Sono felice di pubblicare qui la poesia dell’amico Azor Jaime,
Nostalgia a Montevideo.
Nostalgia a Montevideo
Nostalgia de los terratenientes (dei latifondisti)
Nostalgia delle 500 famiglie padrone del paese
Nostalgia di quando un peso valeva un dollaro
Nostalgia delle prime lotte studentesche del 60
Nostalgia delle mirabolanti azioni tupamare
contro una oligarchia corrotta ed autoritaria
Nostalgia di un paese produttore di cultura
di scrittori come Onetti, di poetesse come Vilarinio
Nostalgia di Lautréamont, Laforgue e
Supervielle
Nostalgia dei veglioni all’italiana nel teatro Solis
Nostalgia del chivito al pan y del dulce de leche
Nostalgia del buon teatro e dei cantautori
los olimarenios, Jaime Roos, los chalchaleros
Nostalgia di quello che doveva essere e che non fu
Chiedetelo a Mario Benedetti a Eduardo Galeano,
ai sopravvissuti alle torture, al carcere duro,
a quei seimila uruguayani schedati come cittadini di classe C
(quelli di A erano i compiacenti, i B i dubitanti)
Nostalgia della memoria che se n’è andata
con il tempo
che porta via gli uomini onesti e disonesti
Ma il tempo non potrà mai cancellare le ingiustizie,
la corruzione.
Porterà via,
il tempo,
i corrotti, gli oligarchi, i supremi magistrati
compiacenti
ma non cancellerà i peccati
non pulirà le anime
dei distruttori del paradiso terrestre.
(Azor Jaime)
La Limeddh è una Organizzazione Non Governativa creata nel 1985 a Città del Messico come entità aperta, indipendente e pluralista per la denuncia di casi di violazioni o inadempienze nella difesa dei diritti umani.
La Limeddh è affiliata alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e all’ Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) ed è socia di “Agire insieme per i Diritti Umani”.
Attraverso questa affiliazione beneficia dello statuto consultivo presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e il Consiglio Europeo.
La Limeddh agisce quotidianamente al fianco delle vittime di violazione dei diritti umani offrendogli assistenza legale, medica e psicologica.
Inoltre mobilita la società civile con i suoi bollettini e rapporti, partecipa a missioni di osservazione e documentazione di violazione dei diritti umani.
In Messico avvengono quotidiane violazioni dei diritti umani che vanno dal rifiuto o ritardo nell’espletamento delle pratiche amministrative relative alle denunce fino a persecuzioni, torture, detenzioni arbitarie, sparizioni forzate e perfino esecuzioni extragiudiziarie. Le vittime sono indifferentemente uomini, donne, anziani e bambini.
Inoltre violazioni al diritto del giusto salario, al diritto al lavoro e in generale ai diritti economici, sociali e culturali.
In questo contesto la Limeddh svolge varie attività:
- Segue le persone o le organizzazioni decise a difendere i propri diritti umani in un contesto di cooperazione paritaria.
- Offre assistenza medica, psicologica e giuridica, nonchè servizi di orientamento e consulenza alle vittime delle violazioni dei diritti umani.
- Realizza eventi pubblici, (dibattiti, conferenze, corsi, etc) per diffondere la conoscenza dei diritti umani delle donne, dei bambini, degli indigeni e per sensibilizzare la gente sui casi di violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
- Documenta e dà seguito alle denunce di violazione dei diritti umani a livello nazionale e internazionale utilizzando gli strumenti che mettono a disposizione l’ONU e l’OEA.
- Propone riforme costituzionali per armonizzare la legislazione Nazionale con riferimento al diritto internazionale dei diritti umani e per la ratificazione della Corte Penale Internazionale.
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Adrián Ramírez López; Presidente
Fui soldato di Francisco Villa
di quell’ uomo di fama immortale
che anche se andava montando una sella
non invidiava la poltrona presidenziale (*)
Ora vivo laggiù sulla riva
ricordando quel tempo immortale,
ora vivo laggiù sulla riva
ricordando Villa laggiù a Parral.
Io fui uno di quei decorati
che con il tempo divenne maggiore
nella lotta restammo feriti
difendendo patria ed onore.
Oggi ricordo i tempi andati
in cui combattemmo contro l’invasore,
oggi ricordo i tempi andati
di quei decorati di cui fui maggiore.
Il cavallo che tante volte cavalcai
a Jimenez raggiunse la morte,
una pallottola destinata a me
il suo corpo attraversò.
Nitriva morendo dal dolore
e per la patria dette la vita,
nitriva morendo dal dolore
quanto piansi quando morì.
Pancho Villa ti porto impresso
nella mia mente e nel mio cuore
e anche se a volte mi vidi sconfitto
dalle forze di Alvaro Obregón
sempre fui fedele soldato
fino alla fine della rivoluzione,
sempre fui fedele soldato
che tanto lottò vicino al
cannone.
(Victor Jara)
Traduzione di Annalisa Melandri
(*gioco di parole, silla in spagnolo vuol dire sia sedia che sella del cavallo)
Fui soldado de Francisco Villa
de aquel hombre de fama inmortal
que aunque estuvo sentado en la silla
no envidiara la presidencial.
Ahora vivo alla por la orilla
recordando aquel tiempo inmortal
ay, ay,
ahora vivo alla por la orilla
recordando a Villa alla por Parral.
Yo fui uno de aquellos dorados
que con tiempo llego a ser mayor
en la lucha quedamos lisiados
defendiendo la patria y
honor.
Hoy recuerdo los tiempos pasados
que peleamos con el invasor
ay, ay
hoy recuerdo los tiempos pasados
de aquellos dorados que yo fui mayor.
Mi caballo que tanto montaba
en Jimenez la muerte alcanzo
una bala que a mi me tocaba
a su
cuerpo se le atraveso.
Al morir de dolor relinchaba
por la patria la vida entrego
ay, ay
al morir de dolor relinchaba
como le lloraba cuando se murio.
Pancho Villa te llevo grabado
en mi mente y en mi corazon
y aunque a veces me vi derrotado
por las fuerzas de Alvaro
Obregon
siempre anduve como fiel soldado
hasta el fin de la revolucion
ay, ay
siempre anduve como fiel soldado
que tanto ha luchado al pie del cañon.
(Victor Jara)
La mia colpa? Denunciando i paramilitari, sarei una fiancheggiatrice dei “sinistroidi corrotti ed assassini” delle FARC.
Ora a parte l’evidente dissonanza tra le parole “Anonimo” e “denunciare”, e che un incappucciato si attribuisca il diritto di decidere chi è terrorista e chi no, è ironico che a denunciarmi dovrebbe essere un personaggio come Sabas Pretelt de la Vega attualmente ambasciatore colombiano in Italia, sul capo del quale pendono innumerevoli denunce come paramilitare e narcotrafficante, come si può meglio evincere da questa scheda sul personaggio.
L’unica giustificazione plausibile che potrebbe avere l’anonimo è, come sempre (purtroppo), l’ignoranza…
Non si hanno ancora notizie, a un anno dalla sua scomparsa, di Julio López, il testimone chiave nel processo in Argentina contro i crimini di stato che ha portato tra le altre, alla condanna all’ergastolo per genocidio dell’ex capo della polizia di Buenos Aires, Miguel Etchecolatz.
Alcune recenti indagini tuttavia apportano elementi nuovi che ricondurrebbero direttamente a Etchecolatz e persone a lui vicine la responsabilità della scomparsa di Julio López.
Julio infatti, come risulta da foto scattate le settimane prima della sua scomparsa, durante alcune riunioni alle quali partecipava fu costantemente seguito da una persona che è stata identificata in seguito da un funzionario del Ministro della Sicurezza di Buenos Aires, in Oascar Raúl Chicano, ex segretario privato di Miguel Etchecolatz.
Una perquisizione in casa di Chicano e di alcune altre persone, tutti ex militari ed ex poliziotti, avrebbe portato al rinvenimento di materiale sovversivo, di volantini su Julio López, armi e simboli nazisti. Si sospetta che la decisione di far sparire Julio López, quasi sicuramente eliminato lo stesso giorno della sua scomparsa, sia maturata all’interno di questo gruppo in seguito al suo rifiuto di modificare la testimonianza contro Etchecolatz. Sembra che il gruppo, anche abbastanza numeroso e ramificato nel Paese, stesse ideando anche un colpo di Stato.
Il giudice Sergio Franco inoltre nutre seri sospetti che nella sparizione di Julio López sia coinvolto anche l’ex cappellano della polizia bonarense Won Wernich, il cui processo seguiva quello di Etchecolatz.
E così tra indagini svolte approssimativamente, tra perquisizioni effettuate senza la presenza di funzionari, tra prove che spariscono o che vengono occultate, fascicoli che vanno nelle mani dei parenti dei sospettatti e tutta una serie di sviste e stranezze, continua il mistero sulla sorte di Julio López, continuano le manipolazioni da parte di settori potenti argentini che nonostante i processi, nonostante la svolta con l’eliminazione delle leggi di Punto Finale e di Obbedienza dovuta, ancora tramano nella più completa impunità e ancora agiscono in “odore di golpe” come nel più buio passato (passato?) argentino.
Fonte: Il Manifesto
Il leader del Venezuela comincia la mediazione tra il presidente Uribe e il guerrigliero «Tirofijo». Un’incredibile partita di poker, in palio la vita di 45 sequestrati
Guido Piccoli
Se non si mercanteggiasse sulla vita e la libertà di tanta gente, soldati e guerriglieri compresi, quanto accade in Colombia potrebbe apparire un gioco d’azzardo. Più precisamente un poker, nel momento dei lanci e rilanci, quando i giochi sono fatti, si bluffa e bisogna mantenere i nervi a posto. Intorno al tavolo verde sono in tre: Alvaro Uribe e Hugo Chávez, rispettivamente il presidente più reazionario e più rivoluzionario dell’America Latina, e Tirofijo, il capo guerrigliero più longevo del mondo.
All’incredibile partita si è arrivati dopo il fallimento del tentativo di Uribe di liberare con un’azione di forza alcuni dei 45 sequestrati e prigionieri che le Farc vorrebbero scambiare con 400 loro uomini detenuti nelle carceri nazionali. Era la metà del giugno scorso. Mentre fingeva di scarcerare un paio di centinaia di detenuti, spacciandoli per guerriglieri, e rimetteva in libertà — contro la sua volontà — Rodrigo Granda, (1)responsabile delle Farc per l’America Latina (sequestrato a Caracas nel dicembre 2004, con un operazione di polizia che mise a rischio le relazioni con Chávez), Uribe diede probabilmente l’ok per un’azione di un commando speciale per liberare dodici deputati regionali, catturati cinque anni prima nel pieno centro di Cali. La combinazione apparente di «grande cuore e mano dura» finì, com’era scontato, in tragedia, per il rischio congenito di un blitz del genere e anche per la spietata consuetudine dei guerriglieri di eliminare i sequestrati, pur di farlo fallire. Tutti i deputati (meno uno che non si trovava nell’accampamento attaccato) furono uccisi dal «fuoco incrociato con un gruppo non identificato», come affermano le Farc, o dal classico «colpo di grazia», come sostiene il governo (lo deciderà, forse, l’autopsia che una commissione internazionale ha realizzato nei giorni scorsi sui cadaveri recuperati, quasi due mesi dopo, nelle fosse scavate dai ribelli).
Le critiche interne, che hanno trovato un impareggiabile portavoce nel professor Gustavo Moncayo (padre di un ufficiale fatto prigioniero dieci anni fa dalle Farc nel corso di un attacco a una delle principali basi militari meridionali) e le pressioni internazionali, capeggiate dal presidente francese Nicolas Sarkozy (deciso a liberare la sua connazionale Ingrid Betancourt), hanno spinto Uribe a nominare due dei suoi nemici come mediatori con le Farc: la combattiva senatrice liberale Piedad Cordoba (che, nei mesi scorsi, aveva sollecitato la sua rinuncia per i suoi rapporti con la mafia narco-paramilitare) e il suo vicino Hugo Chávez, tante volte accusato di proteggere la guerriglia colombiana. Una mossa azzardata, apparentemente umile ma anche insolitamente astuta per un uomo che spesso si è fatto trascinare dal temperamento arrogante e impulsivo: ribadendo di non volere cedere alla richiesta delle Farc di smilitarizzare per 45 giorni due comuni della Colombia meridionale, alla Cordoba e soprattutto a Chávez ha in realtà assegnato una «missione impossibile».
Il presidente venezuelano non si è però scoraggiato: prima ha incontrato a Caracas i familiari dei prigionieri delle Farc, poi Uribe a Bogotà, sfoggiando una fiammante camicia rossa e dopo aver concesso l’indulto a 40 paramilitari colombiani, accusati di cospirare contro di lui. E alla fine si è dichiarato pronto ad incontrare Tirofijo. Dove? «Fuori dal paese» ha tuonato Uribe. «Qui da me» ha suggerito Tirofijo, attraverso il suo cancelliere, Raul Reyes. «Sono disposto ad andare nel più profondo della selva, pur di contribuire alla pace della Colombia» gli ha fatto eco Chávez. Un’idea che il governo Uribe ha però definito «inaccettabile». Il ministro degli esteri, Fernando Araujo, è andato più in là, dichiarando, nei giorni scorsi a Bruxelles, di non sperare nella mediazione venezuelana perchè «le Farc non hanno alcun interesse a fare accordi con nessuno».
In realtà, lo scambio dei prigionieri interessa relativamente sia a Uribe che a Tirofijo, così come è del tutto pretestuosa la questione della zona smilitarizzata: il ritiro dell’esercito per un mese e mezzo da qualche decina di chilometri quadrati è assolutamente ininfluente dal punto di vista militare. Quello che c’è il ballo è il riconoscimento di «forza belligerante» che le Farc esigono, con la relativa cancellazione del marchio di «terrorista» che gli Usa, e poi l’ubbidiente Europa, hanno loro affibbiato. E più in generale, l’accettazione da parte del governo colombiano, dopo mezzo secolo di battaglie, dell’esistenza di un conflitto armato nel paese. Una questione di principio, dalle conseguenze importanti per la pace in Colombia, che più che a Bogotà si decide a Washington. Anche se finora sono stati alla finestra, gli Usa sono più che interessati a quanto accade, anche perchè le Farc detengono tre loro agenti dal febbraio 2003. Un puzzle complicato, ma in movimento grazie soprattutto al protagonismo di Chávez e Sarkozy.
Per ora, una sola certezza: se, com’è probabile, fallissero anche loro, la Betancourt e tutti i suoi compagni di sventura dovrebbero rassegnarsi ad aspettare la fine del mandato di Uribe nel 2010, pregare che non si faccia rieleggere per la terza volta e, soprattutto, che da un momento all’altro non cali loro addosso un altro commando speciale e specializzato nel «far terra bruciata».
(1)Segnalo al riguardo l’intervista in esclusiva per Le Monde diplomatique a Rodrigo Granda apparsa sul numero di settembre, dove in un passaggio egli tra l’altro racconta di come durante la sua detenzione gli fossero stati offerti anche “molti soldi, la libertà, dei passaporti per me e la mia famiglia, a una condizione:che io compromettessi Chávez. Dovevo dire che proteggeva le Farc e che io ero stato aiutato dal suo governo”.A.M.
Gent.mo Vittorio Feltri
Direttore quotidiano Libero
p.c. Preg.mo Dr. Rafael Lacava
Embajador de la República Bolivariana
de Venezuela en Italia
Via Nicolò Tartaglia n. 11
00197 Roma
p.c. Consiglio Nazionale
Ordine dei Giornalisti
Scrivo dopo aver letto l’articolo dal titolo “Minigonna fuorilegge” L’ultima follia di Chávez della giornalista Silvia Guidi apparso sul quotidiano italiano Libero diretto da Antonio Feltri il 1 settembre 2007.
In esso Silvia Guidi fa riferimento alla proposta di riforma costituzionale presentata ad agosto dal presidente venezuelano Hugo Chávez e deliberatamente in esso inventa tutta una serie di riforme che a suo dire “il caudillo” starebbe per introdurre nel paese: divieto di indossare la minigonna, pantaloni aderenti, messa al bando di alcolici, censura su Babbo Natale, Minnie e Topolino, la patria potestà esercitata dallo Stato fino ai 21 anni e via dicendo in un crescendo di falsità e menzogne che sfiorano il ridicolo.
Tutto questo alla suddetta giornalista lo spiegherebbe, si legge nell’articolo, Milagros Gil Quintero, una “dissidente che paga la sua lotta per il rispetto dei diritti umani con l’esilio”.
Ovviamente Silvia Guidi nella sua fobia paranoica antichavista, ma soprattutto antietica, evita di raccontare ai lettori di Libero che Milagros Gil Quintero, è una ex funzionaria con 20 anni di carriera del Ministero delle Relazioni con l’Estero del Venezuela, in pensione dal 2000 e che se come lei dice, si trova in esilio(leggasi : vive all’estero) è soltanto perchè il suo ultimo incarico diplomatico è stato quello di Console Generale a Milano. Da allora come lei dice “vivo in Italia e cerco con il mio piccolo granello di sabbia di fare qualcosa per il Venezuela”.
Vorrei sapere con quali fonti Silvia Guidi ha verificato le informazioni (ammesso che lo abbia fatto) fornite da Milagros Gil Quintero. Parlando di provvedimenti legislativi e di presunti progetti legge sarebbe stato facile verificare che si tratta di leggende metropolitane.
Se questo riscontro non è stato fatto, come è evidente, dal momento che si tratta di dati facilmente rintracciabili, allora tanto la giornalista come lei in quanto direttore del giornale avete mancato alle vostre precise responsabilità, prima fra tutte “quell’obbligo inderogabile al rispetto della sostanziale verità dei fatti” di cui all’articolo 2 della legge n. 69/1963.
Distinti saluti.
L’articolo n. 2 della legge n. 69 del 9 febbraio 1963 che disciplina l’esercizio della professione di giornalista riporta che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori”.
Questa legge, nonchè la Carta dei Doveri del Giornalista ci danno gli strumenti per verificare se un giornalista o un quotidiano violano i principi dell’etica del giornalismo.
Una cosa infatti è esprimere un’opinione, ben altro è diffondere menzogne e falsità.
Le opinioni sono lecite, si può dissentirne, si possono criticare, si accettano in quanto tali.
Le menzogne NON SONO LECITE soprattutto se per diffonderle si utilizzano spazi privati ma che forniscono un servizio pubblico e soprattutto spazi privati che per esercitare l’attività per il quale sono predisposti utilizzano fondi pubblici e agevolazioni di vario tipo.
Libero ad esempio è il giornale che in assoluto percepisce i contributi più elevati circa 5. 371.000 euro annui.
Per questi motivi ho deciso di inviare la seguente lettera al direttore di Libero e per conoscenza all’ Ambasciata del Venezuela e all’ Ordine dei Giornalisti perchè quanto riportato in questo articolo di Silvia Guidi trascende dalla pura e semplice opinione o interpretazione de fatti e rappresenta invece l’esercizio arbitrario e meschino del raccontare menzogne.
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Tutto l’articolo lo leggi qui
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“Oggi dobbiamo dare la risposta che sapemmo dare nel 1994. Oggi c’è questo spirito di antipolitica, Grillo e la sua gente ne sono la dimostrazione: noi dobbiamo dare una risposta concreta, presentando una classe dirigente capace di mantenere gli impegni con gli elettori”, ha detto Berlusconi ieri parlando alla Festa di Azione Giovani, rilanciando la sua proposta della federazione di centrodestra…
Lui evidentemente comincia a soffrire di demenza senile, noi no e quindi ricordiamo che a proposito della sua classe dirigente, di 82 parlamentari “diversamente onesti” per dirla alla Travaglio, (tra pregiudicati veri e propri, prescritti, condannati in primo grado, imputati, indagati etc etc) ben 29 presenze sono di Forza Italia, seguita a ruota da Alleanza Nazionale, Udc, Lega Nord e via dicendo…per un totale di 65 presenze per il centrodestra.
Che classe…
Insieme di iniziative aventi per tema la storia passata e recente del Trullo.
Mostra fotografica, canti, balli, arte del riciclo materiali, incontri culturali, dibattiti, filmati e interviste, esposizione manufatti artigianali, stand gastronomico. Tra le iniziative ci sarà anche un omaggio alla memoria del maestro Luciano Pavarotti, recentemente scomparso. L’iniziativa ha il patrocinio del Municipio XV del Comune di Roma.
Le date e le iniziative
Nel nome della svolta moderata, della pace sociale, della paura del ritorno di Berlusconi si stanno sacrificando nel nostro paese le istanze migliori della sinistra, quelle innovative e da sempre apportatrici di dialettica e confronto.
In poche parole, nel nome del dio Centro, saggio e moderato, cattolico quanto basta (per non urtare la sensibilità di nessuno) che governa il Paese, si sta massificando la società e regolamentando tempi e modi dei fervori sociali.
La protesta sociale deve esistere ed è lecita, ma paradossalmente il suo esercizio deve essere normalizzato da quegli stessi poteri e dinamiche che essa vorrebbe se non demolire o infiacchire (pena repressione tipo G8 di Genova) almeno essere libera di criticare.
Che si protesti pure ma nel segno del rispetto e soprattutto del compromesso, che tradotto in altri termini vuol dire ricatto.
Un dio Centro ricattatore che vede nell’Unità la sola salvezza del suo spirito malato di conformismo e meschinità.
E così nel nome dell’ unità del Paese, dell’unità del sindacato, dell’unità della sinistra si sacrificano, svilendoli e screditandoli ideali e proposte, conquiste e progetti.
Il pluralismo va bene solo sui libri, in realtà bisogna tutti essere ammassati e conformi nell’idolatria senza passione del Centro, pena l’inferno di dantesca memoria, quello a gironi per intendersi.
Avevamo il girone dei terroristi, quello degli estremisti , quello dei radical-chic di sinistra, quello dei populisti, oggi abbiamo anche quello “dei sindacalisti frazionisti”, la “minoranza della minoranza”, nuovo girone dei dannati sindacalisti creato direttamente sulle pagine di La Repubblica, a firma del solito Massimo Giannini, quello del “deficit culturale della sinistra” nell’intervista sulla sicurezza al ministro Amato di qualche giorno fa.
Sarebbe interessante svolgere uno studio su come mediaticamente si stia ormai effettuando un’operazione sottile e capillare volta a uniformare e appiattire le diverse istanze di cui la sinistra si è storicamente nutrita e da cui ha tratto linfa vitale, per sostenere le lotte a fianco del popolo, della classe operaia, delle donne, dello stato laico.
Se anche su l’Unità leggiamo che il no della FIOM è una “grave responsabilità” perchè come in passato non “ha prevalso l’interesse generale” allora siamo a un punto di non ritorno.
Di non ritorno perchè per poter ritornare bisognerebbe prima avere ben chiaro cosa sia “l’interesse generale” che di volta in volta viene fatto coincidere con l’interesse del paese, con la paura del ritorno di Berlusconi, con il sostegno al governo. E se non si ha chiaro che “l’interesse generale” non ha nulla a che vedere con tutto questo, forse abbiamo bisogno tutti quanti di tornare a scuola, giornalisti compresi.
Anche perchè mentre la sinistra si appiattisce e perde entusiasmo stretta in una morsa infinita di ricatti e di paletti, la destra, quella vera, occupa spazi, dà gomitate, manifesta meno e si organizza di più.
E se si toglie alla fine anche il diritto civile ad un sindacato di svolgere il compito per il quale è preposto, cioè difendere gli interessi dei lavoratori, se l’esercizio del dissenso che è alla base della democrazia viene relegato alla stregua del terrorismo, se tutto viene riportato all’ “interesse generale”, (leggasi non far cadere il governo o mantenimento del potere) , allora forse è meglio che il governo cada e la sinistra torni all’opposizione, dove almeno ancora riusciva ad avere la dignità di chiamarsi sinistra.