America latina: investire sul capitale umano
di Annalisa Melandri — 25 ottobre 2013
in esclusiva per l’Indro
Per l’America Latina e i Caraibi le previsioni per il prossimo anno parlano di un tasso di crescita medio del 3 per cento. Alicia Bárcena, Segretario Generale della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite, (CEPAL) ha dichiarato nel corso di una conferenza regionale che si è svolta a Santo Domingo su tematiche femminili, che il «panorama per il 2014 sarà migliore di quello del 2013».
È sicuramente un’ottima notizia, ma il direttore dell’unità per il Commercio Internazionale della stessa organizzazione, Osvaldo Rosales, facendo il punto sulle sfide che la regione dovrà affrontare a breve termine, ha detto in un’intervista rilasciata all’agenzia ‘Efe’, che questa dovrà «drammaticamente» aggiornarsi rispetto alle politiche industriali da tenere, con l’obiettivo di potenziare l’innovazione tecnologica e sfruttare al massimo i benefici che apporta lo sfruttamento delle materie prime di cui è ricca.
La Cepal, identifica nel commercio internazionale, il settore che desta maggiori preoccupazioni rispetto all’inadeguatezza delle politiche adottate dai singoli Stati per il suo impulso e modernizzazione.
«Stiamo importando più di quello che esportiamo», ha spiegato Alicia Bárcena , aggiungendo che questo crea inevitabilmente «squilibri nella bilancia dei pagamenti».
Le esportazioni latinoamericane, secondo la Bárcena, nel prossimo anno saranno destinate a crescere non più del 1.4 per cento, contro il 23 per cento che avevano nel 2013, ma il dato è anche in ribasso rispetto all’indice del 2013 (2,5 per cento).
Le diverse istanze della Cepal, quindi, coincidono nella necessità di mandare un messaggio urgente ai Governi dei singoli Paesi perché raccolgano la sfida per il prossimo futuro, e cioè mettersi in pari urgentemente per quanto riguarda tecnologia, innovazione e industrializzazione. L’obiettivo è quello di equilibrare importazioni ed esportazioni e promuovere gli scambi regionali approfittando del grande potenziale rappresentato dalla domanda interna.
Per la regione le risorse naturali rappresentano sicuramente l’aspetto economico più importante. Queste, però, non devono diventare, (in alcuni casi purtroppo già lo sono) la sua «maledizione», come ha sostenuto Osvaldo Rosales. Quello sulla ‘maledizione politica ed economica’ delle risorse naturali è infatti un dibattito aperto.
L’economista Premio Nobel, Joseph Stiglitz, in un articolo dal titolo ‘Dalla maledizione alla benedizione delle risorse naturali’ identifica tre «ingredienti economici» principali di tale ‘maledizione’: Il primo, il fatto che i Paesi ricchi in risorse naturali hanno la tendenza a utilizzare monete forti che poi penalizzano altre esportazioni; il secondo, il fatto che il settore estrattivo utilizza poca manodopera aumentando la disoccupazione; il terzo, la volatilità dei prezzi delle risorse naturali che causa una crescita instabile, tendenza poi rafforzata dalle banche internazionali.
Bisognerebbe aggiungerne un quarto, e cioè il fatto che il flusso di denaro che il settore estrattivo apporta alle casse dello Stato, soprattutto in economie (e democrazie) fragili, aumenta la corruzione e la sottrazione di fondi che dovrebbero essere reinvestiti in politiche sociali –e quindi in uno sviluppo economico, ma anche culturale– che sia poi propedeutico a uno sviluppo tecnologico e industriale autoctono, non appartenente cioè a capitali ( e politiche) straniere.
E infatti quanto espresso da Osvaldo Rosales e in sede diversa da Alicia Barcéna, coincide con l’analisi teorica di Stiglitz: «Durante gli ultimi anni una tendenza al ribasso nella domanda (provocata dalla crisi, nda) e nel prezzo dei “commodities”, si è trasformata in una preoccupazione costante per le economie della regione» ha dichiarato Rosales.
Uno sguardo attento va inoltre rivolto all’attore economico principale di questi ultimi decenni, diventato presenza importante nell’economia latinomericana e cioè l’Asia, e in modo particolare la Cina e la Corea del Sud.
«L’intensità dell’innovazione tecnologica e i passi da gigante che stanno facendo le economie asiatiche sono tali che i Paesi latinoamericani devono correre per rimanere nello stesso posto» avverte Rosales.
È importare volgere lo sguardo a questi esempi, secondo il direttore dell’unità per il Commercio Internazionale della CEPAL, ma non solo per gli alti livelli tecnologici raggiunti, ma soprattutto per i progressi ottenuti in campo educativo che gli hanno permesso di coltivare una generazione preparata, brillante e scientificamente e tecnologicamente al passo con i tempi.
Come, in fin dei conti, avverte anche Stiglitz: «I Paesi ricchi in risorse naturali spesso non seguono strategie di crescita sostenibili. Non si rendono conto che se non redistribuiscono le ricchezze provenienti dalle risorse naturali in investimenti produttivi, in pratica si stanno impoverendo ancora di più».
Non si tratta nemmeno di aumentare esponenzialmente lo sfruttamento minerario in alcuni Paesi o in aree geografiche della regione, come le multinazionali e certi teorici dello sviluppo vorrebbero, già che l’accresciuto livello di coscienza ecologica delle comunità locali sta creando problemi alle imprese anche dove sono ormai installate da tempo. Si tratta di redistribuire, di riprogrammare, di investire in sviluppo umano, di creare strutture locali che supportino le attività estrattive, di creare industrie per la lavorazione delle materie prime e non permettere che queste abbandonino i Paesi produttori allo stato grezzo, si tratta di creare tecnici locali di prima qualità invece di utilizzare quelli portati dall’estero dalle imprese.
In poche parole, si tratta di investire sul capitale umano, probabilmente l’unica risorsa che apporta ricchezza e sviluppo di qualità, a lungo termine e duraturo.