Libertad de Prensa en Colombia

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Seminario intermacional sobre libertad de prensa y derechos humanos en Colombia. 20, 21 y 22 de noviembre Barcelona, España. Col·lectiu Maloka Colòmbia
hanno partecipato tra gli altri Guido Piccoli, William Parra, Hollman Morris, Hernando Calvo Ospina. Programma qui

Nasa

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Indiani Nasa del corpo volontario di sicurezza

Voglio segnalarvi  le splendide fotografie del popolo Nasa di Fabio Cuttica per l’agenzia Contrasto

 


Intervista a Simone Bruno: “gli indigeni fanno paura…”

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Foto di Simone Bruno

Simone Bruno è un fotoreporter italiano e da cinque anni vive a Bogotá. E’ corrispondente dalla Colombia per Peace Reporter, quotidiano online legato all’agenzia giornalistica MISNA  (Missionary Service News Agency) e all’ organizzazione umanitaria Emergency.
In queste settimane ha seguito la marcia della Minga, la grande mobilitazione indigena e contadina che è giunta fino a Bogotá chiedendo rispetto per i popoli originari e diritto alla terra e alla vita e prospettando un progetto di partecipazione politica allo sviluppo del paese.
Simone Bruno ha testimoniato nei suoi articoli di quei giorni, soprattutto i violenti scontri avvenuti nella localià La María – Piendamó (Cauca) dove si sono registrati due morti e più di 70 feriti e dove è stato dimostrato che lo Escuadrón Móvil Antidisturbios (ESMAD) ha utilizzato armi non convenzionali contro gli indigeni. Le fotografie di Simone sono state pubblicate in tutti i più importanti quotidiani italiani e nei maggiori spazi informativi di Internet.
Per questo egli  ha ricevuto alcuni giorni fa nella sua pagina Facebook minacce di morte con il seguente messaggio: “comunistello di merda ti stai impicciando con forze che ti schiacceranno molto coraggioso lanciando pietre ed aggredendo agenti dello stato a la maria se vuoi fare il martire sará un piacere realizzare il tuo desiderio prega stronzo”) da un utente sconosciuto di nome Sol Dussant. In questa intervista ci spiega ciò che rappresenta il movimento indigeno in Colombia e le sue potenzialità rispetto a un cambiamento del paese.
 
A.M. – Simone, tu vivi ormai da cinque anni in Colombia. Hai avuto prima di questo momento minacce a causa del tuo lavoro?
S.B. – No, mai, questa è la prima volta in assoluto.
 
A.M. – Hai denunciato le minacce alle autorità? Che appoggio hai ricevuto?
S.B. – Ho sporto denuncia tramite il Consolato italiano dove ho trovato persone molto gentili e che mi hanno aiutato molto. Ho ricevuto appoggio anche da parte dell’ambasciatore in Italia, Sabas Pretelt de la Vega che in un comunicato stampa  ha respinto le minacce che ho ricevuto.
 
A.M. – Nel testo della minaccia si fa riferimento alla località della María. Tu sei stato lì raccontando lo svolgimento della Minga. Ci sono stati morti e feriti. Come era la situazione?
S.B. – Molto pesante . la repressione dell’ESMAD (polizia antisommossa) è stata brutale con armi,  machete e granate artigianali piene di polvere da sparo, vetri, schegge  e  chiodi. Ho visto molti feriti ed ho constatato il tipo di arma che ha provocato quelle ferite. C’erano feriti da arma da fuoco ed altri con schegge nel corpo. C’è stato anche un morto, Ramos Valencia che veniva da Tacueyó, morto per un proiettile che gli ha trapassato la testa da parte a parte.
 
A.M. – Un video della CNN ha dimostrato inequivocabilmente  che membri della ESMAD hanno sparato contro i contadini della MINGA e lo stesso  Álvaro Uribe lo ha dovuto ammettere pubblicamente. I partecipanti alla Minga si sono difesi soltanto con i tradizionali “bastoni di comando” e con le pietre. Tu hai denunciato quanto avvenuto nei tuoi articoli. Credi che le minacce possano essere venute da persone vicine alla ESMAD?   

S.B. – Questo è difficile da dire. Sicuramente  le minacce sono venute per la mia presenza alla María, il messaggio lo dice molto chiaramente.  Chi si è infastidito per  il lavoro dei giornalisti è chi non voleva che si sapesse la verità dei fatti e delle violazioni dei diritti umani commesse dalla polizia. E’ anche chi non sa rispettare un movimento come quello  indigeno Colombiano che propone una maniera diversa di pensare e di vivere e una resistenza pacifica.
 
A.M. — La Minga è arrivata a Bogotá e nei prossimi giorni ci saranno iniziative in alcune città europee in solidarietà ad essa. Cosa pensi di questa mobilitazione indigena e contadina? Può rappresentare realmente come sembra, un momento di rottura tra la società colombiana e il governo?

S.B. – Credo che sia la concomitanza di due processi. Da un lato mi sembra che la società inizi a svegliarsi da un lungo sonno. Lo testimoniano le mobilitazioni praticamente di tutti i settori sociali: tagliatori di canna, studenti, professori, trasportatori, giudici, tra gli altri.
Dall’altro lato la Minga  rappresenta l’espressione di un lungo processo interno al movimento Indigeno Colombiano, di cui gli indigeni Nasa del Cauca sono senza dubbio il settore più forte e organizzato. La coincidenza di questi due aspetti ha fatto sì che la Minga diventasse il catalizzatore e acceleratore di tutte queste proteste che in qualche  modo confluiscono tra loro. Questo non è causale. I Nasa vanno tessendo, come essi stessi affermano, relazioni con altri settori e movimenti sociali da diversi anni. Nella storia Nasa si osservano quattro fasi di resistenza, l’ultima si chiama di alternativa e inizia più o meno con la Costituzione del 1991, cioè con l’arrivo dell’onda neoliberale in Colombia. I Nasa si sono resi conto che il nemico non è più rappresentato dal  latifondista, ma dal potere multinazionale che non si vede.  Per combatterlo capiscono che si devono aprire agli altri settori sociali e continuare a lottare uniti. E’,  se vogliamo, la fine della fase puramente  indigenista del progetto Nasa.
 
A.M. – Che prospettiva  a lungo termine immagini possa avere la Minga in Colombia?
S.B. – E’ un processo lungo. In questo mese la Minga ha avuto  molta visibilità. Nei prossimi mesi forse non sarà più così,  ma il processo continuerà sicuramente a livello interno e si andrà rafforzando. Nella prossima manifestazione pubblica sarà ancora più forte e avrà ancora più sostegno da parte  degli altri attori sociali. Questo è stato così anche in passato se pensiamo a quella che fu chiamata Minga per la vita del 2004 e a tutte le mobilitazioni precedenti. Con queste espressioni gli indigeni prendono tempo e si relazionano con nuovi  attori. Si ritirano, elaborano e riappaiono nuovamente.  
A.M. – Come si sviluppano  attualmente in Colombia la protesta sociale e il conflitto sociale armato nell’ambito di questa criminalizzazione violenta della protesta e nell’ ambito dell’attuale situazione di repressione e persecuzione dell’opposizione?
S.B. – La criminalizzazione della protesta è un esercizio molto praticato in Colombia dove le FARC si trasformano nella scusa per annientare i movimenti sociali.
I movimenti democratici sono schiacciati tra l’attore statale e paramilitare da un lato e dalla guerriglia dall’altro. Tutti i movimenti più rispettabili in Colombia assumono una posizione di neutralità o si dichiarano comunità di pace, sono sopraffatti da ambedue le parti e da ambedue  gli attori. La colpa che  hanno non è tanto quella di non partecipare, ma di mettere  in discussione lo stesso conflitto che è quello che permette di sopravvivere sia alle FARC che al governo. Rimane veramente poco spazio per sviluppare la protesta sociale, tanto fisicamente quanto nell’immaginario dei Colombiani che preferiscono spesso  non sapere niente di quello che accade, non discutere e non essere coinvolti.
A.M. – Non credi che le minacce a un giornalista siano la dimostrazione che sta facendo bene il suo lavoro?
S.B. — O che gli indigeni fanno paura…
A.M. – Come giornalista minacciato come immagini che si possa continuare a lavorare per la libertà di espressione e per la denuncia delle violazioni dei diritti umani commesse dallo Stato in Colombia?
S.B. – Io ho la fortuna di essere Italiano e di vivere a Bogotá. L’appoggio della stampa italiana è stato molto importante, penso per esempio a Maso Notarianni di Peacereporter e a Alessandra Coppola del Corriere della Sera che per primi si sono preoccupati della mia situazione. La visibilità e l’appoggio pemettono di sentirsi più sicuri. Ma ci sono centinaia di giornalisti Colombiani che lavorano e vivono in zone rurali del paese. Per loro,  denunciare quello che succede vuol dire mettere a rischio seriamente le loro vite e quelle dei loro familiari. Questo ha una evidente ripercussione sulla qualità dell’informazione nel paese. Così come la concentrazione dei mezzi di informazione nelle mani di poteri economici molto  forti, la cui finalità è massimizzare il profitto e non l’informazione. Questi mezzi di informazione saranno sempre al servizio del governante di turno. Non è casuale che  gli attivisti abbiano  deciso di consegnare  il video alla CNN e non ai media colombiani, questo perchè se lo avessero consegnato ai media colombiani, probabilmente  adesso poche persone lo avrebbero visto.  Parlo  dei grandi canali televisivi, perchè un errore che si commette   è quello di generalizzare sulla stampa Colombiana. Qui esistono buoni mezzi di informazione ed eccellenti giornalisti . Penso a Semana, a El spectador, al programma Contravia di Hollmann Morris, al notiziario di Canal Uno di Daniel Coronell e ad alcuni giornalisti  di El Tiempo e di Cambio.
E’ grazie a loro se siamo venuti  a conoscenza dei grandi scandali come quello della parapolitica. Ed è per questo che la lista dei giornalisti  minacciati è molto lunga.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Entrevista a Simone Bruno: “los indígenas espantan… ”

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Foto di Simone Bruno

Simone Bruno es un fotoreportero italiano y desde hace cinco años vive en Bogotá. Es corresponsal por el diario online Peace Reporter, relacionado a la agencia de noticias MISNA (Missionary Service News Agency) y a la asociación humanitaria  Emergency.  En estas semanas cubrió la marcha de la Minga,  la mobilitación indígena y campesina que llegò   hasta Bogotá, pidiendo respecto por los pueblos originarios y derecho a la tierra y a la vida  y  planteando un proyecto de participación politíca al desarrolllo del país.
Simone Bruno estubo testimoniando sobretodo los violentos enfrentamientos ocurridos en en La María-Piendamó (Cauca), donde se registraron dos muertos y más de 70 heridos, y donde se demostró que el Escuadrón Móvil Antidisturbios (ESMAD) utilizó armas non convencionales contra los indígenas. Las fotografías de Simone han sido publicadas en todos los más importantes diarios italianos y en los mayores espacios  de información en Internet.
Por eso recibió hace unos días en su pagína  de  Facebook amenazas de muerte con el siguiente texto: (“mamertico de mierda  se esta metiendo con fuerzas que lo van a aplastar muy valiente tirando piedras y agrediendo agentes del estado en la  maria si quiere ser un martir con mucho gusto le cumplimos el deseo rece malparido”) desde un usuario desconocido de nombre Sol Dussant.  En esa entrevista nos explica qué representa el movimiento indígena en Colombia y sus potencialidades  por un cambio en el país.
 
A.M. – Simone, tu  vives desde hace 5 años en Colombia. ¿Tuviste antes de ahora problemas de amenazas o de hostigamiento relacionados en tu trabajo?
S.B. - No nada, esta es la primera vez en absoluto.

A.M. — ¿Denunciaste las amenazas a las autoridades? ¿Qué respaldo tuviste?
S.B. — La denuncia la hice a través del consulado Italiano en donde encontré personas muy gentiles y que me ayudaron mucho. Recibí también apoyo por parte del embajador en Italia, Sabas Pretelt de la Vega, que en un comunicado de prensa rechazó las amenazas que recibí. 
A.M. — En  el texto de la amenaza se hace referencia al resguardo de la María. Tu estuviste allá cubriendo la Minga. Hubo muertos y heridos. ¿Cómo era la situación?
S.B. — Muy dura. La represión del ESMAD (policía anti-motines) fue brutal y con armas de fuego, machete y recalzados, ósea granadas artesanales rellenas de pólvora, puntillas, escotillas y vidrios.
Vi muchos heridos y constate el tipo de armas que los provocó. Había heridos de balas y otros con escotillas en el cuerpo. Tambien hubo un muerto, Ramos Valencia, proveniente del resguardo Tacueyó, que ha recibido una bala en la cabeza, que le atravesó de lado a lado.
 
A.M. — Un video de la CNN demostró inequivocablemente que miembros de la ESMAD dispararon contra los campesinos de la Minga y Álvaro Uribe tuvo que admitir públicamente eso. Los participantes de la Minga se defendieron solamente con bastones de mando y piedras. Tu denunciaste eso en tus notas, ¿Piensas que las amenazas puedan llegar desde alguien cercano a la ESMAD?

S.B. — Esto es difícil saberlo. Por seguro las amenazas se deben a mi presencia en la María, el mensaje lo dice muy claramente. Quien se molestó por el trabajo de los periodistas  es quien no quería que se supiera la verdad de los hechos y de la violaciones de los derechos humanos por parte de la policía. Es también quien no sabe respectar un movimiento como el movimiento indígena Colombiano que propone una manera otra de pensar y de vivir y una resistencia pacífica. 
A.M. — La Minga ha llegado a Bogotà y en los próximos días habrá también eventos en algunas ciudades europeas en solidaridad a ella. ¿Qué opinas de esa movilización indígena y campesina? ¿Puede representar  realmente, cómo parece, un momento de ruptura entre la sociedad colombiana y el gobierno?

S.B. — Creo que es la coincidencia de dos procesos. En un lado me parece que la sociedad empieza a despertar de un largo sueño. Son testigo las movilizaciones de prácticamente todos los sectores sociales: corteros de cañas, estudiantes, profesores, transportadores, jueces, entre otros.
En otro lado está la Minga que es expresión de un lento proceso interno al movimiento Indígena Colombiano, del cual los indígenas Nasa del Cauca son sin duda es sector más fuerte y organizado.
La coincidencia de las dos cosas hizo que la Minga se volvió el catalizador y acelerador de todas estas protestas que en algunas manera confluyen. Esto no es casual los Nasa vienen tejiendo, como ellos dicen con otros sectores y movimientos sociales desde hace mucho años. En la historia Nasa se cuentan 4 fases de resistencia, la ultima se denomina de alternativa y empieza más o menos con la constitución del 1991, ósea con la llegada de la ola neoliberal en Colombia. Los Nasa se dan cuenta que el enemigo ya no es el terrateniente, sino un poder multinacional que no se ve. Para enfrentarse entienden que se tienen que abrir a otros actores y seguir luchando untos. Es, si quiérenos el final de la fase solamente indigenista del proyecto Nasa.
 
A.M. — ¿Qué proyección a largo plazo imaginas pueda tener la Minga en Colombia?
S.B. — Es un proceso largo. En este mes  largo la Minga ha tenido mucha visibilidad. En los próximos meses quizás no será así, pero el proceso sigue seguramente a nivel interno y se va fortaleciendo mucho. En la próxima expresión pública será aun más fuerte y tendrá aun más apoyo de otros actores sociales. Esto ha sido verdad en el pasado si pensamos a la que se llamaba Minga por la vida del 2004 y todas las movilizaciones anteriores. Con estas expresiones los indígenas toman momentum y se relacionan con nuevos actores. Se retiran, elaboran y vuelven a salir.  
A.M. — ¿Cómo se desarrolla actualmente en Colombia la protesta social y el conflicto armado en el marco de  esa criminalización violenta de la protesta y en la actual situación de represión y persecución de la oposición?
S.B. — La criminalización de la protesta es un ejercicio muy practicado en Colombia en donde las FARC se trasforman en la excusa para aplastar los movimientos sociales.
Los movimientos democráticos están aplastados entre el actor estatal y paramilitar por un lado y por las guerrillas por el otro. Todos los movimientos más respetables en Colombia toman una posición de neutralidad o se declaran comunidades de paz, por esto, son atropellados por ambos lados y por ambos actores. La culpa que tienen no es tanto la de no participar, sino de cuestionar el conflicto mismo, que es lo que permite sobrevivir tanto a las FARC cuanto al gobierno. Queda realmente poco espacio para desarrollar la protesta social, tanto físicamente, cuando en el imaginario de los Colombianos que prefieren muchas veces no saber nada de lo que pasa, no opinar y no ser involucrados.  
A.M. — ¿No crees que las  amenazas a un periodista son  la demostración que está haciendo bien su trabajo?
S.B. — O que los indígenas espantan..  
A.M. — ¿Cómo periodista amenazado  cómo imaginas se pueda seguir trabajando por la libertad de expresión y por la  denuncia de las violaciones de los derechos humanos cometidas por el Estado en Colombia?
S.B. — Yo tengo la suerte de ser Italiano y vivir a Bogotá. El apoyo de la prensa Italiana ha sido muy importante, pienso por ejemplo en Maso Notarianni de Peacereporter y Alessandra Coppola del Corriere que por primeros se han preocupados de mi situación. La visibilidad y el respaldo permiten sentirse más seguros. Pero hay centenares de periodistas Colombianos que trabajan y viven en áreas rurales del país, para ellos denunciar lo que pasa quiere decir arriesgar seriamente su vida y las de sus familiares. Esto tiene una repercusión evidente sobre la calidad de la información en el país. Así como la concentración de los medios en la manos de poder económicos muy fuertes, cuya finalidad es maximizar es la ganancia y no es informar. Estos medios serán siempre al servicio del gobernante de turno. No es casual que los activistas decidieron dar el video a CNN y no a los medios Colombianos, eso porque si lo hubiesen dado a un medio Colombiano probablemente ahora poca gente lo conocería. Hablo de los grandes canales de televisión, porque un error que se puede hacer es generalizar sobre la prensa Colombiana. Acá existen unos buenos medios de información y unos excelentes periodistas. Pienso a Semana, El Espectador, el programa Contravia de Hollman Morris, el noticiero de Canal Uno de Daniel Coronell y algunos periodista de El Tiempo y Cambio. Es gracias a ellos si sabemos de los grandes escándalos como por ejemplo el de la parapolitica. Y es por eso que la lista de periodistas amenazados es muy larga.

 
 

Proposta di dialogo degli intellettuali colombiani alle FARC-EP

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Traduciamo e diffondiamo una lettera inviata da stimati e riconosciuti intellettuali all’insorgenza colombiana delle FARC-EP, in merito allo scambio umanitario dei prigionieri di guerra in mano alle due parti belligeranti.

A seguire la risposta delle FARC-EP.

LETTERA DI INTELLETTUALI ALLE FARC
mercoledì, 17 settembre 2008
Signori membri del Segretariato:
La soluzione della crisi che investe in diverse forme la società e lo Stato colombiano richiede una attenta riflessione, nonché la partecipazione dei diversi settori espressione della società civile e degli attori impegnati nel conflitto interno armato, sociale e politico che opprime il paese, con l’obiettivo di evitare danni alle istituzioni e propiziare la costruzione di una democrazia piena con giustizia sociale e pace, alla quale tutti si sentano di appartenere.
In virtù di tutto ciò, la nostra aspirazione è di lavorare per sbloccare i cammini che conducano alla concretizzazione di un Accordo Umanitario che permetta la liberazione dei sequestrati in potere all’insorgenza armata delle Farc e, allo stesso tempo, la libertà dei prigionieri di questa guerriglia sotto la giurisdizione dello Stato.
Siamo consapevoli del fatto che una soluzione diversa dall’intesa politica, per celebrare un Accordo Umanitario e facilitare un’uscita negoziata al conflitto, comporterebbe la sofferenza di importanti settori della popolazione, l’imminente pericolo per la vita dei prigionieri che stanno nella selva, la degradazione della guerra, e lo stimolo alla militarizzazione e all’autoritarismo e alla debilitazione istituzionale del processo politico nazionale.
L’escalation del conflitto ha travalicato la geografia nazionale e coinvolge territori di paesi fratelli con diversi atti di violenza istituzionale che hanno posto in difficoltà le relazioni diplomatiche del nostro paese.
Nonostante ciò, siamo certi che i presidenti e i capi di Stato dei popoli fratelli nell’emisfero e dei designati paesi amici europei concorreranno in modo solidale ad appoggiare i processi di dialogo che stiamo proponendo.
Per le ragioni esposte e con l’animo di intraprendere sin d’ora la ricerca di soluzioni a favore della pace in Colombia e la tranquillità degli esseri umani che subiscono il conflitto, vi invitiamo cordialmente a sviluppare un dialogo pubblico attraverso uno scambio epistolare mediante il quale voi, noi e in generale la società colombiana possa identificare gli elementi che permettano di definire una agenda che chiarisca quali siano i percorsi in cui sia possibile intendersi, in attesa del tanto anelato accordo umanitario.
Consideriamo che esiste già un’apprezzabile corrente di opinione che favorisce la promozione di fattori contrari alla soluzione armata e che è in condizione di collocare i referenti adatti per generare un confronto democratico sui temi della pace e della guerra in Colombia, al fine di propiziare la pacifica convivenza all’interno di una nuova etica sociale.
Firmatari: Piedad Córdoba Ruiz, Medófilo Medina, Fabio Morón Díaz, Víctor Manuel Moncayo, Alfredo Beltrán Sierra, Jaime Angulo Bossa, Javier Darío Restrepo, Daniel Samper Pizano, Francisco Leal Buitrago, Iván Cepeda Castro, Marc Chernick, Gabriel Izquierdo S.J., Gloria Cuartas, Alberto Rojas Puyo, Fernán González S.J., José Gutiérrez, Álvaro Camacho Guisado, Fabiola Perdomo E, Apolinar Díaz-Callejas, Lisandro Duque Naranjo, Alberto Cienfuegos, Alpher Rojas Carvajal, Leopoldo Múnera Ruiz, Renán Vega Cantor, Carlos Lozano Guillen, Carlos Villalba Bustillo, Jorge Enrique Botero, Apecidez Álviz F, Carlos A. Rodríguez Díaz, Ricardo Bonilla G, Andrés Felipe Villamizar, Arlen B. Tickner, Zulia Mena, Gustavo Duncan, Lilia Solano, Julio Silva Colmenares, Oscar Mejía Quintana, Olga Amparo Sánchez, Arturo Escobar, Rafael Ballén, William García Rodríguez, César Augusto Ayala Diago, Fernando Cubides Cipagauta, Darío Villamizar H, Luis Fernando Medina, Santiago Araoz F, Fabián Acosta, Ciro Quiroz, Alonso Ojeda Awad, Jimmy Viera, Efraín Viveros, Eduardo Gómez, Carlos Villamil Chaux, Moritz Akerman, Ricardo Montenegro V, Santiago Vásquez L, Enrique Santos Molano, Libardo Sarmiento Anzola, Hollman Morris, Víctor Gaviria, Jaime Caicedo T, Patricia Ariza, Jennifer Steffens, Bruno Díaz, Héctor Moreno Gálviz, Mauricio Archila Neira, Dora Lucy Arias, Carlos Álvarez Núñez, Carlos Medina Gallego, Diego Otero Prada, Guillermo Silva, Luis Enrique Escobar, Eduardo López Hooker, Eduardo Carreño, Alexandra Bermúdez, Fernando Estrada G, Norma Enríquez, Pilar Rueda, Fernando Arellano, Gabriel Awad, Cristo Rafael García Tapias, Alfonso Santos C, Jorge Lara Bonilla, Miguel Eduardo Cárdenas, Andrés Vásquez, Jaime Calderón Herrera, Álvaro Bejarano, Álvaro Delgado, Álvaro Villarraga, Armando Palau, Darío Morón Díaz, Mauricio Rojas Rodríguez, Jairo E. Gómez, Carlos Rosero, Gonzalo Uribe Aristizábal, Edgar Martínez C, Cristina Ortegón, Esperanza Márquez M, Daniel Libreros C, Didima Rico Chavarro, Eduardo Franco Isaza, Evelio Ramírez, Fructuoso Arias, Gabriel García B, Gabriel Ruiz O, Germán Arias Ospina, Gloria Polanco, Gustavo Puyo A, Gustavo García, Hernán Cortés A, Ivón González, Jaime Pulido Sierra, Jaime Vasco A, Juanita Basán A, Juan de Dios Alfonso, Luis Alberto Ávila A, Luis Eduardo Salcedo, Luis Jairo Ramírez H, Marleny Orjuela, Mario Santana, Orsinia Polanco, René Antonio Florez C, Ricardo García Duarte, Rubén Darío Flórez, Sara Leukos, Víctor José Pardo.
 

RISPOSTA DELL’INSORGENZA

 

 

Stimati compatrioti:

 

 

Abbiamo ricevuto benevolmente la vostra missiva di settembre, che invita a ricercare collettivamente delle strade verso la pace, diverse dalla attuale linea di guerra perenne del governo, la quale significa persistere nell’impossibile soluzione militare ai problemi politici, economici e sociali che sono alla base del cruento conflitto che strazia il paese.

 

 

Accogliamo il maturare di una corrente di pensiero che si distanzia dal falso trionfalismo e dai parametri della soluzione bellicista per i grandi problemi nazionali. Non dubitiamo del successo della vostra iniziativa perché interpreta il sentimento di pace e la volontà della maggioranza.

 

 

Questa lettera rappresenta già l’inizio dello Scambio Epistolare che ci proponete per discutere nel merito di un’uscita politica del conflitto, dello scambio umanitario e della pace. Parteciperemo, dinanzi al popolo, ad un dialogo ampio e franco, senza dogmatismi, senza settarismi, e senza pregiudiziali intorno ai temi che suggerite. E’ necessario sforzarci di coinvolgere la più grande quantità possibile di organizzazioni politiche e sociali e di persone indipendenti.

 

 

La nostra disposizione nel ricercare le possibilità dello scambio umanitario e della pace con giustizia sociale, che è oggi la necessità più urgente e sentita di tutta la nazione, rimane immutata. La liberazione unilaterale di sei congressisti nel recente passato, consegnati al Presidente Hugo Chàvez e alla senatrice Piedad Còrdoba, intendeva creare le condizioni e l’ambiente propizio allo scambio di prigionieri in potere delle parti contendenti. Questo atto è un’irrefutabile testimonianza di volontà politica.

 

 

Molto rispettosamente, suggeriamo, per rafforzare questo nuovo tentativo, di tener conto della manifesta disponibilità della grande maggioranza dei Presidenti latinoamericani, nel contribuire con i propri sforzi, alla realizzazione dello scambio umanitario e della pace.

 

 

La immensa bandiera della pace con giustizia sociale dovrà sventolare definitivamente, libera, sotto il cielo della Colombia. La guerra eterna contro il popolo che ci vogliono imporre per perpetrare l’ingiustizia, non può essere il destino della patria.

 

 

Ricevete il nostro cordiale saluto,

 

 

Compatrioti

 

 

Segretariato dello Stato Maggiore Centrale delle FARC-EP

 

 

Montagne della Colombia, 16 ottobre 2008

 

 

 

Colombia, minacciato di morte Simone Bruno, giornalista di Peace Reporter

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Foto di Simone Bruno

esprimo la mia solidarietà a Simone Bruno, con un profondo apprezzamento per il suo lavoro svolto in Colombia.  Annalisa Melandri

di Maso Notarianni – Peace Reporter
 
“Ti stai intrufolando dove non devi con troppa forza e verrai schiacciato. Se vuoi diventare un martire con molto piacere soddisferemo il tuo desiderio”.
Simone Bruno, il nostro corrispondente dalla Colombia, è stato oggi minacciato di morte attraverso la sua pagina di Facebook. Detta così, nel nostro Paese dove il social network si usa quasi solo per svago, potrebbe sembrare una cosa da poco.
Ricevere minacce in un paese come la Colombia invece è una cosa molto seria. Negli ultimi dieci anni sono stati uccisi 120 giornalisti, colpevoli di aver denunciato le ingiustizie sociali in una terra stretta tra la brutale repressione del governo e la violenza della guerriglia.
 
Simone si era recato nello stato del Cauca, nella città di María-Piendamó, per documentare la protesta degli indigeni con le sue splendide foto e i suoi racconti.
Un reportage importante, che raccontava il tentativo degl iindigeni di far conoscere al mondo intero la loro drammatica situazione: secondo la Onic (Organizzazione nazionale indigena colombiana) durante l’ultimo anno sono stati uccisi 1253 indigeni, uno ogni 53 ore, e 54mila sono stati espulsi dalle loro terre ancestrali.
Contro l’esproprio delle terre, la rapina delle risorse, gli indigeni non solo colombiani si stanno battendo da decenni in America Latina. Una battaglia per la vita stessa delle popolazioni. Nella sola Colombia, diciotto dei 102 popoli indigeni ancora esistenti sono oggi a rischio di estinzione, dato che sono composti da meno di 200 abitanti ognuno. Come i Nasa ripetono spesso: “Un indigeno senza terra è un indigeno morto”.
 
Simone era andato nello Stato del Cauca il 12 ottobre scorso, si era fermato con gli indigeni una settimana. Aveva documentato la brutale azione delle Forze speciali della polizia Colombiana che aveva represso nel sangue le proteste dei Nasa, e per questo è stato minacciato: “Sronzo di merda, ti stai intrufolando dove non devi con troppa forza e verrai schiacciato. Sei coraggioso a buttare sassi e ad aggredire gli agenti dello stato di María e se vuoi diventare un martire con molto piacere soddisferemo il tuo desiderio. Prega, figlio di puttana”.
Simone ha immediatamente avvisato i responsabili di Facebook della minaccia ricevuta, e subito la pagina del mittente è stata rimossa, ma l’identità di chi lo ha minacciato rimane ancora sconosciuta.
 
Simone Bruno ha trentasei anni, e in Colombia ha scelto di vivere. Lavora lì da cinque anni: “La Colombia — dice a proposito della minaccia ricevuta — evidentemente è ancora lontana dall’essere un paese che rispetta chi la pensa in modo differente. La minaccia è a me, ma diretta a colpire il movimento indigeno”.
 
Questo il reportages da María-Piendamó, per il quale Simone è stato minacciato di morte.
 
Ringraziamo Simone per il lavoro che ha fatto, e lo ringraziamo insieme ai popoli indigeni per il coraggio e la passione che con il suo lavoro ogni giorno dimostra.
Maso Notarianni
Vedi le fotografie di Simone Bruno sulla marcia degli indigeni colombiani

Cadono, come le foglie silenziose d’autunno… gli operai dalle impalcature

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Ormai cadono dalle impalcature come le foglie dagli alberi in autunno.
 
Uno, due, tre al giorno,  mentre l’Italia sta a guardare.
Preoccupata dal mercato dell’auto che crolla, dalla crisi che finalmente adesso chiamiamo recessione, dalla schizofrenia da poltrona di Villari.
 
E così questi operai che silenziosi come le foglie d’autunno, cadono dal loro luogo di lavoro e muoiono, sono un po’ il  paradosso amaro e nascosto di questo paese e di questo momento.
 
Ma,   se con maggior fragore e attenzione   crollano le borse e i mercati, arretrano gli indici e precipitano le azioni, in silenzio  cadono e precipitano nel vuoto i nostri operai. Giovanissimi ma non solo,   italiani o anche   immigrati irregolari, lontani dalle Piazze Affari, dal PIL, ignari delle grandi cifre che in un solo giorno si bruciano nel paese, ultima, dimenticata  rotellina di un ingranaggio sempre più vicino alla rottura.
 
Si spera soltanto che il  rinvio a giudizio per i 6  imputati al processo per il rogo della Thyssen Krupp, con l’accusa “storica” di omicidio colposo non serva da anestetico alla coscienza di questa Italia  già pericolosamente sedata…
Si muore di lavoro, ogni giorno, continuamente, in ogni angolo di questo paese, a volte silenziosamente, come le foglie d’autunno che cadono…
 
 
segnalo:
 
AVVELENATI BRUCIATI CADUTI DILANIATI…
 
 
 
Si continua a morire, a rimanere feriti, a contrarre malattie, nella guerra quotidiana tra chi accumula profitto da bruciare nella crisi delle borse mondiali e chi può solamente vendere il proprio corpo per sopravvivere !!
 
Basta con le sterili denunce, le ipocrite indignazioni che niente costano e niente possono risolvere !
 
Solo i lavoratori possono costruire le risposte, attraverso il confronto, l’analisi, le pratiche di lotta e di resistenza !
 
 
 
SABATO 22 NOVEMBRE ALLE ORE 15
 
SALA DANTE– ZONA PIAZZA VERDI
 
LA SPEZIA
 
 
 
ASSEMBLEA PUBBLICA
 
Sulle condizioni di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro
 
 
 
Intervengono:
 
 
 
-          Lavoratori del porto di La Spezia
 
-          Lavoratori del cantiere navale di Riva Trigoso
 
-          Ricercatori dell’Università di Genova che recentemente hanno prodotto una ricerca su questo tema
 
-          Primomaggio, foglio per il collegamento tra lavoratori, precari, disoccupati
 
 
 
 
 
Rete contro la precarietà – La Spezia
 
 
 

Álvaro Uribe Vélez persona non grata en México

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Ante la más reciente vista del presidente de Colombia Alvaro Uribe Vélez a México (del 7 al 11 de noviembre de 2008), los Padres y Familiares de los jóvenes mexicanos asesinados en Sucumbíos, Ecuador, manifestamos nuestro repudio a su vista y exigimos no sólo se le declare persona non grata, sino que se le juzgue por el asesinato confeso de Verónica Velásquez Ramírez, Fernando Franco Delgado, Soren Aviles Angeles y Juan González del Castillo, así como por las heridas y el daño causado a Lucía Morett Alvarez.
 
Con preocupación vemos como esta visita es la tercera que Uribe Vélez realiza a nuestro país en el 2008, quedando clara la cercanía y complicidad que ha mantenido el gobierno mexicano con el colombiano, al no condenar el asesinato de cuatro connacionales y no proceder jurídicamente como corresponde contra Uribe, quién reconoció abiertamente desde un inicio la autoría de la masacre de Sucumbíos y el asesinato de nuestros hijos.
 
Uribe no sólo cuenta con el respaldo del gobierno de Felipe Calderón, también se ha aliado con grupos ultraderechistas para intentar limpiar su imagen y evitar inútilmente la condena social del pueblo de México, muestra de ello fue la reunión que sostuvo con Vicente Fox ex-presidente de México); José Antonio Ortega Sánchez (Presidente del Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Justicia Penal A.C.) y varios miembros de Mejor Sociedad Mejor Gobierno, todos ellos vinculados directamente a “El Yunque” (organización clandestina de ultraderecha en México).
 
En dicho encuentro estos personajes no repararon en lanzar halagos a Uribe y solicitarle más información para “convencer” a la opinión pública de que actuó bien asesinando a más de 20 personas, a cambio de ello, Alvaro Uribe los nombra sus “socios antiterrorismo”, ante este hecho pedimos sea investigada esa relación de “socios” ya que públicamente se han denunciado los vínculos del presidente colombiano con el narcotráfico y el paramilitarismo.
 
De este modo los Padres y Familiares de las Víctimas de Sucumbíos, Ecuador, junto con organizaciones sociales, políticas y grupos estudiantiles hicimos patente nuestro rechazo a su visita por medio de dos manifestaciones pacíficas en las afueras de los recintos en donde se encontraba Alvaro Uribe Vélez, el día 7 de noviembre a las 16:00 hrs., arribamos a la sede de un hotel en la Ciudad de México en donde sostenía una reunión, nos mantuvimos durante 2 horas portando pancartas y mantas que denuncian el asesinato de nuestros hijos y la culpabilidad de Uribe.
 
El día 10 de noviembre acudimos a la residencia oficial de Los Pinos en donde Uribe Vélez era recibido oficialmente, ahí nos manifestamos a los afueras de dicho recinto exigiendo se le declarara persona non grata y se le juzgue por los crímenes cometidos. Cabe señala que nos fue impedido el paso hacía la residencia oficial de Los Pinos por un grupo de granaderos y durante nuestra protesta tuvimos una constante vigilancia por parte del Estado Mayor Presidencial (cuerpo de seguridad del Estado mexicano), quienes estuvieron fotografiando insistentemente a todas las personas que acudieron solidariamente a la manifestación.
 
Por último queremos manifestar con inquietud como México sigue los pasos de Colombia buscando implementar toda una política de violencia y criminalizaciòn de la protesta social y política, de los jóvenes y en general de aquella persona que no comparta la visión degradante del poder actual, todo ello bajo la supuesta lucha contra el narcotráfico y el terrorismo, que como es públicamente sabido esta inserto en las altas esferas políticas, y en donde estados como el colombiano son quienes ejercen el verdadero terrorismo.
 
México, D.F., Noviembre de 2008
ASOCIACION DE PADRES Y FAMILIARES DE LAS
VICTIMAS DE SUCUMBIOS ECUADOR.

La grande guerra: le due ribellioni

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soldato italiano fra reticolato

soldato italiano  fra reticolato Austriaco. Gorizia, Agosto 1916. Museo Storico di Alano (BL)

Fonte: Foto storica

Domani, mercoledì 19 Novembre, su Radio Onda Rossa, ore 11:

LE DUE RIBELLIONI:

- DISERZIONE, AMMUTINAMENTI, AUTOLESIONISMO NELLE
 TRINCEE

- RIVOLTE DEL PANE NELLE CITTA’
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“la  guerra si chiama guerra e chi non scappa lo sotterra”

- 870.000 denunce all’Autorita  Giudiziaria Militare
- 470.000 renitenti
- 400.000 atti di insubordinazione
- 210.000 condanne emesse dai Tribunali Militari
- 4.028 condanne a morte emesse,  di cui eseguite 750


Plaza de Mayo: libri e protagonisti

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Mercoledì 19 novembre 2008 — ore 17.30
Provincia di Roma
Palazzo Valentini
Sala della Pace
Via IV Novembre 189/A — Roma

Vera Vigevani Jarach di Madres de Plaza de Mayo,
autrice (con Carla Tallone) del libro “Il silenzio infranto”, Silvio Zamorani Editore

Estela Carlotto, Presidente di Abuelas de Plaza de Mayo,
e
Italo Moretti, giornalista e autore del libro
“I figli di Plaza de Mayo”, Saggi Paperback — Sperling & Kupfer

saranno intervistati da:
Cecilia Rinaldini, Giornalista Radio RAI

Letture: Morgana Marchesi
Musiche e canzoni: Gina Lacorazza e Tobías González


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