La Colombia marcia per la pace e la giustizia sociale
di Annalisa Melandri — in esclusiva per L’Indro - 12 Aprile 2013
“Massivo sostegno alla pace”, così ‘El Tiempo’, il principale quotidiano colombiano, ha aperto la sua edizione online del pomeriggio del 9 aprile scorso, raccontando la manifestazione che si stava svolgendo in quelle stesse ore a Bogotá in appoggio ai dialoghi di pace per la soluzione pacifica del conflitto armato che sono in corso in questi mesi a l’Avana, Cuba, tra il governo colombiano e la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo (FARC-EP).
La manifestazione ha inoltre anche commemorato il 65° anniversario dell’omicidio del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán, allora candidato alla presidenza della Repubblica, avvenuto il 9 aprile 1948, che scatenò il Bogotazo e che dette inizio alla “violencia”. Di fatto le FARC sorsero qualche anno dopo, nel 1964, come risposta di autodifesa di un gruppo di contadini alle violenze commesse dall’esercito colombiano e dai paramilitari.
Martedì scorso oltre un milione di persone hanno percorso le principali vie della capitale colombiana, dando vita a una “bianca” marea umana, bianca come il colore della pace, in quella che in Colombia si celebra come Giornata Nazionale della Memoria e della Solidarietà alle Vittime.
Organizzata congiuntamente dal governo, con il presidente Juan Manuel Santos in testa, dal sindaco di Bogotá, l’ex guerriglieroGustavo Petro e dai movimenti popolari riuniti nella Marcha Patriótica, ha messo insieme in un unico scenario le vittime di ogni tipo di violenza, dai desplazados dalle loro terre per la violenza paramilitare (si calcola che in Colombia siano oltre 4 milioni gli sfollati interni), alle madri di Soacha, le madri dei “falsi positivi” come vengono chiamati i giovani giustiziati dalle forze di sicurezza dello Stato e fatti passare per guerriglieri morti in combattimento, ai familiari dei membri dell’esercito colombiano morti negli scontri con la guerriglia.
Contadini, indigeni, e rappresentanti di altri settori popolari e soprattutto rurali del paese sono arrivati da tutta la Colombia con decine di autobus mentre manifestazioni analoghe sono state organizzate in altri municipi e città della Colombia, ma anche in Europa e negli Stati Uniti.
Il presidente Manuel Santos e il sindaco di Bogotá, Gustavo Petro, giunti al Centro della Memoria, Pace e Riconciliazione, all’interno del Cimitero Centrale, un luogo costruito per rendere omaggio alle vittime della violenza, hanno piantato simbolicamente una palma.
E’ la prima volta che istituzioni e settori così diversi della società civile scendono insieme per le strade e diventano un solo protagonista, pur con le differenti rivendicazioni che portano avanti, dicendo basta alla violenza che da quel lontano 1948, quando le speranze di libertà e giustizia sociale riposte nell’allora candidato liberale Gaitán furono infrante con un vigliacco omicidio, insanguina la Colombia. Ne seguirono molti altri: oltre tremila a partire dal 1984, solo nelle file dell’ Unione Patriottica, il partito politico sorto come opzione elettorale della guerriglia delle FARC che fu «sterminato fino all’estinzione totale, un morto ogni 19 ore per sette anni» come ricorda il giornalista Guido Piccoli nel suo libro edito da Feltrinelli “Colombia il paese dell’eccesso”.
L’ex presidente Álvaro Uribe, che ha preceduto Manuel Santos, governando il paese dal 2002 al 2010, rappresentante della rancida ed ultraconservatrice oligarchia colombiana, ha sempre puntato sulla soluzione militare del conflitto civile interno, ottenendo scarsi risultati e molti morti a qualsiasi costo, anche travestendo da guerriglieri giovani innocenti, come accaduto con lo scandalo dei “falsi positivi”. Durante il suo governo, la società ha conosciuto una estrema polarizzazione tra i sostenitori della sua politica di “sicurezza democratica” (che di democratico aveva in realtà ben poco) e della “mano dura” contro la guerriglia ma anche contro ogni forma legale di dissidenza e di opposizione, e gli attori della società civile promotori della soluzione negoziata al conflitto.
Di fatto, per esempio nel 2008 vennero organizzate due diverse manifestazioni in Colombia, una il 4 febbraio, indetta dal governo contro le FARC e in solidarietà alle vittime della guerriglia e una il 6 marzo, appena un mese dopo, indetta dal Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato (MOVICE) in omaggio alle vittime del paramilitarismo e dei crimini di Stato.
Il governo allora criminalizzò moltissimo gli organizzatori e gli aderenti alla marcia del 6 marzo, additandoli come simpatizzanti o peggio, collaboratori della guerriglia. La società aveva raggiunto un livello estremo di polarizzazione.
A Manuel Santos il merito di aver ricucito la ferita e di aver cercato di portare pace nel paese attraverso la via del dialogo.
Una colomba autentica o solo un falco travestito da messaggero di pace? Il dubbio, legittimo, rimane: Manuel Santos fu ministro della Difesa del governo di Uribe tra il 2006 e il 2009, uno degli artefici della “mano dura” contro la guerriglia.
Álvaro Uribe lo vede come una “canaglia” e lo accusa di voler dare impunità ai “terroristi”.
A L’Avana i dialoghi di pace, sospesi momentaneamente in queste settimane, riprenderanno la terza settimana di aprile quando verranno affrontati gli ultimi punti del tema attualmente in esame, quello agrario, sicuramente uno dei più spinosi di tutta l’agenda.
Salutiamo Annalisa, sempre attenta alle questioni colombiane e latinoamericane ed alla solidarietà con le lotte dei popoli della Patria Grande.
Condividiamo lo spirito dell’articolo, e tuttavia ci pare ineludibile fare una precisazione: la storica marcia del 9 aprile scorso, che ha dimostrato inequivocabilmente il sostegno del popolo colombiano alla soluzione politica del conflitto, non è stata coorganizzata da movimenti popolari come Marcha Patriótica e dalle istituzioni (benchè l’alcaldía di Bogotá abbia dato sostegno logistico). Vero è piuttosto che Santos e diverse alte cariche dello Stato, per opportunismo politico e “annusando” che la partecipazione sarebbe stata moltitudinaria, hanno deciso alcuni giorni prima di parteciparvi per cercare di cavalcarne l’onda. Operazione non riuscita. Idem dicasi nel caso del Partito Liberale.
L’elemento centrale resta il massivo sostegno ai dialoghi dell’Avana, e la sempre più crescente capacità di mobilitazione e lotta del multiforme e ogni giorno meno pavido movimento popolare colombiano, come il I maggio a Bogotà ed in altre città ha ribadito.
In sintesi, possiamo anche dire che se il movimento politico e sociale Marcha Patriótica nato l’anno scorso era un soggetto-progetto di cambiamento di belle speranze, dopo il 9 aprile scorso ha fatto definitivamente irruzione, e alla grande, nello scenario nazionale in cui la contraddizione principale, oggi come ieri, è quella tra la soluzione militare uribista (con la variante gattopardiana della pax agognata da Santos) e la Pace con Giustizia sociale che implica trasformazioni strutturali e profondamente democratiche del regime politico e del modello economico.
Grazie Nuova Colombia per la precisazione importante. Penso tuttavia che sia stato un momento importante di condivisione che darà i suoi buoni frutti al di la del fatto se Santos si sia accodato o meno e se lo abbia fatto, come e’ legittimo pensare, per scopi elettorali. Quello che e’ importante e’ che i dialoghi procedano, che il popolo colombiano ha bisogno di pace, ma che sia una pace ‘strutturale” e duratura non da rotocalco, come dici anche tu. In questo senso la fretta di concludere del governo non fa ben pensare. In ogni modo si tratta di un processo irreversibile e anche se pace non dovesse essere, questi emsi di dialoghi, dibattiti e coinvolgimento totale della società civile hanno messo in moto qualcosa di inarrestabile ormai. Ciao.