Il “Buen Vivir” dell’Ecuador fa colpo sull’Italia
di Annalisa Melandri — in esclusiva per L’Indro — 29 maggio 2013
Ha prestato giuramento venerdì scorso nella sede del Congresso, il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dando così inizio al suo terzo mandato presidenziale (2013–2017), dopo la vittoria del 17 febbraio. Alla cerimonia hanno partecipato 14 capi di Stato e oltre 90 delegazioni di vari paesi del mondo. Per l’Italia era presente il Sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro e come si legge nella pagina web della Farnesina, si tratta del «primo viaggio, dopo molti anni, di un membro del Governo italiano in Ecuador, ad evidenziare l’importanza delle relazioni tra i due paesi». L’Italia «è infatti uno dei primi partner commerciali europei per l’Ecuador» e tale relazione riveste particolare interesse rispetto all’attuale congiuntura (stagnante) economica europea: l’America latina viene vista infatti come possibile sbocco economico e commerciale per le imprese italiane ed europee asfissiate dalla crisi economica e finanziaria e desiderose di nuovi mercati e nuove possibilità di investimenti.
Il presidente Correa inizia questo suo terzo periodo di governo con un altissimo consenso (che varia tra il 60 e il 90 per cento, a seconda della fonte dei sondaggi) ed è sicuramente uno dei capi di Stato latinoamericani che gode di maggior credibilità e stima in Europa. Il suo programma di governo, conosciuto come Revolución Ciudadana (Rivoluzione Cittadina) tende al socialismo e lui stesso ha dichiarato in alcune occasioni che il cammino dell’Ecuador è la «Rivoluzione e il Socialismo del XXI Secolo». L’asse portante di questo progetto è il Piano Nazionale per il Buon Vivere, basato sul concetto del “Buen Vivir” o “Sumak Kawsay”.
Il sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro, nell’ambito degli incontri tenuti in Ecuador con le autorità locali, ha avuto modo di incontrare il segretario nazionale della Pianificazione e Sviluppo (SENPLADES) Fander Falconí, che gli ha illustrato i progressi compiuti dal Piano Nazionale per il Buon Vivere fin dal 2009, anno in cui è stato implementato. Falconi ha spiegato che la Rivoluzione Cittadina si trova attualmente in una fase di radicalizzazione e che quello che si sta portando avanti nel paese è un cambiamento radicale rispetto alla forma di produzione, passando dalla tradizionale economia del Paese, di tipo primario e volta sostanzialmente all’esportazione di materie prime e risorse, verso una economia diversificata nel settore secondario e terziario, con sviluppo del commercio estero e sostituzione “intelligente” delle importazioni, come progetto per sconfiggere la povertà. Mario Giro ha espresso parole di apprezzamento per il programma di governo ecuadoriano, mettendo in risalto sostanzialmente il modo in cui una rivoluzione culturale, come può essere considerata il modello del Buen Vivir, riesca ad inserirsi perfettamente nel programma politico e di sviluppo di un governo.
Ma esattamente, cosa è il Buen Vivir o Sumak Kawsay? Si tratta in sostanza di un modello di vita — in questo caso applicato alla gestione politica — basato su un rapporto più equilibrato — e più sano — tra Uomo e Madre Terra (o Pachamama). E’ un concetto proprio delle comunità indigene dell’America latina, soprattutto della Bolivia e dell’Ecuador, che lo sentono parte del proprio retaggio culturale, tanto che il Buen Vivir è stato inserito nelle costituzioni di questi due Paesi. «Il Buen Vivir, più che un’originalità della costituzione, fa parte di una lunga ricerca di modelli di vita promossi particolarmente dagli attori sociali dell’America latina negli ultimi decenni, come parte delle loro rivendicazioni rispetto al modello economico neoliberale. Nel caso ecuadoriano tali rivendicazioni sono state riconosciute e incorporate nella costituzione, convertendosi nei principi e nelle orientazioni del nuovo patto sociale», spiegava nel 2009, in occasione della presentazione del Piano Nazionale per il Buon Vivere, Ana María Larrea, Sottosegretaria Generale di Pianificazione del Buen Vivir. Ben tre articoli della costituzione sono stati dedicati infatti al Buen Vivir, dal 275 al 278, dove si specifica che «il Buen Vivir richiede che le persone, le comunità, i popoli e le nazionalità godano effettivamente dei loro diritti ed esercitino le loro responsabilità nell’ambito dell’interculturalismo, del rispetto delle diversità e della convivenza armonica della natura».
Il “buon vivere” quindi in contrapposizione al “vivere meglio”. Vivere insieme alla Madre Terra, prendendo da essa il minimo indispensabile necessario e non sfruttare invece in maniera sconsiderata le sue risorse credendo di esserne i padroni assoluti. Di questo si tratta, di un nuovo paradigma, contrapposto al concetto di “sviluppo” a tutti costi. Saltare quindi dall’antropocentrismo al geocentrismo passando per la politica. Sembrerebbe possibile. In Ecuador la strada è stata tracciata e il governo procede in tal senso, utilizzando come principale strumento la promozione di un’economia popolare e sociale, sviluppata attraverso una pianificazione a medio e breve termine, di periodi non più lunghi di 16/20 anni, attraverso piccoli obiettivi da raggiungere progressivamente, tenendo presenti i 12 obiettivi generali del Buen Vivir e cioè: auspicare l’eguaglianza, la coesione e l’integrazione sociale territoriale nella diversità, migliorare le capacità e potenzialità della cittadinanza, migliorare la qualità di vita della popolazione, garantire i diritti della natura e promuovere un ambiente sano e sostenibile, garantire la sovranità e la pace e promuovere l’inserzione strategica nel mondo e l’integrazione latinoamericana, garantire il lavoro stabile, giusto e degno nelle sue differenti forme, costruire spazi pubblici, interculturali e di incontro comune, affermare l’ identità nazionale, le identità diverse, la plurinazionalità e l’interculturalità, garantire la vigenza dei diritti e della giustizia, garantire l’accesso alla partecipazione pubblica e politica, stabilire un sistema economico sociale, solidale e sostenibile, costruire uno Stato democratico per il Buon Vivere.
L’Ecuador sta già lavorando al Piano Nazionale per il Buen Vivir 2013–2017, sulla base degli ottimi risultati raggiunti, soprattutto in tema di sradicamento della povertà e della povertà estrema, attestati da tutti gli organismi internazionali, tra i quali la Commissione Economica per l’America Latina delle Nazioni Unite (CEPAL). Mario Giro ha espresso apprezzamento per il governo del Buen Vivir ecuadoriano. Ma al di là del fatto che probabilmente ha espresso solo un parere personale in un contesto pubblico, parere al quale, ovviamente le autorità locali hanno dato molto risalto, è interessante chiedersi: sarebbe possibile un governo del Buen Vivir anche in Italia? Un’occhiata ai recenti scandali ambientali del Bel Paese e come vengono gestiti tutt’ora, l’Ilva e il ricordo di quanto accaduto a L’Aquila per il terremoto, solo per citarne due, non lascia spazio a dubbi. E tuttavia, anche l’Ecuador non veniva da una situazione rosea, prima di Correa.
Nel nostro paese i movimenti sociali e il mondo dell’associazionismo, hanno iniziato da tempo un dibattito e uno studio serio sul Buen Vivir, alcuni settori, forti soprattutto dell’esperienza di lunghi anni di lavoro e di militanza in America latina. In alcune realtà cittadine, tra cui Roma, ne sono nati progetti e condivisioni portate avanti in sinergia con realtà latinoamericane, specialmente ecuadoriane e boliviane, legate al mondo accademico.
Vorrei consigliare in questa sede proprio la lettura del saggio di Giuseppe De Marzo, economista, scrittore, tra i fondatori dell’associazione a ASud, della quale per lunghi anni ne è stato anche portavoce, dal titolo “Buen Vivir, per una nuova democrazia della terra” di Ediesse edizioni (2009), che vanta la prefazione del Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e la postfazione di Gianni Miná, tradotto anche in spagnolo e distribuito in America latina. Sono proprio i conflitti, il motore del cambiamento, spiega l’autore. In questo senso, per l’Italia ci sarebbero allora buone speranze, come dimostra la mappa geografica dei conflitti ambientali nel nostro paese.
La resistenza nella Val di Susa, la lotta di Terzigno contro la discarica, la ricostruzione de L’Aquila, la lotta della cittadinanza di Taranto, c’ è tutto un popolo, quello italiano, che da nord a sud porta avanti la stessa lotta, quella per riconquistare spazi, per liberare territori sequestrati da interessi, mafie e affari sporchi. C’ è un popolo in Italia che crede che sia doveroso assicurare alle generazioni future gli stessi diritti e le stesse disponibilità, che crede che “vivere bene” nel paese, si può e si deve.