Uchuraccay, ferita aperta del Perú

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Esattamente 30 anni fa il Perú venne scosso dalla notizia del massacro di otto giornalisti

di Annalisa Melandri — in esclusiva per L’Indro — 30 gennaio 2013

Esattamente 30 anni fa, il 26 gennaio del 1983, il Perú venne scosso dalla notizia dell’orrendo massacro di otto giornalisti avvenuto in una delle zone più impervie e isolate  del paese, Uchuraccay,  sulle Ande centrali, a oltre  4mila metri sul livello del mare. Destò particolare indignazione e clamore  non perché fossero tempi tranquilli – erano iniziati da poco, ma caratterizzati da inaudita violenza, gli anni del ‘terror rojo’, il terrore rosso di Sendero Luminoso (al quale con uguale se non maggiore violenza rispondeva  l’esercito peruviano) – ma per la dinamica particolare con cui si svolse tutta la vicenda, sulla quale non è stata fatta ancora piena luce, nonostante la creazione all’epoca  di  una specifica commissione che prese il nome di Commissione Vargas Llosa perché presieduta proprio  dallo scrittore  e premio Nobel per la Letteratura.

Otto giornalisti, di diverse testate  del paese,  che si erano recati nella zona per svolgere delle ricerche su un massacro di contadini che si diceva compiuto  da  Sendero Luminoso qualche giorno prima (ma sulle responsabilità effettive del quale circolavano versioni contrastanti),  furono barbaramente trucidati da oltre quaranta membri della comunità locale in quanto  scambiati  per guerriglieri, e seppelliti in due fosse comuni. Morirono  anche la guida che li accompagnava e un contadino del luogo  che si oppose alla carneficina.

Uchuraccay, nella regione andina di Ayacucho,  dal 1980  era diventato  il centro di azione di Sendero Luminoso, la guerriglia maoista che  alla guida dell’ex professore di filosofia  Abimael Guzmán Reynoso (in carcere dal 1992),   o Presidente Gonzalo, come era conosciuto dai suoi seguaci, cercò di prendere  il potere in Perú  dopo una parentesi di vita politica legale. Il gruppo passò alla clandestinità, scegliendo la via armata, proprio nel 1980, anno in cui nel paese  si tenevano le prime elezioni dopo oltre 12 anni di governo della Revolución de las Fuerzas Armadas (Rivoluzione delle Forze Armate) di stampo socialista e militare.

Il conflitto armato interno in Perú, che vide contrapposte allo Stato le due guerriglie di Sendero Luminoso e del Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru (MRTA)  causò, secondo quanto dichiarato dalla Commissione della Verità e della Riconciliazione - istituita nel 2001 per indagare quanto accaduto nel corso del medesimo —  nel suo rapporto finale del 2003, oltre 70mila morti tra il 1980 e il 2000.

Nella zona di Ayacucho, dove era particolarmente forte la presenza di Sendero Luminoso, nel 1982 il governo presieduto da Fernando Belaúnde Terry aveva decretato lo Stato d’assedio  e le Forze Armate  insieme a un reparto specializzato in antiterrorismo  istruito negli Stati Uniti, i ‘Sinchis’,   avevano  il controllo totale della zona, dove,  con la  sospensione  dei diritti costituzionali si macchiavano continuamente  di gravi crimini e violazioni dei diritti umani contro la popolazione locale, composta per lo più da contadini  indigeni che vivevano  in condizioni di estrema  povertà e miseria,  completamente esclusi dalla vita culturale, sociale e politica  del resto del paese. Probabilmente molte delle stragi attribuite a Sendero Luminoso, furono compiute dall’esercito secondo il principio che vigeva tra le Forze Armate per cui “bisognava uccidere 60 contadini per ammazzare tre terroristi”.

Fu un vortice di violenza inaudito,  un circolo vizioso di sangue  dove — a maggior violenza dello Stato — la guerriglia rispondeva in egual misura, e viceversa. La popolazione locale si trovava nel mezzo, strumentalizzata ora dall’una  ora dall’altra parte. Le Forze Armate e i Sinchis avevano portato avanti una vera e propria ‘guerra sucia coinvolgendo, con l’addestramento e la fornitura di armi,   le comunità contadine locali nella guerra dello Stato contro il ‘terrorismo comunista’.

La Commissione Vargas Llosa, pur confermando la ‘violenza antisovversiva’ provocata dagli “inevitabili eccessi di una forza di polizia mal addestrata per il tipo di guerra che doveva combattere ed esasperata per le continue morti dei suoi membri” e pur valutando importante la considerazione delle “cause immediate e remote” che provocarono la strage, la considerò un “terribile incidente” e quasi le dette  una giustificazione antropologica realizzando una (interessante) analisi della particolare realtà rurale nella quale era avvenuta: “Ha il Perú ufficiale il diritto di reclamare a questi uomini, a quelli che ha dimenticato per incuria nel marasma della miseria e dell’arretratezza, un comportamento identico a quello dei peruviani che,  poveri o ricchi, della zona andina o della zona costiera, contadini o cittadini partecipano realmente alla modernità e si reggono  con leggi, riti, usi e costumi che  ignorano (o che difficilmente  potrebbero capire) gli abitanti di quella zona di Uchurracay?”.

Pur se velate di sottile razzismo antropologico, le parole della Commissione misero in luce una realtà innegabile,  ma che probabilmente poco aveva a che fare con quanto avvenuto quel 26 febbraio di trent’ anni fa. Le conclusioni a cui giunse e in particolar modo l’atteggiamento di Mario Vargas Llosa nei confronti dei familiari delle vittime, provocarono dure condanne per il modo in cui si erano svolte le indagini, ma anche per il ruolo svolto dalla commissione come portavoce ufficiale della versione delle Forze Armate e dello Stato.

Pochi mesi dopo quanto accaduto in quella  località  remota delle Ande — dove tuttavia alcuni testimoni  raccontarono  di come fosse forte in quei giorni la presenza dei soldati e degli Sinchis e di come questi avessero precedentemente addestrato i contadini alla conoscenza e all’uso delle armi chiedendogli di uccidere, in cambio di alimenti e medicine,  “tutti quelli che arrivavano a piedi” - perché loro li avrebbero protetti  dall’alto con gli aerei — venne rinvenuta una  borsa appartenente a  Willy Retto, uno degli otto giornalisti trucidati dai contadini ignari ed ignoranti  “che scambiarono le loro macchine fotografiche e i treppiedi per armi”.

Nella borsa di Willy c’era infatti  una potente “arma”, la sua macchina fotografica,  che rivelò che il giovane giornalista coraggiosamente aveva scattato delle  foto fino a pochi istanti prima di essere ucciso. Le foto recuperate, nove in tutto, dimostrarono  che il gruppo non fu assalito, come si voleva far creder da un’orda di contadini rabbiosi, ma che si ebbero vari momenti di dialogo (reso difficile, come fu testimoniato in seguito,  dalla poca conoscenza reciproca delle lingue, quechua e spagnolo) e di trattative.

Che qualcosa fosse poco chiaro nella dinamica dei fatti propagandata  dalla  versione ufficiale era apparso immediatamente evidente a molti analisti e giornalisti accorsi sul luogo fin dal primo momento,  sia per il  fatto che sembrava poco credibile  che i contadini, armati solo di fionde e sassi, avessero aggredito delle persone che pensavano fortemente armate, ma anche perché era altamente improbabile che in una zona fortemente  militarizzata sotto il controllo totale dei servizi di sicurezza e con la massiccia presenza di membri  dell’esercito infiltrati tra la popolazione locale,  nessuno sapesse del passaggio dei giornalisti tra quelle remote montagne, anche perché il viaggio che dovettero affrontare per raggiungere Uchuraccay fu lungo e una parte compiuto esclusivamente a piedi.

La Commisione Vargas Llosa non tenne conto di nessuna di queste evidenze e concluse frettolosamente le sue indagini, indicando nei contadini i responsabili e garantendo l’impunità ai mandanti, pur ammettendo con assoluta convinzione “che gli abitanti della comunità avevano  agito dietro precise disposizioni ed istigazione a uccidere da parte dei Sinchis e delle Forze  Armate”.

Nei mesi  successivi si scatenò l’inferno a Uchuraccay, ben 135 membri della comunità vennero uccisi o scomparvero, come testimoniato anche dalla Commissione della Verità e della Riconciliazione.

Molti dei morti erano testimoni scomodi del massacro del 1983, alcuni pentiti per quanto accaduto: Uchuraccay nel 1984 era ormai un paese fantasma. Tutti i suoi abitanti erano morti, o scomparsi, o andati via in cerca di pace, altrove. Dopo cinque anni di processo tre contadini vennero condannati per la morte dei giornalisti a pene tra i dieci e i sei  anni di carcere.

Cosa avevano scoperto i giornalisti? Quali segreti nascondeva la comunità? Era vero che la mattanza sulla quale stavano indagando i giornalisti, dove si dice vennero  uccisi anche bambini ed adolescenti  era stata commessa da Sendero Luminoso? O si trattava  solo dell’ennesima barbarie dei Sinchis? Probabilmente non si saprà mai. Uchuraccay resta una ferita aperta.

César Lévano, noto giornalista ed intellettuale , direttore del quotidiano  ‘La Primera’ di Lima in un editoriale dei giorni scorsi ha scritto che a “Uchuraccay si accese la fiamma dell’odio” in Perù: gli anni che seguirono furono i più terribili e bui che il paese ricordi.

Nel 2010 la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha dichiarato ammissibile il caso Uchuraccay dietro richiesta dei familiari delle vittime che hanno sporto denuncia contro lo Stato peruviano per la partecipazione di militari nella morte dei loro cari e per le autorità giudiziarie per non aver compiuto le indagini necessarie in tal senso.

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Maurizio Campisi, scrittore e giornalista,  nel suo libro “La lucida follia di Sendero Luminoso” ha dedicato un intero capitolo alla vicenda di Uchurraccay.

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