Victor Ancalaf, “werken” del popolo mapuche, In Italia

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“Tener primeramente claro que el valor de la Tierra no tiene precio”.
“Innanzitutto essere consapevoli che il valore della Terra non ha prezzo”
Victor Ancalaf
 
Probabilmente Victor Ancalaf è venuto al mondo già segnato da un profondo attaccamento alla  Terra. Quella  che è venuta a mancare alla sua famiglia prima che lui nascesse. Nel 1960 infatti i suoi genitori, che vivevano a Nehuentué,  rimasero senza un luogo dove vivere  a causa del grande maremoto che inondò e distrusse completamente la costa sud del Cile, conosciuto come il Gran Terremoto del Cile. Egli nacque due anni dopo, nel 1962. Nel 1966 dovettero abbandonare quella zona perchè con tutta la comunità furono trasferiti altrove dallo stato cileno. Desplazados, come si dice in spagnolo,  in una parola che difficilmente si riesce a tradurre in italiano. Da allora inizia la sua battaglia per il recupero delle terre del popolo mapuche. Frei, non dimenticare che sei in terra mapuche disse nel 1998  al presidente cileno Eduardo Freí Ruiz-Tagle, guardandolo dritto in faccia e  interrompendo con altri 15 compagni il suo discorso presidenziale a Mininco, una  località a sud del paese. “Noi mapuche viviamo in queste terre da centinaia di anni e oggi siamo emarginati, impoveriti e messi da parte a causa dell’arrivo di multinazionali che non rispettano i nostri diritti e da un governo cileno, democratico, come si dice, che lavora gomito a gomito con questi usurpatori” gridò in quell’occasione alla folla. Nello stesso anno fondò  l’organizzazione mapuche Coordinadora de Comunidades en Conflicto Arauco – Malleco (CAM) della quale per circa due anni fu il  portavoce ufficiale. Tra il 1998 e il 2000 guidò numerose proteste  per il recupero delle terre e per l’occupazione dei fondi come mezzo di pressione sul governo e sulle multinazionali. Fu arrestato  varie volte con l’accusa di crimini contro l’ordine pubblico e danni alla proprietà privata senza che nessuna prova fosse portata contro di lui in tribunale.  
Ha trascorso in carcere, come prigioniero politico,  questi  ultimi cinque anni della sua vita, dal 2002 al 2007, condannato senza prove, nell’ambito del  conflitto scatenatosi per la costruzione di una centrale  idroelettrica nell’Alto del Bio Bio da parte della multinazionale “ENDESA”,  con l’accusa di “attentato d’ incendio terrorista”. Un capo d’ accusa, questo,  ereditato dalla dittatura militare di Pinochet per il quale anche delitti comuni contro la proprietà vengono equiparati ad atti di terrorismo, di ben più grave entità.  
Victor, adesso  ha ripreso la lotta insieme ai suoi compagni, e come “werken” (messaggero) della sua Comunità e del suo popolo, viaggia  in Europa e in Italia testimoniando la realtà dei Mapuche in Cile e in Patagonia.
Queste le date italiane:
19 maggio ore 20 Brescia
Circolo Anarchico Bonometti
(vicolo Borgondio 6, zona Carmine)
20 maggio ore 20 Crema
Spazio Popolare La Forgia
(via Mazzini 24 Bagnolo Cremasco)
21 maggio ore 20 Milano
Circolo Anarchico dei Malfattori
(via Torricelli 19, MM Romolo — Bus 90–91)
Giovedi 22 maggio ore 18 al caffè Basaglia (via Mantova 34 — Torino)
Venerdi 23 maggio ore 21 al presidio no-tav di Bruzolo
Domenica 25 maggio ore 15,30 al presidio no-tav di Venaus
 

La Commissione Interamericana dei Diritti Umani condanna l’estradizione di Salvatore Mancuso

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Il 13 maggio scorso 14 capi paramilitari colombiani, tra i quali Salvatore Mancuso, “Jorge 40” e “Don Berna” sono stati estradati negli Stati Uniti per essere giudicati per reati legati al narcotraffico.
La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) organismo dell’OEA, critica duramente questa estradizione, affermando che  “va contro l’obbligo dello stato colombiano di garantire il diritto delle vittime alla verità, alla giustizia e al risarcimento dei crimini commessi dai gruppi paramilitari. L’estradizione impedisce l’indagine e il giudizio di crimini gravi per mezzo della Legge di Giustizia e Pace in Colombia e per i procedimenti ordinari della giustizia colombiana. Nega anche alle vittime la possibilità di partecipare direttamente alla ricerca della verità relativamente ai crimini commessi durante il conflitto e limita l’accesso al risarcimento del danno procurato. Inoltre questo atto interferisce con gli sforzi per determinare i vincoli tra gli agenti dello Stato e questi stessi capi paramilitari”.
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Lo Stato Italiano ruba i bambini ai rom

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E’ una notizia ANSA di oggi. Da due anni alcuni genitori rom non hanno più notizie di 12 bambini che sono stati allontanati dalle loro famiglie dal  Tribunale dei Minori di Napoli. Lo denuncia l’europarlamentare ungherese rom Viktoria Mohacsi. Alcuni erano accusati di accattonaggio, ma i genitori non sanno più che fine hanno fatto.
Forse per questo oggi un rom in provincia di Nola, si è recato con altri tre connazionali nella casa famiglia dove alloggiavano i suoi tre figli di un anno e mezzo, tre e sette anni dopo che gli erano stati tolti e portati via dal campo nomadi dove vivevano,  ed è fuggito con loro.

Alla faccia della “purificazione totale”!!!!

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Benedetto XVI circa un mese fa ha fatto un viaggio negli Stati Uniti. La sua visita è stata caratterizzata dal suo silenzio. Quello che ha molto poco cristianamente osservato sulla pena di morte e sulla guerra in Iraq.
Ma è stata anche  caratterizzata per la condanna dura della pedofilia nel clero: “serve una purificazione totale!” aveva tuonato. “Mai più preti pedofili”.
 
Domenica 4 maggio 2008.
Pochi giorni dopo il suo arrivo dagli Stati Uniti. Basilica Santa Maria Maggiore a Roma. Il pontefice e Alemanno si incontrano dopo la messa e il neo sindaco di Roma si inchina e bacia la mano del papa. Di questo  hanno parlato tutti i giornali.
Hanno però taciuto quasi tutti, ad eccezione del  Manifesto, sul fatto  che in compagnia del papa, ad officiare la messa c’era il cardinale Bernard Law, oggi arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Bernard Law  fu  arcivescovo di Boston dal 1984 al 2002 quando venne  costretto a dimettersi da Giovanni Paolo II in seguito allo scandalo dei preti pedofili negli Stati Uniti. Egli avrebbe protetto alcuni preti pedofili della diocesi di Boston pur conoscendo i crimini di cui si erano macchiati. In particolare avrebbe volontariamente allontanato e spostato continuamente  da una parrocchia all’altra  padre John J. Geoghan, che nel marzo del 2002 fu condannato a dieci anni di carcere per aver abusato di un bambino di dieci anni. Dalle indagini e dal processo emerse che su padre Geoghan  pendevano centotrenta denunce per fatti analoghi e che il sacerdote era stato coperto proprio dall’arcivescovo Law e da tutta la diocesi, costretta successivamente a pagare ingenti risarcimenti alle vittime degli abusi.
Mai più preti pedofili, ma che carriera  per i preti che li hanno protetti, lasciandogli piena libertà di continuare ad abusare  dei bambini…

Quale cultura ci salverà?

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Si respira nel paese un clima pesante di violenza. Una violenza che a volte  germina e trova terreno fertile in una sottocultura fatta di simboli e immagini che ci riportano prepotentemente indietro di decenni.
Svastiche e immagini di Hitler e Mussolini nel computer di un quattordicenne che è accusato di aver seviziato, bruciandogli anche i capelli, un coetaneo; un ragazzo ammazzato di botte a Verona da cinque nazifascisti. Questi sono solo gli ultimi due episodi in ordine di tempo sui quali si impone una riflessione. Tanto più urgente dal momento in cui sembra trattarsi di fenomeni nei quali si può parlare di atteggiamenti maturati in seno a famiglie consapevoli e complici. Famiglie che hanno dissoluto il loro ruolo educativo delegandolo al branco, alla televisione, a internet. Libri e quaderni contro playstation e televisione,  il tempo lento della riflessione sulla parola scritta contro la velocità dell’immagine. E la cultura, un tempo sogno e illusione, desiderio e speranza,  oggi appare sempre più lontana, tanto lontana quanto la memoria della storia del nostro Paese. Possiamo ancora salvarci? Quale cultura oggi può ridarci la dignità costruita con la nostra Resistenza antifascista? Dove possiamo trovare l’antidoto alla violenza e le basi di una vera cultura della pace e del rispetto dell’essere umano? Esiste una cultura della pace e del rispetto, della dignità e della partecipazione ed esiste una cultura dell’esclusione, della prevaricazione e della sopraffazione. Senza voler a tutti i costi colorare di rosso o di nero l’una o l’altra, non possiamo dimenticare quello che hanno rappresentato gli anni del fascismo e del nazismo per l’Italia e per l’Europa. La semplificazione che si sta facendo attualmente di quanto accaduto allora, i tentativi di ridare ai crimini e agli orrori commessi nel nome di certe ideologie un se pur minimo margine di accettabilità,  rende striscianti e quindi ancora più pericolosi,  atteggiamenti e valori che sono lontani dai concetti sui quali si basa il vivere civile e che sono bene espressi nella nostra Costituzione.
“Non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini”.
Così scriveva  Elio Vittorini nel suo editoriale nel settembre del 1945 sul primo numero de Il Politecnico.
La seconda guerra mondiale si era appena conclusa e gli Stati Uniti avevano soltanto da un mese raso al suolo Hiroshima e Nagasaki con le prime bombe nucleari utilizzate a scopo bellico.
La guerra terminava con un saldo terribile, circa 70 milioni di morti, sparsi da occidente a oriente, ma quello che probabilmente spaventava ancor di più e per cui legittimamente Vittorini si chiedeva “di chi fosse la sconfitta più grave” in tutto quello che era appena accaduto, era il fatto che la guerra aveva spersonalizzato la morte.
Il maggiore Thomas Ferebee, bombardiere del B-29 che sganciò The Little Boy su Hiroshima, solo pochi minuti prima di lanciare la bomba seppe che quella era stata la cittadina prescelta in base alle favorevoli condizioni ambientali, diversamente, analoga sorte sarebbe costata a Kokura, Niigata o Nagasaki.
Il tempo di premere un pulsante e Hiroshima fu distrutta. L’equipaggio dell’Enola Gay ebbe solo un brevissimo secondo per rendersi conto della tragedia che si era appena conclusa. “My God!” esclamarono prima di volare via, il più lontano possibile da quel luogo, il resto furono solo vittime senza volto e sofferenze indicibili per i pochissimi superstiti che ebbero la disgrazia di sopravvivere.
A differenza di quanto avveniva in passato “la tecnologia rendeva invisibili le sue vittime, mentre ciò non accadeva quando si sventravano i nemici con la baionetta o li si inquadrava nel mirino del fucile[1].
I morti, si lamentava Vittorini, furono “più di bambini che di soldati”, le macerie di “città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali”.
Il nazifascismo prima e la guerra poi, avevano commesso tutto   il repertorio completo dei delitti e dei crimini che la cultura e l’intelletto avevano insegnato ad aborrire.
Come è stato possibile? Come è stato possibile che da secoli di arte, poesia, letteratura, pensiero nobile, sia nato un mostro in grado di mettere in pratica tutto ciò che l’animo umano aveva condannato fino a quel momento?
La cultura “ha predicato, ha insegnato, ha elaborato principi e valori, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si è identificata con la società, non ha governato con la società, non ha condotto eserciti per la società “ ha consolato l’uomo invece di proteggerlo, di educarlo e di renderlo forte. In questo stare fuori dalla società intravedeva Vittorini la causa del male.
La cultura, sperava Vittorini alla fine della guerra, avrebbe dovuto apportare principi “tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali, viventi con la società stessa come la società stessa vive”, per sanare il dolore ancora vivo delle ferite, per preservare da sofferenze a venire.
Cosa potrebbe fare invece per noi oggi la cultura? Da quali sofferenze moderne può ancora proteggerci?
Ed esistono ancora principi tanto innovatori ed attuali in grado di   proteggerci dai mostri a venire?
Riusciremo a restituire alla cultura il suo ruolo taumaturgico?
E’ sopravvissuta la specie umana a quanto di più terribile e atroce si sia mai potuto immaginare, ma quanto è avvenuto, iniziando dalle due guerre fino a Hiroshima e Nagasaki, passando attraverso l’Olocausto, in realtà ha immunizzato l’uomo da quello che sarebbe avvenuto in seguito.
Le torture subite e testimoniate dalle foto terribili che noi tutti conosciamo degli ebrei ad Auschwitz, a Bergen-Belsen, a Dachau, i macabri reperti del “museo degli orrori” di Hiroshima, ci stavano così preparando a guerre future, alla tolleranza delle torture moderne, la “democratizzazione” dei conflitti era iniziata e non si sarebbe più potuto tornare indietro.
L’umanità frequentò un corso accelerato di sopportazione delle atrocità. Da allora la tortura, le atrocità commesse dall’uomo sull’uomo sono diventate esperienze via via più accettabili.
La guerra oggi è vista in televisione ogni giorno, viene letta, studiata, fotografata, trasformata in cifre. Tanto più entra nelle nostre case e tanto più esce dalle nostre coscienze.
Ha fallito anche Primo Levi, quando esortava a “ricordare perchè non accada mai più”. Va tramadato “l’orrore perchè lo spettro della violenza dell’uomo sull’uomo sia sempre combattuto”, diceva.
La letteratura, la poesia, ci hanno provato a tramandare l’orrore e hanno fallito se oggi simili orrori si ripetono, se altrettante guerre mietono vittime che non hanno nomi, sesso, età. I torturati di oggi, a differenza di quanto accadeva in passato non hanno nemmeno i volti. Adolescenti impazziti giocano con i mostri del passato.
Dal passato dal quale con  fatica, è riuscita a risorgere  l’Europa dalle ceneri della guerra, ed è rinata l’Italia, che con orgoglio e speranza, gettandosi alle spalle la paura e l’angoscia degli anni del fascismo, si è dedicata alla costruzione della democrazia. E l’ha costruita questa democrazia, con l’impegno di uomini e donne coraggiosi e nobili.
E che ne è stato della cultura? L’abbiamo dimenticata. L’abbiamo dimenticata se oggi tolleriamo il ritorno di certi simboli e certe rievocazioni nostalgiche che con forza e vigore, con rabbia e sdegno dovrebbero essere aborrite.
Abbiamo dimenticato semplicemente che il compito della cultura è quello di continuare a tramandare ciò da cui ha avuto origine il nostro paese, quello di insegnare ai nostri figli quali sono i pilastri portanti della nostra identità di Nazione.
Abbiamo dimenticato la funzione della cultura, che è quella di denunciare violenza e sopraffazione e dopo la denuncia passare e accarezzare.
La poesia, vibrante e vitale, oggi inesistente e irraggiungibile, l’ abbiamo chiusa nei salotti, l’abbiamo tenuta lontana dalle strade e dalle piazze. Il teatro sempre più identificato con la televisione, il romanzo sempre più prodotto “mordi e fuggi”. Internet e la rete, prodotti sostitutivi fatti di parole e definizioni, di  storie e poesie che  scivolano in rete, viaggiano nei file, lasciando dietro di sè, in solitudine,  l’effimero e impalpabile attimo in cui puoi solo coglierne il significato immanente.
Una cultura usa e getta che non si fissa alla società, una cultura effimera che non educa alla memoria e non prepara quindi al futuro. L’uomo massa che siamo diventati non volge lo sguardo indietro e non immagina il futuro, ma così facendo prepara il ritorno del più buio passato.
 



[1] Il secolo breve E.J. Hobsbawm BUR pag. 67

 

 

 

 

 

 


Lawrence Ferlinghetti: Manifesto populista. Per i poeti, con amore

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Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
Dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills,
Dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills,
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dalle vostre tende e dai vostri palazzi.
Gli alberi stanno ancora cadendo
E non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
La Mosca di Majakowskij sta bruciando
I combustibili fossili della vita.
La notte & il cavallo si avvicinano
Mangiando luce, calore & forza
E le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
Sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari
Non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce e per l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
Distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi bene aperti,
il momento ora di aprire le nostre bocche
in un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi, “Poeti delle Città”
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da laboratorio
nel cuore giungla d’America
tutti voi addomesticati Ezra Pound tutti voi poeti pazzi, sballati, malconci,
tutti voi poeti della Poesia Concreta pre-compressa,
tutti voi poeti cunnilingui,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritornate mai sulle betulle,
tutti voi padroni delle segherie haiku nelle Siberie d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla GrouchoMarxista e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Bramini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutti voi baby.sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della Poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi capelluti professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia–
Dove sono i figli di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’alta canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa–
Poeti, scendete
Nelle strade del mondo ancora una volta
E aprite le menti & gli occhi
Con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia guidata
con una nuova comune-sensuale “comprensione-pubblica”
con altri livelli soggettivi
con altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superficie.
Del vostro dolce Io che ancora cantate
Ancora esprimete “la parola en-masse”-
Poesia il veicolo comune
per il trasporto pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possono portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora alzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini &donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.
 

Lawrence Ferlinghetti a Roma — appuntamenti

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In occasione del soggiorno romano di Lawrence Ferlinghetti il Comune di Roma e il Teatro di Roma propongono un programma intenso ed emozionante che spazia dalla parola poetica alle performance, dai video alle letture fino all’arte visiva; un tributo straordinario per celebrare il cantore della Beat Generation e per far conoscere la sua opera ai più giovani.
L’istituzione Biblioteche di Roma inoltre festeggerà Ferlinghetti con un ampio programma di iniziative nelle biblioteche.

tutte le manifestazioni sono ad ingresso libero

16 maggio .08

Teatro India ore 21.30 e 23.00

Underwear
azione pittoriche e poetiche
collezione archivio Francesco Conz, Verona
ideazione Laura Zanetti e Francesco Conz
scena e video Ferdinando Vicentini Orgnani

Nell’area esterna del teatro sarà allestita la mostra Underwear che testimonia il lavoro di Ferlinghetti nel campo dell’arte visiva. In quest’occasione Ferlinghetti si esibirà in una performance pittorica e poetica alle ore 21.30 e ore 23.00. Partendo proprio dalla poesia Underware che dà il titolo alla mostra, l’artista traccerà un percorso visivo nei luoghi della Beat Generation attraverso immagini girate a San Francisco proiettate direttamente sui muri del teatro India.

17 maggio .08

Teatro Tor Bella Monaca ore 21.00

Reading poetico

ideazione Laura Zanetti e Francesco Conz

Sarà il teatro di via Bruno Cirino, il più grande dei teatri di cintura del Teatro di Roma, ad ospitare alle ore 21.00 il Reading e il Bombardamento poetico di Lawrence Ferlinghetti, insieme al poeta un evento con Giorgio Albertazzi e Michele Placido, direttore artistico del teatro: un evento unico per ascoltare dal vivo la voce del grande maestro della Beat Generation. Per l’occasione verrà aperto il retro del palco della sala grande in modo da poter fruire lo spettacolo sia dall’interno che dall’arena esterna.

12_17 maggio .08
Bibliobeat
7 incontri sulla Beat Generation
a cura di Emanuele Bevilacqua e Maddalena Fallucchi
La rete delle Biblioteche di Roma ospiterà nei suoi spazi letture, proiezioni, incontri per la rassegna BIBLIOBEAT.
 
Il programma inizia il 12 maggio presso la biblioteca Elsa Morante (Ostia, via Adolfo Cozza 7) dove andrà in scena alle 18.00 lo “show in versi” LA BEAT GENERATION diretto e interpretato da Cosimo Cinieri con Immacolata Palazzo tratto da testi di Burroughs, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg, Kerouac e McClure.
 
Il 13 maggio appuntamento con LET’S BEAT, letture beat con Roberto Baldassari, Patrizia Barbieri, Maddalena Fallucchi, Massimiliano Mecca, Cinzia Villari e con Paolo Bernardi al pianoforte, Francesco Di Palma al contrabbasso, Michele Villari al sax e al clarinetto in programma alle 10.00 alla biblioteca Edoardo Amaldi (via Parasacchi 21) e  alle 18.00 nella biblioteca Sandro Onofri (Acilia, Via Umberto Lilloni, 39/45).
 
Il 14 maggio Emanuele Bevilacqua è protagonista di IN VIAGGIO CON KEROUAC, letture dagli scritti dell’autore di On the Road alle ore 18.00 nella biblioteca Guglielmo Marconi (Via Gerolamo Cardano 135).
 
Interamente dedicata alla figura di Lawrence Ferlinghetti l’iniziativa CUORE DI BEAT con Roberto Baldassari, Patrizia Barbieri, Maddalena Fallucchi, Massimiliano Mecca, Cinzia Villari e con Paolo Bernardi al pianoforte, Francesco Di Palma al contrabbasso, Michele Villari al sax e al clarinetto; il 15 maggio alle 18.00 presso la biblioteca Appia (Via La Spezia, 21).
 
Infine, il 16 e 17 maggio rispettivamente nelle biblioteche Franco Basaglia (Via Federico Borromeo, 67) e Rugantino (via Rugantino, 110) alle 18.00 OFF THE ROAD – LE DONNE BEAT con Cinzia Villari, Patrizia Barbieri, Maddalena Fallucchi e con Paolo Bernardi al pianoforte, Francesco Di Palma al contrabbasso, Michele Villari al sax e al clarinetto.

 

info
 

teatro india, lungotevere dei papareschi_06 684000311
 
teatro tor bella monaca, v. bruno cirino_06 2010579
 
biblioteche di roma, 06 45430203


Nestor Troccoli, l’unico torturatore del Plan Condor è stato scarcerato!

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di Claudio Tognonato
«Ritardi» nei carteggi tra Italia e Uruguay: torna in libertà il capitano Nestor Troccoli, detenuto a Regina Coeli per la scomparsa di 6 cittadini italiani e 30 urugaiani. Era il solo dei 140 arrestati del Plan Condor a essere in prigione
L’ex capitano di vascello Néstor Troccoli, uruguayano, già membro dell’intelligence della dittatura del suo paese, accusato della scomparsa di sei cittadini italiani e arrestato a Salerno il 23 dicembre 2007 è stato rimesso in libertà. Il tribunale del riesame di Roma prima, la Cassazione uruguayana poi, ed infine Carlos Abin, ambasciatore del Uruguay in Italia, hanno ognuno fatto del loro peggio. Di 140 mandati di cattura nei confronti dei responsabili delle giunte militari e dei servizi di sicurezza che negli anni ’70 hanno orchestrato il Plan Cóndor, la multinazionale del crimine organizzata da militari cileni, argentini, uruguaiani, paraguaiani boliviani e brasiliani, solo uno era finito in carcere. Ora anche lui è libero.
Néstor Troccoli è stato scarcerato il 23 aprile. In realtà sarebbe uscito di prigione prima se non ci fosse stata una richiesta di estradizione della magistratura uruguayana che lo accusa della scomparsa di trenta cittadini del suo paese che erano fuggiti in Argentina nel 1978 e lì sono diventati desaparecidos. Troccoli, che da due anni risulta residente a Marina di Camerota e ha passaporto italiano, è fuggito verso l’Italia quando ha capito che sarebbe stato arrestato in Uruguay. Il militare è stato tra i primi a riconoscere l’uso della tortura negli interrogatori, ha ammesso di averla praticata sui prigionieri, ma precisa di non aver mai ucciso un detenuto. Il compito del Plan Cóndor era quello di coordinare internazionalmente il sequestro, la tortura, l’uccisione e la scomparsa dei corpi. Un lavoro pulito, messo a punto da Augusto Pinochet e Jorge Videla, che non prevedeva problemi di giurisdizione, né lunghe procedure di estradizione.
Dopo anni di indagini e su istanza dei familiari delle vittime il pubblico ministero Giancarlo Capaldo ha chiesto al gip Luisanna Figliolia di emettere un mandato di cattura nei confronti di Troccoli. Dal 1999 Capaldo raccoglie informazioni su questa sorta di internazionale del terrorismo di stato, dieci anni per ricavarne, dopo solo qualche giorno, una istanza di scarcerazione del tribunale del riesame.
Troccoli, che era stato rinchiuso a Regina Coeli il 24 dicembre, il 17 gennaio 2008 aveva ottenuto l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Troccoli, però, non è stato scarcerato perché era stata avviata una richiesta di estradizione da parte di Luis Charles, giudice della magistratura dell’Uruguay. Solo che trascorsi i 90 giorni che prevede il trattato stipulato tra i due paesi, le carte non erano arrivate alla Corte d’Appello di Salerno che ha concesso la scarcerazione per scadenza dei termini.
Come mai la documentazione non è arrivata a destinazione? A questo punto nasce un giallo con accuse reciproche tra le diverse parti che sono intervenute in questo lungo pellegrinaggio. Anche se il risultato non cambia è importante chiarire che, ancora una volta, tutto gioca a favore dell’impunità dei militari. Come all’epoca dei desaparecidos «nessuno si è accorto di nulla». Ma per fortuna i familiari delle vittime non accettano, dopo 30 anni, che un torturatore torni in libertà per negligenza o peggio. «Ci sono ancora alcune situazioni da chiarire», dice Cristina Mihura, moglie del desaparecido Bernardo Ardore, rappresentate dei familiari. Cerchiamo di ricostruire la vicenda. Innanzitutto non si capisce come mai la Corte di Cassazione dell’Uruguay abbia ricevuto i documenti italiani solo il 13 febbraio. Come mai, considerando che in quel momento mancavano solo 38 giorni alla scadenza dei termini, l’Uruguay ha impiegato un mese per tradurre in italiano il dossier? E poi come mai la Cassazione, a 9 giorni alla scadenza, ce ne mette altri 6 per spedire le carte in Italia.
Martedì 18 marzo gli incartamenti sono arrivati a Roma e qui entra in gioco l’ambasciatore Carlos Abin. Aveva tre giorni a disposizione per consegnare alla Farnesina i documenti che motivavano l’estradizione, ma ha deciso che era meglio controllare per bene il voluminoso dossier — ha dichiarato — per assicurarsi che tutto fosse a posto. Aveva tre giorni, ma non si è accorto che gli atti processuali hanno una scadenza e ha depositato i documenti alla Farnesina il 31 marzo, otto giorni dopo la data di scadenza. «Evidentemente l’ambasciatore Abin non è l’unico responsabile — precisa Cristina Mihura — se al posto di temporeggiare avesse consegnato gli incartamenti, Troccoli sarebbe rimasto in carcere».
In Uruguay la vicenda è arrivata ai vertici dello stato. Il presidente Tavaré Vázquez difende l’operato del suo ambasciatore, ma la Corte di Cassazione non vuole essere incolpata e l’avvocato dei familiari ha chiesto al governo le dimissioni dell’ambasciatore. Forse è il caso di ricordare che dopo la dittatura militare (1973–1985) l’Uruguay ha sancito la legge della caducità che impedisce il processo ai militari responsabili di violazioni dei diritti umani. Ora il governo di sinistra vuole riaprire il capitolo, si raccolgono firme per un referendum abrogativo, ma ci sono molti contrasti interni.
L’Italia ha condannato alcuni responsabili della scomparsa di cittadini italiani in Argentina. Queste condanne sono meritevoli, così come il lavoro di chi ha gestito e reso possibile questi traguardi, ma c’è poco da festeggiare. Quando la condanna arriva a 30 anni di distanza è una condanna storica, i familiari delle vittime ringraziano, ma non si dica che questo è giustizia. I condannati non erano né in aula né in Italia, nessuno li ha disturbati. Non si erano nemmeno preoccupati di procurarsi avvocati difensori, sapevano che sarebbero stati condannati, ma sapevano anche che la condanna non sarebbe stata mai eseguita. In Spagna Adolfo Scilingo sta scontando una condanna a 640 anni per i voli della morte, noi in Italia abbiamo fatto scappare nel 2000 Jorge Olivera e ora il torturatore Nestor Troccoli è tornato in libertà.



Cumbre de Los Pueblos, Lima 13/16 maggio 2008

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Per “bien vivir”, stop al liberismo di Giuseppe De Marzo, pubblicato su Il Manifesto 8/5/08


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