Credo che la notizia della presunta liberazione di Ingrid Betancourt dovesse essere trattata con più delicatezza e serietà di come è stato fatto. Se non altro per rispetto verso i suoi familiari e per tutti gli altri sequestrati.
Ancora una volta la stampa italiana si è distinta per cialtroneria e pressappochismo.
L’Unità riporta in questo articolo come la stampa francese faccia notare che “i quotidiani italiani si sono basati su un’unica fonte per giunta poco affidabile”.
Molto poco affidabile.
La fonte infatti, la giornalista venezuelana Patricia Poleo, “esule”a Miami, racconta di aver avuto l’informazione da militari di Caracas, ma ovviamente dichiara di non poter fare nomi.
La Poleo è accusata in Venezuela di essere addirittura la mandante dell’omicidio del magistrato Danilo Anderson, oltre che ha apertamente appoggiato il golpe contro Chávez dell’11 aprile.
La falsa notizia ha fatto sì che tra ieri e oggi i mezzi di comunicazione impazzissero letteralmente.
La Colombia ancora una volta purtroppo fa parlare di sé solo se l’argomento ha il nome e il volto di Ingrid Betancourt.
In questo caso se ne è parlato troppo e malissimo.
Secondo Omero Ciai su La Repubblica, se Chávez, che pure si era offerto come mediatore, dovesse ottenere qualche risultato, questo automaticamente dimostrerebbe “un suo legame di complicità con la guerriglia”.
Il Tempo, quotidiano romano, riporta invece ciò che sostiene Patricia Poleo e cioè che il presidente venezuelano vedrebbe rialzate le sue quotazioni “in difficoltà davanti all’opinione pubblica internazionale dopo la vicenda del mancato rinnovo della licenza all’emittente Rctv” .
Al GR3 (edizione delle 8.45) di radio3 questa mattina, il Prof. Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino, parlando di cambiamenti (una “terza via”, secondo il professore, che si differenzia dalla tendenza del passato dei governi a richiudersi in se stessi e da rivoluzioni ormai datate) in America Latina e di “nuove presidenze”, cita a pari merito Lula, Chávez e Uribe (??!!).
Su l’Opinione.it diretto da Arturo Diaconale, il titolo (La “clemenza“ di Chávez) non lascia spazio a dubbi: era Chávez che teneva sotto sequestro la Betancourt e ha deciso di liberarla.
Sempre secondo l’Opinione, le FARC sarebbero diventate una “formazione paramilitare comunista” e anzi se “sono ancora attive in Colombia lo si deve, a quanto pare, soprattutto a lui”.
Chi è “lui”? Ovviamente Hugo Chávez, chi altri?
Si legge infatti: “Stando a fonti vicine all’opposizione venezuelana (e alle proteste colombiane), Chávez ha fornito alle Farc rifugi sicuri oltre il confine, armi e addestramento, subentrando a Cuba in questo ruolo storico di esportazione della rivoluzione nell’America Latina. Questo suo gesto di magnanimità, la liberazione di Ingrid Betancourt, dopo cinque anni di sequestro, sarebbe dunque un suo atto propagandistico.”
Giornata di stranezze, e così solo Panorama ricorda che forse la liberazione della Betancourt sarebbe tutt’altro che una buona notizia per il presidente colombiano.
Intanto l’intransigenza di Uribe allontana sempre più la possibilità di uno scambio umanitario.
La sua proposta di concedere un’area smilitarizzata per 90 giorni soltanto dopo la liberazione di tutti i prigionieri, giudicata inaccettabile da tutti gli osservatori, a Rocco Cotroneo del Corriere della sera appare invece “come una piccola apertura”.
Purtroppo fino a che la situazione in Colombia non verrà affrontata nel modo giusto, con uno sguardo attento da parte della comunità internazionale sulle reali responsabilità che ha il potere politico colombiano, la solidarietà resterà una parola senza senso.
A Patricia Poleo non importa nulla della Betancourt, vuole solo gettare ombre e dubbi sul presidente Chávez e oggi i media italiani bene si sono prestati al suo gioco.
…
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(e Teleamazonas con la stessa scusa discredita il governo Correa…).
…
Nonostante Uribe continui a pellegrinare negli Stati Uniti elemosinando dal Congresso statunitense la firma del Trattato di Libero Commercio, sembra che debba penare ancora parecchio per ottenerla.
Soprattutto dovrà fare miracoli nel convincere tutti che sotto la sua presidenza la situazione in Colombia è migliorata rispetto alla violenza e all’impunità dei gruppi paramilitari e agli omicidi dei sindacalisti, relativamente ai quali il presidente colombiano continua a fornire dati ben diversi da quelli in possesso delle associazioni umanitarie del suo paese.
Anzi, è riuscito perfino, in un parco di Queens, New York, approfittando delle celebrazioni per il giorno dell’indipendenza colombiana, con alcune migliaia di connazionali immigrati negli Stati Uniti, a far passare la sua “personale verità”. E cioè che secondo la giustizia del suo paese nessuno degli omicidi di sindacalisti è in relazione al loro lavoro ed ha incolpato per queste morti in misura uguale sia la guerriglia che i paramilitari. Cercando di elemosinare consensi per la firma del TCL, che non viene ratificato dal congresso proprio per gli scarsi progressi del governo colombiano in materia di diritti e sicurezza ai sindacalisti, Uribe ha accusato questi ultimi di fare “apologia di terrorismo” e di appoggiare i gruppi rivoluzionari, provocando così la reazione violenta dei paramilitari da sempre in lotta contro la guerriglia.
Già prima della sua partenza, in un incontro pubblico in Colombia, aveva accusato duramente i sindacalisti colombiani di appoggiare le FARC e la lotta armata, e a New York ha colto l’occasione per ritornare sull’argomento.
Il pretesto è stato quello della partecipazione di tre organizzazioni sindacali colombiane, la Sintraemcali, la Sintratélefonos e la Sintraunicol all’ XI seminario pubblico internazionale organizzato a Quito (Ecuador) tra il 9 ed il 13 luglio dal Movimento Popolare Democratico (MPD) sui “Problemi della Rivoluzione in America Latina”.
Motivo della violenta critica verso i sindacati colombiani da parte sia di Uribe che del vicepresidente Santos, tra l’altro accusato da Salvatore Mancuso di aver collaborato con i paramilitari, sono le dichiarazioni finali del documento conclusivo del seminario nelle quali le organizzazioni partecipanti “esprimono la loro solidarietá a tutti i popoli del mondo che lottano per conquistare la loro libertá sociale e nazionale e per le loro rivendicazioni specifiche e i loro diritti politici, con i processi democratici che si svolgono in Venezuela, Bolivia ed Ecuador, con la lotta dei movimenti insurrezionalisti in Colombia, Filippine e Nepal…”
Alle accuse strumentali di Santos e di Uribe, il presidente del Sindicato de Trabajadores y Empleados Universitarios de Colombia ha risposto di non aver mai posto la sua firma in un documento in cui si appoggia la guerriglia.
I tre rappresentanti dei sindacati colombiani tra l’altro hanno partecipato soltanto ad una delle giornate del seminario in cui sono state tenute due tavole rotonde dal titolo: “La lotta dei lavoratori e dei popoli contro il capitalismo e l’oligarchia e “Mezzi di comunicazione alternativi e processi di cambiamento”.
Gli organizzatori del seminario, tra i quali Ciro Guzmán, direttore del Movimento Popolare Democratico (MPD), in un comunicato inoltre hanno fatto sapere che non sono state richieste sottoscrizioni al documento conclusivo e che le FARC e l’ELN non hanno partecipato con loro delegati agli incontri, ma che hanno inviato soltanto delle loro note, come hanno fatto tanti altri movimenti di sinistra latinoamericani.
Uribe attaccando i sindacati e accusandoli di avere relazioni con la guerriglia, ha tentato maldestramente di incolpare le FARC e gli stessi sindacati delle repressioni a cui sono sottoposti i loro rappresentanti. Ricordiamo che solo nel 2006 sono stati 73 i sindacalisti uccisi in Colombia e che dal 1991 ci sono stati 2245 omicidi, 3400 minacce e 138 scomparse. “Questo è quello che ha ottenuto la guerriglia in Colombia e questo è quello che ha scatenato l’atroce persecuzione contro i leader sindacali” facendo intendere che i paramilitari assassinano i sindacalisti perchè li considerano “simparizzanti” dei guerriglieri.
Il fatto è che,come già è stato accusato di fare in passato, è egli stesso che indirettamente nei suoi discorsi presidenziali fornisce ai paramilitari direttive di azione.
Accusare pubblicamente i sindacalisti di far parte della guerriglia davanti a una platea formata da riservisti dell’esercito e della polizia equivale a condannarli a morte.
E vale la pena ricordare che Jorge Noguera, il “bravo ragazzo” e grande amico di Uribe, ex console colombiano in Italia ed ex direttore del DAS colombiano, accusato di aver consegnato i servizi segreti colombiani nelle mani dei paramilitari, tra le altre cose è accusato di aver fornito loro liste di sindacalisti, operai e attivisti sociali per la loro eliminazione.
La CUT (Central Unitaria de Trabajadores) ha fatto sapere tramite il suo presidente Carlos Rodriíguez, che le dichioarazioni di Uribe sono “temerarie e irresponsabili” ed equivalgono ad una condanna a morte
Contemporaneamente invece, in Ecuador, anche il potente canale televisivo Teleamazonas, di proprietà del gruppo Pinchincha di Fidel Egas Grijalva, usando gli stessi argomenti, diffonde false notizie con lo scopo di gettare discredito sul governo Correa.
Fidel Egas Grijalva, tra le altre cose, è proprietario della Diners Club Colombia ed in passato è stato accusato a Panama di operare attraverso il Banco Pinchincha con narcotraffico e riciclaggio di danaro sporco.
Teleamazonas ha diffuso infatti, la notizia priva di ogni fondamento che un “alto rappresentante delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) avrebbero partecipato alla riunione dei movimenti di sinistra tenuta a Quito”.
Secondo Teleamazonas si sarebbe trattato di Narciso Isa Conde, la cui presenza sarebbe stata segnalata in Ecuador secondo il registro migratorio di questo paese tra il 7 e l’11 luglio scorso. “Il soggetto, nato a Cuba e nazionalizzato nella Repubblica Dominicana sarebbe entrato nel paese disarmato e non si esclude che sia lui la persona che avrebbe partecipato all’incontro a nome delle FARC”.
Narciso Isa Conde racconta quanto accaduto in questo suo articolo.
Egli è un attivista politico e saggista dominicano ed è stato in prigione e torturato sotto la dittatura di Trujillo, ha intervistato in più di una occasione rappresentanti delle FARC nella foresta colombiana diffondendo sui mezzi di comunicazione fin dal 2006 foto ed interviste relative, senza che come egli stesso ha detto,“abbiano causato alcuno scandalo”.
Come riferisce nel suo articolo (e come i giornalisti di Teleamazonas ben sanno), “ignoro di essere nato a Cuba, anche se non me ne vergognerei. Secondo il mio atto di nascita, sono nato nella città di San Francisco de Macorís, nella Repubblica Dominicana. In verità ignoro anche quando le FARC mi abbiano arruolato nelle loro fila e mi abbiano nominato tra i loro alti dirigenti…”
Isa Conde ammette di essere stato in Ecuador in quei giorni disarmato (“anche se il mio libro En el Siglo XXI: ¿Cuál Democracia? ¿Cuál Socialismo? in Perú è stato definito una vera bomba) , ma soltanto per partecipare al seminario organizzato dal MPD a Quito.
Quello che è più inquietante in tutto questo è la sinergia di intenti tra le forze conservatrici latinoamericane che forse ora più che in passato si vedono costrette a condividere metodi, scopi e menzogne per fronteggiare le istanze di sinistra che si vanno affermando con sempre maggior vigore.
E ancora una volta lo fanno attraverso i mezzi di comunicazione che probabilmente rappresentano il loro vero punto di forza.
In occasione della Festa per l’indipendenza, l’ambasciatore colombiano a
Roma, PRETELT de la VEGA, aveva organizzato presso la sua residenza un
brindisi con inviti al personale diplomatico a Roma.
Decine di persone in contemporanea hanno realizzato una manifestazione di
protesta per ricordare che la classe politica colombiana è da mesi
sotto accusa per aver sostenuto, finanziato, coperto, promosso le
attività dei gruppi paramilitari che si sono macchiati in questi anni
di atroci delitti con lo scopo di tutelare gli interessi delle
multinazionali e di sterminare l’opposizione politica e sociale.
Iniziative simili si sono svolte a Parigi e a Berna
4000 sindacalisti
uccisi dagli anni ’80 ad oggi, popolazioni indigene in via di
estinzione, 3,5 milioni di profughi interni sono alcune delle cifre di
questa barbarie.
I manifestanti hanno denunciato anche come in Italia
abbiano ricoperto incarichi diplomatici personaggi dal dubbio passato
come l’attuale AMBASCIATORE SABAS PRETELT DE LA VEGA ideatore della
legge “di GIUSTIZIA e PACE” con la quale lo stato colombiano getta la
spugna su tutti i crimini commessi dai gruppi paramilitari e chi li ha
appoggiati, promettendo la non estradizione negli USA di alcuni dei
loro capi militari, di aver avuto relazioni con MANCUSO attuale numero
uno delle AUTODEFENSAS UNIDAS de COLOMBIA
Questa denuncia pubblica ha
evidentemente messo in difficoltà l’Ambasciatore il quale, davanti ai
suoi imbarazzati invitati, non ha esitato a sguinzagliare il personale
di servizio presso l’Ambasciata che si è esibito in più di una
provocazione ed ha anche preteso che le forze dell’ordine defiggessero
uno striscione che lo accusava di legami diretti con gli squadroni
della morte
Chiediamo alle Istituzioni Italiane, al Ministero degli
Esteri di rompere le relazioni diplomatiche con un paese governato da
un presidente, Alvaro Uribe Velez, che fu il maggiore sostenitore della
diffusione dei gruppi paramilitari in Colombia, e il cui personale
diplomatico in Italia e nel Mondo è sotto processo o accusato di
collusioni e responsabilità dirette con le attività degli squadroni
della morte.
Roma 20 luglio 2007
Comitato Carlos Fonseca/REDHER
- Associazione ASUD – Rete Italiana Solidarietà “Colombia VIVE” -
Associazione Italia Nicaragua, Circolo Leonell Rugama – Confederazione
COBAS – Spazio Sociale Occupato EX-51, REBOC, Rete Boicottaggio COCA
COLA – SINISTRA 19 – Claudio Ortale Cap. PRC-SE Municipio Roma19 –
Adriana Spera, Capogruppo PRC-SE al Comune di Roma — CUB Immigrazione
14.454 persone hanno contribuito con chiavi (in tutto 75.000) o altri piccoli oggetti alla raccolta dei 3.000 Kg. di materiale necessario alla costruzione del primo monumento in bronzo a Ernesto Che Guevara, nella sua Argentina. Il monumento sarà realizzato interamente in bronzo e verrà realizzato grazie al lavoro di più volontari.
Ogni persona che ha contribuito con un piccolo oggetto ha anche scelto la località dove dovrà sorgere e quasi all’unanimità è stata scelta la città natale di Che Guevara, Rosario.
Il monumento avrà un’altezza di 4 metri e il progetto è stato realizzato da Andrei Zerneri, 34 anni, artista plastico argentino. Verrà inaugurato il 14 Giugno 2008 alle 12.30 nella Calle Moreno y el Río a Rosario, Argentina, in occasione delle celebrazioni degli 80 anni della nascita del Comandante.
Visita il sito: http://www.monumentoalche.com.ar/
di Gennaro Carotenuto
Gustavo Moncayo, maestro elementare colombiano e padre di un poliziotto da quasi dieci anni sequestrato dai guerriglieri delle FARC, è arrivato a piedi a Bogotà dopo un viaggio di 46 giorni e oltre 1.200 km, per esigere che si realizzi lo scambio umanitario di prigionieri tra governo e guerriglia. A sorpresa il presidente colombiano Alvaro Uribe ha tentato di cooptarlo ed a sorpresa il maestro ha replicato: “queste catene sono contro di lei, presidente Uribe, lei non è il padrone della vita di mio figlio”.
Il maestro Gustavo (nella foto), dopo un viaggio che ha attraversato tutto il paese, si è istallato in una tenda nella Piazza Bolívar della capitale colombiana. Da lì non andrà via che con suo figlio. Lì è piombato il presidente, Alvaro Uribe, che ha provato a trasformare l’evento in una manifestazione di propaganda a suo favore. Non gli è andata bene.
Immaginate un umile maestro elementare, Gustavo Moncayo, faccia a faccia con il Presidente, Alvaro Uribe. Moncayo portava con sé il mandato di due milioni di colombiani che durante il cammino avevano firmato il suo appello. Dopo il colloquio privato, Uribe ha voluto tenere un comizio in diretta radiotelevisiva. Almeno 2.000 persone lo hanno fischiato e gridato slogan “Uribe paramilitare, il popolo è infuriato”.
Uribe a quel punto ha dato ai manifestanti del “sabotatori” e “complici della guerriglia”. Era solo l’inizio per lui. Subito dopo è apparso sul palco Moncayo, abbracciato a sua moglie e in lacrime (nella foto). Uribe stesso gli ha dato allora la parola, pensando evidentemente di poterlo controllare. Ottenuta la parola, Moncayo ha invece accusato il presidente di essere stato lui a sabotare ripetutamente lo scambio umanitario, arrivando perfino ad organizzare un autoattentato, per evitare che si arrivasse all’accordo.
Moncayo portava una maglietta bianca con la foto del figlio ed era incatenato, così come incatenato era partito dal suo paese, 1.200 km prima. Con grande coraggio il maestro ha accusato il presidente di essere colpevole di aver causato la morte di numerosi ostaggi, usando la forza e non il dialogo con le FARC: “queste catene sono contro di lei, presidente Uribe, lei non è il padrone della vita di mio figlio”. Il mese scorso 11 deputati morirono in un drammatico tentativo di liberazione con la forza fallito.
Come se non fosse sufficiente, il maestro Moncayo ha insistito mentre Uribe protestava: “Presidente la sua è una guerra personale, lei vuole solo vendicarsi delle FARC, non vuole arrivare alla pace”. Uribe è infatti da più parti accusato di stare conducendo la politica colombiana rispetto alla guerriglia non in maniera razionale, ma animato da spirito di vendetta verso le FARC. Il presidente accusa il gruppo guerrigliero di aver ucciso suo padre negli anni ’80 del secolo scorso. Intanto, la piazza appoggiava il maestro e continuava a fischiare e contestare il presidente.
Il maestro Moncayo, dopo aver evitato il tentativo di strumentalizzazione da parte di Uribe, resterà nella piazza, fino ad ottenere il suo obbiettivo: lo scambio umanitario. Lì è già stato raggiunto da decine di parenti di sequestrati, in gran parte poliziotti e militari, ma anche parlamentari come la ex-candidata presidenziale Ingrid Betancourt.
La tenda del maestro, Uribe lo aveva capito bene, è da oggi il centro della vita politica colombiana.
….I sogni sono come dei nomi solitari che navigano nel vuoto e nella vastità del cuore, questo misterioso segno che naufraga nell’inesorabile delle acque, e che, come l’ineffabile e drammatica e tesa poesia di questi tempi, il suo destino è scomparire tra le sue orme o nelle sue proprie radici, nutrite sempre di immensa umanità, nonostante assalite costantemente dal fuoco laborioso e, a volte difficile degli uomini…
Juan Cristóbal
Los sueños son una especie de nombres solitarios navegando en el vacío y en la vastedad del corazón, ese misterioso signo que naufraga en lo inexorable de las aguas, y que, como la inefable y dramàtica y tensa poesía de estos tiempos, su destino es desaparecer entre sus huellas o en sus propias raíces, nutridas siempre de inmensa humanidad, aunque asaltadas constantemente por el fuego laborioso y, a veces grotesco, de los hombres.
Juan Cristóbal
Me felicito con el amigo Juan Cristóbal por sus sueños….se que llegan desde ese lugar donde la conciencia se hace infinita y eterna, aunque como él dice, vulnerable.
Un onorevole, due prostitute, d’alto bordo ma sempre prostitute, per intenderci meglio quelle che le paghi (tanto) e te la danno, cocaina, alcol, un albergo.
Nulla di penalmente rilevante.
Una prostituta sta male a causa della droga e viene portata in ospedale.
Nulla di penalmente rilevante.
“Non c’è reato, nessuna denuncia” dicono gli investigatori.
La prostituta che è finita all’ospedale per abuso di cocaina non ha denunciato il parlamentare con il quale si trovava quella sera e quindi non c’è reato.
Non importa se il personaggio è un parlamentare, non importa se lei ha consumato cocaina, non importa se il buon senso o la moralità ravvisano un’infinità di reati ma il reato di fatto non c’è. Anzi, il parlamentare addirittura si presenta spontaneamente in questura anche se dice “non mi hanno convocato e non ho nessun obbligo”.
Simpatica la ricostruzione della serata che ha fatto lo stesso Cosimo Mele riportata da La Repubblica, merita di essere copiata.
Le frasi colorate sono le mie, spontanee battute.
“Quella signora l’ho conosciuta a cena, al ristorante Camponeschi, presentata da amici”
“Non sapevo fosse una prostituta” ribadisce più volte, poi ammette di averlo capito”a un certo punto” (che puntoooo?, no perché al ristorante ….) e di averle fatto un “regalino” (sulla cifra preferisce sorvolare).
Meglio così ma “un regalino” suvvia più squallido Mele non potevi essere.
L’ha portata in una suite all’Hotel Flora, “anche se ho casa a Roma, ho preferito”. Certo fa più “in”, sei pur sempre un parlamentare insomma….
Passano la serata insieme, sempre secondo il racconto del parlamentare poi ognuno va a dormire in una stanza diversa della suite….Si vabbè.
Di cocaina l’onorevole dice non solo di non averne fatto uso, ma nemmeno di averla vista (doppio vabbè): Forse lei ha preso pasticche. Che ne so io dormivo. (Della serie non c’ero e se c’ero dormivo, triplo vabbè).
Mele insiste anche sul fatto che lui era in compagnia di una sola ragazza, la seconda dice, l’ha chiamata l’altra “a un certo punto, poi se ne è andata”. Sempre lo stesso punto di cui sopra?
Quanto alla squillo che si è sentita male “non è che proprio stava male – dice Mele– straparlava”.
Tanto che lui ha chiamato la reception chiedendo un medico.
Certo perché per un parlamentare dell’UDC sposato con tre figli immagino che trovarsi in una suite con una squillo fatta di cocaina che comincia a “straparlare” sia un tantino preoccupante o no?
Un’autombulanza ha raccolto la ragazza e l’ha portata al San Giacomo. Quando si è ripresa, agli agenti ha detto che nessuno l’aveva costretta a fare niente e che “quel signore” le aveva anche pagato la prestazione.
Che galantuomo.
La polizia ha messo tutto per iscritto. Il verdetto finale? “Nulla di penalmente rilevante”.
Amen e così sia.
Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007
Riciclaggio di denaro del narcotraffico nella Fondazione Neruda?
E’ una linea investigativa che non seguivo ormai da due anni, da quando pubblicai in esclusiva la notizia dell’evasione fiscale di 250 mila dollari, effettuata tramite false ricevute di pagamento di onorari, notizia che la Fondazione Neruda non potè smentire.
Dieci giorni dopo l’uscita del mio articolo (La Jornada Morelos 11/08/2005) mi sono state comunicate le dimissioni dell’allora direttore esecutivo Francisco Torres. (La Tercera 21/08/2005).
Ho tralasciato le notizie relative alle abitudini personali e al consumo di droga a cui sono soliti dedicarsi alcuni personaggi della Fondazione, mi è sembrato irrilevante rispetto i precedenti criminali del suo nuovo testamentario: il pinochettista Ricardo Claro.
La notizia dell’evasione fiscale già era di per sé degna di richiamare l’attenzione del governo del Cile, ho creduto che denunciare “l’elogio del terrorismo” con l’investimento di 2,3 milioni di dollari della Fondazione Neruda nelle imprese di Ricardo Claro, le cose si sarebbero sistemate.
Ma lo Stato cileno è stato sopraffatto sistematicamente da Ricardo Claro: fin dal 12 di settembre 1973 fu consigliere di Pinochet nel ministero più importante, quello degli Esteri; Claro mise inoltre a disposizione due sue imbarcazioni come centri di tortura e organizzò il golpe fascista contro l’Unidad Popoular nel suo tempo libero da civile. Ricardo Claro, l’amico di Kissinger, (al quale propose l’invasione di Cuba nel 1976), e nello stesso tempo, Claro, nemico di Sebastiàn Piñera (come dimenticare l’umiliazione a cui sottopose l’ex candidato presidenziale con il caso dello spionaggio Kioto in Mega TV). Nel mio paese Ricardo Claro, decide la politica editoriale di Televisa (di cui è azionista e dove ha trascorso sette anni nel Consiglio di Amministrazione, dove vengono convocati solo membri del Club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la famiglia Azcárraga); infatti la dottoressa Michelle Bachelet durante la sua prima visita ufficiale in Messico si fece accompagnare da Ricardo Claro, in veste di addetto alle pubbliche relazioni. Il quotidiano ufficiale La Nación pubblicò: “L’agenda di visite della Bachelet continuerà oggi con un incontro imprenditoriale bilaterale che riunirà importanti impresari cileni come Ricardo Claro, con i suoi omologhi messicani” (21/04/2007). Ora tutto è “claro”… (chiaro)…
Neruda muore ipotecato, di cancro e tristezza fulminante nel 1973.
La dittatura di Pinochet già aveva fatto programmi a lungo termine per amministrare le risorse del poeta. Negli anni 1950 quando erano studenti universitari, Ricardo Claro aveva alle sue dipendenze Juan Augustín Figueroa e già in democrazia egli ne ha approfittato per ottenere accordi con la Concertación.
Nel 1986, la Fondazione Neruda ottiene personalità giuridica come vessillo del neoliberalismo, ovviamente la dittatura ha lasciato agire un uomo di sua fiducia come J.A. Figueroa e per il Centenario di Neruda nel 2004, ingannandoci tutti con il recupero poetico e delle memorie, al punto di cedere il nome al Premio Neruda ed impossessarsene.
I poeti José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli e Fina García Marruz, di riconosciuto valore letterario e di sinistra, furono ingannati quando Juan Austín Figueroa apparì ogni anno nella foto ufficiale del Premio Neruda o quando annunciò loro per telefono la buona notizia, o quando li invitò per un cocktail alla Chascona per darne notizia alle agenzie di stampa. La colpa non fu dei poeti ma del governo cileno. Ho insistito con la giuria del Premio Neruda, nel senso che si faccia una dichiarazione pubblica per evitare il protagonismo di Juan Agustín Figueroa ma non ho ottenuto risultati. Poco opportunamente ho informato Jaime Concha e a Hernán Loyola (giurati nel 2004 e nel 2005) e nel 2006 la scrittrice Margo Glantz che chiaramente non mi dette nessuna credibilità e anzi dette ragione ai funzionari quando le comunicarono che” tutto andava bene nella Fondazione Neruda”.
L’anno successivo, partecipò come giurato lo scrittore Roberto Fernández Retamar, il quale alla mia domanda dichiarò: “mi sono sentito sollevato con la coscienza quando mi hanno informato che il Premio Neruda lo consegna il governo cileno e non la Fondazione”, tuttavia la poetessa cubana Fina García ha ricevuto la telefonata di J.A. Figueroa che le ha annunciato la vittoria del Premio e sicuramente sarà invitata ala Chascona per un elegante cocktail. Spero che lei lo accetti protestando (in quanto l’esecutore testamentario della Fondazione Neruda, Ricardo Claro propose a Kissinger di invadere Cuba nel 1976) e che sia José Emilio Pacheco, che Carlos Germán Belli e Juan Gelman assumano una posizione politica davanti a un “Premio politico” con il quale si riabilita J.A. Figueroa, per mezzo del governo del Cile, facendo parte della Concertación tramite il destrorso Partito Radicale.
Già c’erano stati sintomi della decomposizione politica di J.A Figueroa. La legge Antiterrorista, applicata contro la comunità mapuche, fu rispolverata, dal momento che non la utilizzava più nemmeno la dittatura: invenzione di crimini, testimoni con il volto coperto. Tutto il peso dello Stato contro il popolo originario del Sud.
Prigionieri politici in democrazia?
La D.ssa Bachelet ha dichiarato in Svezia che i mapuche “hanno commesso dei crimini”. Per lei “mapuche” è sinonimo di terrorismo, ma che faceva la Fondazione Neruda il giorno dell’arresto dei mapuche Pascaul Pichún e Aniceto Norin? A titolo personale J.A. Figueroa, tramite conoscenze è riuscito a smontare lo stato di diritto di un paese servendosi della legislatura della dittatura con il primo caso di Legge Antiterrorista. Cinque anni fa, esattamente il giorno della sentenza, Figueroa consegnava il Premio Neruda 2003 (versione locale e precedente di quello dei 30 mila dollari per autore affermato) a Jaime Huenún; la colpa fu sua. Ma il poeta era mapuche, e fece parte del lavoro mediatico e politico di Figueroa condannare come terroristi e dare avvio alla persecuzione contro i mapuche e il giorno della sentenza dei giudici consegnare il premio Neruda 2003 a un mapuche.
E lo Stato cileno?
Lascia correre tutto: la legge antiterrorista, l’evasione fiscale, la falsificazione dei libri nerudiani, gli investimenti con il terrorista Ricardo Claro. Né Mariel Bravo, addetta culturale dell’ambasciata cilena in Messico, né molto meno Paulina Urrutia, ministro della Cultura, sono disposte a rompere il circolo vizioso che vige all’interno della Fondazione Neruda, per diplomazia e in difesa dello status quo.
Il giorno che incendiai, (letteralmente e con la benzina) un’antologia di Neruda falsificata da Edaf/PP sulla scrivania di J.A. Figueroa, c’era il ministro e la stampa cilena. Sospetto che il suo intervento impedì un mandato di arresto contro di me; Paulina Urrutia disse di essersi sentita “ostaggio della situazione”, che non capiva il mio atteggiamento e che “non si può fare come se qui non fosse successo nulla, al momento che in Cile non si bruciano più libri dai tempi della dittatura”. So che l’assessore del ministro, il giornalista Willy Haltenhoff, le consegnò una relazione scritta sulle motivazioni del mio show, ma alla data odierna non ho ricevuto nessun altro gesto di buona volontà da parte del governo cileno. Mariel Bravo l’ho conosciuta alla Fiera del Libro di Guadalajara del 2004, abbiamo parlato delle falsificazioni di Edaf, gli ho lasciato il quotidiano El Universal del Messico dove pubblicai la notizia sulla prima pagina culturale (24/10/2004) e due anni dopo tornammo a parlare dell’argomento.
Lei mi disse: “devi capire che per noi non è facile affrontare il problema degli investimenti della fondazione Neruda; sì, leggo tutte le tue lettere e i tuoi articoli, buono quello dell’antologia di Edaf, ma io ero appena scesa dall’aereo nel 2004 con il mio nuovo impegno di addetta culturale in Messico. Il segretario esecutivo del Consiglio del Libro, Jorge Montealegre, mi disse ufficiosamente: “sto studiando con gli avvocati del Consiglio del Libro il modo di editare
l’Antologia Popolare 1972 di Neruda senza gli errori di Edaf, se il libro è appartenuto allo stato cileno, non vedo perché lasciarlo nelle mani dei privati.” Almeno mi resta la piccola soddisfazione di Madrid, quando la prestigiosa Agenzia Balcells prese atto della mia inchiesta e chiese a Edaf di ritirare dalla circolazione la sua Antologia postuma e prima di ogni altra riedizione di sistemarne i suoi errori (Informe interno dell’Agenzia Balcells, 04/05/2006).
Il patrimonio culturale rubato da quelle stesse mani
Il 27 maggio ho pubblicato un’intervista con lo scrittore ed accademico Jorge Aravena Llanca sulla storia del carico di libri di proprietà dell’allora ambasciatore Neruda a Parigi; è noto che il poeta dopo aver ricevuto il Nobel (1971) comprò una casa di campagna in Normandia e il resto del danaro lo concesse a collezioni bibliofile francesi, spagnole e americane. Matilde Urrutia denunciò: “Quando arrivarono i miei containers a Valparaíso, successe qualcosa di insolito, al di fuori delle regole. Presero i miei pacchi dalla dogana e li misero in un recinto dell’esercito…la cosa più dolorosa fu il saccheggio che fecero dei miei libri, mi lasciarono molte collezioni incomplete. I libri più preziosi si persero” (Memorie; Seix Barral, 1986, Pag. 207)
Quello che Matilde Urrutia non sapeva è che Neruda ancora non era morto e Juan Augustín Figueroa già stava vendendo la collezione di libri in Germania, il carico fu intercettato in Valparaíso (nel 1973) dai militari, successivamente si “legalizzò il lotto” e i libri ritornarono in Europa per essere venduti finalmente nel Museo Regina Sofía di Madrid.
Lo stato cileno chiederà una spiegazione alla Corona Spagnola?
Nel caso della Fondazione Neruda, il ministero della giustizia pronunciò la Risoluzione 3296/22 nel maggio del 2007: “non si può accreditare o stabilire infrazioni di carattere giuridico” di fronte alla domanda dell’Associazione Americana di Giuristi (Valparaíso) che presentò il ricorso di disconoscimento della personalità giuridica contro la Fondazione.
Esistono però statuti originali redatti da Neruda per la sua Fondazione, dove egli specifica che la direzione deve essere composta da rappresentanti dell’Università del Cile, dell’ Università Cattolica, dell’Università Tecnica dello Stato(UASACH) e da dirigenti della Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT) e della Società di Scrittori del Cile (SECH) più due persone di fiducia di Neruda (che potrebbe indicare il Ministero della Cultura tra due nerudologi).
Ad oggi il direttivo “vitalizio” include solo i quattro intimi di Juan Augistín Figueroa . E al ministero della Giustizia non gli interessa che “una associazione senza fini di lucro” evada le tasse, commetta tutta una serie di reati e falsificazioni e investa con “fini di lucro” 2.3 milioni di dollari nel pinochettismo. Fondazione Neruda e narcotraffico?
E’ il meno.
Il giorno che si ritireranno gli investimenti della Fondazione Neruda a Ricardo Claro, sarà una condanna e un giudizio morale contro il terrorista di stato cileno.
Traduzione di Annalisa Melandri
Mario Casasús è un giornalista argentino editorialista de La Jornada Morelos e del Clarín del Cile
Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007
¿Lavado de dinero del narcotráfico en la Fundación Neruda?
Es una línea de investigación que descuidé hace dos años, al publicar en exclusiva la evasión fiscal por 250 mil dólares, mediante boletas de honorarios falsas, situación que la Fundación Neruda no pudo desmentir. Diez días después de mi nota (La Jornada Morelos 11/08/2005), me concedieron la renuncia del entonces director ejecutivo, Francisco Torres (La Tercera 21/08/2005). Deseché los trascendidos sobre los hábitos personales y el consumo doméstico de drogas que acostumbran ciertos personeros de la Fundación, me pareció irrelevante comparando los antecedentes delictivos de su nuevo albacea: el pinochetista Ricardo Claro. El hecho de la evasión fiscal, por sí mismo era digno de llamar la atención del gobierno de Chile; creí que al denunciar el “enaltecimiento del terrorismo” con la inversión de 2.3 millones de dólares de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro las cosas se revertirían. Pero el Estado chileno ha sido rebasado por Ricardo Claro sistemáticamente: desde el 12 de septiembre de 1973 ya asesoraba a Pinochet en la cartera más importante, la de Relaciones Exteriores; Claro facilitaba dos barcos como centros de tortura y en sus ratos libres de civil organizó el golpe fascista contra la Unidad Popular. Ricardo Claro, el amigo de Kissinger (a quien le propuso invadir Cuba en 1976), y al mismo tiempo, Claro, enemigo de Sebastián Piñera (cómo olvidar la humillación que hizo pasar al ex candidato presidencial con el espionaje del Caso Kioto en Mega TV).
En mi país, Ricardo Claro decide la política editorial en Televisa (accionista y siete años en su Consejo de Administración, donde sólo son convocados el club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la familia Azcárraga); por lo tanto, la doctora Michelle Bachelet durante su primera gira oficial a México se hizo acompañar por Ricardo Claro, en el papel de relacionista público. El periódico oficialista La Nación publicó: “La agenda de Bachelet continuará hoy con un encuentro empresarial binacional que reunirá a destacados empresarios chilenos como Ricardo Claro, con sus pares mexicanos” (21/04/2007). Ahora todo queda Claro. Neruda muere intestado, de cáncer y tristeza fulminante en 1973. La dictadura de Pinochet ya tenía planes a largo plazo para administrar los recursos del poeta. Desde la década de 1950, cuando eran estudiantes universitarios, Ricardo Claro tiene de empleado a Juan Agustín Figueroa y en democracia ha sido aprovechado para lograr acuerdos con la Concertación. En 1986, la Fundación Neruda adquiere personalidad jurídica como mascarón de proa del neoliberalismo, obviamente la dictadura dejó trabajar a un hombre de su confianza como J. A. Figueroa y para el Centenario en 2004, nos engañó a todos, con la recuperación poética y memorística, al punto de ceder el nombre al Premio Neruda y apoderarse de él. Los poetas José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli y Fina García Marruz, de reconocida trayectoria literaria e identificados a la izquierda, fueron tergiversados cuando Juan Agustín Figueroa se tomó la foto oficial del Premio Neruda cada año o les anunciaba por teléfono la buena nueva, o los invitaba a un cóctel en La Chascona para subir la nota a las agencias de prensa. La culpa no es de los poetas, sino del gobierno chileno. He insistido con el Jurado del Premio Neruda, en el sentido de que se haga una declaración pública para evitar que Juan Agustín Figueroa se adjudique el protagonismo, pero no he obtenido resultado.
A destiempo le informé a Jaime Concha y Hernán Loyola (jurados en 2004 y 2005) y en 2006 la escritora Margo Glantz sencillamente no me dio credibilidad alguna y mejor le hizo caso a los funcionarios cuando le dicen que “todo está bien en la Fundación Neruda”. Al año siguiente, participó como jurado el escritor Roberto Fernández Retamar, quien ante mi pregunta declaró: “siento un alivio de conciencia cuando me informaron que el Premio Neruda lo otorga el gobierno y no la Fundación”, pero la poeta cubana Fina García recibió la llamada telefónica de J. A. Figueroa para anunciarle el Premio y seguramente será invitada a La Chascona a un elegante cóctel. Espero que ella lo reciba bajo protesta (con el argumento de que el albacea de la Fundación Neruda, Ricardo Claro, le propuso a Kissinger invadir Cuba en 1976) y que tanto José Emilio Pacheco, Carlos Germán Belli y Juan Gelman tomen una postura política, ante un “Premio político” con el que se reivindica J. A. Figueroa, vía gobierno de Chile, siendo parte de la Concertación mediante el derechista Partido Radical. Había síntomas de la descomposición política de J. A. Figueroa. La Ley Antiterrorista, aplicada contra la comunidad mapuche, fue desempolvada, pues ya ni la dictadura la utilizaba: fabricación de delitos, testigos con el rostro oculto. Todo el peso del Estado contra los pueblos originarios del Sur.
¿Presos políticos en democracia?
La Dra. Bachelet declaró en Suiza que los mapuches “cometieron delitos”. Para ella mapuche es sinónimo de terrorismo, pero ¿qué hacía la Fundación Neruda el día que se encarcelaba a los mapuches Pascual Pichún y Aniceto Norin? A título personal J. A. Figueroa, mediante tráfico de influencias, logró desbaratar el estado de derecho de un país al aprovecharse del marco legislativo de la dictadura con el primer caso de Ley Antiterrorista. Hace 5 años, exactamente el día de la sentencia, Figueroa entregaba el Premio Neruda 2003 (versión local y predecesora del de 30 mil dólares para autor consagrado) a Jaime Huenún; la culpa no es de él. Pero el poeta era mapuche, como parte del trabajo mediático y político de Figueroa, encarcela por terroristas e impulsa el acoso contra los mapuches y el día de la resolución judicial entrega el Premio Neruda 2003 a un mapuche.
¿Y el Estado chileno?
Deja que todo pase: la ley antiterrorista, la evasión fiscal, la falsificación de libros nerudianos, la inversión con el terrorista Ricardo Claro. Ni Mariel Bravo, agregada cultural de la Embajada chilena en México, ni mucho menos Paulina Urrutia, ministra de Cultura, están dispuestas a romper el ciclo vicioso al interior de la Fundación Neruda, por diplomacia y en defensa del estatus quo. El día que incendié (literalmente y con gasolina) una Antología de Neruda falsificada por Edaf/PP en el escritorio de J. A. Figueroa, estaba la ministra y la prensa chilena. Sospecho que su intervención impidió una orden de arraigo en mi contra; Paulina Urrutia dijo sentirse “rehén de la situación”, que no entendía mi actitud, “no se puede hacer como que aquí no pasó nada, ya que en Chile no se quemaban libros desde dictadura”. Sé que el asesor de la ministra, el periodista Willy Haltenhoff, le entregó un informe por escrito de las razones del performance, pero a la fecha no he recibido otro gesto de buena volunt
ad del gobierno chileno. A Mariel Bravo la conocí en la Feria del Libro de Guadalajara 2004, hablamos de la falsificación de Edaf, le dejé el periódico El Universal de México donde publiqué la noticia en primera plana cultural (24/10/2004) y dos años después volvimos a hablar. Ella dice: “tienes que entender que para nosotros no es fácil abordar el problema de la inversión de la Fundación Neruda; sí, leo todos tus correos y notas, pero bueno lo de la antología de Edaf, yo apenas estaba bajando del avión en 2004 con mi nuevo compromiso de agregada cultural en México”. El secretario ejecutivo del Consejo del Libro, Jorge Montealegre, me dijo extraoficialmente: “estoy estudiando con los abogados del Consejo del Libro la forma de editar la Antología Popular 1972 de Neruda sin los errores de Edaf, si el libro perteneció al Estado chileno, no veo por qué dejarla en manos de particulares”. Al menos me queda la pequeña victoria en Madrid, cuando la prestigiada Agencia Balcells certificó mi investigación y pidió a Edaf que retire de circulación su Antología póstuma y ante cualquier reedición Edaf debe arreglar su error (Informe interno de la Agencia Balcells, 4/05/2006).
El patrimonio cultural robado por las mismas manos
El 27 de mayo, publiqué una entrevista con el escritor y académico Jorge Aravena Llanca con la historia del embarque de libros propiedad del entonces embajador Neruda en París; es sabido que el poeta al recibir el Nobel (1971) compró una casona en Normandía y el resto de la plata fue a dar en colecciones bibliófilas francesas, españolas y americanas. Matilde Urrutia denunció: “Cuando llegaron mis containers a Valparaíso, pasó algo desusado, fuera de toda ley. Sacaron mis bultos de la aduana y los llevaron a un recinto militar… lo más doloroso fue el saqueo de los libros, me dejaron muchas colecciones incompletas. Los libros más valiosos se perdieron” (Memorias; Seix Barral, 1986, Pág. 207). Lo que Matilde Urrutia no sabía es que Neruda todavía no moría y Juan Agustín Figueroa ya andaba vendiendo la colección de libros en Alemania, el embarque fue interceptado en Valparaíso (en 1973) por los militares, posteriormente se “legalizó el lote” y los libros regresaron a Europa para ser vendidos finalmente en el Museo Reina Sofía de Madrid.
¿El Estado chileno pedirá una explicación a la Corona Española?
En el Caso Fundación Neruda, el ministerio de Justicia dictaminó la Resolución 3296/22 en mayo de 2007: “No se pudo acreditar o establecer infracciones de carácter estatutario” ante la solicitud de la Asociación Americana de Juristas (Valparaíso) que presentó un recurso de desconocimiento de la personalidad jurídica contra la Fundación. Existen estatutos originales redactados por Neruda para su Fundación, donde especifica que el directorio debe estar integrado por representantes de la Universidad de Chile, de la U Católica y la U Técnica del Estado (USACH) y por los dirigentes de la Central Unitaria de Trabajadores (CUT) y la Sociedad de Escritores de Chile (SECH) más dos personas de confianza de Neruda (que podría destinar el Ministerio de Cultura, entre dos nerudólogos). Hoy día el directorio “vitalicio” incluye sólo a los cuatro íntimos de Juan Agustín Figueroa. Y al Ministerio de Justicia no le interesa que una “asociación sin fines de lucro” evada impuestos, cometa toda una serie de negligencias, falsificaciones e invierta “con fines de lucro” 2.3 millones de dólares al pinochetismo. ¿Fundación Neruda y narcotráfico? Es lo de menos. El día que se retire la inversión de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro, será un castigo y un juicio moral contra el terrorista de Estado chileno.
Link su Rebelión: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=53569
Che cos’è oggi la Chiesa cattolica, ed il suo centro nevralgico, il Vaticano? A questa domanda cerca di rispondere questo libro, che ricuce una mole rilevante di informazioni, ne analizza il senso, e offre ai lettori una loro collocazione logica, in modo da permettere di identificare la piovra, a partire da una prima radiografia, e poi attraverso la sua storia recente. Una storia di usurai e falsari, di mafiosi e massoni, di mangiasoldi di professione, una storia che non è solo italiana, ma che si sviluppa, subdola o palese, in America latina e in Africa, nell’Europa dell’Est e in Asia.
I tentacoli del Vaticano vengono qui messi a nudo, sia che si tratti dell’Opus Dei, o dei Cavalieri di Malta, di Comunione e Liberazione o dei Carismatici, dei legionari o dei gruppi integralisti legati all’estrema destra neofascista. Tutto l’apparato umano e mass-mediatico viene inquadrato nella sua reale portata, ed infine collegato con l’attivismo vaticano e cattolico nella società italiana, un caso in cui parlare di ingerenza è troppo poco: ormai la Chiesa dà le direttive alla politica, e in ciò è molto più a suo agio oggi che quando c’era la DC.
L’anticlericalismo si rivela una condizione essenziale della batta– glia per l’emancipazione dell’uomo dalle varie forme di schiavitù; dimenticarlo è commettere un nuovo, tragico, errore.
(dall’ultima di copertina)
Ed. La Fiaccola, Ragusa