In Cile gli studenti chiedono un nuovo “paradigma”
di Annalisa Melandri — in esclusiva per L’Indro — 3 luglio 2013
Sono tornati nuovamente a far parlare di sé gli studenti cileni, in mobilitazione da settimane. Violente proteste degli studenti delle scuole secondarie e delle università hanno preceduto le elezioni primarie per la scelta dei candidati presidenziali che si sono tenute proprio domenica scorsa.
Tuttavia, quella degli studenti cileni, può definirsi ormai una mobilitazione permanente. La ‘Revolución de los pinguinos’ del 2006, (così chiamata dal costume che usavano nelle piazze gli studenti) dei liceali che si mobilitarono in massa in quell’anno (e poi nel 2008) per una riforma educativa nel loro paese e che si esaurì spontaneamente nel giro si qualche mese, riprese vitalità nel maggio del 2011 sotto la leadership della giovane dirigente comunista Camila Vallejo, presidente della ‘Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile’ (FECh). Oggi, quel movimento, a distanza di due anni, torna a dare filo da torcere al governo e a strappare promesse ai candidati presidenziali delle elezioni del prossimo novembre, ritrovando il suo carattere di “forza sociale trasformatrice” anche grazie al rinnovato appoggio di importanti settori della società civile, come i lavoratori portuali e i minatori e parte del sindacato.
Diverso dai precedenti solo perché diversi sono i leader e le associazioni che lo guidano, questa nuova mobilitazione rappresenta il proseguimento di quelle di allora perché alla base le rivendicazioni sono le stesse, anzi la stessa: un’educazione gratuita per tutti, laica, pubblica e di qualità.
La stessa portavoce e dirigente della ‘Asamblea Coordinadora de los Estudiantes Segundarios’ (ACES), Isabel Salgado, ha dichiarato infatti, chiedendo le dimissioni della ministra dell’Educazione Carolina Schmidt, che il movimento è ormai da vari anni in mobilitazione senza “ricevere mai una risposta”.
La giornata di mercoledì scorso, ha segnato un momento di profonda radicalizzazione della protesta, anche per la solidarietà che gli studenti hanno ricevuto dai lavoratori portuali e del settore minerario, così come da una parte della ‘Central Unitaria de Trabajadores’ (CUT).
A Santiago del Cile, in mattinata le barricate nei pressi dei licei e delle università occupate, (alcuni istituti scolastici erano stati sgomberati dalle autorità con la forza essendo sedi elettorali) hanno completamente paralizzato il traffico cittadino. In tutto il paese i minatori bloccavano l’accesso alle miniere e i portuali incrociavano le braccia. Nel pomeriggio tre grandi cortei hanno percorso le vie della capitale, contabilizzando secondo la Confederación degli studenti cileni (CONFECH), oltre 100 mila partecipanti.
Si sono verificati scontri tra le Forze dell’ordine e alcuni gruppi di manifestanti a volto coperto, con un saldo di 98 arresti e 4 feriti tra i poliziotti.
Il ministro dell’interno ha condannato duramente la protesta definendo gli studenti come dei “delinquenti, estremisti e violenti” e riaccendendo il dibattito rispetto alle proposta già in corso, di varare misure di legge più severe per far fronte ai disordini pubblici, alcune contestate duramente dalla società civile come quella di identificare i manifestanti in modo preventivo senza che abbiano commesso nessun reato.
Gli studenti chiedono oggi, come nel 2006, poi nel 2008 e nel 2011, una riforma integrale del sistema educativo che risale ancora all’epoca della dittatura di Pinochet, quando il Cile divenne il laboratorio latinoamericano delle politiche neoliberali impulsate dai Chicago Boys. Pinochet infatti, eliminò la gratuità dell’educazione universitaria per tutti e incrementò notevolmente la partecipazione del settore privato nell’offerta educativa fin dalle scuole primarie. Attraverso la decentralizzazione venne ridotto il controllo statale sul settore e questo venne consegnato interamente nelle mani del mercato. Oggi il settore privato accoglie circa il 60 per cento degli studenti delle primarie e delle secondarie.
Il sistema educativo cileno è considerato come uno dei più cari dell’America latina: solo il 25 per cento è coperto dallo Stato, il resto pesa interamente sulle spalle delle famiglie e più si prosegue avanti negli studi e più l’impegno economico per queste si fa pesante, fino ad arrivare all’educazione universitaria completamente a pagamento e vincolata al credito con gli istituti privati. Un sistema escludente e classista che elimina automaticamente quanti non riescono a passare attraverso le strettissime ed implacabili maglie della selezione economica.
Quelle per un’educazione pubblica e gratuita per tutti sono le proteste sociali più importanti e imponenti che si sono verificate in Cile dal ritorno della democrazia ad oggi.
Nel 2011 sono quasi riuscite a mettere in crisi il governo di Sebastián Piñera, chiedendo ed ottenendo le dimissioni di almeno tre ministri dell’istruzione. Avendo come protagonista una generazione che con la dittatura ormai ha poco a che vedere, che la conosce poco anche perché la realtà storica è stata completamente deformata nei programmi scolastici e che non ha conosciuto la paura dei genitori e dei nonni, le mobilitazioni hanno trovato nuova forza proprio in queste ultime settimane grazie anche all’attesa per le primarie in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre.
Michelle Bachelet, che domenica ha ottenuto il 73 per cento delle preferenze nella coalizione di centro sinistra (Nueva Mayoría) che per la prima volta incorpora anche il Partito Comunista, aveva dichiarato nei giorni scorsi che “una riforma dell’educazione profonda e strutturale è quello di cui il paese ha bisogno” invitando il governo in carica di Sebastiàn Piñera — che invece ha mantenuto la linea dura con gli studenti — “al dialogo” nella risoluzione del conflitto. Ha dichiarato inoltre nel corso della sua campagna che la riforma implicherà “un cambio del paradigma rispetto a come si intende l’educazione, che deve passare dall’essere un bene di consumo a un diritto sociale”. E proprio nel cambio di ‘paradigma’ sta il punto nodale della protesta, era stato infatti il presidente Sebastián Piñera esprimendo il concetto base del neoliberalismo, a definire l’educazione come “un bene di consumo”.
Nel corso del 2006, il governo presieduto da Michelle Bachelet, non era riuscito a dare ai ‘pinguini’ una risposta seria alle loro rivendicazioni, soprattutto perché, la Concertación, la coalizione di sinistra al governo, formata da socialisti e democristiani che ha guidato il paese ininterrottamente dal 1990 al 2010, mai si è presentata come reale alternativa al sistema neoliberista. Oggi con l’apertura al Partito Comunista Cileno forse la riforma studentesca — e non solo — sembra possibile.
L’alternativa per i cileni è il ritorno alla destra pinochettista, rappresentata da Pablo Longueira, il candidato ultra conservatore che a novembre sfiderà Michelle Bachelet. Longueira fu ex consigliere della dittatura e, ironia del caso, proprio leader della Federación de Centros de Estudiantes de la Universidad de Chile (FECECH), vicina al regime, che sostituì la FECh, di sinistra, la più antica associazione studentesca cilena, messa fuorilegge dalla dittatura e che oggi si trova alla testa delle attuali mobilitazioni studentesche.