Maledetto muro…

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Moises Naim: una nuova epidemia dilaga per l’Europa

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Moises Naim: una nuova epidemia dilaga per l’Europa
Su l’Espresso un criminale scrive di onestà intellettuale.…
 
C’è una nuova epidemia in giro per l’Europa, con principi  di focolai pericolosi anche negli Stati Uniti. In America Latina circa due terzi della regione ne è affetta.
Ce ne informa Moises Naim in un  articolo scritto per la  sua rubrica “Senza Frontiere” su l’Espresso.
E’ un’epidemia pericolosa soprattutto per gli interessi ai quali egli è sempre stato ossequiente: e cioè quelli degli Stati Uniti e dell’opposizione antichavista nel suo paese,  il Venezuela.
Questa  epidemia, come si apprende leggendo quanto scrive,  sarebbe la  sindrome di Stoccolma che si sta propagando per tutta Europa e che avrebbe come caratteristica principale quella di portare cittadini di continenti lontani a solidarizzare con “quelle bande di assassini e sequestratori” che sarebbero le FARC.
Secondo il venezuelano Naim, che ricordiamo (visto che a lui non piace farlo)  fu ministro dell’industria di Carlos Andrés Perez al tempo del Caracazo (il massacro, avvenuto a Caracas il 27 febbraio 1989,  di circa duemila?, seimila? centomila?  dimostranti   che protestavano per la dilagante  miseria in cui versava il paese a seguito delle  privatizzazioni selvagge del governo) ne sono  affetti singoli cittadini europei, associazioni, e perfino Oliver Stone e tre membri del congresso Usa che ne avrebbero  manifestato  i sintomi con l’invio di una lettera a Manuel Marulanda, alias Tirofijo, esprimendo compiacimento per aver fornito la prova in vita di Ingrid Betancourt.
Ed è abile, abilissimo Naim a giocare con le parole, dove si intende “dimostrare  compiacimento per aver fornito la prova in vita di Ingrid Betancort”, il suo estro prezzolato gli fa scrivere “le FARC per la prima volta in sette anni, si sono degnate di fornire in alcuni video la conferma di non aver ancora assassinato Ingrid Betancourt e altri ostaggi”. Supponendo così  in mala fede che fosse  scontato che le FARC avrebbero ucciso la Betancourt, ipotizzando poi che probabilmente lo faranno,  e infine mentendo spudoratamente,  in quanto da quando la Betancourt è prigioniera delle FARC, di  prove di  sopravvivenza in video, prima di quella recentissima del dicembre scorso alla quale egli fa riferimento,  ne sono state fornite almeno altre due, la prima  cinque mesi dopo il sequestro e una seconda nell’ottobre del 2003, ma si sa,  alterare i numeri fa sempre un certo effetto.
Leggendo l’articolo di Moises Naim si  potrebbe poi addirittura ipotizzare per qualcuno  il reato di complicità in traffico internazionale di stupefacenti in quanto secondo l’analista (sic) “la retorica con cui si vorrebbero equiparare le FARC ai movimenti di liberazione nazionale serve solo da facciata a una banda di crudeli mercenari del narcotraffico”.
Segnaliamo allora al perspicace autore dell’articolo che l’ultimo complice in ordine di tempo  di questa banda di volgari narcotrafficanti sarebbe  addirittura Yves Heller, il portavoce della Croce Rossa Internazionale in Colombia che in una recente intervista rilasciata a Página/12 afferma che in Colombia esiste di fatto una guerra e che “lo Stato si sta scontrando con gruppi armati organizzati che hanno un certo controllo del territorio, che stanno provocando conseguenze umanitarie, che esercitano operazioni militari intense e organizzate, che hanno un comando e un’organizzazione militare. Per questo secondo il CIRC (Comitato Internazionale della Croce Rossa) in Colombia esiste un conflitto armato interno  al quale va applicato il II protocollo di Ginevra”.   
Un riconoscimento dunque della condizione di belligeranti delle FARC, contrariamente alla posizione del governo colombiano che continua a  identificare la guerriglia  come “minaccia terrorista” o “terrorismo in democrazia” o come fa Naim “mercenari del narcotraffico”.
Ma la lista degli infettati dalla sindrome di Stoccolma è lunghissima, in essa troviamo i nomi, oltre ovviamente a quello del presidente del Venezuela Hugo Chávez che probabilmente è già un  malato terminale, anche quello di  Yolanda Pulecio, la mamma di Ingrid Betancourt che affermò addirittura di fidarsi più delle FARC che di Uribe, e dello stesso marito di Ingrid,  Juan Carlos Lecompte, che in più di una occasione ha criticato duramente Uribe, accusandolo addirittura di dialogare molto di più con i paramilitari che con le FARC per la liberazione degli ostaggi.
Ricordiamo a Naim inoltre che i governi di Brasile, Francia, Argentina, Cuba, Ecuador e  Svizzera hanno accettato di mediare per la liberazione di Clara Rojas e Consuelo Gonzáles de Perdomo e lo hanno fatto con un gruppo belligerante, riconoscendo loro per questo una valenza politica,  e non certo con una banda di mercenari narcotrafficanti.
Alla sindrome di Stoccolma secondo Moises Naim se ne starebbe per aggiungere un’altra e cioè la sindrome di Copenaghen  in quanto recentemente  nella capitale danese un tribunale chiamato a giudicare un’organizzazione  che vendeva partite di magliette con il simbolo delle FARC  con la promessa di devolvere alla guerriglia parte del ricavato (che  in Europa è  reato in quanto le FARC risultano nell’elenco  dei gruppi terroristici voluto da Washington e quindi il loro finanziamento proibito)  ha invece assolto l’organizzazione non considerando le FARC una  banda di terroristi. 
Richiama l’onestà intellettuale Moises Naim per affermare che in Colombia “le motivazioni ideologiche a suo tempo addotte da questi fuorilegge non esistono più”.  Non c’è bisogno di ricorrere all’onestà intellettuale, ma soltanto a un po’  di cognizione di causa per sapere che in Colombia le motivazioni per le quali esiste una guerra civile da cinquanta anni non sono soltanto ideologiche ma portano il marchio di  migliaia di crimini commessi dai paramilitari, in combutta con uno stato più terrorista e narcotrafficante delle stesse FARC,  condannato in varie occasioni dalla Corte Interamericana con sede in  Costa Rica,  per violazione dei diritti umani. Di tutto questo Naim non parla, si limita ad affermare che “la sindrome di Copenaghen nasce da un crudo calcolo politico” e si augura che solo cancellando definitivamente questa versione aggiornata della sindrome di Stoccolma  si aprirà la strada per liberare tutti gli altri prigionieri nascosti nella selva colombiana.
Il riferimento a Chávez e alla sua mediazione è esplicito, l’augurio che il presidente Venezuelano si faccia da parte anche ma  si illude se pensa che ci potranno essere altri ostaggi liberati senza la sua mediazione.
Le parole di Naim sono niente  altro che lo specchio della posizione di Álvaro Uribe e del governo degli Stati Uniti, che solerte nei giorni scorsi  ha provveduto ad inviare in Colombia John Walters (DEA) e Jim Stavridis (capo del comando Sud), i quali hanno affermato che il presidente venezuelano è un “sostenitore del narcotraffico” e che rappresenta  una “minaccia terroristica” nella regione. Immediatamente è partito il dispaccio per i giornalisti prezzolati, che Moises Naim ha prontamente raccolto. Chissà come si chiama questa malattia di cui sembra siano affetti molti giornalisti della stampa occidentale.…chissà come è possibile che l’Espresso occulta che Moises Naim è un responsabile di crimini contro l’umanità  e lo fa scrivere come se fosse un osservatore neutrale che può anche permettersi il lusso  di giudicare l’onestà intellettuale degli altri.
 

Rayen Kvyeh: i crimini del Cile contro i Mapuche che l’Europa vuole ignorare

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Rayen Kvyeh, unica poeta  del Cile, ha viaggiato da Temuco  a Reggio Calabria, nel  dicembre del 2007,  per ricevere la Menzione Speciale come seconda classificata del prestigioso Premio di Poesia Internazionale Nosside.
Nosside è un “Progetto che guarda a un mondo senza barriere, dove la poesia vince sugli odi politici e religiosi, sui rancori tra i popoli e sui pregiudizi culturali e razziali”.
La poesia di Rayen Kvyen, pertanto trova il suo spazio naturale in questo contesto, e ancor di più in questo momento  in cui il suo popolo, il popolo mapuche,   è oggetto di una dura repressione da parte del governo “socialista” di Michelle Bachelet.
La incontro a Roma, tappa finale di questo lungo viaggio che l’ha portata anche in Germania (dove ha vissuto un lungo esilio) e in Austria, pochi giorni prima di far rientro nel suo paese, dove mi dice, sente di poter essere più necessaria al suo popolo, nonostante in questo viaggio abbia contribuito in modo imprescindibile alla diffusione della causa mapuche.
Per questo “parola errante” è  il nome con il quale mi piace chiamare il  recital e la  conferenza stampa che terrà il 25 gennaio presso lo Spazio Odradek a Roma. La parola errante che viaggia e testimonia la voce di un popolo, ma la voce di Rayen,  il suo “embrione ribelle”  si è annidato nel suo ventre, come lei scrive in una poesia, nei lunghi giorni trascorsi in carcere, all’epoca della dittatura militare di Augusto Pinochet, a causa delle sue opere teatrali critiche del regime.
In quel ventre di donna fiera,   torturata e privata della libertà, ha trovato però riparo e protezione in un “bosco di tenerezza”, in quel mondo di albe e di tramonti, di occhi di bambini, di una natura magica e ancestrale che rappresenta il filo conduttore del suo messaggio.
La poesia di Rayen Kvyeh viene dalla terra, perchè Mapuche vuol dire “uomini della terra” e viene dall’amore, che si percepisce in ogni suo verso: amore per il suo popolo, per la natura, per la libertà e per la vita.
E’ poesia lenta e sacra come la storia del popolo mapuche “scritta nel legno, nelle pagine del tempo…”
E’ la voce di Lautaro, figlio della Terra  che “parla ai suoi fratelli” attraverso la saggezza degli antichi.
La poesia di Rayen Kvyeh è “terrena” nel senso di essere un vibrante  canto di dignità, un potente strumento di lotta, una denuncia toccante   e nello stesso momento è “lunare” (Kvyeh vuol dire luna) nel senso di contemplazione rapita e stregata delle montagne, degli “indimenticabili tramonti”, dell’ “aurora con il suo arcobaleno di colori” che apparirà  per insegnare chi sono i figli di quella Terra.
L’embrione ribelle   denuncia così in versi accompagnati dalla musica rituale del   kultrun, la condizione   del popolo mapuche che rivendica il diritto a ciò che gli è stato negato da secoli di colonizzazione prima e di sfruttamento selvaggio poi.
La parola errante di  Rayen Kvyeh, in questo viaggio in Europa, denuncia il governo cileno e solidarizza con la Chepa Patricia Troncoso a quasi 100 giorni di sciopero della fame, portato avanti nel silenzio della comunità internazionale.
 
A.M. —  Rayen, la tua poesia è vibrante e malinconica allo stesso tempo, racconta di albe e tramonti, ma anche della “voce di un popolo indomito protetta da migliaia di stelle”, del desiderio di non essere “servi e schiavi”, e di recuperare “la pace e la libertà”. Tu stessa da giovane hai subito il carcere e le crudeltà della dittatura sotto il regime di Pinochet. Vuoi raccontarci qualcosa su quei terribili anni?
 
R.K. – Ho subito da giovane la prigione politica e la tortura a causa delle opere teatrali che scrivevo e che erano critiche verso la dittatura di Pinochet. Sono stata in carcere una volta nel 1973, poi nel 1976 e poi ancora nel 1979 sono stata una “desaparecida” per 40 giorni e torturata in un carcere clandestino e successivamente nel carcere di rigore di Talcahuano e dopo in quello femminile di Concepción.
 
A.M. – E’ cambiato qualcosa da allora in Cile?
 
R.K. – Durante la dittatura la gente spariva o era uccisa con le armi. Oggi ci sono forme più moderne di repressione, per esempio la costruzione delle  dighe nel fiume Bío Bío, uno dei più grandi disastri ecologici del paese e lo sfollamento della comunità mapuche-pewenche verso un altro territorio. Per esempio le imprese forestali delle monocolture di pino e di eucalipto, che vogliono dire la desertificazione della Madre Terra, la mancanza d’acqua e la contaminazione con prodotti chimici che si diffondono per via aerea, la costruzione delle grandi strade che distruggono i luoghi sacri e dividono le comunità, la contaminazione a causa delle discariche (il 75% delle discariche sono state installate nelle comunità mapuche e queste contaminano acqua, Madre Terra e ambiente e hanno prodotto malattie nelle persone), la contaminazione dei fiumi e dei mari con gli scarichi delle grandi cartiere  e l’industrializzazione delle salmoniere.
Il popolo mapuche è assediato da nord, da sud, da est e da ovest . Non si può pensare forse  a una pianificazione del genocidio del popolo mapuche, da parte dello Stato con l’installazione di questi grandi megaprogetti?
Oggi abbiamo minorenni martiri uccisi, e questo si giustifica con l’applicazione della Legge Antiterrorismo  al popolo mapuche. I morti sono Mapuche,  come si può parlare di terrorismo di  un popolo che difende la vita e mentre  difende la vita, la Madre Terra e recupera il suo territorio? Perchè invece non parliamo di terrorismo di Stato?
 
A.M. – Rayen come credi che la poesia possa essere d’aiuto al popolo mapuche?
 
R.K. - La poesia è il sogno di speranza. Speranza in un futuro migliore. La poesia rompe barriere, attraversa frontiere e difende la vita.
 
A.M. – Sei arrivata da Temuco alla fine del 2007, unico poeta del Cile, per ricevere il prestigioso Premio Intenazionale di Poesia Nosside dove hai ottenuto  una Menzione Speciale (seconda classificata). Hai avuto appoggio dal tuo paese per affrontare questo viaggio?
 
R.K. – Non ho avuto nessun appoggio dallo Stato cileno. Ho avuto difficoltà a viaggiare per motivi economici, ho presentato richieste di aiuto al governo cileno e al ministro della Cultura e degli Affari esteri, al consiglio della cultura regionale di Temuco, al sindaco di Temuco,  ma senza avere nessuna risposta positiva e allora fortunatamente sono riuscita a partire con l’aiuto delle mie amiche.
 
A.M. – In passato hai fondato a Temuco un’associazione culturale molto importante . Di cosa si trattava?
 
R.K. – Ho diretto dal 1989 e per quasi 12 anni la Casa di Arte Mapuche a Temuco Mapu Ñuke Kimce Wejin. Fu un progetto di autogestione degli artisiti mapuche. Dall’anno 1990 fino al 1993 le attività culturali della Casa di Arte arte realizzate pubblicamente furono proibite. Successivamente la Casa chiuse per ragioni economiche.
 
A.M. – Tu vivi a Temuco dove ha vissuto anche Pablo Neruda. Come fu il rapporto tra lui e il popolo mapuche?
 
R.K. – Pablo Neruda ammirava la storia del popolo mapuche per essere stato un popolo che ha resistito per più di 300 anni alla dominazione spagnola.
 
A.M. – Che rapporti ci sono  tra la fondazione Neruda e i Mapuche?
 
R.K. – Nessun buon rapporto,  anzi tutto il contrario. Juan Augustín Figueroa, il presidente della Fondazione Neruda è stato colui che ha criminalizzato le rivendicazioni sociali, culturali e territoriali del popolo mapuche. Mi spiego: non bisogna dimenticare che Juan Augustín Figueroa fu il ministro dell’Agricoltura del governo di Patricio Alwin ed attualmente forma parte della Commissione Costituzionale del Congresso ed quindi ha un enorme potere e influenza  politica sul governo cileno. Per le sue azioni contro il popolo  mapuche sono stati criminalizzati due lonko tradizionali come Pascual Pinchun e Aniceto Norin i quali hanno scontato cinque anni di carcere.
Inoltre le  comunità dove vivono le famiglie dei lonko Temucuicui sono state sgombrate tantissime volte  e i carabinieri hanno portato avanti una vera campagna di terrore contro di loro. Questa comunità confina con le terre  di Juan Augustín Figueroa.
 
A.M. – Perchè il popolo mapuche fa tanta paura al governo cileno?
 
R.K. – Il popolo mapuche non è pericoloso, non ha un esercito armato, nel territorio mapuche non c’è petrolio, non c’è oro, non ci sono risorse materiali che possano rappresentare qualcosa per lo stato del Cile. Il governo cileno è ignorante e  non riconosce il popolo mapuche. Lo spaventano le sue legittime rivendicazioni per i diritti ancestrali, la sua cultura, il suo territorio, il suo diritto alla vita e  la sua visione del mondo. Il pensiero libertario e la consapevolezza  storica di essere una regione autonoma con potere di autodeterminazione è quello che dà  più fastidio allo stato cileno, che non ha una vera democrazia ma uno stato con leggi e costituzione politica eredità della dittatura militare. Per questo dico che lo stato cileno è molto retrogrado e molto arretrato nella sua legislazione.
 
A.M. – Il 13 gennaio  è morta Patricia Verdugo, lei con la sua ricerca storica e giornalistica ha contribuito a fare luce su molti dei crimini commessi durante la dittatura di Pinochet. So che stai lavorando a un libro che è una grande opera di ricerca  sulla repressione del popolo mapuche ai giorni nostri. Puoi anticiparci qualcosa?
 
R.K. – Il Cile ha perso una grande lottatrice per la difesa dei diritti umani, per la verità e la giustizia. Rivolgo a lei il mio abbraccio fraterno in quest’ultimo saluto.
Sono cinque anni che assisto ai processi politici dei prigionieri politici mapuche nei diversi tribunali della regione dell’Araucanía. Ho visitato i fratelli e le sorelle in carcere e anche le loro famiglie. Partecipando ad atti, proteste, riunioni e attività per la liberazione dei prigionieri politici mapuche, raccogliendo informazioni giuridiche, storiche, e testimonianze, aiutando a fare chiarezza storica sulle rivendicazioni attuali  del popolo mapuche per i diritti culturali, sociali, politici , territoriali.
 
A.M. – Si parla molto del  nuovo corso dell’America Latina, ci sono governi di sinistra come quello di Hugo Chávez e quello di Evo Morales che sono attenti alle realtà dei popoli originari, pensi che questo possa rappresentare  una speranza per tutti i popoli originari dell’America Latina?
 
R.K. – Evo Morales è un fratello, originario dei popoli che sono stati emarginati e discriminati ed è la speranza dei popoli originari del continente americano. Dei popoli con il diritto alla vita, in accordo con la loro  visione del mondo, con la loro   cultura, con i territori liberi dallo sfruttamento indiscriminato delle multinazionali, con il diritto alla terra e alle sue risorse naturali. Il diritto a vivere, come popolo libero di decidere il futuro e di non essere sommessi alle leggi discriminatorie e razziste per una maggioranza o minoranza occidentale che ha prolungato nei paesi americani i meccanismi di colonizzazione.
Il presidente Chávez merita il mio rispetto, per affrontare con  dignità l’imperialismo degli Stati Uniti che ha sottomesso il Cile e il resto dei paesi americani al potere militare ed economico, ha finanziato i colpi di stato intervenendo con questi contro la volontà dei popoli, sottomettendola alla povertà e al vivere sotto leggi senza leggi.
Lo rispetto, per non avere paura di dire la verità e per voler rendere realtà il sogno bolivariano, senza discriminazioni culturali in quest’america morena, dove i popoli devono decidere il suo destino, decidere di essere liberi.
 
A.M. – Siamo molto in ansia per le notizie che giungono dal Cile di Patricia Troncoso, lei rappresenta il coraggio di tutto il popolo mapuche. Che pensi che il governo della Bachelet parli con il padre di Patricia Troncoso  ma nello stesso tempo non avvia una trattativa seria di dialogo per salvarle la vita?
 
Le rivendicazioni di Patricia Troncoso e dei prigionieri politici mapuche sono la libertà immediata a tutti i prigionieri politici, la revisione dei processi, la dissoluzione della legge antiterrorista, legge fatta da una dittatura che è arrivata al potere con un colpo militar e  imponendo il terrore.
E’ incredibile che lo stato, che i governanti, che i politici, che il presidente Bachelet difendano le leggi, che costarono ai popoli dello stato cileno la vita, la tortura e il carcere a  migliaia  di uomini e donne.
Il governo tace o fa dichiarazioni per far rispettare la legge, una legge che è costata delle vite, che sta costando vite. La vita, vale meno di un dollaro nel mercato internazionale delle multinazionali nel sistema neoliberale. La vita vale meno di un dollaro perchè la legge cilena decide chi ha diritto alla vita.
Sanguina il cuore del padre di Patricia Troncoso, sanguinano le sue lacrime di impotenza, nel vedere come la vita scappa via dal cuore coraggioso di sua figlia, dalla coscienza trasparente delle acque del Bío Bío annidate negli umidi occhi di una donna, che vede come la vita fugge nella desertificazione di una Madre Terra sfruttata dalle imprese forestali nel grido silenzioso delle montagne e delle valli.
Sanguina il cuore del padre di Patricia e la sua imponente disperazione cerca di trattenere l’ultimo alito di vita di sua figlia. Patricia cammina e cammina in terra mapuche con la sua bandiera in alto, gridando libertà.
 
 
 
 
 

Rayen Kvyeh: Los crímenes de Chile contra los Mapuche que Europa quiere ignorar

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Rayen Kvyeh, es la  única poeta de Chile que  ha viajado desde Temuco hasta Reggio Calabria (Italia) en diciembre 2007, para recibir la Mención Especial (segunda clasificada) del prestigioso Premio Internacional de Poesía Nósside.
Nósside es un “Proyecto que mira hacia un mundo sin barreras, donde la poesía vence sobre odios políticos y religiosos, sobre rencores entre pueblos y sobre prejuicios culturales y raciales”.
La poesía de Rayen Kvyeh por tanto encuentra su espacio natural en ese contexto, y todavía más en ese momento en el que su pueblo, el pueblo mapuche, es objeto de una dura represión de parte del gobierno “socialista” de Michelle Bachelet.
Se encuentra en Roma, etapa final de ese largo viaje que la ha llevado también en Alemania (donde vivió un largo exilio) y en Austria, unos días antes de regresar a Chile donde dice  sentirse  más nacesaria a su pueblo, no obstante en ese viaje haya contribuido en manera imprescindible a la difusión de la causa mapuche.
Poe eso “palabra errante” es el nombre con que me gusta llamar el recital y la rueda de prensa que Rayen tendrà el 25 de enero en el Spazio Odradek en Roma. La palabra errante que viaja y testimonia la voz de un pueblo, pero la voz de Rayen, su “embrión rebelde”, alberga en su vientre, cómo ella escribe en un poema, en los largos días pasados en la cárcel , al tiempo de la dictatura militar de Augusto Pinochet , por sus obras teatrales críticas al régimen.
En aquel vientre de mujer orgullosa, torturada y privada de la libertad, ha encontrado refugio y protección en un “bosque de ternura”, en aquel mundo de amaneceres y atardeceres, de ojos de niños, de una naturaleza mágica y ancestral que representa el hilo conductor de su mensaje.
La poesía de Rayen viene desde  la tierra, porqué Mapuche quiere decir “gente de la tierra” y viene desde el amor, que se percibe en cada verso: amor por su pueblo, por la naturaleza, por la libertad y la vida.
Es poesía lenta y sagrada cómo la historia del pueblo mapuche “escrita en la madera, en las páginas del tiempo…”
Es la voz de Lautaro, hijo de la Tierra, quien “habla a sus hermanos” por medio de la sabiduría de los antepasados.
La poesía de Rayen Kvyeh es “terrena”, en el sentido de ser un vibrante canto de dignidad, un potente instrumento de lucha , una denuncia conmovedora, pero en el mismo tiempo es “lunar” (Kvyeh quiere decir luna) en el sentido de contemplación arrobada y seducida de las montañas, de los “inolvidables atardeceres” , del “aurora con su arcoiris de colores” que irrumpirà enseñando a todos quienes son los hijos de aquella Tierra.
El embrión rebelde denuncia asì en versos acompañados por la música ritual del kultrun, la condición del pueblo mapuche quien reivindica el derecho a lo que le ha  negado en siglos de coloniización antes y de explotación salvaje después.
La palabra errante de Rayen Kvyeh, en este viaje en Europa, denucia el gobierno chileno y solidariza con la Chepa Patricia Troncoso que està casi a los 100 días de huelga de hambre, llevado en el silencio de toda la comunidad internacional.
 
 
 
A.M. Rayen, tu poesía es vibrante y melancólica al mismo tiempo, habla de aterdereces y amaneceres pero también de “la voz de un indómito pueblo por miles de estrellas protegida”, del deseo de no ser “siervos y eslavos”, y de “recuperar “la paz y la libertad”. Tú misma en muy joven edad sufriste la cárcel y la dictatura bajo el régimen de Pinochet. ¿Quieres contarnos algo sobre esos años terribles?
 
R.K. Yo sufrí muy joven la prisión política y la tortura por las obras de teatro que escribía y que eran críticas a  la dictadura de Pinochet en 1973 y otra vez en 1976 y luego en 1979 he sido desaparecida por 40 días y torturada en una cárcel clandestina y posteriormente en la cárcel de castigo de Talcahuano y después en la de mujeres de Concepción.
 
A.M. ¿Hoy día ha cambiado algo desde entonces en Chile?
 
R.K. Durante la dictatura la gente desaparecía o era ejecutada con las armas.  Hoy día hay formas más modernas de reprimir, por ejemplo las represas en el alto Bío Bío , lo que significa uno de los más grandes desastres ecológicos del país y el desalojo de la comunidad mapuche-pewenche  hacia otro territorio. Las empresas forestales del monocultivo de pino y eucalipto que significa la desertificación de la Madre Tierra, falta de agua y la contaminación con productos quimicos que se diseminan por vía aérea , la construcción de grandes carreteras que destruyen los lugares sagrados y rompen las comunidades.
La contaminación por los vertederos (el 75% de los vertederos han sido instalados en las comunidades mapuche, y esos contaminan agua, Madre Tierra y medio ambiente y han producido enfermedades en la gente).
La contaminación de los ríos y de los mares con los desagues de las grandes papeleras y la industrialización de las salmoneras.
El pueblo mapuche se encuentra acosado por el norte, el sur , el este y el oeste. ¿Acaso no se puede pensar de una planificación de genocidio del pueblo mapuche, por parte del Estado con la instalación de los grandes megaproyectos?
Hoy día tenemos martires caídos menores de edad y se justifica eso con la aplicación de la Ley Antiterrorista al pueblo mapuche. Los muertos son mapuches  ¿cómo se puede hablar de terrorismo a un pueblo que defiende la vida y cuando defiende la vida, la Madre Tierra y recupera su territorio? ¿Porqué no hablamos mejor de terrorismo de Estado?
 
A.M. Rayen, ¿cómo crees   que la poesía pueda ayudar el pueblo mapuche?
 
R.K. La poesía es el sueño de esperanza . Esperanza de un futuro mejor.   La poesía rompe barreras, atraviesa fronteras y defiende la vida.
 
A.M. En diciembre de 2007 llegaste a Italia desde Temuko, siendo la única poeta chilena en recibir la Mención Especial del prestigiado Premio Internacional de Poesía Nósside ¿Tuviste respaldo del gobierno de tu país para enfrentar ese viaje?
 
R.K. No tuve apoyo por el Estado Chileno. Tuve dificultades para salir del país por razones económicas, presentè las solicitudes de apoyo al gobierno chileno y al ministerio de la cultura y de las relacciones exteriores, al consejo de cultura regional de Temuko, al alcalde de Temuko pero sin tener respuesta positiva y entonces afortunadamente viajé con el apoyo de mis amigas.
 
A.M. Fundaste en el pasado una asociación cultural muy importante en Temuko, de qué se trataba?
 
R.K.  Yo dirigì desde 1989 durante 12 años la Casa de Arte Mapuche en Temuko Mapu Ñuke Kimce Wejiñ. Fue un projecto de autogestión de los artistas mapuches. Desde el año 1990 hasta el 1993 las actividades culturales de la Casa de Arte realizadas publicamente fueron reprimidas y prohibidas. Luego la Casa se tuvo que cerrar por razones económicas.
 
A.M. Tú vives en Temuko donde vivió también Pablo Neruda. ¿Cómo fue la relacción entre él y el pueblo mapuche?
 
R.K. Pablo Neruda admiraba la historia del pueblo mapuche, por ser un pueblo que resistió más de 300 años a la colonización española.
 
A.M. ¿Que relación hay hoy día entre la Fundación Neruda y los Mapuches?
 
R.K. No hay ninguna relacíon positiva, todo lo contrario. Juan Agustín Figueroa , el Presidente de la Fundación Neruda ha sido quien ha criminalizado las reivindicaciones sociales, culturales y territoriales del pueblo mapuche. Me explico: no hay que olvidar que Juan Augustín Figueroa fue ministro de agricultura del gobierno de Patricio Alwin y actualmente forma parte de la Comisión Constitucional del Congreso y tiene un enorme poder e influencia politíca el el gobierno chileno. Por su accíón contra el pueblo mapuche han sido criminalizados dos lonko  tradicionales cómo Pascual Pinchun y Aniceto Norin quienes estubieron cinco años en la cárcel.
Además la comunidad donde viven las familias de los  lonko Temucuicui han sido innumerables veces allanados y los carabineros han hecho una verdadera labor de terror contra las familias de estas comunidaes. Esa comunidad conlinda  con el fundo de Juan Augustín Figueroa.
 
A.M. ¿Porqué el gobierno chileno le tiene miedo al pueblo Mapuche?
 
R.K. El pueblo mapuche no es peligroso, no tiene un ejercito armado, en el territorio del pueblo mapuche no hay petroleo, no hay oro, no hay recursos materiales que puedan significar un bien material para el estado de Chile. El gobierno chileno es ignorante, no conoce al pueblo mapuche . Le atemorizan las legítimas reivindicaciones por los derechos ancestrales, a su cultura, a su territorio, a su derecho a la vida con su cosmovisión. El  pensamiento libertario y la jerencia historica de ser una región autónoma con poder de autodeterminación es lo que molesta al estado chileno, que no tiene una verdadera democracia sino un estado con las leyes y la constitución politíca jerencia de la dictatura militar. Por eso digo que el estado chileno es muy retrogrado y muy atrasado en su legislación.
 
A.M. El 13 de enero   ha fallecido Patricia Verdugo, ella con su investigación historica y periodistica contribuyò a la aclaración de muchos crimines cometidos durante la dictatura de Pinochet. Se que estás trabajando a un libro que es una grande obra de investigación sobre la represión del pueblo mapuche hoy día. ¿Puedes adelantarnos algo?
 
R.K. Chile ha perdido una gran luchadora por los derechos humanos, por la verdad y la justicia en Patricia Verdugo. Vaya para ella mi abrazo fraterno en su última despedida.
Desde hace cinco anos, he estado asistiendo a los procesos de los prisioneros políticos mapuche.En los diferentes tribunales de la región de la Araucanía. He estado visitando a las hermanas y hermanos en las cárceles y también a sus familias.Participando en los actos y protestas, reuniones y actividades por la liberación de los prisioneros políticos mapuche.
Recopilando información jurídica,histórica,testimonios  en fin, lo que ayude a un esclarecimiento histórico en el momento actual de las reivindicaciones del pueblo mapuche por los derechos culturales,sociales,políticos,territoriales.
 
A.M. En Europa se habla mucho del nuevo curso de América Latina y los  gobiernos de izquierda en Venezuela con Hugo  Chávez y Bolivia con  Evo Morales ambos están  atentos a las realidades  de los pueblos originarios, ¿Piensas que pueden eso puede ser una esperanza para todos los pueblos originarios de  latinoamerica?
 
 
R.K. Evo Morales es un hermano ‚originario de los pueblos que han sido marginados y discriminados y es la esperanza de los pueblos originarios del continente americano. De pueblos con el derecho a la vida de acuerdo a su cosmovisión a su cultura ‚con territorios libres de la explotación indiscriminada de las trasnacionales, con el derecho a la tierra y a sus recursos naturales. El derecho a vivir ‚como pueblos libres y decidir el futuro y no ser sometidos a leyes discriminatorias y racistas por una mayoría o minoría occidental que han prolongado en los paíces americanos los mecanismos colonizadores.
El presidente Chavez, merece mi respeto ‚por enfrentar con dignidad al imperialismo de Estados Unidos, que ha sometido a Chile y al resto de los paíces americanos  al poder militar , económico ‚ha financiado los golpes de estado interviniendo la voluntad de los pueblos con los golpes militares, sometiendola a la pobreza y virir bajo leyes sin leyes.
Le tengo respeto, por no tener miedo de decir las verdades y querer hacer realidadel sueño bolivariano, sin discriminaciones culturales en esta américa morena, donde los pueblos deben decidir su destino, decidir ser libres.
 
 
A.M. Estamos muy pendientes por las noticias que llegan desde Cile de Patricia Troncoso, ella representa la valentía de todo el pueblo mapuche. ¿Qué opinas que el gobierno de Bachelet hable con el padre de Patricia Troncoso pero al mismo tempo no abre una mesa de dialogo seria para salvarle la vida?
 
R.K. Las reivindicaciones de Patricia Troncoso y de los prisioneros políticos mapuche , de libertad inmediata a todos los prisioneros políticos, la revisión de los procesos , la disolución de la ley antiterrorista, ley hecha por una dictadura  militar, que llegó al poder con un golpe militar, imponiendo el terror.
Es increíble,que el estado, que los gobernantes, que los políticos ‚que la Presidenta Bachelet defiendan las leyes, que costaron a los pueblos del estado chileno, la vida, la tortura y la cárcel de miles de mujeres y hombres.
El gobierno calla o hace declaraciones de respetar la ley, una ley que costó vidas, que está costando vidas.La vida , no vale nada, vale un dólar en el mercado internacional de las trasnacionales en el sistema neoliberal. La vida ‚vale menos que un dólar, porque la ley chilena decide, quien tiene derecho a la vida.
Sangra el corazón del padre de Patricia Troncoso, sangran sus lágrimas de impotencia, de ver como la vida se escapa del corazón valiente de su hija de la conciencia transparente de las aguas del Bío Bío  anidadas en los húmedos ojos de una mujer,que ve como la vida se escapa en la desertificación de una madre tierra explotada por las forestales en el grito silencioso de las montanas y valles .
Sangra el corazón del padre de Patricia y en su impotente desesperación busca retener el último álito de vida de su hija. Patricia camina y camina por el territorio mapuche con su bandera en alto, gritando libertad.
 
 

Cile, la rivolta dei detenuti mapuche

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Cile, la rivolta dei detenuti mapuche
Il caso di uno studente ucciso dalla polizia fa riesplodere la protesta della minoranza indigena
Geraldina Colotti
Il Manifesto, 13 gennaio 2007
Torna in scena la questione Mapuche in Cile. Alla morte del giovane studente Matias Katrileo Quezada, 22 anni, sepolto domenica scorsa, ucciso dai proiettili di un carabinero, potrebbe aggiungersi quella di Patricia Troncoso, da 90 giorni in sciopero della fame e ricoverata all’Hospital Angol di Temuco in condizioni disperate. Altri quattro mapuche, detenuti nel carcere di Angol a Temuco, hanno invece sospeso lo sciopero della fame con cui chiedevano la revisione del processo e il riconoscimento dei loro diritti.
Ieri il risultato delle perizie ordinate dal giudice istruttore che ha messo sotto inchiesta il sottufficiale dei carabinieri cileni Walter Ramirez Espinoza, ha confermato che a uccidere lo studente è stato il proiettile di un’arma di ordinanza. Le associazioni per i diritti umani hanno chiesto garanzie perché il procedimento non venga affidato a un tribunale militare, come già accaduto in un caso analogo recente. Due deputati socialisti (il partito della presidente Michelle Bachelet) hanno presentato interrogazioni parlamentari su tutta la vicenda, e anche l’ex giudice Juan Guzman — noto per avere perseguito i crimini di Pinochet e ora in pensione come avvocato — ha presentato al Consiglio per i diritti umani di Ginevra la lettera di un capo mapuche. Lettere di protesta sono state inoltre presentate alle ambasciate del Cile nel mondo e anche a Roma: «Speriamo che la morte del giovane Matías Katrileo sia l’ultima — ha dichiarato il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel in un appello al governo cileno — e che una volta per tutte venga abolita la Legge antiterrorista e ratificata la direttiva Onu 169 sui diritti dei popoli indigeni».
L’abolizione della Legge antiterrorismo, insieme alla liberazione dei prigionieri politici e all’autodeterminazione, è una delle tre rivendicazioni avanzate da anni dai mapuche. Per quanto riguarda la 169, invece, il loro accordo non c’è, perché — sostengono — sta per essere ratiticata dal senato in una forma «mutilata». E rigettano la palla nel campo del governo. Michelle Bachelet — impegnata in un significativo rimpasto di governo — l’altroieri ha nominato una commissione di ministri: «per studiare e valutare le attuali politiche nei confronti dei mapuche e della questione indigena in generale». A presiedere il gruppo, il sociologo Jaime Andrade, che ebbe un analogo incarico nel governo precedente. Una via già percorsa e già fallita, per i mapuche, soprattutto finché rimane in piedi la legge antiterrorismo varata da Pinochet.
Dai tempi del golpe militare — che oppresse il paese dal 1973 al ’90, stroncando anche la riforma agraria iniziata da Salvador Allende -, i mapuche vengono perseguiti con particolare accanimento in base a questa legge. Basta che ricevano una condanna a dieci anni e un giorno, per essere esclusi dalle cosiddette misure alternative alla detenzione.
Dieci anni e un giorno sconta Patricia Troncoso per l’incendio del Fondo Poluco-Pidenco della Forestal Mininco. Se fosse stata giudicata secondo la legge ordinaria, sarebbe già fuori dal carcere. Ora, invece, è una detenuta con pochissime speranze di sopravvivere, ma finché ha avuto forze, ha scritto che morire non la spaventa se serve al suo popolo.
Quello mapuche è il popolo che, in America, si è opposto con più continuità alle dominazioni coloniali nel corso della storia: prima all’espansione degli incas e poi a quella degli spagnoli. Sopravvissuto anche all’immane massacro dell’esercito spagnolo che, nella seconda metà dell’Ottocento, tentò di spazzarlo via, e alle prigioni di Pinochet, e ora intenzionato a preservare il proprio millenario ordinamento sociale e ambientale dall’imposizione delle monoculture, dalle devastazioni ambientali. Non hanno documenti scritti, ma quelle terre sono le loro.
Oggi i mapuche sono un milione circa, sparsi tra le regioni centromeridionali del paese e la capitale Santiago. Nel corso del 2007, almeno 166 di loro sono stati accusati di diversi reati connessi al conflitto che interessa la «IX Region»: disordini, occupazioni, incendi. Secondo le imputazioni, si aggirano armati a sparare agli elicotteri delle multinazionali. I loro avvocati denunciano invece processi farsa, testimoni pagati e mascherati, e armi lasciate apposta nelle università per accusare poi i mapuche che vanno a restituirle. I mapuche, dicono, bruciano solo le devastanti radici di eucalipto che le multinazionali diffondono sui territori.Rivendicano, però, il diritto di resistenza
 
Wenuykan, amicizia
Dall’Europa al Canada, gli attivisti si mobilitano
 
E’ nata nel settembre scorso Wenuykan («Amicizia» nella lingua dei mapuche, il mapudungun), associazione d’amicizia con il Popolo Mapuche, composta da alcuni cittadini italiani e da cileni rifugiati in Italia e Europa dai tempi della dittatura di Pinochet. Durante la primavera 2007, l’associazione ha inviato una lettera aperta ai parlamentari europei affinché intervengano per il rispetto dei diritti del Popolo Mapuche in Cile e contesta la laurea ad Honoris poi conferita a Michelle Bachelet dall’università di Siena. Ora l’associazione invita a seguire in Italia le conferenze dell’attivista e poeta Mapuche Rayen Kvyeh, che sarà anche presente a Roma (alla libreria Odradek), il prossimo 25 gennaio. Qualche sito per contatti: wenuykanatgmaildotcom — Italia;
www.vientosdelsur.org Udine — Italia
kulturamapucheatgmaildotcom
radioregion14atgmaildotcom
 
 
Ricordiamo che Geraldina Colotti (che ringraziamo) sarà presente il 25 gennaio persso la Libreria Odradek  a : Rayen Kvyeh: La parola errante – recital e conferenza stampa sui prigionieri politici Mapuche, iniziativa organizzata dall’associazione Wenuykan.
Per dettagli qui.

Ho fatto un sogno…

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duemila coglioni manifestano a Benevento per Mastella?

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Ho sognato che  Clemente Mastella si era dimesso perchè in Italia, non nel Messico degli anni ’70, un uomo di 44 anni è morto  in cella poco dopo il suo arresto (avvenuto per alcune piantine di marijuana trovate nel suo orto) in seguito a gravi lesioni  e ancora, nonostante siano passati più di tre mesi dall’accaduto, non si ha nessuna notizia nè dei colpevoli, nè delle motivazioni, nè delle circostanze in cui è avvenuto l’OMICIDIO DI ALDO BIANZINO.

Ma era un sogno…Clemente Mastella si è dimesso perchè da buon ministro della Giustizia,  è inquisito.

Verità per Aldo


Rayen Kvyeh: la parola errante. Recital e conferenza stampa sui prigionieri politici Mapuche.

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Kultrun mapuche 
 
“Wenuykan” – amicizia con il popolo Mapuche 
presenta:
 
La parola errante
recital di poesie musicate con il tamburo rituale mapuche “kultrun” e conferenza stampa sulla situazione dei prigionieri politici Mapuche in Cile
 
Rayen Kvyeh – poetessa Mapuche
 
Libreria Odradek
Via Dei Banchi Vecchi n. 57 – ROMA
25 gennaio – h. 18
 
partecipano:
Rayen Kvyeh – poetessa mapuche
Geraldina Colotti – Il Manifesto
Annalisa Melandriwww.annalisamelandri.it
Giuseppe De Marzo – Associazione A Sud
Gavino Puggioni — Associazione Wenuykan,  wenuykanatgmaildotcom
e con la partecipazione di Radio Onda Rossa
 
La poesia di Rayen Kvyeh viene dalla terra, perchè Mapuche vuol dire “uomini della terra” e viene dall’amore, che si percepisce in ogni suo verso: amore per il suo popolo, per la natura, per la libertà e per la vita.
E’ poesia lenta e sacra come la storia del popolo Mapuche “scritta nel legno, nelle pagine del tempo…”
E’ la voce di Lautaro, figlio della Terra  che “parla ai suoi fratelli” attraverso la saggezza degli antichi.
La poesia di Rayen Kvyeh è “terrena” nel senso di essere un vibrante  canto di dignità, un potente strumento di lotta, una denuncia toccante   e nello stesso momento è “lunare” (Kvyeh vuol dire luna) nel senso di contemplazione rapita e stregata delle montagne, degli “indimenticabili tramonti”, dell’ “aurora con il suo arcobaleno di colori” che apparirà  per ricordare chi sono i figli di quella Terra.
 
Rayen Kvyeh è nata a Weken in Cile. Costretta all’esilio dalla dittatura di Pinochet va a vivere in Germania dove collabora attivamente alle iniziative politiche e culturali degli esiliati. Una sua opera teatrale viene messa in scena a Friburgo. La sua raccolta di poesie Wvne Coyvn Ñi Kvyeh (Luna dei primi germogli) ha inaugurato nel 2006 la collana bilingue di poesia indigena “Le voci della terra” della casa editrice Gorée di Monticiano (Siena). Oltre a Luna de cenizas (Luna di cenere), scritto in spagnolo, ha concluso recentemente un nuovo libro nella sua lingua indigena, che verrà presto tradotto in italiano. Nel 1995 ha vinto a Cuba il premio Josè María Heredia e nel 1998 sempre a Cuba è nominata Presidente Onorario del Centro internazionale delle Culture Indigene. Nel 2007 è stata Menzionata Speciale (seconda classificata) al XXIII Premio Internazionale  di Poesia Nosside.
 
 

Cristina Carreño è tornata in Cile. La prima vittima cilena del Plan Condor

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foto di Luigi Cecchetto

La salma di Cristina Carreño sfila davanti al Palacio de La Moneda di Santiago del Cile.
Torna così a casa la la prima donna cilena detenuta e scomparsa a Buenos Aires nell’ambito di quella grande operazione del terrore che prese il nome di Operación Condor.
Ne avevo scritto qui.
 
Ringrazio l’amico Luigi Cecchetto per la foto.
 

La rinuncia del papa, l’ “estro” di Cossiga e i rimpianti di Gabriele Polo.

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Uff…meno male che l’ ”iniziativa censoria” ha avuto effetto… siamo scampati da una bella “lectio magistralis”  dell’ “ambasciatore di pace”  sull’ “omicidio perfetto”.
Perchè tanto di quello si sarebbe parlato, da una condanna a morte per impiccagione o per iniezione letale a un aborto, il passo di Ratzinger sarebbe stato brevissimo.…
Anzi forse  siamo scampati da qualcosa di più.
Paragonando  quest’episodio con quanto accaduto all’Università La Sapienza nel lontano 1977, oggi pomeriggio  Francesco Cossiga  alla trasmissione Radiocity in onda su Radio1, ha detto di aver avuto in quell’occasione, (cito più o meno testualmente)  “l’estro di sfondare i cancelli dell’Università per riprenderne il controllo con i mezzi blindati”. Strano perchè ha detto anche recentemente  che non fu una buona idea.
Chissà ad Amato che “estro” sarebbe venuto giovedì prossimo.
Gabriele Polo, direttore del Manifesto  rimpiange la Democrazia Cristiana, perchè dice, “almeno funzionava come elemento di mediazione”.
Ma non ci sta già pensando il PD?

Piccola considerazione personale: criticare quanto sta avvenendo come un episodio di intolleranza gravissimo e come un attentato alla libertà d’espressione mi sembra soltanto  un modo eccellente per far finta che il dibattito che  sta avendo in Italia sull’ingerenza del Vaticano nella politica del nostro paese semplicemente non esista. La protesta alla visita del papa credo che sia solo una conseguenza di un pontificato, che diciamocela tutta, è pesante da digerire.


Patricia Verdugo, verità e storia ringraziano.

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Scompare dal panorama letterario e giornalistico del Cile una delle voci che più duramente e con più passione hanno condannato la dittatura di Pinochet.
Patricia Verdugo, 61 anni si è spenta la notte di domenica a Santiago, dopo una lunga malattia.
Ha messo a nudo,  in tutta la sua crudeltà ed efferatezza,   i crimini commessi nel suo paese durante gli anni terribili della dittatura, attraverso un’ eccellente produzione letteraria che le ha valso il premio Maria Moors Cabot nel 1993 negli Stati Uniti, (il più importante riconoscimento attribuito negli USA ad un giornalista straniero) e nel 1997 in Cile il Premio nazionale di giornalismo.
I suoi libri, circa una decina, sono il frutto di un enorme lavoro di ricerca, indagine, raccolta di testimonianze ed atti processuali volto a testimoniare nel modo più dettagliato possibile e con dovizia di particolari i crimini commessi in quegli anni. Molti processi verso i repressori ed i torturatori di allora si sono istruiti con la documentazione raccolta grazie al suo lavoro.
Suo padre, Sergio Verdugo, fu una delle 30.000 vittime del terrore e alla sua storia è ispirato Bucarest 187 del 2001.
La sua opera più importante tuttavia è Gli artigli del puma del 1985 che tratta della  “Carovana della morte”, “l’atto fondativo della dittatura” come lo definì la stessa Patricia Verdugo, una squadra militare che aveva il compito di giustiziare tutti gli oppositori politici e che viaggiava tra le varie province cilene a bordo di un elicottero Puma.
La verità e la storia ringraziano Patricia Verdugo.
 

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