La Bolivia reclama all’Aia l’accesso al mare
di Annalisa Melandri in esclusiva per L’Indro — 30 aprile 2013
Gli analisti politici considerano che sia di portata “storica”, anche se di esito incerto, la denuncia presentata dalla Bolivia, il 24 aprile scorso, contro il Cile, presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, con lo scopo di recuperare l’accesso al mare perduto con la Guerra del Pacifico (1879–1883).
Sono anni ormai che la Bolivia sta mettendo sul tavolo del dibattito nazionale, ma anche regionale e infine internazionale, lo spinoso argomento, che considera di vitale importanza per la sua economia. Come conseguenza della Guerra del Pacifico, conosciuta anche come Guerra del Guano e del Salnitro, combattuta tra il Cile e il Perú e la Bolivia, questi ultimi persero importanti porzioni del loro territorio. Il Perú perse la regione di Tarapacá e la Bolivia perse i porti di Antofagasta e Cobija (circa 400 km. di costa sull’oceano Pacifico) oltre a un importante zona della regione di Antofagasta ricca di risorse naturali, e una porzione della regione di Atacama.
La guerra era iniziata per ragioni economiche: la regione di Antofagasta era ricchissima di salnitro, conosciuto come ‘oro bianco’ importantissimo per la fabbricazione di polvere da sparo, di guano, fertilizzante naturale prodotto dagli escrementi degli uccelli e di miniere di rame. Le miniere di salnitro di Antofagasta erano sfruttate da compagnie cilene controllate da imprese britanniche. La revisione del contratto (con la richiesta di 10 centesimi per quintale di salnitro), firmato nel 1873 tra la Compañia de Salitres y Ferrocarril de Antofagasta e il governo boliviano che ne prevedeva lo sfruttamento per 15 anni senza il pagamento di imposte, scatenò il conflitto nel quale il Perú, in virtù di un accordo segreto che aveva con la Bolivia di mutua alleanza, intervenne in sua difesa. Le conseguenze furono nefaste per entrambi i paesi andini. Il trattato di pace, con il quale la Bolivia riconosceva la sovranità cilena sui territori persi nel corso della guerra, fu firmato nel 1904. Il Cile in cambio si impegnava alla costruzione di una ferrovia dalla città di Arica (in territorio cileno) fino a La Paz, capitale della Bolivia, oltre a varie altre agevolazioni commerciali per ricompensare il Paese della perdita del suo accesso al mare.
Si tratta tuttavia di una questione che non è mai stata completamente risolta da parte boliviana e che ha provocato continue frizioni con il Cile. Nel 1962 le relazioni diplomatiche tra i due paesi si ruppero definitivamente quando il Cile decise unilateralmente di sviare il corso del fiume Lauca, considerato fino a quel momento, ed in virtù del trattato del 1904, internazionale. Successivamente nel 1975 il dittatore cileno Augusto Pinochet e quello boliviano Hugo Banzer Suárez, cercarono di ristabilire i rapporti tra i loro paesi. Il Cile offrì un corridoio con uscita al mare alla Bolivia ma nel 1978, gli accordi firmati in tal senso decaddero e la situazione tornò ad essere quella del 1962.
I vari governi boliviani che si sono succeduti alla guida del paese hanno in diverse occasioni portato il tema in agenda dei più importanti incontri internazionali. Il 24 settembre del 2003, durante un discorso alle Nazioni Unite, il vicepresidente boliviano Carlos Mesa così si esprimeva: «Oggi più che mai, voglio affermare in questo congresso che la Bolivia non rinuncerà alla sua giusta rivendicazione di un accesso sovrano all’Oceano Pacifico dato che siamo nati come Repubblica indipendente con litorale marittimo. Questa richiesta che risale a più di un secolo fa, non è né prodotto di testardaggine né di un capriccio ma dell’insufficienza delle nostre risorse economiche e degli enormi ostacoli geografici che ci tolgono competitività». L’ambasciatore cileno alle Nazioni Unite, Heraldo Muñoz rispose allora che il Cile non sarebbe mai entrato in un «dibattito sterile con la delegazione boliviana».
Il presidente boliviano era in quel momento Gonzalo Sánchez de Losada, che a seguito di una enorme crisi politica nel paese sfociata in violente proteste civili per la nazionalizzazione degli idrocarburi, duramente represse dall’esercito, si dimise e fu costretto a fuggire appena un mese più tardi. L’attuale presidente Evo Morales, allora sindacalista cocalero e dirigente del Movimiento al Socialismo, era tra i leader dell’opposizione a Sànchez de Lozada. Morales, una volta alla guida del paese (fu eletto nel 2005) nel 2008, riformò la Costituzione boliviana inserendo in essa proprio la rivendicazione dell’accesso al mare, rivendicazione che fino ad oggi ha sempre portato avanti strenuamente.
Dopo aver cercato, invano, di ottenere aperture politiche in Cile attraverso la via del dialogo, Morales ci prova adesso con la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Il Ministro degli Esteri boliviano ci tiene ad affermare che la denuncia non rappresenta “un atto di inimicizia”, mentre dal Cile il suo omologo Alfredo Moreno, attraverso un comunicato ha fatto sapere che il governo «lamenta profondamente che la Bolivia abbia iniziato questa azione carente di fondamento di fatto e di diritto». Ci vorranno circa quattro anni per conoscere il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia. La Bolivia intanto attende un altro verdetto della Corte, quello relativo ad una denuncia presentata dal Perú contro il Cile nel 2008, il cui esito si darà a conoscere probabilmente nel corso di quest’ anno, per reclamare 67 mila chilometri di mare nella frontiera del Cile, situazione marittima anche questa, risalente alla Guerra del Pacifico e ai trattati stipulati successivamente. Dalla posizione assunta dalla Corte, la Bolivia potrebbe farsi un’idea dell’atteggiamento della stessa verso le dispute territoriali, (in costante aumento all’Aia), anche se i due casi presentano molte differenze.
La perdita dell’accesso al mare ha sicuramente causato per il piccolo paese latinoamericanon gravi danni in termini economici, esclusione dai circuiti commerciali e povertà, così come la perdita degli importanti giacimenti minerari che si trovavano sul suo territorio, che prima erano sfruttati, per non dire rapinati, dal Cile e dalla Gran Bretagna: basti pensare che i territori persi dalla Bolivia e dal Perú fruttano al Cile oggi, circa il 40 per cento delle sue entrate e che il Cile sta sfruttando una delle principali miniere di rame, scoperta nel 1990 a circa 170 km da Antofagasta, che apparteneva alla Bolivia prima della Guerra del Pacifico.
Una soluzione alla disputa che voglia tener conto della rinnovata armonia regionale di questi ultimi anni e dell’integrazione regionale raggiunta a partire dal principio del XXI secolo, non può essere presa pertanto senza tenere conto di queste valutazioni di tipo economico e delle nefaste conseguenze di un trattato di guerra, estorto oltre 100 anni fa.