Giovanni Russo Spena: chiudere le ferite civili degli “anni di piombo”
Giovanni Russo Spena
Fonte: Liberazione
Sono convinto che il cosiddetto “caso Battisti”, per noi comunisti garantisti e libertari, alluda alla necessità di riaprire una discussione sugli “anni di piombo”, partendo anche dalle proposte legislative di amnistia che per più legislature abbiamo presentato e discusso in Parlamento.
Dobbiamo, allora, prescindere sia dalla personalità (invero scadente, irritante, torbida) di Battisti, sia dalla ossessione sicuritaria, propagandistica, giustizialista del governo italiano. Il ministro della giustizia brasiliano, quando afferma che l’Italia è «ferma agli anni di piombo», ripete, un po’ grossolanamente, ma positivamente le affermazioni che la cultura garantista italiana ed europea ha sempre pronunciato.
Non ci si può, infatti, indignare perché il Brasile riconosce lo status di “rifugiato politico” senza riflettere sulle ragioni altrui e sul deficit del nostro stato di diritto. Ritorna uno degli interrogativi di fondo della nostra storia recente: lo Stato italiano ha sconfitto la lotta armata («una vera e propria guerra civile», dice Erri De Luca che ha visto l’incriminazione di 5mila persone per banda armata) senza intaccare profondamente, con l’emergenzialismo di una legislazione speciale e di una giurisprudenza eccezionale, lo stato di diritto? Io credo che non sia affatto; e mi pare che questa convinzione non abbia solo il Brasile ma, in forme e in modi diversi, la Francia, il Canada, il Nicaragua, la stessa Gran Bretagna.
Le norme varate negli anni dell’emergenza non sono difendibili; alcune prassi giurisdizionali ancor meno. La Francia di Mitterand (ma anche di Chirac) hanno sempre considerato lesive le attribuzioni della responsabilità penale delle azioni di una banda armata ad ogni suo componente, per quanto marginale. E’, in ogni caso, sacrosanto che si tenga conto, dopo circa un trentennio, che vi sono stati percorsi personali profondi, veri, che, nella maggior parte dei casi, ha cambiato le persone che, faticosamente, hanno ricostruito lavori, affetti.
Il conflitto degli “anni di piombo” è definitivamente finito, con la sconfitta della strategia della lotta armata. Nel rispetto massimo che abbiamo per i familiari delle vittime, per i lutti dolorosissimi che sono stati inferti, dobbiamo essere capaci di una rielaborazione, di una rilettura, di una analisi dei gravi errori della lotta armata affinché non si ripetano. Il Sudafrica, di fronte a narrazioni storiche di ben altro spessore e drammaticità, ci ha dato un esempio importante. Molti paesi, sia europei che latinoamericani, finite le guerre civili hanno avuto la forza l’autorevolezza statuale di promulgare forme di amnistia, di chiudere le ferite civili. I governi italiani rincorrono ancora la via giudiziaria.
Io credo abbia ragione Mauro Palma: «Dal mondo greco in poi il delitto, comunque politicamente motivato, anche se tale motivazione può apparire surrettizia, è oggetto di maggiore benevolenza da parte statuale, una volta sconfitti i nemici di un tempo, perché interesse della collettività stabilire una cesura con l’esperienza vissuta e recuperare al contesto sociale coloro che sono stati sconfitti».
Aggiungo che una revisione profonda, organica, dei codici penali e di procedura penale (sto pensando anche al lavoro della Commissione Pisapia) sarebbe l’occasione per eliminare dalla normativa l’emergenzialismo di leggi speciali che tuttora sussistono con lesione grave dello stato di diritto. Esse hanno costituito anche la base di prassi giurisdizionali che hanno dato vita ad una consuetudine di sentenze di condanne sempre con il massimo di pena che hanno suscistato, all’estero, fondati sospetti. Il concorso morale, la collaborazione premiata, le parole del “pentito” come prova assoluta, la condanna automatica al massimo della pena edittale, hanno dato vita ad una cultura giurisprudenziale nel complesso non condivisibile. Sono per un «diritto penale mite» che preveda pene certe entro gli standards europei che presentano massimi di pena molto inferiori ai nostri. Abolendo l’ergastolo, pena disumana e, comunque, inefficace. Forse di questi temi dovremmo seriamente discutere, non dell’abolizione o meno della partita di calcio Italia-Brasile. Ma, del resto, ogni botte, come ogni governo dà il vino che ha…
01/02/2009