Repubblica Dominicana: sentenza apre la porta a denazionalizzazione in massa di discendenti haitiani
di Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
In esclusiva per L’Indro — 4 ottobre 2013
Repubblica Dominicana - La sentenza n. 168/13 emessa lo scorso 23 settembre dal Tribunale Costituzionale della Repubblica Dominicana, che di fatto apre la porta alla denazionalizzazione in massa di migliaia di dominicani figli di haitiani nati nel Paese, ha scatenato un’onda generalizzata di indignazione, mentre a livello internazionale già alcuni organismi come Amnesty International, le Nazioni Unite e la Corte Interamericana dei Diritti Umani si sono espressi, condannandola. Non solo, sul piano diplomatico ha aperto una crisi con il vicino Governo di Haiti che ha richiamato il suo ambasciatore in patria per consultazioni.
Juliana Deguis Pierre, cittadina dominicana di discendenza haitiana di 28 anni, aveva presentato un ricorso al Tribunale Costituzionale contro una sentenza del Tribunale Civile che le aveva negato la restituzione del documento d’identità (dominicano) sottrattole già da diverso tempo dalla Giunta Centrale Elettorale. Juliana non è mai stata ad Haiti, nata e cresciuta in Repubblica Dominicana, fino ad oggi pensava di essere cittadina dominicana. Il Tribunale Costituzionale, era l’ultima istanza alla quale la giovane aveva fatto ricorso, sperando di concludere positivamente la sua odissea iniziata nel 2008, quando la Giunta Centrale Elettorale dove si era presentata per ottenere il suo documento di identità, glielo aveva negato e le aveva sottratto anche il suo certificato di nascita sulla base di irregolarità nella posizione migratoria dei suoi genitori.
Il Tribunale Costituzionale ha risposto invece privandola anche della cittadinanza dominicana, (rendendola di fatto apolide) in quanto nata sul territorio dominicano da genitori stranieri “in transito” (secondo la costituzione vigente nel 1966, anno della sua nascita la cittadinanza dominicana spettava ai nati sul territorio dominicano con esclusione del personale diplomatico e degli stranieri “in transito”). Secondo il tribunale infatti, la giovane non ha potuto dimostrare che «per lo meno uno dei suoi genitori avesse residenza legale in Repubblica Dominicana» al momento della sua nascita avvenuta il 1 aprile 1984.
Inoltre, sempre il tribunale ha dato disposizione alla Giunta Centrale Elettorale di istituire un registro di tutti i cittadini dominicani di discendenza haitiana presenti nel territorio dominicano fin dal 1929, da quando cioè venne prevista nella Costituzione entrata in vigore in quell’anno, la figura di straniero “in transito”. La Giunta Centrale Elettorale dovrà inoltre valutare le posizioni di ognuno e trasmettere i fascicoli al Ministero dell’Interno e Polizia perché agisca secondo il Piano Nazionale di Regolarizzazione che è ancora da approntare.
Le conseguenze di tutto ciò non sono ancora chiare ed è difficile da prevedere cosa potrebbe accadere a tutte queste persone. In un documento firmato dalle principali associazioni di difesa dei diritti umani del paese, tra le quali la Commissione Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (CNDH), alla quale la sottoscritta appartiene, si dichiara che «migliaia di dominicani e dominicane si vedranno impediti nell’esercizio dei loro diritti fondamentali, affronteranno quotidianamente il rischio di deportazioni di massa, affronteranno innumerevoli difficoltà nello studio, nel lavoro, nel pagamento delle loro assicurazioni sanitarie, nella riscossione delle loro pensioni, nel contrarre matrimonio civile, nell’apertura di conti correnti, nel fare acquisti e nel ricevere eredità; inoltre non potranno nemmeno uscire dal paese che li sta rifiutando perché non gli sarà rilasciato un passaporto».
Di fatto verrà creato un esercito di apolidi senza diritti che non contribuirà certamente al miglioramento delle condizioni socio economiche del paese in termini di sicurezza e di convivenza civile e ammesso che si decida in tempi non brevi di nazionalizzarli (anzi ri-nazionalizzarli) secondo gli iter burocratici richiesti dal paese per la concessione dei permessi di residenza provvisoria prima e definitiva dopo, i costi per queste persone potrebbero essere veramente insostenibili.
Il punto nodale della questione verte tutto sul concetto di “transito”, perché secondo le normative migratorie sarebbe in “transito” una persona che «circola nel territorio per non più di 10 giorni».
Gli haitiani dall’inizio del XIX secolo e fino a tutti gli anni ’80 entrarono a fiotte nella Repubblica Dominicana grazie ad accordi migratori tra i due paesi per essere impiegati come braccianti nelle piantagioni di canna da zucchero. L’unica costanza di ingresso nel paese era rappresentata da una ficha (scheda) abbinata ad un numero, che spesso era accettata anche dalle autorità amministrative per poter inscrivere i figli nel Registro Civile come dominicani. Successivamente, a causa della crisi del settore e dello sviluppo di un diverso modello economico, rimasero in Repubblica Dominicana, inserendosi in altri settori produttivi, come quello dell’economia informale, delle costruzioni, del lavoro domestico e della produzione di caffè, riso e banane.
Parallelamente, con il peggiorare delle condizioni socioeconomiche (e politiche) della vicina Haiti, aumentarono progressivamente anche il numero di coloro che riuscirono ad entrare in maniera illegale. Ad oggi, la sentenza, denazionalizzando di fatto tutti i dominicani figli di haitiani irregolari nati fin dal 1929, va a decretare lo stato di apolidia per circa tre, quattro generazioni di persone, di cui le ultime probabilmente, saranno le più colpite. Molti giovani dominicani si troveranno a dover pagare per gli errori dei loro nonni o dei loro padri o addirittura per quelli del Registro Civile, nonché per le frodi elettorali commesse in epoca più moderna, nel caso dello scambio di documenti di identità con voti. I numeri sono controversi, si parla di 500mila/1milione di persone tra dominicani di discendenza haitiana e haitiani presenti in modo irregolare sul territorio, ma probabilmente sono molti di più.
La sentenza del Tribunale Costituzionale, secondo il parere di avvocati, giudici e costituzionalisti che in questi giorni si sono espressi al riguardo, violerebbe apertamente almeno quattro articoli della Costituzione dominicana vigente e vari trattati internazionali firmati e ratificati dalla Repubblica Dominicana.
La Costituzione dominicana emanata nel 2010, nel tentativo di porre un argine alla crescente immigrazione haitiana (incrementatasi in modo esponenziale soprattutto dopo il terremoto del 12 gennaio di quell’anno e della successiva epidemia di colera) ha modificato il principio di acquisizione della cittadinanza passando dallo “Jus Solis” allo “Jus Sanguinis”, ma confermando la nazionalità dominicana a tutti coloro i quali ne godevano prima dell’entrata in vigore della stessa.
La sentenza violerebbe intanto il principio di irretroattività della legge, espresso dalla Costituzione nel suo articolo n. 110, poi, come abbiamo visto lo stesso concetto di nazionalità sancito nell’articolo 18. Viola inoltre il principio di interpretazione, per cui invece di emanare una sentenza in protezione del diritto inviolabile della persona, dichiara l’avvocato costituzionalista Cristóbal Rodríguez, ne emana una «sulla base di un metodo interpretativo di tale diritto».
Viola inoltre il diritto alla difesa e al debito processo, perché ordinando un registro di tutti gli stranieri presenti i nel Paese a partire dal 1929, vengono automaticamente messe dentro in un processo giudiziario centinaia di migliaia di persone che non hanno avuto la possibilità di discutere la loro posizione migratoria in sede legale.
Come dicevamo, difficile prevedere cosa accadrà e come tra un anno –questo il tempo concesso dal Tribunale Costituzionale per la redazione del registro– le autorità risolveranno il problema che una moltitudine apolide potrebbe rappresentare. «Non ci saranno deportazioni di massa», assicura il Direttore Generale di Migrazione José Ricardo Taveras, dichiarando alla stampa che non è assolutamente vero che «le autorità dominicane commetteranno atti di ingiustizia» ma che «rispondendo al dramma umano di migliaia di haitiani residenti nel paese, non si può farlo al margine della legge». Resta sempre e comunque il fatto che Juliana per 28 anni non è stata una “haitiana residente nel paese” ma una cittadina dominicana iscritta nel Registro Civile.
Quello che più è certo è che la Repubblica Dominicana incorrerà, come già accaduto in passato, in una condanna della Corte Interamericana dei Diritti Umani che sta esaminando la sentenza. Questo sembra un tentativo piuttosto maldestro e abbastanza arrogante, come già altri in passato, di risolvere il problema degli indici di povertà, sempre piuttosto elevati nel paese, denazionalizzando i più poveri tra i poveri, e cioè i discendenti di quegli haitiani che nei decenni passati hanno contribuito invece all’incremento degli indici (che paradosso) di crescita economica della Repubblica Dominica.
Decine di associazioni sono insorte e stanno organizzando manifestazioni di condanna in varie parti del paese oltre ai ricorsi presso le istanze internazionali, dal momento che la sentenza del Tribunale Costituzionale è inappellabile. Il Presidente della Repubblica, Danilo Medina, guarda un significativo silenzio. In una riunione tenuta appena qualche settimana fa con delegati delle Nazioni Unite venuti nel Paese proprio per discutere del tema dei dominicani di discendenza haitiana, ha dichiarato che non può prendere parte nella questione per la divisione dei poteri vigente nell’ordinamento costituzionale e che la Giunta Centrale Elettorale, l’organo che fino a questo momento ha portato avanti la mano dura ( o il lavoro sporco) della nuova politica migratoria, è un organo completamente indipendente nelle sue deliberazioni.
Tuttavia analisti coincidono nel fatto che il peso politico della sicura condanna degli organismi internazionali cadrà tutta sulla sua persona. Questo è vero solo in parte. La presidenza di Danilo Medina si sta caratterizzando per gli alti indici di consenso tra la tra la popolazione grazie soprattutto alle sue politiche di riduzione degli sprechi che hanno caratterizzato il governo precedente di Leonel Fernández, del suo stesso partito (Partito della Liberazione Dominicana). Inoltre sostanzialmente l’umore popolare dominicano vede nella politica migratoria più dura in modo generale e nella sentenza del Tribunale Costituzionale in modo particolare, una forma di risolvere il problema degli “haitiani”, identificando erroneamente come haitiani anche quelli come Juliana che di fatto non lo sono.
Alla base di tutto in Repubblica Dominicana è reale e si percepisce una profonda discriminazione razziale e di classe, basata anche su antichi dissapori tra i due Paesi originatisi fin dalla dominazione haitiana sulla parte orientale dell’isola La Hispaniola durata dal 1822 al 1843. Alla fine, soprattutto, si tratta di una guerra tra poveri dove vince chi ha il potere dello Stato dalla sua.