Víctor Polay Campos: “Sul banco degli accusati. Terrorista o ribelle?” (Il libro– Capitolo VI)

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INDICE /Dedica /Prologo /In memoria /Introduzione

Capitolo I

Capitolo II 

Capitolo III

Capitolo IV 

Capitolo V

RIBELLIONE E NON TERRORISMO

 

Durante il nostro primo processo nel 1990 richiedemmo l’opinione tecnico-giuridica di diversi Collegi di Avvocati del Perù sulla possibilità di qualificare come “Delitto di ribellione” l’azione guerrigliera dell’MRTA, così come veniva previsto dal Codice Penale allora vigente.

Il Collegio Professionale di Avvocati di Junín, che raggruppava circa un migliaio di  affiliati, fu il primo a pronunciarsi il 28 maggio 1990. Quando era ancora incorso un dibattito presso altri Collegi di Avvocati, come quelli del Cusco e del Callao, si realizzò la nostra fuga da Canto Grande e così non più furono necessari altri pronunciamenti.

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Collegio Professionale di Avvocati di Junín 

RIBELLIONE E NON TERRORISMO!

          L’illustre Collegio Professionale di Avvocati di Junín si pronuncia rispetto al parere richiesto da numerosi uomini del Foro Nazionale, che gli si sono rivolti in data 8 maggio 1990, richiedendo un’opinione tecnica e giuridica su quanto segue:

“1. L’Art. 302 del Codice Penale, che definisce il DELITTO DI RIBELLIONE, è stato derogato espressamente o tacitamente dalle disposizioni che hanno tipizzato e tipizzano il delitto, come: il Decreto Legislativo N° 046 (derogato dalla Legge N° 24953)?”.

OPINIONE: L’art. 302 del C.P. non è stato derogato dalla Legge 24953 né da altra disposizione legale; di conseguenza detta norma è ancora vigente.

“2.- In quali circostanze procedono la denuncia fiscale, l’apertura di istruzione e il Giudizio Orale per il delitto di Ribellione?”.

OPINIONE: procedono contro coloro che si sono ribellati con le armi, per cambiare la forma di governo o deporre il governo costituito, ottenere misure o concessioni, impedire la riunione del Congresso o dissolverlo, riformare le istituzioni vigenti attraverso mezzi violenti o illegali, impedire che le Camere funzionino liberamente o che si pratichino le elezioni presidenziali o di rinnovamento parlamentare, sottrarre all’obbedienza del governo dipartimenti o province o parti della Forza Armata terrestre, navale o aerea, investirsi di autorità o facoltà che non possano essere ottenute legalmente, come prescrive testualmente l’Art. 302 del Codice Penale.

“3.- I fatti, come l’occupazione di zone del Dipartimento di San Martín: Tobalosos, Soritor, Juanjuí, San José de Sisa ed altri, commessi dai sovversivi dell’MRTA al comando di Víctor Alfredo Polay Campos, che sono stati di conoscenza pubblica nazionale o internazionale, sono inquadrati nella figura tipica di delitto di terrorismo o di quello di ribellione?”.

OPINIONE: Secondo il video diffuso dal programma “Panorama” del Canale 5 TV, le informazioni della stampa, le testimonianze raccolte dalla popolazione civile e dai poliziotti arresi, l’occupazione di dette zone da parte delle truppe dell’MRTA ebbe le seguenti caratteristiche:

-      Il gruppo armato dell’MRTA agì sotto la direzione di un comando responsabile, rappresentato da Víctor Polay Campos, conosciuto come “Comandante Rolando”;

-      Portava segni distintivi suscettibili di essere riconosciuti a distanza (uniforme) e gradi;

-      Portava armi a vista;

-      Si distinse, nelle sue operazioni, dalla popolazione civile;

-      Si conformò, nelle sue operazioni, alle leggi e usanze della guerra, rispettando i prigionieri arresi, curando i feriti ecc.

Pertanto, essendosi realizzate TUTTE LE CONDIZIONI disposte dall’Art. 4 punto 2 della Convenzione N.3 di Ginevra del 12 agosto 1949 e dall’Art. 12 punto 1 del Protocollo II, addizionale alla citata Convenzione, rettificato dalla clausola XVI della nostra Carta Magna (legge delle leggi), detti fatti si tipizzano come Delitto di Ribellione, risultando un assurdo giuridico l’istruzione e il giudizio per tali fatti sotto la figura delittuosa di Terrorismo.

4. – “Il  Giudizio di Istruzione, come il Tribunale Correzionale di Lima, sono competenti per giudicare il cittadino Víctor Alfredo Polay Campos per i fatti sopra menzionati?”.

OPINIONE: Il Giudizio di Istruzione e Il Tribunale Correzionale del Distretto Giudiziario di Lima non sono competenti per giudicare il cittadino Víctor Alfredo Polay Campos, poiché la competenza per l’istruzione e il giudizio viene tassativamente stabilita dall’Art 19 del C.P.P. con la seguente prefazione:

In primo ordine, per il luogo in cui è stata commessa l’azione delittuosa (Selva Nor-Oriente); in secondo ordine, per il luogo dove sono state scoperte le prove materiali del delitto (Juanjuí, San José de Sisa); e in terzo ordine, per il luogo  in cui è stato arrestato l’imputato (Huancayo). Stando così i fatti, le autorità giudiziarie competenti per l’istruzione e il giudizio dovrebbero essere quelle di Moyobamba e/o Junín. Allo stesso modo, in applicazione dell’Art. 236 della Costituzione dello Stato, essendoci incompatibilità tra la norma legale ordinaria (Art. 302 del C.P.) e la legge N. 24953 (che tipizza il delitto di terrorismo), si deve preferire applicare la norma legale ordinaria all’altra norma promulgata per moventi politici.

Esprimiamo questa opinione con l’intenzione di coadiuvare l’accertamento giuridico degli interrogativi  formulati e nello stretto compimento  dei nostri fini istituzionali.

Huancayo, 28 maggio 1990

Dr. José R.F. Camacho Ortega – DECANO

 

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Nel 1990, quasi alla fine del primo processo e alcuni giorni prima della fuga attraverso il già leggendario tunnel di Canto Grande, questo comunicato fu pubblicato simultaneamente su vari quotidiani di Lima, tra cui La República e l’Expreso. Vi appaiono le firme dei principali dirigenti delle più importanti organizzazioni sindacali e popolari del Perù.

Esso rappresenta il maggiore riconoscimento del fatto che l’azione guerrigliera dell’MRTA non fu mai scollegata dal suo popolo né gli fu indifferente. Potranno essere sollevate molte critiche contro di noi ma nessuno potrà accusarci di avere mai aggredito le organizzazioni popolari.

Oltre alle firme dei presidenti collegiati dell’Assemblea Nazionale Popolare (ANP), ci sono quelle della Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù (CGTP), della Confederazione Contadina del Perù  (CCP), della Confederazione Nazionale Agraria (CNA), della Confederazione Intersettoriale dei Lavoratori Statali  (CITE), del Sindacato Unico dei Lavoratori nell’Educazione del Perù  (SUTEP), delle Federazioni Nazionali: Minatori Metallurgici e Siderurgici, Grafici, Costruzione Civile, Luce e Forza, Acqua potabile, Municipali, Vetro, Carta, Impiegati Bancari, Laboratori; così come Federazioni Dipartimentali e Fronti di Difesa, tra gli altri.

E’ un orgogli per l’ MRTA che tra i firmatari ci sia Pedro Huilca Tecse, Segretario Generale della Federazione dei Lavoratori di Costruzione Civile del Perù e martire dei lavoratori peruviani.

 

PROCESSO A VÍCTOR POLAY CAMPOS

RIBELLIONE E NON TERRORISMO

 

Per la vita, per la pace, per la giustizia

I dirigenti delle organizzazioni corporative e popolari che sottoscrivono il presente pronunciamento rispetto al processo che si svolge nei tribunali di giustizia contro il dirigente politico Víctor Alfredo Polay Campos, considerano loro dovere rendere pubblica la seguente dichiarazione:

1. Il Perù subisce le conseguenze di una crescente scalata di violenza che colpisce la società nella sua interezza. Questa situazione non è recente, ha antecedenti storici molto antichi e le sue origini e cause stanno nell’esistenza di un sistema economico e sociale ingiusto che mette le forze democratiche e di liberazione contro gli interessi che sfruttano, dominano e soggiogano il popolo.

2. Negli ultimi anni, sotto il segno della profonda crisi che colpisce la società peruviana, la scalata di violenza – fondamentalmente esercitata dall’apparato statale – ha comportato la perdita di migliaia di vite di compatrioti, in gran maggioranza vittime innocenti, e ha lasciato una sequela di distruzione con incalcolabili perdite di beni e risorse materiali.

3. Il popolo peruviano è laborioso e desidera vivere in pace, ma si vede obbligato  a lottare instancabilmente per difendere i suoi diritti fondamentali quando questi vengono ingiustamente calpestati.

4. Le forme di lotta praticate dal popolo sono diverse; noi, come dirigenti di organizzazioni del campo popolare, optiamo per la lotta democratica all’interno delle masse e, per ciò stesso, rifiutiamo e combattiamo il terrorismo provocatore che molte volte colpisce le organizzazioni di classe, assassinando i suoi dirigenti.

5. L’attività politica di Víctor Polay Campos, dobbiamo riconoscerlo, non fa parte della pratica del terrorismo cieco e anarchico. Le sue formulazioni e le attività che ha realizzato, ampiamente registrate e diffuse dai mezzi di comunicazione nazionali e internazionali, lo presentano come lider di un’organizzazione politica insorgente che ha preso le armi per – secondo la loro scelta – cambiare  l’attuale sistema imperante.

6. Di conseguenza, Víctor Polay non è un delinquente comune. E’, a nostro giudizio, un dirigente politico che si è ribellato con le armi e, pertanto, il trattamento, il giudizio e la sentenza che può meritare devono inquadrarsi all’interno del delitto di ribellione, previsto dal Codice Penale. Questa è la responsabilità che compete ai magistrati che giudicano Polay Campos.

7. Vogliamo che sia chiaro che questo pronunciamento non debba essere considerato come una sottoscrizione o condivisione delle proposte ideologiche e della pratica dell’organizzazione politica di cui Polay è a capo e non deve compromettere gli affiliati che noi rappresentiamo. La nostra è una posizione di principio e orientata all’instaurazione della pace e della concordia nazionale in Perù, all’interno di un sistema nel quale imperi la giustizia sociale.

 

Lima, giugno 1990.

 

FIRME

 

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Dopo venti giorni di sciopero della fame, che feci insieme a quasi un  migliaio di prigionieri politici dell’MRTA e Sendero Luminoso, decisi di concedere, per la prima volta dalla mia cattura, un’intervista, per fare conoscere le nostre posizioni, che venivano travisate da alcuni settori antidemocratici ed intolleranti vicini alla dittatura fujimorista.

 

Polay, dieci anni dopo

 

Caretas, 7 marzo 2002

Intervista di Enrique Chávez

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Recluso nella cella che occupa nella Base Navale, Víctor Polay Campos, lider dell’MRTA, rompe il suo silenzio per la prima volta dalla cattura nel 1992.

 

Nelle ultime tre settimane Víctor Polay Campos avrà perduto circa dieci chili di peso. Al momento della chiusura della presente edizione continua lo sciopero della fame che il numero uno dell’MRTA sta facendo insieme agli altri cinque condannati per terrorismo nella Base Navale e a centinaia di prigionieri nel resto del Paese. Con il passare dei giorni il dimagrimento non sembra tradursi in segnale di debolezza.

Alcune settimane fa Caretas è riuscita a fare arrivare un questionario a Polay. A causa delle quasi inespugnabili condizioni di sicurezza, è dovuto arrivare compresso, come se si trattasse dei mezzi usati da uno scolaro copione. E Polay ha risposto, di suo pugno, dalla sua angusta cella. E’ il suo primo contato con la stampa dal momento della sua cattura, il 9 giugno 1992. Si tratta della singolare testimonianza del capo di uno dei violenti movimenti sovversivi che flagellarono il Perù nelle decadi del 1980 e 1990, del prigioniero che fu minacciato di essere fucilato, del responsabile di atti di terrorismo per le cui vittime non ha ancora parole di rimorso.

Non è la prima volta che si dichiara in sciopero della fame. Che cosa differenzia questo dai precedenti?

Il primo sciopero lo facemmo nella Base Navale – per 30 giorni – nel settembre e nell’ottobre del ’99, in piena auge di Fujimor-Montesinos, poi tornammo a farlo nel maggio del 2000 per tre settimane. Cercavamo di collegarci alle lotte del nostro popolo per la democrazia, il nostro messaggio era che anche nelle celle-tomba dove ci trovavamo isolati noi prigionieri dell’MRTA si poteva e si doveva resistere. Con il governo di Paniagua, che intraprese un processo di democratizzazione del Paese e di rispetto dei diritti dei prigionieri, considerammo sconveniente fare uno sciopero della fame. Oggi lo facciamo perché il ministro della Giustizia Fermando Olivera ha dimostrato un profondo disprezzo di fronte alla richiesta di dialogo e alle rivendicazioni dei prigionieri politici.

Quali sono stati i suoi momenti più difficili in prigione?

          L’undici giugno 1993 venne nella mia cella l’ammiraglio Antonio Ibárcena Amico, mi disse che c’era qualcuno che voleva parlarmi e mi raccomandò che ascoltassi con attenzione perché da quello dipendeva il mio futuro. Questo “qualcuno” risultò essere Vladimiro Montesinos che, in sintesi, mi informò che era stata decisa la mia fucilazione, che però poteva essere commutata se io avessi appoggiato il Governo di Ricostruzione. Essendomi negato a simile cedimento, si arrabbiò e mi gridò che la mia famiglia poteva già andare a comprarmi una bara all’impresa di pompe funebri “Merino”. Da quel giorno, fino alla metà del ’94, quando ricevetti la prima visita di mia madre, andavo a letto pensando che ogni mattina potevano venire a prendermi per portarmi davanti al plotone di esecuzione.

Come vi siete avvicinati ai membri di Sendero Luminoso per potere costituire un fronte unito in questo sciopero della fame? Quali sono i limiti di questa unione?

          Non esiste nessun fronte unito con Sendero Luminoso. Questo sciopero unisce 2.500 prigionieri politici che chiedono la deroga delle leggi anticostituzionali, nuovi processi, la restituzione dei benefici penitenziari e il rispetto delle sentenze della Corte Interamericana (per i Diritti Umani), tra gli altri. Inoltre i prigionieri dell’MRTA hanno una propria piattaforma in cui chiedono come primo punto il giudizio e la sanzione di Fujimori e Montesinos per i crimini commessi nella casa dell’ambasciatore giapponese.

Dieci anni fa definì Sendero Luminoso come la versione peruviana di Pol Pot. Pensa oggi che sia loro che voi siate lo stesso tipo di prigionieri?

Sono di conoscenza pubblica le enormi differenze ideologiche e politiche che ci sono con Sendero Luminoso (SL). Per esempio, durante la guerra molte volte abbiamo sofferto l’azione dogmatica e brutale che SL realizzò contro le organizzazioni popolari che non si sottomettevano ai suoi dettami. Durante la dittatura, a differenza di SL – che propose l’Accordo di Pace – l’MRTA rifiutò qualunque compromesso con il governo più corrotto e criminale della nostra storia e fu in prima linea nei combattimenti in città e in campagna. Nelle carceri la dittatura si accanì contro i prigionieri dell’MRTA e in particolare con quelli che si trovavano nella Base Navale. In questa lotta perdemmo lider popolari della dimensione di Néstor Cerpa Cartolini, compagni indimenticabili come Rolly Rojas e Tito. Nonostante queste differenze con SL, non può essere loro negata la condizione di prigionieri politici.

Lei giustificava la sovversione per la situazione sociale del Paese. Tornerebbe a farlo oggi?

          Pensiamo che la cosa più importante sia stata la lotta per la caduta della dittatura e l’inizio della democratizzazione con il governo di Paniagua. Tuttavia, guardiamo con preoccupazione alle marce e contromarce del governo di Toledo. Oggi l’obiettivo della lotta  è rendere più profondo questo processo di democratizzazione.

Da alcuni scritti recenti di Abimael Guzmán spicca una “uscita del ripiegamento”, prima di tipo politico. Lei ha pensato a qualche tipo di opzione simile per l’MRTA?

          Non conosco quegli scritti ma credo che nelle attuali circostanze si impongano come necessità fondamentali la re-articolazione e il rafforzamento del movimento popolare e il porre le basi per un’alternativa politica dell’insieme della sinistra peruviana.

          E’ vero che oggi lei non ha contatti con Peter Cárdenas, con cui ha preso le distanze?

          No. Quello che succede è che in una relazione di più di 20 anni esistono momenti di maggiore o minore avvicinamento. Per esempio, adesso, per iniziare lo sciopero, Miguel Rincón, Peter ed io abbiamo mandato una lettera a Toledo illustrandogli le nostre richieste e la nostra disposizione al dialogo. In questo siamo uniti.

L’MRTA ha sempre avuto più relazioni politiche di SL. Pensate di stabilire vincoli con le FARC?

La nostra visione è stata sempre molto ampia, all’insegna dell’America Latina come la “Patria Grande”. Oggi guardiamo con simpatia e aspettativa agli zapatisti del Messico, ai nostri fratelli delle antiche guerriglie di El Salvador, Guatemala, al movimento sociale e indigeno dell’Ecuador, ai Tupamaros, al Fronte Amplio dell’Uruguay, al PT di Lula e ai Senza Terra del Brasile, alle Assemblee Popolari dell’Argentina ecc. Guardiamo anche con preoccupazione al Piano Colombia che cerca la pace, ma quella dei cimiteri, di fronte all’insorgenza guerrigliera delle FARC e del ELN, che ha più di 40 anni.

L’MRTA passò inizialmente attraverso vari sismi. Lei conserva una lidership solida oggi?

          Non abbiamo mai avuto un sisma. Solo piccoli distacchi ma niente di trascendentale. Dalla mia cattura nel 1992 non ho avuto opportunità di relazionarmi né tanto meno di dialogare con i mie compagni delle diverse carceri né con quelli che sono liberi. Quello che posso dire è che nonostante le mie condizioni di detenzione inumane e le offerte per migliorarle, abbiamo saputo difendere i nostri principi e rispondere alla fiducia dei compagni che mi hanno eletto come loro Comandante Generale. Nessuno potrà dire che il capo dell’MRTA, nelle mani dei suoi avversari, è stato codardo o traditore.

Nel 1989 lei disse che “nessun industriale deve essere considerato una vittima”. E’ difficile non considerare questo come terrorismo.

Non ho mai detto questa frase, noi abbiamo sempre difeso l’industria e la produzione nazionale. Quello che abbiamo rifiutato sono stati gli impresari di carattere antinazionale e antipopolare.

Continua a negare la condizione terrorista del suo gruppo?

          Durante il conflitto interno abbiamo sempre cercato di rispettare i diritti umani e le leggi della guerra. Nemmeno il più acerrimo nemico dell’MRTA può accusarci di delitti di genocidio o di lesa umanità o di partecipazione alla guerra sporca. Autocriticamente, tuttavia, dobbiamo riconoscere di avere commesso errori, ma mai come una politica deliberata o sistematica.

          Si pente di avere ordinato assassinii e di avere contribuito alla spirale di violenza che si sviluppò nel nostro Paese?

          La violenza in Perù non l’ha iniziata l’MRTA. La nostra patria soffre una violenza sociale e una crisi strutturale dagli inizi della Repubblica, e una violenza politica periodica. In questo contesto l’MRTA ha agito come un’organizzazione armata che cercava una cambiamento sociale, tuttavia non abbiamo mai scartato il dialogo politico che avrebbe potuto evitare di portarci alla guerra civile. Così, per esempio, nel 1985, rispettosi della volontà popolare espressa nelle urne, dichiarammo una tregua unilaterale al governo di Alan García, perché potesse realizzare le sue promesse elettorali, che durò fino al massacro avvenuto nelle carceri. Anche a Fujimori proponemmo il dialogo per mezzo dei suoi congressisti nell’agosto del ’90 ma la proposta non ebbe seguito perché rispose che l’unico dialogo possibile era la resa.

E’ disposto a morire per fare ascoltare le sue richieste?

          Ci siamo sempre assunti le conseguenze dei nostri pensieri e delle nostre azioni.

 

DICHIARAZIONE ALLA COMMISSIONE

DELLA VERITA’ E RICONCILIAZIONE

 

(Emessa il 10 giugno 2003 sul canale 7 della TV)

 

Durante le riunioni con la Commissione della Verità e Riconciliazione (CVR) che abbiamo avuto come dirigenti dell’MRTA, il compagno Miguel Rincón ed io abbiamo esposto i nostri punti di vista sul conflitto armato interno che la nostra patria ha attraversato. Queste sessioni si sono effettuate con diversi commissari e in vari incontri ma con maggiore regolarità con il presidente della CVR, il Dr. Salomón Lerner, e con il commissario Dr. Carlos Iván Degregori, così come con il segretario esecutivo della CVR, Javier Ciurlizza.

Alcune volte hanno anche partecipato gli intellettuali Iván Hinojosa, Jaime Urrutia e Nelson Manrique.

Sin dal primo momento abbiamo esposto la necessità di una riunione con i nostri compagni delle altre carceri per discutere e prendere una posizione congiunta sul futuro dell’MRTA. Sfortunatamente ciò non ha potuto concretizzarsi perché non è stato accetto dal governo.

In queste condizioni ho deciso di assumere la responsabilità personale di fare una dichiarazione  individuale segnalando i motivi dell’insorgenza dell’MRTA, ho chiesto un giudizio e la libertà dei miei compagni,  ho espresso la necessità di reinserirci democraticamente nella vita politica del Paese, nei nuovi tempi che viviamo.


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Prima apparizione pubblica dopo 11 anni di prigione

 

Cari compatrioti e compatriote, grazie per avermi permesso di entrare nelle vostre case. Voglio ringraziare anche la CVR per avermi offerto l’opportunità di esporre alcune idee personali sulle origini dell’MRTA, sulla sua insorgenza armata e sulle sue prospettive.

Come molti peruviani, appartengo a una famiglia impegnata nella politica. Mio padre fu fondatore dell’APRA e passò più di undici anni in diverse carceri del Paese ed altrettanti perseguitato per le sue idee. Da molto presto ho sofferto i rigori della dittatura, a quei tempi quella del generale Manuel Odría.

Fu così che dedicai la mia vita alla causa del mio popolo. Frequentai la scuola elementare, media e superiore nel Callao e, quando la dittatura militare soffocò la vita democratica, partecipai alle lotte per difendere la democrazia nel Paese e per questo fui detenuto nel carcere di Lurigancho. Successivamente andai in Europa, dove studiai Sociologia e a Parigi mi laureai in Economia Politica.

Tornato in patria, partecipai alle grandi mobilizzazioni in corso contro la dittatura militare. Dobbiamo ricordare che in quegli anni la dittatura, praticamente rantolante, aveva messo in atto una serie di misure che diffondevano nella nostra patria fame e miseria. Assistevamo alla chiusura di fabbriche, a licenziamenti massivi e ad una violenza sempre maggiore contro il popolo peruviano. In quegli anni partecipai all’importante e bella esperienza della sinistra. Fui membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’Unità Democratica Popolare (UDP) e partecipai anche al Comitato Direttivo della Sinistra Unita presieduta da Alfonso Barrantes Lingán. Quegli anni importanti nella vita del Paese aiutarono a riconquistare la democrazia ma non riuscirono a risolvere i problemi che affliggevano le grandi maggioranze. La giovane democrazia fu incapace di risolverli. Nell’anno 1980, peruviani provenienti dal Partito Socialista e dal Movimento di Sinistra Rivoluzionaria (MIR) fondammo l’MRTA e nel 1984 decidemmo di intraprendere la lotta armata, considerando che le circostanze ci imponevano di fare politica con le armi.

Guardavamo con molta preoccupazione al fatto che dopo quattro anni di conflitto interno i contendenti non offrivano nessuna alternativa al Paese. Il Paese e le masse popolari subivano le conseguenze della violenza politica, in cui non si rispettavano i diritti umani né le leggi di guerra e dove, al contrario, si esprimeva un profondo disprezzo per la vita umana e le organizzazioni popolari che non si sottomettevano venivano trattate brutalmente. Per questo, quando sorse l‘MRTA, cercammo di dargli un contenuto guerrigliero che permettesse di differenziare, di fronte alla popolazione, quella che era un’alternativa rivoluzionaria. Bisogna ricordare che in quegli anni si viveva in America Latina l’euforia del trionfo sandinista in Nicaragua, delle lotte in Salvador, in Guatemala, in Colombia, della vittoria dei movimenti di liberazione nazionale in Asia e Africa, che sembravano dirci che la guerra rivoluzionaria era la strada per risolvere i problemi delle grandi maggioranze.

Quando iniziammo con l’insurrezione armata nel 1984, rivendicammo e spiegammo alla popolazione ogni azione che realizzammo; in campagna le nostre colonne guerrigliere vestivano uniformi e avevano gradi riconoscibili, per evitare che la popolazione civile  subisse le conseguenze dello scontro. Nonostante avessimo scelto la via della lotta guerrigliera, non scartammo mai la possibilità di dialogo e della comprensione per risolvere i problemi che tormentavano la nostra patria.

Così, il 15 agosto 1985 demmo una conferenza stampa a nome dell’MRTA nella quale  dichiarammo una tregua unilaterale al governo del dottor Alan García Pérez, perché consideravamo che il trionfo dell’APRA fosse il prodotto della volontà del popolo e noi volevamo essere rispettosi della volontà popolare che si era espressa nelle urne. Allo stesso modo nel 1990, attraverso un congressista che era rappresentante dell’azione  parlamentare del governo, facemmo arrivare un messaggio al presidente Fujimori dove proponevamo l’inizio di un dialogo che permettesse di risolvere, attraverso la strada della comprensione, il conflitto interno che vivevamo e per evitare di continuare a spargere sangue nella nostra patria. Tuttavia, Fujimori, con la concezione autoritaria che lo caratterizzò, ci rispose semplicemente che l’unico dialogo possibile era la resa e nel 1992, quando fece l’autogolpe, l’MRTA portò avanti una lotta antidittatoriale che potesse permettere di riconquistare la democrazia. Durante tutti gli anni della dittatura fujimonetsinista l’MRTA continuò la lotta, con molti costi e molto sforzi e con la caduta di compagni molto valorosi. Qui, nella Base Navale del Callao, l’undici giugno 1993 venne a trovarmi Vladimiro Montesinos insieme all’ammiraglio Américo Ibárcena Amico, chiedendomi di pronunciarmi in appoggio al governo di Ricostruzione Nazionale, altrimenti sarei stato fucilato. Essendomi rifiutato, Montesinos mi disse che la mia famiglia avrebbe già potuto comprarmi una bara all’impresa di pompe funebri “Merino”. Negli anni successivi le pressioni continuarono, con offerte di miglioramento della nostra condizione carceraria a condizione che facessimo dichiarazioni pubbliche contro il dottor Alan García Pérez o l’ambasciatore Javier Pérez de Cuellar.

Per questo fummo sottoposti a condizioni carcerarie inumane. Noi membri dell’MRTA eravamo isolati e non potevamo avere contatti reciproci. Potevamo solo parlare con i nostri familiari una volta al mese per trenta minuti in presenza di un comandate. Ciò significa che i membri dell’MRTA nella Base Navale, in un anno, potevano parlare  solo per sei ore, il resto del tempo era silenzio. Nel 1999, quando ci rendemmo conto che i giovani, la riserva morale del Perù, si stavano mobilizzando per le strade contro i soprusi che la dittatura stava mettendo in atto nei confronti del Tribunale Costituzionale e contro la rielezione, noi dell’MRTA facemmo qui uno sciopero della fame di 30 giorni perché ritenevamo che anche dentro le viscere della dittatura fosse possibile resistere. In questa lotta considerammo che fossero in gioco l’onore e la dignità del nostro popolo e dell’MRTA e per questo non ammettemmo, in nessun modo, nessuna concessione alla dittatura fujimontesinista, una delle dittature più corrotte e criminali della nostra patria.

In questi anni così intensi vissuti dall’MRTA demmo il meglio di noi, ci offrimmo completamente e con l’autorevolezza che da ciò deriva vogliamo dirvi che quelli che soffrirono, patirono il dolore e furono anche vittime. Dovettero avere vittime. Voglio dirvi che mi dispiace molto e vi esprimo le mie condoglianze. Esprimo le mie condoglianze ai familiari e agli amici dei miei compagni caduti, come anche ai familiari e agli amici dei caduti, di quelli che in qualche momento furono i miei avversari.

So che ora continuano a permanere le cause o molte delle cause che diedero origine all’insorgenza armata ma so anche che il Perù e il mondo sono cambiati e che è possibile cercare nuove vie, nuovi cammini, attraverso cui possiamo risolvere i problemi che affliggono la nostra patria.

Nelle ultime elezioni il popolo ha votato per la democrazia, ha votato contro la dittatura, contro la corruzione, contro l’impunità. Penso che il compito attuale, la responsabilità di ogni peruviano cosciente, sia difendere questa democrazia che è costata tanto alla nostra patria. E difenderla consiste nel renderla più profonda, svilupparla ed estenderla, permettere finalmente che la società civile giochi un ruolo fondamentale, da protagonista, e che le organizzazioni sindacali e popolari, i movimenti delle donne, dei giovani ecc. si rafforzino, siano la garanzia di questo cambiamento democratico della nostra patria. Su questo scommettiamo, in questo crediamo. Da quando ero molto piccolo, da mio padre, da mia madre e dal mio popolo ho imparato ad assumermi le mie responsabilità. Non posso dire di essere stato solamente un ideologo dell’MRTA, sono stato anche il suo capo politico e militare e sono disposto ad assumermi le mie responsabilità, chiedo solamente un giudizio giusto.

Però voglio appellarmi alla grandezza della mia patria, voglio ricordare i cileni salvati dalle acque nella guerra del Pacifico che gridavano “Viva il Perù generoso!”. Voglio appellarmi a quella grandezza e a quella generosità per chiedere la libertà dei miei compagni. La maggior parte di loro sono giovani che hanno dato tutto per un ideale di  giustizia e che si ritrovano in media con dieci-quindici anni di prigione. Credo che debbano avere l’opportunità di ritornare a reinserirsi nella vita del Paese, a tornare nel seno del loro popolo e delle loro famiglie. E sono sicuro che con la stessa forza, con la stessa volontà, con la stessa convinzione con cui insorsero e insorgemmo prendendo le armi, scommetteranno adesso per affermare il cammino democratico che permetta di costruire un Perù nuovo in un mondo nuovo.

 

Molte grazie

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Víctor Polay a 52 anni

 

Nonostante la caduta della dittatura e il cambiamento del regime di detenzione, l’isolamento nei confronti del mondo esterno continuò. Ancora oggi siamo autorizzati a ricevere visite solo dai nostri familiari diretti, nel mio caso, di mia madre e delle mie sorelle, in un parlatorio.

In queste condizioni ho rilasciato un’intervista che il quotidiano Perù 21 mi richiedeva insistentemente, perché ho ritenuto che, come dirigente di un’organizzazione politica, pur non avendo contatti con i miei compagni (in questo momento da più di 11 anni), avevo l’obbligo di contribuire al dibattito politico nel Paese, facendo conoscere le mie riflessioni sulla congiuntura, le prospettive dell’MRTA e la costruzione di un’alternativa del popolo.

 

 

“Montesinos ci offrì benefici per appoggiare la dittatura”

Dalla Base Navale del Callao

Perù 21, Lima, 15 settembre 2003

Víctor Calderón Chávez

 

E’ stato un lavoro di più di quattro mesi per convincere non una ma diverse persone, di vai e vieni per portare e prendere ad una ad una le domande e le riposte. Queste ci sono state fornite per iscritto. Avvisiamo il lettore che non abbiamo avuto la possibilità di fare ulteriori domande o di ribattere al capo del gruppo terrorista MRTA.

Perché ha deciso di impugnare le armi?

Noi dirigenti riflettiamo lo spirito dell’epoca e abbiamo attuato in accordo alle condizioni che ci è toccato di vivere. Durante gli anni ’60, ’70 e ‘80 l’America Latina e molti Paesi del Terzo Mondo misero in atto la lotta guerrigliera come metodo per ottenere la democrazia e la liberazione. Io, per esempio, nel ’75 e nel ’76, ho militato nell’ERP argentino, nel progetto della Giunta di Coordinazione Rivoluzionaria (JCR) che comprendeva  anche il MIR cileno, il MLN Tupamaros uruguaiano e il ELN boliviano.

Successivamente ho vissuto da vicino le esperienze centroamericana e colombiana e, qui in Perù, ho guidato l’insorgenza guerrigliera dell’MRTA. E’ per questo che conosco le potenzialità e i limiti della lotta armata. Questo lo ho appreso nella lotta stessa e non solamente nei libri. Oggi sono cosciente che ci sono stati  cambiamenti sostanziali in Perù e nel mondo e sono convinto che il compito attuale sia quello di affermare e difendere la transizione democratica che si è aperta nella nostra patria.

Che cosa vi unisce e che cosa vi separa da Sendero?

Noi abbiamo seguito con attenzione l’emergere di Sendero ma presto ci siamo resi conto che il suo progetto totalitario e il suo disprezzo per le organizzazioni popolari e la vita umana non erano il nostro cammino. L’MRTA è parte della corrente latinoamericana che, con l’esempio del trionfo della Rivoluzione Cubana, il Che, e recuperando i migliori valori nazionalistici, ha portato avanti la lotta guerrigliera in tutto il continente. Oggi, tranne che in Colombia, tutte queste organizzazioni stanno lottando con gli stessi ideali di giustizia sociale dentro i binari della democrazia poiché nei nostri Paesi le feroci dittature di allora appartengono ormai al passato.

Perché si è allontanato dall’APRA?

Insieme ad Alan García e a Carlos Roca formavamo il Buró de Conjunciones, che lavorava quotidianamente e direttamente con Haya de la Torre. Tuttavia ho sempre

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guardato con simpatia all’APRA Ribelle e poi al MIR di Luis de la Puente Uceda. Molti giovani apristi eravamo molto critici rispetto alla convivenza apro-pradista e alla coalizione Apra-Odría. Vedevamo queste incoerenze e queste alleanze contro natura come un prodotto delle debolezze ideologiche e politiche dovute all’assenza di una strategia di potere. Quando sono stato detenuto a Lurigancho, nel ’72, per avere combattuto la dittatura, ho finito di avvicinarmi alla sinistra e, successivamente, nel ’73 in Europa, mi sono incorporato al MIR.

          Com’è la relazione tra l’MRTA e Sendero in carcere?

Con il regolamento del governo Toledo ha avuto fine l’isolamento al quale noi del MRTA eravamo sottoposti nella Base Navale e abbiamo avuto la possibilità di incontrarci tutti. Con i membri di SL manteniamo relazioni normali.

          Non crede che la riconciliazione sia quasi impossibile per adesso?

Sono d’accordo con lei. Tuttavia, pensi che la migliore riconciliazione per tutti i peruviani avverrà quando la democrazia che si è conquistata diverrà più profonda e si svilupperà come democrazia politica, economica e sociale, come democrazia partecipativa. Non dimentichiamo che l’autoritarismo e la corruzione complottano per farla fallire.

          Chi detiene e dove sono conservati i milioni presi dall’MRTA?

Che io sappia, non sono conservati da nessuna parte. Durante la nostra lotta guerrigliera siamo stati sempre in deficit costante. I bisogni erano maggiori delle risorse. Per questo molte volte, non avendo a disposizione i mezzi che sono necessari in un conflitto armato, abbiamo dovuto pagare queste carenze con il nostro sangue.

          Da quando conosce Alan García e come sono le sue relazioni con lui?

Ci siamo conosciuti nella decade del ’60, nell’APRA. Poi, a Madrid, nel ’72, abbiamo diviso un appartamento e a metà del ’73 siamo andati a lavorare a Ginevra. Successivamente lui è ritornato in Spagna ed io sono andato in Francia. L’ultima volta che ci siamo visti è stato nel ’76, a Parigi, nella casa del poeta Armando Rojas. La nostra relazione è stata abbastanza fraterna e rispettosa.

          Cosa pensa del governo del suo ex compagno Alan García?

          Nell’APRA ci consideravamo il partito della grande trasformazione. Credo che questo sia il debito che il governo di Alan García abbia con il Paese. Tuttavia bisogna riconoscere che ha dovuto affrontare un conflitto interno che non lo ha messo nelle migliori condizioni e che ci sono stati alcuni impresari che hanno rifiutato di reinvestire quello che avevano guadagnato nei primi anni, grazie alle facilitazioni che gli aveva dato.

          Cosa pensa di Agustín Mantilla?

          Su di lui pensano accuse che devono essere acclarate.

          I partiti hanno delle responsabilità rispetto agli anni della violenza?

Tutti i dirigenti abbiamo una responsabilità politica per i fatti avvenuti durante il conflitto interno; è compito del Potere Giudiziario definire se siano esistite responsabilità penali.

          Ha avuto qualche relazione con il congressista Jorge del Castillo?

Non lo conoscevo personalmente. All’inizio avevo l’impressione che fosse un semplice segretario di Alan García ma, a quanto pare, durante gli anni della dittatura, ha ottenuto uno spazio proprio e adesso è innegabile la sua statura di dirigente nazionale dell’APRA.

          E’ vero che l’APRA ha facilitato la sua fuga con altri 48 emmerretisti?

E’ un pettegolezzo di estremo cattivo gusto. Il tunnel è stato il prodotto di un lavoro paziente di più di tre anni. Non abbiamo fatto altro che continuare con la tradizione di laboriosità e ingegno che il nostro popolo vanta nella sua storia. Il tunnel di Canto Grande e la presa di Juanjuí sono stati i colpi più duri che  il governo di Alan García abbia ricevuto. Devo anche riconoscere che durante il suo mandato, a Los Molinos, abbiamo  dovuto sopportare il colpo più terribile della nostra lotta guerrigliera. Dopo la  fine della tregua unilaterale che concedemmo ad Alan García nel suo primo anno da presidente, lo scontro dell’MRTA col suo governo fu totale.

          E’ vero che quando la catturarono a Huancayo stava andando a una riunione con liders dell’APRA, che successivamente vennero accusati di averla tradita?

          La mia cattura a Huancayo fu colpa mia e della mia fretta. Feci un viaggio intempestivo, senza informazioni precise e senza la protezione e la compagnia adeguate.

          Che opinione ha del presidente Alejandro Toledo?

Non conosco personalmente il Dott. Toledo. So che durante l’occupazione della  residenza dell’ambasciatore giapponese, l’MRTA lo liberò perché non aveva legami con la dittatura. Successivamente, durante la sua campagna del 2000, i giornali-spazzatura lo accusarono di essere amico dell’MRTA. Con lui condividevamo la scommessa per la lotta contro Fujimori, la corruzione e l’impunità. Nonostante ciò, osserviamo con preoccupazione che i problemi che affliggono il nostro popolo persistono senza risolversi.

          Non crede che la democrazia sia la migliore alternativa?

La mia opinione personale è che sia arrivato il momento in cui l’MRTA si dovrebbe reinserire attivamente nella lotta politica, dentro i binari della democrazia. Ciò potrebbe realizzarsi come è stato per le antiche guerriglie del Salvador e del Guatemala, o attraverso un’alleanza di partiti, come nel caso dei Tupamaros e del 26 de marzo, nel Frente Amplio dell’Uruguay. Si potrebbe anche partecipare alla formazione di un nuovo partito, come nel caso dei guerriglieri brasiliani degli anni ’60 e ’70 che conversero nel PT di Lula, o dei boliviani nel MAS. C’è anche l’importante esperienza del M-19 in Colombia, ma per plasmare questa idea è fondamentale contemplare un’ assoluzione politica per i detenuti dell’MRTA.

          Che messaggio darebbe allora al suo esercito?

Io direi ai mie compagni quello che disse Francesco I dopo la sconfitta di Pavia: “Tout est perdu, fors l’honneur” (Tutto è perduto, tranne l’onore). Per entrare nella vita guerrigliera  abbiamo abbandonato tutto e poi abbiamo dato il meglio di noi nella lotta contro la dittatura. Tuttavia siamo stati sconfitti. Oggi dobbiamo continuare la nostra lotta attraverso le vie democratiche che il nostro popolo ha conquistato.

Cosa si aspetta dalla giustizia?

Per me un giudizio giusto, in cui si rispetti il dovuto processo, perché io mi assumerò le mie responsabilità come massimo dirigente dell’MRTA. Per i miei compagni, la maggior parte dei quali giovani che si trovano in prigione già da 12 anni in media, spero in  una soluzione politica, che permetta loro di tornare nel seno del loro popolo e delle loro famiglie, nella prospettiva di una riconciliazione senza esclusioni.

          Si  pente delle morti di innocenti che avete causato?

Hemingway, nel suo famoso romanzo sulla guerra civile spagnola, scrive: “Non chiedere per chi suona la campana. Suona anche per te”. Ed è vero, ogni morte è una morte in piccolo dell’umanità e un piccolo fallimento della vita. Non c’è niente che abbia più valore della vita umana, al di là di chi sia il morto. Mi dispiace molto per le perdite irreparabili che ha prodotto la guerra interna. Nei miei 13 anni di prigione sono state le cose che più mi hanno fatto vergognare. Nonostante ciò, voglio ricordarle che, per quanto riguarda l’MRTA, il 99% delle morti prodotte nelle sue azioni furono dovute a scontri con le Forze Armate e di Polizia.

          Che cosa significò per voi l’occupazione della residenza dell’ambasciatore giapponese e la liberazione degli ostaggi?

Ho sofferto molto per la morte dei miei compagni, alcuni indimenticabili come Néstor, Tito e Rolly. Ho potuto comprendere profondamente l’insegnamento di Gesù nel Vangelo di San Giovanni, dove dice:”L’amore più grande è dare la vita per i propri amici”. Certo, ho anche capito che la dittatura non era disposta a nessun dialogo e che solo la lotta e la forza delle masse avrebbero potuto abbatterla. Quella notte, nonostante la tristezza, Lucero Cumpa (l’unica donna prigioniera in Perù che sia stata in isolamento lunghi anni) fece un’arringa contro la dittatura e Peter ed io la accompagnammo in quel piccolo omaggio ai tupacamaristas caduti.

          Com’è la sua relazione con Vladimiro Montesinos?

All’inizio Montesinos si trovava in una cella comune, alla quale tutti avevamo accesso, ma sarebbe stato un atto di codardia insultarlo o aggredirlo. Sin da piccolo mi hanno insegnato che non si prende a calci un rivale quando è a terra. Era già una punizione sufficiente essere prigioniero nel carcere che aveva fatto costruire e che aveva diretto, dove aveva voluto seppellire vivi noi prigionieri dell’MRTA perché non ci piegavamo alle sue minacce, doni e offerte di miglioramenti delle condizioni carcerarie perché appoggiassimo la dittatura. Montesinos in questi primi giorni rimase zitto. Successivamente lo separarono, portandolo in una zona del carcere dove non possiamo vederlo. Non ho avuto mai alcuna relazione con lui.

          Come definirebbe il governo di Alberto Fujimori?

Bisogna riconoscere che fu un governo molto moderno, nel senso che ci fece vivere in una realtà virtuale. Una cosa era quella che diceva e altra quella che faceva. Credo che sia stato uno dei governi più corrotti e criminali della nostra storia repubblicana ma dobbiamo riconoscere che questo mostro fu un prodotto fatto in Perù. Fu possibile perché, in un modo o in un altro, abbiamo contribuito alla sua esistenza.

          Quanto uomini dirigeva? Ne sono rimasti?

Calcolo che durante il conflitto interno, considerando la nostra forza militare, miliziana, di autodifesa, di masse (sindacali, di quartiere, giovanile, contadina ecc.) con diversi livelli di integrazione e relazione, avremo organizzato circa 10.000 persone. Tuttavia la cosa più importante fu l’influenza politica, che era molto maggiore, giacché ha lasciato un’impronta nella storia della nostra patria. Penso che molti di loro mantengano gli ideali di giustizia sociale. Adesso, in questa nuova tappa, quegli ideali devono essere canalizzati in un nuovo raggruppamento e nella ricostruzione della sinistra peruviana. Guardo con simpatia agli sforzi che realizzano i compagni del Frente  Popular, del PDD, MNI, PDS e del Partido Humanista  di Yeude Simon.

          Quante donne ha avuto nei suoi anni di clandestinità?

Nella vita guerrigliera è molto difficile avere una normale relazione di coppia e ancor meno di famiglia. I compagni molte volte  muoiono o vengono arrestati. La dinamica dello scontro pone come priorità la necessità della lotta. Tuttavia, in mezzo alla voragine e alla pressione in cui si vive, c’è sempre un posto per l’amicizia, il conforto e l’amore.

          E’ felice della vita che ha fatto?

Da un punto di vista personale, senza alcun dubbio avrei potuto essere più felice e avrei potuto fare più felici mia moglie e i miei figli. Solo chi ama la sua famiglia può comprendere quanto sia doloroso vivere senza di lei. Io, per esempio, da più di 11 anni, da quando sono detenuto nella Base Navale, non posso vedere i miei familiari perché si trovano all’estero come rifugiati politici.

          Però tornerebbe a rifare quella vita?

Le do la risposta che diede Fidel Castro quando gli domandarono se avrebbe fatto un’altra volta il Moncada e lo sbarco del Granma: “E’ pazzo?”. Nell’MRTA non c’è ancora un bilancio collettivo sui motivi della nostra sconfitta, tuttavia non possiamo vivere incatenati al passato. Le cose avvennero come sappiamo e lottammo con le idee e con i mezzi che avevamo. Adesso abbiamo l’obbligo di guardare al futuro nelle nuove condizioni in cui ci troviamo e con l’esperienza che abbiamo fatto.

          Perché adesso crede nella via della democrazia?

Penso, come Basadre, che il Perù continui ad essere un problema e una possibilità. Non dimentichiamo che il conflitto interno che abbiamo vissuto, con tutti i suoi costi e i suoi orrori, fu possibile, al di là delle idee in gioco, perché esistevano condizioni economiche, politiche, sociali e morali che lo permettevano. Oggi, in maggiore o minore misura, queste condizioni si mantengono e la sfida sta nel cercare di superarle attraverso mezzi democratici per costruire un Perù per tutti. Un Perù con opportunità per tutti i suoi figli, dove gli uomini, le donne, i giovani, abbiamo la possibilità di lavorare, generare ricchezza, studiare, partecipare a tutti gli ambiti della vita, coltivando così il loro destino. Solo così diventerà realtà la promessa della vita peruviana.

 

Il generale Eduardo Fournier Coronado è l’unico generale che abbia dato all’Esercito l’arma dell’Intelligence. Lavorò per diversi anni nel SIN (Servizio di Intelligence Nazionale) come incaricato dei temi “anti-terroristici” relativi all’MRTA. Nel 1991 venne stampato dall’Esercito Peruviano il suo libro Conociendo al MRTA para vencerlo[1]*, che servì da manuale per le Forze Armate. Secondo l’autore, “la sua lettura diede buoni risultati per vincerlo” (nella lotta contro la nostra organizzazione guerrigliera). Riportiamo alcuni estratti del capitolo “Differenze tra l’MRTA e il PCP-SL” che, al di là del suo schematismo, è un riferimento importante che rappresenta l’opinione delle Forze Armate, uno dei protagonisti del conflitto interno. Il generale Fournier attualmente è segretario di organizzazione del partito fujimorista.

 

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Fac-simile della copertina del libro del generale Eduardo Fournier

 


Conoscendo l’MRTA per vincerlo

Differenze tra MRTA e SL-PCP

 

 

MRTA

 

 

PCP-SL

- Il suo simbolo è la bandiera peruviana con l’immagine di Túpac Amaru, un fucile e una mazza a forma di “V” con le sigle dell’MRTA al centro della striscia bianca - Il suo simbolo è una bandiera rossa con la falce e il martello di colore giallo nella parte superiore destra
- Si definisce come un MOVIMENTO all’interno del contesto rivoluzionario latinoamericano e mondiale - Si definisce come il vero partito comunista nel mondo, considerando gli altri come revisionisti
- Ritiene che alla rivoluzione possano partecipare varie organizzazioni sotto una “Direzione Strategica Unica” - Il partito SL è l’unico conduttore della guerra popolare
- Non distrugge nessuna organizzazione sociale, politica o culturale esistente, le unisce, cercando la loro partecipazione rivoluzionaria - Cerca di distruggere tutte le organizzazioni esistenti, propiziandone altre affini per contribuire al “NUOVO POTERE”
- Ammette nel MOVIMENTO altri gruppi affini della sinistra, cercando alleanze politiche - Non accetta alleanze con altri gruppi di sinistra, considerandoli revisionisti
- Propizia azioni per essere trattati secondo la Convenzione di Ginevra e Diritti Umani - Non rispetta nessun trattato né legge
- Non uccide autorità politiche, dirigenti sindacali, studenti o contadini senza un motivo apparente giustificato - Uccide autorità politiche, dirigenti sindacali, studenteschi, contadini e tutti quelli che considerano un ostacolo allo sviluppo della loro guerra popolare
- Realizza “Distribuzioni popolari” per ottenere l’appoggio della popolazione emarginata - Realizza saccheggi e assalti di cui abbia beneficio il Partito, non il popolo
- Appoggia i reclami delle masse mediante i FEDIP’s ed altri organismi - Non appoggia nessun reclamo lavorativo delle masse
- Utilizza la via violenta e non violenta per prendere il potere - Generalmente utilizza la via violenta
- Le sue colonne guerrigliere agiscono in uniforme - Le sue colonne guerrigliere non usano uniforme
- Rivendica le sue azioni - Non rivendica, confonde l’opinione pubblica
- Appoggia la CGTP nei suoi scioperi nazionali e/o regionali e alcuni FEDIP’s - Ha come modalità di lotta politica gli scioperi armati
- Rispetta la fede religiosa di ognuno dei suoi integranti - Non ha alcuna fede religiosa, uccide i religiosi
- L’azione sovversiva è simile a quella di altri movimenti americani: M-19 colombiano; FSNL nicaraguense; Alfaro Vive ecuadoriano; Tupamaros uruguaiano; Manuel Rodriguez cileno.

 

- La sua azione sovversiva è unica in America, non ci sono similitudini con altri gruppi sovversivi
- Le sue azioni criminali non oltrepassano il limite del “demenziale” - Le sue azioni criminali sono caratterizzate da un’eccessiva crudeltà
- Nei loro attentati terroristici tengono in  considerazione l’essere umano, cercando di non causare morti tra la popolazione civile - Nei loro attentati terroristici non prendono in considerazione nessuna condizione dell’essere umano, possono usare e/assassinare uomini, donne e bambini
- Considera come figure centrali del Movimento: Túpac Amaru, Micaela Bastidas, José Carlos Mariátegui, Luis de la Puente Uceda ed Ernesto “Che” Guevara - Evoca le figure di Mao e José Carlos Mariátegui
- Non segnala nessun DT[1] come lider unico, la sua Direzione Nazionale è collegiale - Segnala il DT Abimael Guzmún come Presidente Gonzalo e lider unico del Partito
Le principali differenze sopra menzionate corrispondono ad aspetti noti di entrambi i gruppi, ma ne esistono altri sconosciuti, per cui Víctor Polay Campos sostiene che SL e l’MRTA non si assomiglino in niente ma, al contrario, si differenzino in tutto

 

 

Generale EP Eduardo Fournier Coronado (Arequipa 1948)

Uscì dalla Scuola Militare di Chorrillos nel gennaio del 1968. Prestò servizio in tutte le regioni militari dell’Esecito per 38 anni, 15 dei quali li dedicò allo studio, analisi e lotta antisovversiva in Perù. Diplomato nei corsi di Intelligence Basica, Superiore e Corso Regolare di Comandi, Scuola Superiore di Ginevra e in Intelligence Strategica per la Difesa Nazionale. Fu istruttore nella Scuola di Comandi dell’Esercito per 7 anni. E’ autore delle seguenti opere: “Conoscendo l’MRTA per vincerlo”, “Perù…13 anni di obbrobrio”, “Vademecum per l’arma dell’intelligenza”, “Twinza con zeta, tutta la verità” e “Feliciano, un senderista rosso”. E’ stato decorato con la Medaglia Accademica dell’Esercito ed ha ricevuto i gradi di:”Al merito”, “Distinto” e “d’Onore”. E’ il primo ed unico Ufficiale Generale dell’Arma di Intelligence dell’Esercito del Perù.

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Durante le udienze

 

Punto di vista della prestigiosa rivista Caretas, la più importante del Perù da più di 50 anni, sul processo contro i membri della Direzione Nazionale dell’MRTA.

 

“Il caso diverso dell’MRTA”

Caretas, 9 dicembre 2004

          C’è stato un aperto atteggiamento di collaborazione con il tribunale, abbozzato con chiarezza in una lettera di Víctor Polay, letta dal tribunale, nella quale traccia le distanze rispetto a Sendero Luminoso e al suo lider; si assume la responsabilità per quanto è avvenuto, chiede perdono alle vittime per i danni causati e sollecita un giudizio giusto.

Con ciò, in buona sostanza, Polay reitera l’annuncio fatto nel giugno del 2003, quando emise una dichiarazione di addio alle armi, divulgata in una sessione pubblica della CVR. Nello stesso senso si pronunciarono altri dirigenti dell’MRTA, come Albero Gálvez Olachea e Peter Cárdenas Schulte, che dichiararono il loro rifiuto dei metodi violenti impiegati dalla loro organizzazione (Caretas 1776). L’annuncio avrebbe avuto un’enorme risonanza in qualunque luogo, ma la forte campagna allarmistica realizzata alcune settimane prima della consegna della Relazione Finale della CVR impedì un’ulteriore discussione sull’annuncio che poneva fine alle attività dell’MRTA, al contrario di quanto era avvenuto in occasione dell’accordo di pace senderista.

 

          Importanti differenze

Sebbene per lo Stato peruviano Sendero Luminoso e MRTA siano ugualmente terroristi davanti alla legge, le differenze tra le due organizzazioni sono marcate e devono essere poste in risalto se si vuole comprendere in maniera corretta ciò che è avvenuto. Non si tratta certo di sminuire le gravi responsabilità dell’MRTA, come suggeriscono alcuni settori interessati, ma di considerare le reali dimensioni Sendero Luminoso e il suo demenziale uso della violenza e del terrore contro tutti i settori del Paese, seguito da una delle claudicazioni politiche più svergognate che si siano registrate nel mondo in movimenti di questo tipo.

Facendolo, si vedrà che Sendero impiegò forme di violenza su grande scala senza preoccuparsi mai di ridurre l’impatto sulla popolazione civile. Non utilizzò uniformi o distintivi propri o accampamenti guerriglieri al di fuori dei centri abitati per proteggere i civili. Tutto al contrario: i maoisti creoli compromisero direttamente la popolazione civile, cercando di attrarre la repressione su di essa. Ricorsero ad attentati terroristici ed agli “annichilamenti selettivi” che portarono il lutto in migliaia di famiglie peruviane.

In questo panorama il suo lider massimo non combatté mai, ma ordinò e festeggiò i crimini commessi, come si può apprezzare nelle audio-cassette registrate durante le riunioni della sua organizzazione. E così, dirigendo la sua febbrile guerra popolare come se stesse giocando a nintendo (la frase è del suo ex compagno “Feliciano”), non accettò mai  nessuna delle numerose proposte di pace o dialogo che gli vennero fatte.

Una volta catturato, tuttavia, passarono solo tre settimane, durante le quali venne recluso in un’abitazione di ufficiali dell’isola di San Lorenzo, prima che Guzmán proponesse dialoghi di pace allo stesso governante “lacchè dell’imperialismo” che le sue truppe combattevano fieramente. Così, la peculiare diplomazia gonzalista servì ad evitare le rigide condizioni di reclusione subite dai detenuti dell’MRTA nella Base Navale. Ed ancora, permise che il lider dei senderisti permanesse in prigione con la sua compagna Elena Iparraguirre.

L’MRTA, da parte sua, diede inizio alle sue azioni armate cercando di ripercorrere il cammino seguito da altri movimenti dello stesso tipo in America Latina, venti anni dopo l’ondata cubana, e contro governi democratici. Così Polay, il “Comandante Rolando”, volle essere Fidel Castro ma senza avere di fronte Batista (Caretas 1114), per cui la sua affermazione di capeggiare un movimento sedizioso garantito dalla Costituzione è infondata.

Ciò che è vero è che l’MRTA cercò di diventare il braccio armato dei settori più radicali della Izquierda Unida[*], il fronte di sinistra degli anni Ottanta, a differenza di Sendero che cercò di capeggiare una delirante rivoluzione mondiale dalla campagna ayacuchana[†]. L’MRTA, al contrario, guidò le sue azioni secondo il libretto guerrigliero classico: attaccare i gruppi più ricchi della popolazione per finanziare un apparato militare, cercando di procurare il minor numero possibile di vittime. Così, all’inizio assaltarono banche senza sparare ai poliziotti che gli sparavano contro, procurando i loro primi “martiri”, e non commisero assassinii a sangue freddo fino all’attacco contro il generale López Albújar nel gennaio 1990, come rappresaglia per la strage di Molinos (Junín). Da allora in poi si sarebbero registrati altri crimini repellenti come quello dell’impresario David Ballón Vera, dopo un lungo sequestro.

I ripudiabili sequestri e le estorsioni ad impresari furono il tipo di crimine più diffuso che perpetrarono, adottando una forma molto comune di finanziamento per organizzazioni di questo tipo in America latina, soprattutto dopo il celebre sequestro dei fratelli Born, proprietari di Bunge e Born, in Argentina nel 1974, che fruttò ai montoneros 60 milioni di dollari.

D’altra parte, nel corso degli anni, entrarono in una competizione macabra con Sendero, realizzando attentati con esplosivi che, sebbene non siano arrivati alla follia delle auto-bombe senderiste, causarono enormi perdite materiali. Così andarono perdendo gradualmente l’immagine di guerriglieri per quella di terroristi che conservarono almeno fino al 1991, quando una delle canzoni  più popolari dell’epoca, “Las torres”, composta da Alfredo Sillau dei No sé quién e dei No sé cuántos  faceva ballare i peruviani, ripetendo “un terrorista, due terroristi/un guerrigliero emerretista/…”.

La relazione finale della Commissione della Verità e Riconciliazione attribuisce al MRTA soltanto l’1,8% delle  morti del conflitto. Perché allora tanta animosità nel considerarli responsabili del terrore? Salomón Lerner, ex titolare della CVR, segnala, a ragione, che avvenimenti come l’occupazione della residenza dell’ambasciatore del Giappone a Lima e gli attacchi contro impresari e industriali in un Paese molto centralizzato come il Perù causano un impatto maggiore della morte di migliaia di contadini in luoghi isolati del Paese (Caretas 1775).

 

I testimoni di Polay

L’intenzione di Polay e degli altri accusati è sostenere che l’MRTA sia un movimento guerrigliero, responsabile delle accuse di sedizione e ribellione e non di atti terroristici. Per questo hanno sollecitato la presenza come testimone del lider storico dell’APRA, Armando Villanueva, che probabilmente avrebbe spiegato detta condizione al tribunale, incidendo sulle origini del movimento. Villanueva si trova fuori dal Paese, ma fonti bene informate segnalano che accetterebbe con piacere di assistere al processo.

L’antica militanza aprista di Polay è stata un problema per il partito di Alfonso Ugarte, durante il suo governo, poiché in diverse circostanze furono accusati, con prove, di mantenere vincoli con l’MRTA, soprattutto dopo la fuga dal carcere di Canto Grande alla fine della presidenza di García.

Durante gli anni trascorsi in prigione, Polay finì per approssimarsi, a causa delle circostanze, a membri del suo antico partito, sebbene senza vincoli ideologici. La principale persona che è andata a trovarlo è stata sua madre, Otilia Campos, vedova di un fondatore dell’APRA e militante ella stessa da diverse decadi. Il suo avvocato fino all’anno scorso è stato Humberto Carranza, figlio dell’ex-parlamentare aprista Humberto Carranza Pietra. Per evitare contagi, il segretario generale Jorge del Castillo dovette allora farsi forte, proibendo agli avvocati apristi di difendere accusati per terrorismo. Nonostante ciò, importanti avvocati apristi, come Javier Valle Rientra, sono stati consultati del lider emmerretista.

Altri testimoni chiamati per la difesa di Polay e compagnia sono l’attuale presidente della Regione Lambayeque, Yehude Simon, che ha sostenuto che non c’è nessun problema a testimoniare, ma che non sosterrà che l’MRTA è un movimento guerrigliero. “Mi dà molto fastidio che sostengano che io sia un militante dell’MRTA. Se fosse così, mi troverei in carcere” ha detto. Situazione difficile per uno dei più efficienti presidenti regionali attuali, poiché sul banco degli accusati ci sarà anche Walter Palacios Vinces, ex direttore del Cambio,  come lui.

A sua volta, il tribunale ha approvato le dichiarazioni del vescovo di Chimbote, Luis Bambarén, e dei giornalisti Alejandro Guerriero, Nicolás Lúcar, Fernando Ampuero e Cecilia Valenzuela, che realizzarono diverse interviste alla cupola dell’MRTA negli anni. E’ anche previsto il testimone César Hildebrant, che agì da mediatore nella liberazione del generale FAD Héctor Jerí, uno dei primi sequestrati dall’MRTA.

Per non restare indietro, la difesa dello Stato ha la sua lista di testimoni, tra cui figurano gli ex capi di polizia Juan González Sandoval, “Lo Sciacallo”, ex capo della Dincote ed entusiasta collaboratore de La Razón, Juan José Vargas e Benedicto Jiménez. Sorprende che non sia stato incluso, fino ad ora, il generale Marco Miyashiro, uno dei maggior conoscitori dell’MRTA.

Con queste dotazioni a disposizione non c’è dubbio che il processo procederà  meglio di quello della cupola senderista.



[*] Sinistra Unita

[†] Di Ayacucho, località nella quale nacque ed agì  Sendero Luminoso




[1] DT: Delinquente Terrorista



[1] Conoscendo l’MRTA per vincerlo

 

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