli oltre duemila haitiani che a dicembre sono andati nel loro paese per le vacanze natalizie, da oltre cinque anni lavoravano in Repubblica Dominicana in forma illegale, cioè senza essere in possesso di regolari documenti e di visti di ingresso nel paese. Da dieci anni l’ONG Solidaridad Fronteriza congiuntamente con il vescovo della Diocesi di Mao-Montecristi sostiene e aiuta i migranti haitiani nell’ espletamento delle formalità di legge, complicate e costose, ed effettua accompagnamento di gruppi di migranti al di qua e al di là della linea di frontiera che separa i due paesi. Da qualche anno, le due organizzazioni religiose hanno iniziato ad organizzare viaggi per le festività e di visita ai familiari inoltrando alla Direzione Generale di Migrazione una lista completa dei migranti, con i loro dati e il luogo di lavoro in Repubblica Dominicana. Fino all’anno scorso tutto si era svolto in modo abbastanza regolare.
La legislazione rispetto alla imponente immigrazione haitiana in Repubblica Dominicana, che ha originato un’impennata dopo il terremoto del 2010, tuttavia si è complicata in questi ultimi anni, originando confusione e applicazioni arbitrarie ed erronee. Basti pensare infatti che fino al 2010 la Costituzione del paese riconosceva il principio delloIus Solis, la nuova Costituzione redatta in quell’anno invece, ha emesso una restrizione in base al quale i figli di stranieri presenti illegalmente nel territorio non ne hanno diritto alla nazionalità. In alcuni casi questa modifica costituzionale è stata applicata anche in forma retroattiva provocando la condanna delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani.
In una lettera inviata alla Direzione Generale di Migrazione, Padre Regino Martínez e il vescovo Diómedes Mercedes scrivono: “Di fronte alla realtà della presenza e importanza economica dei lavoratori migranti stabiliti da alcuni anni nella regione nordest, considerando il ritardo istituzionale nell’implementazione di una politica migratoria ragionevole e giusta e al fine di evitare il traffico di persone e le estorsioni nei confronti dei migranti e per garantire loro il passaggio alla frontiera in modo organizzato e sicuro [abbiamo] offerto durante vari anni una soluzione umanitaria e transitoria, in attesa di un meccanismo di regolazione migratoria accessibile, veloce e coerente con la realtà economica e sociale della regione”.
Il tema dell’immigrazione haitiana in Repubblica Dominicana suscita da sempre reazioni contrastanti, spesso diametralmente opposte. Alcuni settori, rappresentanti di istanze conservatrici e nazionaliste hanno condannato duramente l’operato dell’ONG Solidaridad Fronteriza, accusando padre Regino di farsi strumento di forze politiche che vogliono l’annessione dei due Stati. Se questa appare l’accusa più estrema, certo è che la problematica è sentita fortemente dai dominicani che vedono nell’imponente presenza haitiana una minaccia per la sicurezza e per l’occupazione. Quella che in una prima analisi sembrerebbe essere una guerra tra poveri ha radici lontane e risale ai ventidue anni di occupazione haitiana della Repubblica Dominicana intercorsi tra il 1822 e il 1843.
L’anti-haitianismo è un sentimento ancora fortemente radicato nella società moderna dominicana, alimentato negli anni dai governi che si sono succeduti al potere. Ha provocato livelli enormi di violenza soprattutto, come abbiamo visto, durante il regime di Trujillo, che se da una parte effettuava la pulizia etnica al confine con Haiti nel tentativo di ‘dominicanizzare’ la frontiera e di ‘purificare’ la razza dominicana, nello stesso tempo stipulava accordi con il governo haitiano per permettere l’entrata in Repubblica Dominicana dei braccianti da impiegare nelle piantagioni di canna da zucchero.
Certo è che la manodopera haitiana è stata di fondamentale importanza per la crescita dell’economia della Repubblica Dominicana nel settore agricolo da oltre un secolo a questa parte. Gli haitiani lavorano oltre che in quelle di canna da zucchero, anche nelle piantagioni di caffè, di banane, di riso e di tabacco, e nel settore edile, generalmente svolgendo lavori che la maggior parte dei dominicani non accettano più.
Proprio ieri il presidente Danilo Medina si è riunito con l’ambasciatore haitiano in Repubblica Dominicana Fritz Cineas e con José Ricardo Taveras della Direzione Generale di Migrazione, dopo che una moltitudine di haitiani aveva circondato la sede consolare dominicana a Juana Méndez (Haiti) minacciando i suoi occupanti che sono stati evacuati sotto stretta protezione militare.
Le autorità dei due paesi, congiuntamente con il padre Regino Martínez, sembrerebbero aver raggiunto un accordo per cui sarà permesso l’ingresso in Repubblica Dominicana di 1080 haitiani. Tuttavia, ulteriori divergenze nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, emerse in queste ore sulle modalità di espletamento dei documenti necessari (passaporti, atti di nascita e visti di ingresso) lasciano intendere che la situazione sia tutt’altro che risolta.