Hugo Chávez: la vittoria perfetta
Rieletto con il 55% dei voti il Presidente bolivariano, che si conferma alla guida del Paese dopo 14 anni. Le ragioni del successo
Il popolo venezuelano ha scelto, ancora una volta, alla guida del proprio paese il presidente Hugo Chávez Frías. Si è trasformata in festa nazionale la giornata di domenica in Venezuela. Più che per decidere il futuro presidente, l’appuntamento era per scegliere se continuare a percorrere la strada di una trasformazione sociale, politica, economica e culturale iniziata ben quattordici anni fa o il ritorno alle politiche e al modello neo neoliberista, il cui fallimento, a livello mondiale, è ormai sotto gli occhi di tutti.
Alle dieci di sera in punto, straordinariamente in orario con quanto promesso, TibisayLucena, presidente del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ha dato lettura del primo (ed unico, vista la quasi totalità dei voti scrutinati a quell’ora) bollettino elettorale.
Si è scatenato il giubilo: con il 90 per cento dei voti scrutinati, Chávez vince con il 54,42 per cento mentre Enrique Capriles Randoski registra il 44,97 per cento. Due giorni dopo, nel momento della redazione di questo articolo, con il 98,89 per cento dei voti scrutinati, non si può far altro che confermare la vittoria netta di Hugo Chávez, candidato della coalizione Gran Polo Patriotíco con il 55,25 per cento (pari a 8.133.952 elettori), mentre a EnriqueCapriles Radonski, con la coalizione Mesa de la Unidad Democrática, va il 44,14 per cento (pari a 6.498.527 elettori).
Gli altri quattro rappresentanti dei partiti minori, dei quali poco o nulla sappiamo, registrano complessivamente uno 0,58 per cento. Vittoria piena del Presidente in 21 dei 23 stati del Venezuela, anche in quelli governati dall’opposizione. Straordinariamente alto il tasso di partecipazione alle urne, ’storico’ verrà definito: l’80,67 per cento. Ancora più straordinario se si considera che il presidente Chávez è alla guida del paese da circa 14 anni e che in ogni appuntamento elettorale ha visto la sua indiscutibile vittoria.
Quelle di domenica scorsa, con la presenza di circa diecimila giornalisti internazionali accreditati ufficialmente dal Consiglio Nazionale Elettorale, sono state infatti le elezionilatinoamericane, e probabilmente del mondo, più ’osservate’ da parte dei vari organismi internazionali.
L’ex presidente statunitense Jimmy Carter, che con la moglie Rosalynn Smith nel 1982 ha fondato il prestigioso Carter Center, uno degli organismi osservatori internazionali non solo del processo elettorale di domenica scorsa. ma anche di quelli precedenti, ha dichiarato che“il processo elettorale venezuelano è il migliore al mondo”.
Tutti gli altri osservatori, circa un centinaio, hanno messo in risalto la calma e la serenità che hanno caratterizzato l’intera giornata elettorale e soprattutto la maturità del popolo venezuelano e l’assoluta fiducia che questo ripone nel Consiglio Nazionale Elettorale.
Per questo, una volta dato l’annuncio pubblico del primo bollettino ufficiale, nonostante l’appello alla calma, come una marea umana il popolo chavista si è riversato per le strade diCaracas fin sotto il palazzo di Miraflores, fin sotto al ’balcone del popolo’ per ascoltare il discorso del rieletto Chávez.
Si è fatto attendere il presidente, forse per dare tempo ad Enrique Caprile Radonski di poter fare il suo discorso, e soprattutto per aspettare il riconoscimento pubblico della sconfitta da parte del suo avversario. “Per saper vincere bisogna anche saper perdere”, ha dettohttp://www.el-nacional.com/politica… ai suoi un Capriles visibilmente in difficoltà e sicuramente provato. “La volontà del popolo è sacra per me”, ha aggiunto, confermando chenon abbandonerà i circa sei milioni di elettori che lo hanno votato e che continuerà a lavorare per loro, lasciando intendere quindi di non avere intenzione di rinunciare al ruolo di leader dell’opposizione al governo.
Un discorso pacato, lontano da certi isterismi pubblici e privati che pure covano alcuni rappresentanti della coalizione che lui rappresenta. Che questa espressa da Capriles sia soltanto una facciata democratica di convenienza o che sia la realtà, a questo punto poco importa. Il suo discorso da politico aperto e progressista, con il quale ha tentato di erodere consenso al presidente Chávez e di convincere gli indecisi, sul voto dei quali faceva affidamento per vincere, ha invece convinto poco in linea generale.
I venezuelani non sono stupidi, probabilmente il merito più grande di Hugo Chávez sta proprio nell’ aver costruito una grande coscienza civica e politica nel popolo, processo ormai irreversibile e consolidato, dimostrato proprio dall’alta partecipazione alle urne.
Il popolo sapeva bene che dietro Capriles stavano le destre e l’oligarchia latinoamericana ed internazionale che, con la complicità dei mezzi di comunicazione venezuelani, l’80 per cento dei quali in mano all’opposizione, (contrariamente da quanto l’apparato d’informazione occidentale vuol far credere) cercano di spingere ancora il paese nel baratro rappresentato dalla dipendenza economica, politica e anche culturale dalle potenze straniere e dalle loro multinazionali.
Dipendenza dal quale il Venezuela con dignità cerca di risollevarsi, scegliendo autonomamente alleanze nuove e strategie politiche e geografiche diverse, come l’integrazione economica con gli altri paesi vicini o gli accordi commerciali stipulati per esempio con la Cina e l’Iran.
I venezuelani sanno bene che dietro Capriles ci sono gli Stati Uniti, che puntano alla destabilizzazione di una regione che ormai, grazie proprio alla politica integrazionista a cui ha dato impulso Hugo Chávez e dagli altri presidenti progressisti latinoamericani (il boliviano Evo Morales, l’ecuadoriano Rafael Correa, l’argentina Cristina Kirchner e la brasiliana Dilma Roussef) si è andata poco a poco slegando dal dominio e dal controllo dei grandi organismi economici internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, punte di lancia dell’ imperialismo politico statunitense.
E infine sanno bene i venezuelani che con Capriles sarebbero state a rischio le conquiste di oltre un decennio di costruzione quotidiana di democrazia partecipativa, di Potere Popolare, di accesso all’educazione e alla salute, di sicurezza di un tetto sulla testa che non sia la lamiera di una baracca. Lo sanno bene le famiglie povere ed indigenti che in dodici anni, dal 1999 al 2011, sono passate dal rappresentare rispettivamente il 42,8 per cento e il 16,6 per cento ad essere appena il 27,4 per cento, e il 7,3 per cento. Lo sanno bene per esempio le madri adolescenti e le madri delle famiglie indigenti che dal dicembre del 2011 ricevono 100 dollari al mese per ogni bambino e per ogni futuro nascituro, nell’ambito di una delle tante Missioni portate avanti dalla Rivoluzione Bolivariana.
Populismo? Assistenzialismo basato soltanto sui proventi del petrolio? Forse, ma osservando senza la lente della distorsione adottata dai media servili alle politiche del potere globale, indubbiamente anche un tentativo, un esperimento diverso e legittimo per permettere una crescita del paese equa e veramente democratica, un processo democratico inclusivo, pur con tutti i suoi limiti, imperfezioni ed errori da correggere.
Altre sfide, nuove, verranno per il Venezuela nel prossimi sei anni del mandato di Chávez, e saranno per esempio la necessità di trovare un’uscita dalla dipendenza economica del petrolio, il perfezionamento e lo snellimento di certi processi che appaiono troppo ’costruiti’ e burocratizzati, sicuramente la lotta all’ insicurezza (male strutturale di tutta la regione) e alla corruzione, in parte frutto anche questo di un modello coloniale e neocolonialeintrodotto in America latina e nel cosiddetto ’terzo mondo’ in generale, per assicurarsi privilegi e favoritismi da parte del grande capitale straniero.
Chávez dovrà conquistare sicuramente la fiducia delle classi medie e, come afferma, anche Luis Acuña, deputato del Partito Socialista Unido de Venezuela (PSUV), il partito officialista, la riconciliazione giocherà un ruolo importante nel prossimo mandato.
Nel suo discorso di domenica sera, dal ’balcón del pueblo’ di Miraflores, Hugo Chávez, acclamato da migliaia di venezuelani, sotto una pioggia di fuochi d’artificio, ha parlato infatti ai “fratelli della patria di Bolívar”, a quelli che “hanno votato contro” dando proprio un “riconoscimento speciale per l’attitudine democratica, per la partecipazione, per la dimostrazione civica che hanno dato nonostante non fossero d’accordo con la proposta bolivariana” e ha acclamato a quella che dice essere stata una “vittoria perfetta”.
Proprio a quest’elettorato dovrà guardare Chávez in futuro, e in un futuro non tanto lontano:a dicembre ci saranno infatti le elezioni regionali per il cambio dei governatori, molti dei quali lasciano l’incarico con livelli bassissimi di popolarità per episodi di corruzione, per l’insicurezza e per l’inefficienza in alcuni servizi pubblici.
Sommando questo, con un risultato elettorale sicuramente soddisfacente, ma comunque lontano dalle aspettative ufficiali (“vinceremo con un 70 per cento!”, pronosticava Chávez qualche mese fa) e considerando anche che questo è stato il miglior risultato ottenuto in questi anni dall’opposizione, risulta abbastanza chiaro che il cammino che deve percorrere la Rivoluzione Bolivariana per la costruzione di un ’Socialismo del XXI Secolo’ che sia veramente alla portata di tutti i venezuelani è ancora lungo e irto di ostacoli.
Tuttavia, che la sfida più grande che aspetta all’uomo Hugo Chávez è riuscire a vincere la sua personale battaglia contro il cancro che lo ha colpito già un anno fa. Quella sì che sarebbe la vera vittoria perfetta.
*Pubblicato in esclusiva su L’Indro www.lindro.it e qui ripubblicato per gentile concessione