Cena di solidarietà per il popolo Nukak e Unnaddarè in concerto

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un popolo millenario rischia l’estinzione
aiutaci a salvare il popolo nukak
DA SUD A SUD
 
 
17 gennaio CSOA EX SNIA, via prenestina n° 175
 
 
cena di solidarietà & UNNADDARE’ in concerto
 
con la partecipazione di LUIS EVELIS ANDRADE CASAMA presidente Fondo Indigeno Latinoamericano
 
 
info e prenotazioni: 339.1932618
 
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ore 20.00 cena di solidarietà
ore 22.30 Unnaddarè in concerto
 
l’intero incasso sarà devoluto al Progetto di Assistenza Sanitaria per il Popolo Nukak di A Sud
 
 
AIUTACI A DIFENDERE IL POPOLO NUKAK
tu puoi fare qualcosa!
sostieni il Progetto di Assistenza Sanitaria per il Popolo Nukak di A Sud
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Conto corrente bancario n° 108946
intestato a: A Sud — Ecologia e Cooperazione onlus
presso: banca popolare etica
codice iban IT79 F050 1803 2000 0000 0108946
 
 
 

Chi brucia chi… (o cosa)

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Vi fa indignare  questa?

Avete mai sentito l’odore della carne umana bruciata?
Nemmeno io, ma ho letto da qualche parte che è un odore terribile, che non te lo dimentichi più.
Da  Gaza i medici raccontano  che la maggior parte delle ferite delle persone che riescono a giungere ancora vive in ospedale sono provocate da forti ustioni e dalle esplosioni delle bombe. Le ustioni sono rese ancor più terribili dall’utilizzo di munizioni al fosforo bianco.
 
Sicuramente diverso è l’odore di una bandiera bruciata.
 
Quindici giorni fa, sia a destra che a sinistra si è levato un coro unanime di condanne per una pezzo di stoffa   bruciato a Milano durante la manifestazione e ha fatto gridare allo scandalo la grande preghiera collettiva in piazza Duomo. Certo alla borghesia impellicciata pronta alla grande saga dei saldi di fine stagione, deve aver dato parecchio fastidio la vista di un’umanità  in preda al dolore. Il dolore, il loro dolore meglio guardarlo in televisione.

ferite da munizioni al fosforo bianco

 e questa?
Intanto sono passate due settimane e  Israele ha continuato sistematicamente a violare ogni diritto umano possibile e immaginabile. Il  suo esercito ha commesso e continua a commettere in queste ore crimini di guerra nella più completa impunità.
 
Non si leva tuttavia nessuna condanna a voce alta da parte della nostra classe politica, ma soprattutto da parte di tanti uomini di cultura e intellettuali che ancora hanno il coraggio di definirsi di sinistra. La politica quando  smette di giudicare la realtà e giudica soltanto i simboli, ha già  fallito.
 
Sabato prossimo  sarò in piazza con “gli islamici” come li ha definiti il Corriere della Sera.
Sarò con tutte le persone che non riescono a restare indifferenti al genocidio che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza.
Sarò con tutti  coloro che si sentono impotenti come me e anche con quelli che esprimeranno, invece di reprimerla,  la rabbia contro lo stato criminale d’Israele. Spesso reprimere la rabbia può diventare potenzialmente più pericoloso di una bandiera bruciata.
Leggi anche: “Bruciare una bandiera israeliana è molto, ma molto più grave che bruciare col fosforo un bambino palestinese” dal blog di Guido Piccoli.
 
 
 


Lettera del prof. André NOUSCHI, storico ebreo, all’ambasciatore di Israele in Francia

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Scritta il 3 gennaio e pubblicata il 12.01.2009 sul giornale algerino le Matin
 
Il professor André Nouschi, 86 anni, ebreo nato a Constantine, storico di fama mondiale, Professore onorario all’Università di Nizza, ha inviato questa lettera all’ambasciatore di Israele a Parigi.
 
Signor Ambasciatore,
 
Per lei oggi è shabbat, dovrebbe essere un giorno di pace ma è un giorno di guerra. Per me, da molti anni, la colonizzazione e il furto israeliano delle terre palestinesi mi esaspera. Le scrivo dunque a diversi titoli: come Francese, come Ebreo per nascita e come artigiano degli accordi tra l’Università di Nizza e quella di Haiffa.
 
Non si può più tacere davanti alla politica di assassinii e di espansione imperialista di Israele. Vi comportate esattamente come Hitler si è comportato in Europa con l’Austria, la Cecoslovacchia. Disprezzate le risoluzioni dell’ONU come quelle della Società delle Nazioni ed assassinate impunemente donne, bambini; non invocate gli attentati, l’Intifada. Tutto questo è conseguenza della colonizzazione ILLEGITTIMA e ILLEGALE. CHE É UN FURTO.
Vi comportate come ladroni di terre e voltate la schiena alla morale ebrea. Vergogna a voi! Vergogna a Israele! Scavate la vostra tomba senza rendervene conto.
 
Perché siete condannati a vivere con i Palestinesi e con gli stati arabi. Se vi manca questa intelligenza politica, allora non siete degni di far politica e i vostri dirigenti dovrebbero andare in pensione. Un paese che assassina Rabin, che glorifica il suo assassino, è un paese senza morale e senza onore. Che il cielo e il vostro Dio condanni a morte Sharon, l’assassino.
 
Avete subito una disfatta in Libano nel 2006.
 
Ne subirete altre, spero, e manderete a morire giovani Israeliani perché non avete il coraggio di fare la pace.
 
Come gli Ebrei che hanno sofferto tanto possono imitare i loro boia hitleriani ? Per me, dal 1975, la colonizzazione mi trae a mente vecchi ricordi, quelli dell’hitlerismo.
 
Non vedo nessuna differenza tra i vostri dirigenti e quelli della Germania nazista.
 
Personalmente, vi combatterò con tutte le mie forze come l’ho fatto tra 1938 e 1945, fino a quando la giustizia degli uomini distrugga l’hitlerismo che sta nel cuore del vostro paese. Vergogna, Israele. Spero che il vostro Dio scaglierà contro i suoi dirigenti la vendetta che si meritano. Come Ebreo, come ex-combattente della Seconda Guerra mondiale, sento vergogna per voi. Che Dio vi maledica fino alla fine dei secoli! Spero che sarete puniti.”
 
André Nouschi, professore onorario all’Università.
 
Fonte: il quotidiano algerino ” Le Matin DZ ” http://www.lematindz.net/news/2332-le-professeur-andre-nouschi-ecrit-a-lambassadeur-disrael-a-paris.html
 
Traduzione A.DOLCI
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Dopo Hugo Chávez anche Evo Morales rompe le relazioni diplomatiche con Israele

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Grande discorso! E come sempre grandi segnali di coerenza e solidarietà dall’America latina.

La Paz, 14 ene (ABI).- El Gobierno de Bolivia disolvió este miércoles las relaciones diplomáticas con el Estado de Israel que continúa con los ataques bélicos contra la población civil de la Franja de Gaza que cobró la vida de más de 1.000 personas.

    “Bolivia tenía relaciones diplomáticas con Israel, pero frente a estos hechos de grave atentado contra la vida, a la  humanidad, Bolivia rompe relaciones diplomáticas con Israel”, afirmó el presidente Evo Morales Ayma.

    Esta decisión del Gobierno boliviano, lo hizo conocer en oportunidad del saludo protocolar que recibió del cuerpo diplomático acreditado en el país, realizado en instalaciones de Palacio Quemado.

    Además anunció que el país presentará esta denuncia ante la Corte Penal Internacional sobre el genocidio que está cometiendo Israel contra la población civil de la Franja de Gaza.

    “Hacemos el llamado, adjunto con muchos estados y organismos internacionales, especialmente organismos que defienden la vida para que a partir de este momento trabajemos para defender a la humanidad”, aseveró.

    Recordó que cualquier Estado puede presentar denuncias contra los actores de los crímenes de lesa humanidad, genocidio, exterminio y otros.

    “Los crímenes del Gobierno de Israel afectan la estabilidad y paz mundial y han hecho retroceder al mundo a la peor etapa de los crímenes de lesa humanidad que no se habían vivido sino en la segunda guerra mundial y en los últimos años en la ex Yugoslavia y Ruanda”, señaló el Mandatario.

    El Jefe de Estado aclaró que Bolivia es pacifista y no puede estar expectante ante el evidente genocidio que comete Israel contra la gente civil en Gaza.

    Desde el comienzo de la ofensiva militar israelí han muerto 1.000 palestinos y al menos 4.300 resultaron heridos en la Franja de Gaza, según informes palestinos. Sólo el martes el ataque israelí provocó la muerte de 47 palestinos.

    Se anunció un refuerzo en la ofensiva contra la organización islamista Hamas en Gaza, donde los combates continúan sin pausa y las tropas ingresaron por primera vez en varios suburbios de la capital.


Crisi globale? Risposte globali

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15 GENNAIO 2008

Il Coordinamento italiano per il Forum Sociale Mondiale ed Europeo presenta:

CRISI GLOBALE? RISPOSTE GLOBALI

I MOVIMENTI SOCIALI ITALIANI VERSO IL FORUM SOCIALE MONDIALE DI BELEM (BRASILE)

 
ore 12.00 CONFERENZA STAMPA

Federazione Nazionale della Stampa

Corso Vittorio Emanuele II, 349

 
ore 16.30 INCONTRO PUBBLICO

Verso il Forum Sociale Mondiale di Belem

Spazio di costruzione di proposte e iniziative

NUOVO CINEMA L’AQUILA - Via L’Aquila, 68 — ROMA

 
I temi e le proposte del prossimo FSM di Belem

Le vittorie e le nuove sfide dei movimenti sociali

La crisi economica e l’agenda di azione dei movimenti

 

Intervengono:

Luis Evelis Andrade Casama — Presidente del Fondo Indigeno Latinoamericano e portavoce del movimento indigeno colombiano

Gianfranco Benzi, Marco Berlinguer, Piero Bernocchi, Marco Bersani, Raffaella Bolini, Alberto Castagnola, Laura Ciacci, Lisa Clarck, Federico Delgiudice, Nunzio D’Erme, Giuseppe De Marzo, Nicoletta Dosio, Filippo Fossati, Maurizio Gubbiotti, Olol Jackson, Sergio Marelli, Alessandra Mecozzi, Emilio Molinari, Studentessa dell’Onda, Franco Russo, Alex Zanotelli, Alberto Zoratti.

INFO:

maricadipierriatasuddotnet

monicadotdisistoatfaircoopdotit

ufficiostampaatarcidotit


Fuck you Tsahal!

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Non ho scritto nulla  sulle minacce di morte che Vittorio Arrigoni e gli altri cooperanti  dell’ISF che si trovano a Gaza,  stanno ricevendo da un esaltato sionista di estrema destra di nome Lee Kaplan,   che dal Canada gestisce questi due siti: stoptheism.com e dafka.org.
Non ne ho scritto perchè è  da ieri pomeriggio che faccio telefonate e mando mail per cercare di rendermi utile. Ho avuto una lunga  conversazione telefonica  con un funzionario della polizia postale di Roma e stamattina con  la responsabile dell’ufficio stampa dell’ambasciata canadese in Italia, ho mandato varie mail ai server che ospitano il sito in oggetto  chiedendo che venga oscurato quanto prima.
Purtroppo gli esaltati sono anche in Italia e quindi su un sito di Libero è apparso un articolo delirante di Kaplan tradotto in Italiano. Ma non fa riferimento a Vittorio Arrigoni, anche perchè è del 2006. Si sono guardati bene dal fare il suo nome, i vigliacchi,  in Italia.
Ringrazio comunque Gennaro Carotenuto, l’ottimo sito Emigrazione Notizie, Megachip  e Maurizio Matteuzzi che stamattina ne ha scritto in prima pagina sul Manifesto,  per aver trattato prontamente la notizia.
 
O.T.
L’esercito israeliano nella terza fase dell’attacco a Gaza ha lanciato alcuni volantini sulle macerie di quella che era Gaza City  dove c’era scritto:
 
Ai cittadini di Gaza. Prendetevi la responsabilità del vostro destino! A Gaza i terroristi e coloro che lanciano i razzi contro Israele rappresentano una minaccia per le vostre vite e per quelle delle vostre famiglie. Se desiderate aiutare la vostra famiglia e i vostri fratelli che si trovano a Gaza, tutto quello che dovete fare è chiamare il numero indicato di seguito e darci informazioni riguardo alle posizioni in cui si trovano i responsabili dei lanci dei razzi e le milizie terroriste che fanno di voi le prime vittime delle loro azioni. Evitare che vengano commesse atrocità è ora vostra responsabilità! Non esitate!.. E’ garantita la più totale discrezione. Potete contattarci al seguente numero: 02–5839749.Oppure scriverci a questo indirizzo di posta elettronica per comunicarci qualunque informazione abbiate riguardo a qualsiasi attività terroristica: href=“helpgaza2008atgmaildotcom%20PS”>helpgaza2008atgmaildotcom ”.
 
Beh, mi è venuto spontaneo togliermi una piccola soddisfazione… ho scritto una mail all’indirizzo citato indicando in oggetto: A SPECIAL KIND OF ROCKET…
e nel corpo… FUCK YOUUUUUUUU!!!!!!!!
L’impotenza fa fare le cose più stupide a volte…

Joseph Halevi: un piano che riconosce i limiti di riformabilità degli Usa

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di Joseph Halevi
fonte: Il Manifesto
 
 
Dal discorso del presidente eletto Barack Obama all’università George Mason, in Virginia, appare esplicitamente come egli sia molto più consapevole — rispetto agli altri politici — della dimensione della crisi economica e della sua natura epocale. Implicitamente emerge anche come Obama abbia sentore dell’enorme difficoltà di riformare gli Stati Uniti.
 
Si possono accettare senza esitazione tutte le proposte da lui elencate. Esse non sono tuttavia sufficienti, ma non soltanto per le ragioni puramente quantitative articolate da Paul Krugman sul New York Times dell’8 gennaio. Date le stime del Congressional Budget Office — che prevede, nel prosssimo biennio, una caduta del Pil per 2,8 miliardi di dollari — Krugman osserva che i 775 miliardi di stimolo fiscale menzionati da Obama produrranno, keynesianamente, un effetto «moltiplicatore» pari a poco meno di 1200 miliardi. Una somma molto lontana, nei suoi effetti occupazionali, rispetto alla perdita stimata. Viene anche fatto osservare che solo il 60% del programma di Obama è costituito da spese pubbliche aggiuntive; il restante 40% proviene dalla riduzione delle tasse. Gli effetti espansivi di quest’ultima misura sono molto dubbi, soprattutto se gli sgravi fiscali saranno indirizzati alle imprese: i nuovi investimenti dipendono infatti più dalla domanda, che da sconti sulle tasse.
 
Tutte cose giuste, insomma, sia dal lato di Obama che da quello — critico — di Krugman. A mio avviso entrambe sono alquanto irrilevanti, se non collocate in un quadro di riforma cruciale del capitalismo Usa. Di questo Obama sembre essere consapevole, focalizzando la sua critica sulle banche, oggi viste come il male fondamentale. Così facendo, però, egli isola il «male» dalla sua dimensione sistemica, malgrado dica che la crisi non è il «normale» risultato del ciclo economico. Il comportamente del settore finanziario non è nato dal nulla. E’ stato prodotto da meccanismi economici e istituzionali volti a tenere in piedi la dinamica economica malgrado la stagnazione latente. Negli ultimi trent’anni tale stagnazione si è manifestata attraverso il calo dei salari reali e nell’incapacità del complesso militare-industriale di colmare il vuoto di domanda effettiva. Un vuoto che è stato riempito dall’indebitamento, a sua volta reso possibile dalle politiche di «denaro facile» adottate dalla Federal Reserve e del credito da parte delle banche private.
 
Cambiare un’economia che fino a ieri si è fondata sul sistema militare-industriale da un lato e finanziario indebitorio dell’altro — con tutti gli squilibri nei conti mondiali che ne sono scaturiti — è un lavoro di Sisifo, che implica una riforma radicale del ruolo dello stato federale, dei singoli stati dell’Unione, e del sistema legislativo. Staremo a vedere. Tuttavia vale la pena ricordare il naufragio della pur moderata proposta riformatrice del sistema sanitario avanzato da Hilary Clinton. Cozzò contro ideologie e interessi costituiti di ospedali privati, corporazioni mediche, società di assicurazione, società produttrici di macchinari medici, ecc. Tutti soggetti che beneficiano dell’alto costo delle cure mediche negli Usa.
 
E questa era solo una riforma parziale, incentrata sul ruolo della «famiglia».
Visti da lontano, gli Usa — per non essere un fattore di crisi sull’economia mondiale — abbisognano di una serie di riforme come l’indebolimento del complesso militare-industriale (assai improbabile), la riforma del sistema bancario, di quello sanitario e dell’istruzione pubblica.
La deposizione al Congresso effettuata nel 2007 da Elizabeth Warren, docente presso la facoltà di legge dell’Università di Harvard, mostra lucidamente la connessione tra la spesa sanitaria e per l’istruzione e la crisi finanziaria delle famiglie, sempre più obbligate a ricorrere all’indebitamento per farvi fronte. Questo è però un problema istituzionale che pesa direttamente sui rapporti sociali, di classe, e non è risolvibile attraverso un normale «moltiplicatore» keynesiano. La Warren ha infatti provato come tutte le spese concernenti i beni correnti siano fortemente calate negli ultimi tre decenni.
 
Tutto il peso delle spese aggiuntive ricade su servizi sanitari, istruzione e assicurazioni. Il meccanismo è infernale e internazionale.
Le spese per beni correnti sono calate in proporzione al reddito per unità familiare grazie ai prezzi più bassi — frutto della deindustrializzazione e delle importazioni (prevalentemente dal’Asia e dall’America Latina). Questo stesso processo sta alla base della caduta dei salari e quindi del ricorso all’indebitamento. Esso è anche causa degli squilibri mondiali. Good luck Obama.

Il cattolicissimo storico Antonio Melloni rimpiange il complice dei torturartori

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sotto la foto si legge:
El nuncio Pio Laghi saluda Videla, Massera y Agosti (9/7/77)
El Nuncio Torregrossa saluda a Hitler
.
Alberto Melloni, forse sostenuto dal coraggio della fede questo scrive  oggi per il Corriere della Sera:
 
“Non si dica dunque che con Laghi se ne va il “nunzio dei generali”: se na va un pezzo pregiato di un mondo che credeva che anche per la chiesa fosse necessario capire le cose sul posto e non sui giornali. Un mondo di cui la chiesa avrà ancora bisogno.
 
Le vittime della dittatura argentina invece di quel “pezzo pregiato” ne avrebbero volentieri fatto a meno.

Perchè boicottare Israele

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Il codice a barre israeliano inizia con 729

Qui un volantino da copiare,  stampare e diffondere il più possibile…

 

Israele : boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni — 10/01/09
di Naomi Klein
Fonte: Megachip
 
È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all’apartheid in Sud Africa.
Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all’epoca dell’apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.
 
Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l’assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l’adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto.… Questo sostegno internazionale deve cessare.»
 
Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell’arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.
 
1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l’espansione degli insediamenti, l’avvio di una scandalosa guerra contro il Libano e l’imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l’Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l’8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l’Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.
È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l’indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.
 
2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell’apartheid profondamente desolanti: documenti di odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l’architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è “infinitamente peggiore dell’apartheid”.
 
3. Perché mettere all’indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.
 
4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c’è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l’unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l’economia di Israele, ma non gli israeliani.
 
Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D’altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L’argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l’un l’altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l’uno con l’altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.
Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell’Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l’assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell’azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.»
Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.»
È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.
 
Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip
 

Campagna di boicotaggio contro Israele

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