Lo sciopero nazionale in Perú
Circa 200 persone in stato di arresto e una cinquantina di feriti, questo il saldo dello sciopero nazionale agrario organizzato dalla Central General de Trabajadores del Perú (il quarto durante la presidenza di Alan García), che nella giornata di ieri ha paralizzato il paese.
Il governo aveva disposto imponenti misure di sicurezza e dispiegato notevoli mezzi dell’esercito per le strade, negli aeroporti e in aree giudicate più a rischio come le centrali idriche ed elettriche.
Una sede governativa è stata data alle fiamme e moltissime strade e vie di comunicazione sono state bloccate, in quella che soprattutto nelle zone interne del paese e sicuramente con minor intensità a Lima, si è dimostrata essere una giornata di protesta a tutto tondo contro Alan García.
Nonostante le fonti governative tentino di sminuire l’esito dell’iniziativa, Mario Huamán segretario generale della CGTP, informa che si è trattato di un successo sia a livello organizzativo che di partecipazione. Da da questa grande occasione di ripudio alla politica neoliberale del presidente Alan García è nato inoltre un impegno importante per il futuro sia sul piano di incontro di istanze diverse che su quello prettamente politico in vista delle prossime elezioni del 2011.
E’ stata annunciata infatti per il prossimo 4 novembre, (giorno in cui ricorre la grande rivolta indigena guidata da Túpac Amaru) la costituzione della Asamblea Nacional de Los Pueblos (Assemblea Nazionale dei Popoli) che avrà l’intento di “promuovere cambiamenti” a livello sociale nel paese e che presenterà un fronte politico elettorale per il prossimo appuntamento del 2011.
L’Assemblea Nazionale dei Popoli sarà formata da due grandi sindacati, da settori organizzati della società civile e da diverse realtà regionali dislocate in tutto il paese.
Alan García, usando toni concilianti, promette di impegnarsi entro la fine dell’anno a portare l’inflazione del paese ai livelli più bassi di tutta l’America Latina, eludendo d’altra parte quelle che erano poi le vere richieste dello sciopero nazionale e cioè la revoca dei decreti legge approvati quest’anno che di fatto svendono risorse e terre alle multinazionali straniere sottraendole alle comunità indigene e contadine.
Intanto il governo si trova a fare i conti anche con uno scandalo a livello mediatico, che coinvolge direttamente il Partito Aprista e probabilmente la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E’stato infatti trasmesso il giorno precedente allo sciopero un video nel quale appare Valdimiro Montesinos, ex capo dei servizi segreti nonché braccio destro del dittatore Fujimori, ripreso proprio nel corso di una sua testimonianza al processo contro Fujimori e nel quale da questa viene estrapolata la seguente frase: “è proprio così che la SUTEP (il sindacato unico dei lavoratori del settore educazione del Perù) tra il 1990 e il 2000 non ha mai organizzato uno sciopero contro il governo Fujimori) accompagnata dalla scritta “assenti in dittatura”. Il video è stato trasmesso dalla tv nazionale con il chiaro intento di screditare il movimento sindacale che i giorni successivi sarebbe sceso in piazza aveva dichiarato allora il segretario generale della CGTP Mario Huamán, criticando duramente il governo per aver usato un personaggio come Montesinos, che attualmente sta scontando una condanna a 20 anni di carcere per traffico di armi ed ha numerosi processi pendenti, per gettare discredito sui sindacati del paese.
Nonostante il premier Jorge del Castillo abbia successivamente affermato che lo spot era stato preparato e pagato dalla direzione del Partito Aprista, ieri è stato diffuso da Canal N un documento nel quale risulta inequivocabilmente che lo spot è stato realizzato su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri e come cliente risulta il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo del Perú (PNUD).
Si parla di errore nella trascrizione dei codici dei clienti, di fatturazioni errate, di “confusione”. L’unica cosa certa è che verrà aperta un’inchiesta.
Perú in rivolta : due giorni di sciopero nazionale e l’esercito in strada
I due giorni di sciopero nazionale agrario del 8 e 9 luglio promossi in Perú da varie organizzazioni tra le quali la Confederación General de Trabajadores del Perú (CGTP), la Confederacíon Nacional Agraria (CNA), la Confederación Campesina del Perú (CCP) e la Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (CAOI) rischiano di paralizzare il paese e di trasformarsi in un momento di rivolta nazionale contro un governo, quello del presidente Alan García. Questo sordo fino a questo momento alle varie voci di protesta che si levavano più o meno isolatamente, si trova ora a fare i conti con un movimento ben organizzato e soprattutto unito. Un movimento contadino e indigeno ben strutturato al quale si sono aggiunti altri settori, come quello dei lavoratori e degli imprenditori dell’attività estrattiva e mineraria, i trasportatori, i lavoratori del settore della pesca. Un movimento oggi forte dell’appoggio internazionale ottenuto anche da varie organizzazioni non governative europee (tra le quali la nostra ASud) soprattutto durante i giorni della Cumbre de los Pueblos, realizzata a Lima tra il 13 e il 16 di maggio di quest’anno, in contrapposizione al vertice istituzionale dei paesi dell’Europa e dell’America Latina e dei Caraibi. Enlazando Alternativas è il nome che è stato dato a questo grande progetto di gemellaggio di intenti e movimenti tra i due continenti.
E nonostante in questi giorni il premier Jorge del Castillo, appoggiato anche da una campagna mediatica non indifferente realizzata attraverso stampa e televisione, abbia cercato di sminuire la portata dell’adesione allo sciopero nazionale, in una conferenza stampa di oggi i portavoce delle maggiori associazioni e cioè Antolín Huascar, presidente della CNA, Melchor Lima della Confederación Campesina del Perú, Mario Palacios di CONACAMI, Miguel Palacín del CAOI, Luis Valer dela CUT-Perú e il Segretario General de la CGTP, Mario Huamán fanno sapere che almeno il 70% degli agricoltori aderisce allo sciopero nazionale. Hanno aggiunto inoltre che a causa del disinteresse dello Stato è aumentata la povertà nelle regioni rurali e agricole del paese e si è nello stesso tempo incrementata la perdita della diversità biologica e culturale nel momento in cui si verificano anche imponenti abbandoni delle terre da parte dei contadini.
Oggi in almeno sei regioni si sono registrate proteste contro le ultime misure adottate dal governo in materia di agricoltura e di redistribuzione della terra. Queste sono: Uyacali, Madre de Dios, Huánuco, Tacna, Puno, Ayacucho e Cusco. Praticamente ogni regione ha da esprimere particolari e peculiari motivi di lotta e di protesta e quello che si profila all’orizzonte è un enorme grattacapo per il governo di Alan García.
La regione amazzonica di Madre de Dios, conosciuta anche come capitale della biodiversità del Perú è completamente paralizzata in ogni settore della vita sociale. Indigeni, agricoltori, imprenditori del settore minerario e del legno, coltivatori di castagne, commercianti, si sono recati in massa e con ogni mezzo verso Puerto Maldonado, il centro più importante.
Non è un caso che in questa zona la protesta sia particolarmente sentita. La terra qui rappresenta praticamente l’unico mezzo di sostentamento per centinaia di comunità indigene e contadine, è la loro stessa casa, la loro madre, la vita stessa, in una sintonia creatasi attraverso i secoli. Le leggi varate dal governo centrale di fatto formalizzano l’espropriazione delle terre che qui vengono coltivate e abitate da generazioni di contadini e di popolazioni indigene. Il DL 994, per esempio, approvato dal governo nel marzo scorso, facilita l’applicazione del Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti e favorisce gli investimenti da parte delle multinazionali straniere nel paese. Soprattutto favorisce gli investimenti privati nei progetti di irrigazione di zone incolte che verrebbero affidati a grandi investitori stranieri sottraendo le terre così ai contadini della zona che potrebbero invece, con incentivi statali coltivare e rendere produttive e che invece sono stati sempre più esclusi nel tempo dalla loro gestione e sfruttamento.
Inoltre nel mese di maggio è stato approvato il DL 1015 per il quale “per l’acquisizione di proprietà da parte dei proprietari comunitari sulla terra che possiedono da più di un anno, l’Accordo Generale della Comunità richiederà il voto favorevole di non meno del cinquanta per cento dei comunitari proprietari da più di un anno”. Praticamente i contadini vedranno il loro diritto alla terra essere messo in discussione dal miglior offerente. E questo risulta particolarmente grave soprattutto in determinate zone rurali come la regione di Huancavelica, nella sierra, costituita da 580 comunità contadine riconosciute ufficialmente. Di queste almeno 100 non hanno titoli di proprietà e le loro terre non sono iscritte nei registri pubblici. Lo stesso ministro dell’Agricoltura ha riconosciuto che alla fine del 2007 circa mille comunità contadine non erano in possesso di titolo di proprietà della terra , anche in virtù del fatto che in Perú la trascrizione delle proprietà nei registri pubblici è facoltativa e non obbligatoria. Se venisse applicato il DL 1015 automaticamente queste comunità perderanno ogni diritto su quelle terre, diritto che esercitano ormai da centinaia di anni, di generazione in generazione. Terre che fanno particolarmente gola agli investitori in quanto ricche di materie prime non ancora sfruttate.
Le organizzazioni contadine chiedono inoltre al governo che adegui la legislazione nazionale vigente in materia di diritto del lavoro alle convenzioni internazionali e che vengano rispettate le direttive della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’ONU secondo le quali non devono essere fatte ulteriori concessioni a multinazionali operanti nel settore estrattivo nei territori appartenenti alle comunità contadine ed indigene.
Ad Ayacucho si chiede invece che vengano ritirate le truppe nordamericane dislocate nel territorio nel compimento di azioni umanitarie di vario tipo.
A Trujillo la protesta sarà contro la privatizzazione del porto di Salaverry e così via via in tutto il paese si protesta e si manifesta contro gli innumerevoli e diversi aspetti di una politica neoliberale che sta svendendo le enormi risorse e ricchezze ai capitali stranieri e che sta facendo del Perù uno degli ultimi alunni modello del FMI e della BM della regione.
Si protesta per migliori condizioni lavorative come per diritti sindacali ancora spesso negati, contro attività estrattive in zone ad elevato interesse turistico, così come per il pagamento di prezzi più giusti per le produzioni locali quali ad esempio quella del cotone.
Una protesta a tutto tondo che deve fare particolarmente paura al governo viste le imponenti misure di sicurezza adottate per i prossimi giorni e l’imponente militarizzazione in atto nel paese.
Con la Risoluzione Suprema n. 242‑2008-DE pubblicata nella giornata di ieri nel quotidiano “El Peruano” il governo del presidente Alan García ha disposto infatti che sia l’Esercito che la Forza Aerea mettano a disposizione uomini e mezzi per questi due giorni di sciopero nazionale. Un coro di voci unanime si è levato contro la misura disposta dal governo, definita come “incostituzionale” e “pericolosa per la democrazia” da alcuni analisti politici e sociali del paese.
Molti dirigenti sindacali responsabilizzano il governo per qualsiasi episodio di violenza possa accadere nei prossimi giorni in quanto affermano, mettere le Forze Armate per strada “è una provocazione” e una risposta “estremamente sproporzionata” alla una protesta “legale e prevista dalla Costituzione” come ha dichiarato Carmela Sifuentes presidente della CGTP.
La stessa CGTP conferma inoltre che elementi dell’esercito sono infiltrati in tutto il paese. A Trujillo soldati si sono insediati senza previa informazione ai responsabili, nella centrale di distribuzione dell’acqua potabile, lo stesso è avvenuto nelle centrali elettriche e in alcuni aeroporti di altre località.
Si denunciano inoltre infiltrazioni da parte di elementi vicino al partito aprista nell’organizzazione sindacale, con lo scopo di dividerla al suo interno in modo da sabotare l’adesione allo sciopero e le iniziative future.
Quello che è certo è che sembra una guerra sporca che il governo sta conducendo nel peggiore dei modi contro una legittima protesta del popolo che vuole solo ricordare al suo presidente le innumerevoli promesse incompiute della sua campagna elettorale.
Dos días de paro nacional en el Perú con el ejército en las calles
Los dos días de huelga nacional agraria, 8 y 9 de Julio, en el Perú promovida por diversas organizaciones, entre ellas la Confederación General de Trabajadores del Perú (CGTP), la Confederacíon Nacional Agraria (CNA), la Confederación Campesina del Perú (CCP) y Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (CAOI) amenazan con paralizar el país y se convierten en un momento de rebelión contra el gobierno del Presidente Alan García. Este se ha mantenido sordo hasta la fecha a las distintas voces de protesta que se levantaban más o menos de forma aislada, y que es ahora –contrariamente– la manifestación de un movimiento bien organizado y, sobre todo, unitario. Un movimiento campesino e indígena bien estructurado al que se añadieron otros sectores, tales como los trabajadores del carbón y la minería, transportistas, trabajadores de la industria pesquera.
Un movimiento que además tiene un fuerte apoyo internacional obtenido por varias organizaciones no gubernamentales europeas (entre las cuales nuestro ASud), especialmente durante los días de la Cumbre de los Pueblos, llevada a cabo en Lima entre el 13 y el 16 de Mayo de este año, en contraposición a la cumbre institucional de los países de Europa y América Latina y el Caribe. Enlazando Alternativas es el nombre que se le dio a este gran proyecto de hermanamiento de intenciones y movimientos entre los dos continentes.
Y aunque en estos días el primer ministro Jorge del Castillo, también apoyado por una campaña mediática a través de la prensa y la televisión, ha tratado de minimizar el alcance de la huelga nacional, en una conferencia de prensa, hoy Antolín Huáscar Melchor, presidente de la CNA Confederación Campesina de Lima de Perú, y portavoz de las mayores asociaciones convocantes, como son:, Mario Palacios de CONACAMI, Miguel Palacín la CAOI, Luis VALER dela CUT-Perú y Secretario General de la CGTP, Mario Huamán, sí sabemos que al menos que el 70% de los agricultores se adhiere a la huelga nacional. También añadió que debido a la ausencia del Estado en las zonas rurales y agrícolas del país se ha incrementado la pobreza y, al mismo tiempo, ha aumentado la pérdida de la diversidad biológica y cultural, produciéndose incluso una impresionante caída de las tierras de los campesinos.
Hoy, por lo menos, en seis regiones se han registrado protestas contra las últimas medidas adoptadas por el gobierno en la agricultura y la redistribución de la tierra. Estos son: Uyacali, Madre de Dios, Huánuco, Tacna, Puno, Ayacucho y Cusco. Prácticamente todas las regiones están dando detalles específicos y motivos de lucha y de protesta contra el gobierno de Alan García. La región amazónica de Madre de Dios, también conocida como capital de la biodiversidad de Perú está totalmente paralizada, en todos los sectores de la vida social. Indígenas, campesinos, empresarios, la minería y la madera, castaña productores, comerciantes, fueron en masa y con todos los medios a Puerto Maldonado, el más importante puerto de la región.
No es casualidad que en ese ámbito regional la protesta se haga sentir de manera especial. La tierra aquí es prácticamente el único medio de subsistencia de cientos de comunidades indígenas y campesinas, es su casa, su madre, la vida misma, en una melodía creada a través de los siglos. Las leyes promulgadas por el gobierno central tienden, realmente, a formalizar la expropiación de tierras que cultivan y habitan –por generaciones– los campesinos y pueblos indígenas. El DL 994, por ejemplo, aprobado por el gobierno en marzo del año pasado, facilita la aplicación del Tratado de Libre Comercio (TLC) con los Estados Unidos y alienta a las inversiones de las multinacionales extranjeras en el país. Especialmente alienta la inversión privada en proyectos de riego de zonas sin cultivar que se confiará a grandes inversores extranjeros, restando las tierras a los campesinos de la zona que podrían, con incentivos para cultivar y hacer productiva la región, y que son cada vez más excluidos en el momento de su gestión y explotación.
También en mayo se aprobó el DL 1015 de que “para la adquisición de bienes de la Comunidad a los propietarios de las tierras que poseen más de un año, el Acuerdo General de la Comunidad requerirá el voto favorable de no menos del cincuenta por ciento de la Comunidad.” Prácticamente los agricultores consideran que su derecho a la tierra va a ser impugnada por el mejor postor. Y esto es especialmente grave sobre todo en algunas zonas rurales como la región de Huancavelica, en la sierra, que tiene 580 comunidades campesinas reconocidas oficialmente. De éstas al menos 100 no tienen la propiedad de sus tierras por no estar inscritas en los registros públicos. El mismo Ministro de Agricultura ha reconocido que a finales de 2007 alrededor de un millar de comunidades campesinas no estaban en posesión de título de propiedad de la tierra, ello debido al hecho de que en el Perú la transcripción de la propiedad en los registros públicos es voluntaria y no obligatoria. Si se aplica automáticamente el DL 1015 esas comunidades perderán todos los derechos sobre esas tierras, que han ejercido durante cientos de años, de generación en generación. Tierras que son ricas en materias primas aún no explotadas.
Las organizaciones también piden al Gobierno la adaptación de la legislación nacional vigente en el ámbito de la legislación laboral con los convenios internacionales y que cumplan con las directrices de la Declaración de los Derechos de los Pueblos Indígenas, especialmente de la segunda en la que se establece que no deberían hacerse más concesiones a las multinacionales que operan en la minería en los territorios pertenecientes a comunidades campesinas y nativas.
En Ayacucho se pide que EE.UU. retire las tropas desplegadas en su territorio para llevar a cabo acciones diz que humanitarias. En Trujillo la protesta será contra la privatización del puerto de Salaverry, la misma que está proyectada a hacerse de manera gradual en todo el país, lo cual manifiesta que el paro es una protesta contra los innumerables y diversos aspectos de una política neoliberal que vende la enorme cantidad de recursos y la riqueza al capital extranjero y que está haciendo de Perú uno de los últimos alumnos modelo del FMI y del BM en la región. Se protesta por mejores condiciones de trabajo como de los derechos sindicales que todavía se siguen negando; contra las actividades mineras en zonas con alto interés turístico, así como el pago de precios justos para los productos locales como el algodón.
Una protesta que todos debemos hacer, sobre todo por el temor que existe de que el gobierno ha implementado una serie de medidas de seguridad adoptadas de imponente militarización en el país. Con la Resolución Suprema No 242 a 2008-ED publicada ayer por el diario “El Peruano” el gobierno del presidente Alan García ha ordenado que tanto el Ejército como la Fuerza Aérea debe poner a disposición recursos humanos y materiales para estos dos días de huelga nacional. Un coro unánime de voces se ha levantado en contra de la medida dispuesta por el gobierno, que se define como “inconstitucional” y “peligroso para la democracia” por algunos analistas políticos y sociales del país.
Muchos dirigentes sindicales responsabiliza al gobierno de cualquier episodio de violencia que pueda ocurrir en los próximos días, señalando que un Estado que pone las Fuerzas Armadas en la calle “es una provocación” y una respuesta “muy desproporcionada” en contra de una protesta “jurídica y prevista por la Constitución”, dijo Carmela Sifuentes secrtaria de CGTP. La CGTP también confirma que elementos del ejército se infiltraron en todo el país. En Trujillo grupos de soldados fueron impuestos, sin información previa, a los dirigentes de la central de distribución de agua potable; y lo mismo ha ocurrido en las centrales eléctricas y aeropuertos en otros lugares del país. Asimismo se informó de la infiltración de elementos próximos al partido aprista en el sindicato, con el objetivo de dividir al interior y con el fin de sabotear la adhesión a la huelga y las iniciativas futuras. Lo que es cierto es que parece una guerra sucia que el gobierno está llevando a la peor forma posible en contra de una protesta legítima del pueblo que sólo quiere recordar a su presidente que ha olvidado las innumerables promesas de su campaña electoral.
Juan Carlos Lecompte: Uribe como un cerdito
“Si usted me quema el carro, y después salva a mi papá, yo le agradezco que lo haya salvado, pero sí le digo que se portó como un cerdito al quemar mi carro”.
Juan Carlos Lecompte, esposo di Ingrid Betancourt hablando de Àlvaro Uribe en una entrevista de esos días.
Globali prese per il culo n. 2
Gli 8 grandi piantando alberelli a Toyako…Shhhhhh… che stanno lavorando per il futuro del pianeta!
Globali prese per il culo n. 1
I desideri di George W. Bush affidati ad un albero dei desideri di un giardino della località dove si sta tenendo il G8. “Un mondo libero dalla tirannia: quella della fame e dei governanti” e “quello nel quale si compia il desiderio universale di libertà”. Restiamo in attesa di istruzioni.
I bambini rom schedati e tutti gli altri? Chi li tutela alle frontiere?
La terribile proposta di Maroni della schedatura dei bambini rom a mezzo impronte digitali, che secondo il ministro dell’Interno sarebbe un’ulteriore garanzia per la tutela dei loro diritti e un mezzo per difenderli dai genitori sfruttatori, mi ha fatto venire in mente che, sempre in materia di tutela della sicurezza dei bambini, la nostra normativa per l’identificazione dei minori è a dir poco ridicola.
Al momento dell’iscrizione di un minore sul passaporto di uno dei genitori, per esempio, gli unici dati del bambino che vengono riportati sono il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita. Senza fotografia. Lo spazio per la foto c’è, ma questa fino ad una certa età non è obbligatoria.
Pertanto immagino che sia possibile e probabile, che un qualsiasi malintenzionato sul cui passaporto sia registrato un figlio e che voglia effettuare un traffico di bambini possa:
- partendo dall’Italia senza figlio (ovviamente), recarsi in un qualsiasi altro paese, prelevare un bambino dello stesso sesso e apparentemente della stessa età di quello registrato sul suo passaporto e farlo entrare come suo figlio, e al ritorno farne ciò che vuole.
- con lo stesso sistema partire dall’Italia con un figlio non suo ma con le stesse caratteristiche di quello registrato sul suo passaporto. E giunto nel paese di destinazione, farne ciò che vuole.
O no? E’ così facile come sembra o spero, mi auguro, che non sia così?
Ho fatto presente questo una volta a un addetto ai controlli documenti di Fiumicino che mi ha detto: “signora, lei ha ragione, non faccio io le leggi, ma se vuole può mettere le foto dei suoi figli sul passaporto…”.
Certo, solo che io non ho nessuna intenzione di vendere i miei figli, né qualsiasi altro bambino.
Tutti in piazza contro le leggi-canaglia
Siccome la manifestazione è anche contro i provvedimenti sulle intercettazioni promossi dal governo Berlusconi e siccome sono settimane che leggo che editori e giornalisti sono sul “piede di guerra”, mi piacerebbe sapere chi tra questi (editori e giornalisti) ha aderito e parteciperà domani alla manifestazione.
La liberazione di Ingrid Betancourt o il coniglio dal cilindro di Uribe?
E’ la grande notizia. Forse la notizia più attesa degli ultimi tempi.
Quella che dall’Europa all’America da tempo avremmo voluto ricevere. Ingrid Betancourt, 46 anni, di cui gli ultimi sei trascorsi nella foresta nelle mani della guerriglia colombiana delle FARC è stata liberata insieme a tre cittadini americani (tre “contractors” accusati dalla guerriglia di essere al soldo della Cia) e a 11 colombiani membri dell’Esercito e della Polizia.
Le ultime notizie che avevamo di lei, pochi mesi fa, la davano quasi in fin di vita. Probabilmente le sue condizioni non erano così gravi, certo è che le sue immagini e le sue parole giunte fino a noi sotto forma di una missiva riservata inviata alla madre e poi invece fatta circolare su tutti i giornali e pubblicata anche sotto forma di libro, testimoniavano di una donna visibilmente provata nel fisico e nell’animo da anni di prigionia in condizioni difficili.
Si è già ricongiunta ai suoi familiari, ai figli, al marito, alla madre e alla sorella, che con fiducia e speranza ammirevoli le sono stati vicini in tutto questo tempo, che hanno sempre parlato in nome e per conto di Ingrid, madre, sorella, figlia e moglie, ma anche in nome e per conto di tutti gli altri ostaggi, spesso dimenticati dai media, e in nome e per conto di un popolo, quello colombiano che non merita di vivere un conflitto così lungo e violento sulla propria pelle. Familiari che pur nella tragedia della situazione, anche in momenti particolarmente drammatici, hanno sempre dovuto con dignità e umiltà mediare tra le intemperanze di Uribe che premeva per mettere a ferro e fuoco la selva per liberarla e dimostrare così il successo della sua politica del “pugno duro” e la guerriglia, per la quale non hanno mai, nonostante il dolore che ha inflitto loro con il sequestro, avuto parole dure.
Probabilmente hanno saputo soltanto al momento di ricevere la notizia della liberazione di Ingrid, del blitz che le forze armate colombiane stavano preparando da tempo, loro che si sono sempre opposti, perchè considerati troppo rischiosi per la vita degli ostaggi, ai progetti di “rescate a sangre y fuego”, riscatti a sangue e fuoco, tanto cari al presidente colombiano.
Il blitz – Stranezze e coincidenze sospette
“Operazione Scacco” è stata chiamata l’operazione. E a giudicare dal nome il suo successo era scontato. Come mai? “L’operazione Scacco” non è stata un’operazione militare nel senso stretto del termine, piuttosto una vera e propria operazione di intelligence risolta senza nemmeno sparare un solo colpo. Perfetta, forse anche troppo. Proprio la perfezione dei dettagli con i quali è stata portata a termine potrebbe nascondere dei risvolti. Si sa che in Colombia erano da giorni presenti due europei, l’ex console francese a Bogotá Noël Sáenz e il diplomatico svizzero Jean-Pierre Gontard. Avevano avuto perfino l’ autorizzazione dal governo colombiano per intraprendere trattative con i nuovi vertici della guerriglia, dopo la promessa che era stata fatta della liberazione di 40 ostaggi tra i quali Ingrid Betancourt e i tre americani. Probabilmente, ma è ovvio che al momento si tratta solo di supposizioni, gli ostaggi erano pronti per essere già liberati e qui la facilità con la quale il capo dei carcerieri sarebbe stato convinto ad accettare il trasferimento in elicottero o si è invece trattato di una liberazione già in atto con l’intervento dell’esercito nelle ultime fasi per farla passare come esclusivo successo governativo.
Il ministro della difesa Manuel Santos nella conferenza stampa di ieri, descrivendone i dettagli rende noto invece che l’operazione era stata studiata e programmata già da molto tempo e che per poterla mettere in atto è stato necessario l’utilizzo di soldati infiltrati nel campo dove erano tenuti in ostaggio i prigionieri. Questi sono riusciti a convincere Gerardo Antonio Aguilar, alias “Cesar” il capo dei carcerieri di Ingrid e degli altri prigionieri liberati, dell’opportunità di trasferire gli ostaggi in un elicottero messo a disposizione da un’ associazione umanitaria, fino al luogo dove si sarebbero dovuti incontrare con Alfonso Cano, il nuovo leader delle Farc succeduto a Manuel Marulanda alla sua morte, avvenuta probabilmente per cause naturali qualche tempo fa. L’elicottero, opportunamente modificato, era invece un velivolo dell’esercito, e soltanto una volta in volo il comandante “Cesar” è stato neutralizzato e ai prigionieri data la notizia della loro liberazione. Senza spargimenti di sangue, senza mettere a rischio la vita degli ostaggi. Ingrid Betancourt stessa, nella sua prima conferenza stampa la definisce “un’operazione impeccabile” paragonandola a quelle israeliane ben note per precisione e successo. Un’operazione che sebbene il ministro della difesa Santos affermi sia stata condotta esclusivamente grazie all’intelligence colombiana non abbiamo difficoltà a immaginare che invece sia stata organizzata e studiata in accordo con quella statunitense e probabilmente anche con quella israeliana, che avrebbe fornito l’ avanzatissima tecnologia satellitare con la quale il luogo in cui si trovavano gli ostaggi era stato identificato già da alcune settimane. Identificazione favorita dai rilievi effettuati sulle prove in vita degli ostaggi, (alcune riprese video) sequestrate alla guerrigliera che le stava consegnando alla fine dell’anno scorso.
Un’operazione, il cui successo dimostrerebbe, se fosse vera la versione fornita, (al momento soltanto quella ufficiale) delle difficoltà organizzative e strutturali in cui si troverebbe la guerriglia colombiana, che solo nell’ultimo anno ha perso almeno quattro suoi capi.
Le Farc infatti non hanno fornito ancora nessuna versione dell’accaduto e il sito ANNCOL, considerato il più vicino al gruppo guerrigliero è nuovamente inaccessibile da circa due giorni. Stranamente.
Come sospetta sembra essere anche la presenza proprio nella giornata di ieri in Colombia del canditato statunitense McCain, il quale ha dichiarato che lo stesso Uribe lo aveva informato il giorno precedente dell’operazione che stava per svolgersi per la liberazione di Ingrid Betancourt. Nel teatrino Colombia abbiamo imparato da tempo che le coincidenze difficilmente sono causali e che la verità è un bene prezioso al servizio del miglior offerente. Probabilmente in questo caso non la sapremo mai, perchè il miglior offerente è proprio il presidente colombiano Álvaro Uribe.
Il coniglio dal cilindro di Uribe
Quel che è certo è infatti che la liberazione di Ingrid Betancourt appare in questo momento come il coniglio dal cilindro dei celebri giochi di prestigio.
La popolarità di Uribe che non era mai stata così bassa come nei giorni scorsi, con la sua seconda rielezione messa in discussione da un’accusa di corruzione alla deputata Yidis Medina che si trova ora in carcere per aver venduto il suo voto favorevole alla riforma costituzionale che ha permesso al presidente colombiano di ricandidarsi per la seconda volta, probabilmente già da oggi è in forte aumento. Intanto mentre la Corte Suprema di Giustizia e la Corte Costituzionale stavano proprio in questi giorni esaminando tutti gli atti per stabilire o meno l’illegalità della seconda rielezione di Uribe, questi, mettendosi a muso duro contro l’unico potere di fatto ancora indipendente e scevro da scandali legati alla parapolitica e cioè quello giudiziario, ha proposto niente di meno che un referendum popolare per chiamare il popolo a esprimersi sulla conferma o meno della sua rielezione del 2006. Praticamente quindi, chiamando il popolo colombiano a sostituirsi al potere giudiziario, e chiedendogli di assolverlo o meno dal reato gravissimo di aver comprato voti utili per modificare la riforma costituzionale con la quale è stata possibile la sua seconda rielezione. Operazione che ha coinvolto in prima persona anche Sabas Pretelt de la Vega, allora ministro dell’interno e adesso ambasciatore a Roma.
Oggi Uribe agli occhi del paese, ma soprattutto agli occhi della comunità internazionale da sempre silenziosa sugli scandali legati alla parapolitica che da tempo ormai lo lambiscono molto da vicino senza però colpirlo direttamente, (nel parlamento colombiano, 30 parlamentari sono attualmente in carcere e 70 sono inquisiti, tutti legati al partito della U, quello della maggioranza) è il grande salvatore di Ingrid Betancourt e questo probabilmente basta a far dimenticare il marcio sul quale poggia il suo potere e la sua carica e a rilanciare l’ipotesi, disastrosa per la libertà e per lo stato sociale del paese, della sua terza rielezione.
Ne esce vincente senza doversi prendere la briga nemmeno per un momento di affrontare questioni come lo scambio umanitario o il conflitto civile in corso nel paese, per le quali tanto si erano adoperati anche con qualche successo nei mesi scorsi il presidente venezuelano Hugo Chávez e la senatrice colombiana Piedad Cordóba. L’ostaggio eccellente ormai è stato tolto dalla selva e non sarà difficile immaginare che presto scenderà il sipario sugli altri prigionieri, tra i quali il figlio del maestro Moncayo, da 10 anni nelle mani delle FARC e su tutti i guerriglieri che sono attualmente reclusi nelle carceri colombiane, circa 500 e che si definiscono prigionieri politici in virtù del fatto che in Colombia è in corso da mezzo secolo ormai un conflitto civile. Conflitto negato sia nel paese che all’estero. Per tutti, per gli Stati Uniti in testa, ma anche per l’Unione Europea che si è sempre rifiutata di riconoscere lo stato di belligeranza alla guerriglia colombiana, i 500 guerriglieri che sono in carcere in condizioni non certo migliori di quelle in cui si trovava Ingrid nella selva, sono soltanto terroristi.
E’ facile anche immaginare che adesso veramente la foresta sarà messa a ferro e fuoco per cercare di catturare il nuovo leader Alfonso Cano e piegare definitivamente i ribelli, senza Ingrid laggiù in pericolo e senza la sua famiglia ingombrante e testarda pronta ad attaccare continuamente Uribe per i suoi tentativi di riscatto militare dei prigionieri. Con i paramilitari di supporto ancora sguinzagliati perchè mai smobilitati del tutto. Aguilas Negras adesso si fanno chiamare e non più Autodefensas Unidas. La sostanza resta la stessa. E i rischi che correranno contadini, comunità di indigeni e comuni cittadini, con la caccia al guerrigliero formalmente aperta, anche.
Ingrid, e dopo?
Al momento della sua liberazione, una delle prime dichiarazioni rilasciate da Ingrid Betancourt ieri sera è stata:” “Credo che questo sia un segnale di pace per la Colombia, possiamo ottenere la pace e abbiamo fiducia nella nostra forza militare e vorrei ringraziare ognuno dei soldati della Colombia”.
Che farà Ingrid Betancourt una volta ristabilitasi? Molte persone in Colombia e non solo, sperano che possa e voglia dedicarsi alla politica attivamente, trasformandosi in una nuova speranza per i sogni di libertà e di giustizia sociale del paese. Nel 2002 al momento del suo sequestro era candidata presidenziale. Fu rapita il 23 febbraio, il 26 maggio Uribe vinse le elezioni. Oggi lascia intendere che il suo desiderio di giustizia, di riforma sociale profonda del paese, sicuramente rafforzati dai sei anni di prigionia, sono ancora forti e vivi e potrebbero ancora concretizzarsi in una prossima candidatura. Forse quella del 2010. Quando, se non dovesse trovarsi davanti un Uribe al suo terzo mandato, l’alternativa non sarebbe migliore. E’ quasi certa la candidatura di Juan Manuel Santos, attuale ministro della difesa colombiana, in linea con la politica dura sulla sicurezza e sulla lotta alla guerriglia. Intanto al 2010 mancano ancora 2 anni, nei quali il paese dovrà affrontare ancora momenti difficili, con un esercito di ventimila persone nella foresta in bilico tra un passato di lotta e di aspettative gloriose e un futuro quanto mai incerto, una sinistra ancora in via di definizione e pesantemente sotto attacco anche dallo stesso presidente, una miriade di piccoli focolai di speranza, piccole realtà organizzate, reti e movimenti sociali poco strutturati ma in continuo fermento, che si muovono costantemente in pericolo di vita e di sopravvivenza e una classe politica al governo corrotta e pesantemente collusa con il paramilitarismo più attivo che mai. E’ questo il paese che accoglie oggi Ingrid Betancourt alla sua nuova vita, non molto diverso in fondo da quello per il quale stava lottando fino a sei anni fa.
Ingrid Betancourt è libera.
Liberata Ingrid Betancort e con lei altri 14 ostaggi con un blitz delle forze armate colombiane. Lo ha annunciato il ministro della difesa Juan Manuel Santos. Leggi Ansa.