Lista di avvocati di fiducia della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) della Repubblica Dominicana
Visti i notevoli e gravi problemi ai quali sono andanti incontro i detenuti italiani in Repubblica Dominicana proprio per non aver goduto di una assistenza legale degna di questo nome, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha messo a disposizione dell’ Ambasciata italiana a Santo Domingo una lista di avvocati ai quali poter fare riferimento in caso di necessità. Per ulteriori informazioni mi si può contattare al mio indirizzo di posta elettronica: annalisamelandriyahooit
1– JUANA MAGALIS LEISON GARCIA
Cedula no. 001–0504272-5
TEL (829)890‑9233
2- ARACELIS FRANCISCA MORALES ARIAS
Cedula no. 001–1404739-2
Tel (829)383‑8749
3-LICDO.ANDRES CESPEDES
Cedula no. 001–0137904-8
Tel (829)707‑2129
4-LICDO EDWARD DAVID CAPELLAN LIRIANO
Cedula no.001–0903726-7
Tel.(809)399‑0015
5– LICDA MILVIA YOSELIN MELO CIPRIAM
Cedula no.010–0010523-7
Tel (829) 983‑3050
LOCALIZABLE EN AZUA
6– LICDO. JOSE ANIBAL GUZMAN JOSE
Cedula no.001–0476802-3
Tel. (809)882‑7881
7 LICDO. PEDRO VALDERA
TEL. (809)915‑2661 LOCALIZABLE EN NAGUA
8-DR. MANUEL MARIA MERCEDES MEDINA
Cedula no.001–0234211-0
Tel (809)980‑0343
9– LICDA. JUANA DE JESUS
Tel.(809)645‑4871
LOCALIZABLE EN SAN CRISTOBAL
10– LICDO. DIONICIO JEREZ
Cedula. no. 031–0108596-1
Tel (809)395‑1139
LOCALIZABLE EN SANTIAGO
11– LICDO. RADHAMES MERCEDES
Tel (829)776‑5252
LOCALIZABLE EN MOCA
12-RICARDO VARGAS
Tel (809)543‑4960
LOCALIZABLE EN PUERTO PLATA
13-LIC. RAFAEL E. PEGUERO
Cedula no.003–0007870-6
Tel (829)383‑6772
LOCALIZABLE EN BANI
14-LICDO. JULIO CESAR PEGUERO
TEL 538‑2580
LOCALIZABLE EN SAMANA
15-RICARDO ANTONIO DE JESUS CAMPUSANO PEREZ
Cedula no.001–0628661-0
TEL(829)968‑5974
PROVINCIA SANTO DOMINGO
16-LICDA. JOSEFINA MARMOLEJOS
TEL. (809)492‑5838
LOCALIZABLE EN LA VEGA
17-LICDO. ALQUIMIDES REYES
TEL (829) 986‑8687 LOCALIZABLE EN BONAO
18 DR. JUAN DIONCIO RODRIGUEZ
TEL (809)682‑3901 DISTRITO NACIONAL
Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?
“E’ con grande piacere che do il benvenuto al ministro Gheddafi al Dipartimento di Stato. Noi attribuiamo grande valore alle relazioni tra gli Stati Uniti e la Libia. Abbiamo grandi opportunità per approfondire e ampliare la nostra cooperazione e personalmente ho la ferma intenzione di consolidare i nostri rapporti. Pertanto, signor ministro, sia il benvenuto tra noi”. (21 aprile 2009. Mutassim Gheddafi viene ricevuto con tutti gli onori a Washington da Hillary Clinton)
Il mondo è in guerra. L’ennesima guerra neocolonialista-imperialista, questa volta per impossessarsi delle riserve di petrolio della Libia.
L’aggressione è stata realizzata tanto velocemente (il tempo per l’ennesima ridicola riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU) quanto evidentemente criticabile da ogni punto di vista, soprattutto da quello dello stesso diritto internazionale con il quale pure vorrebbe legittimarsi. Non può essere infatti sostanzialmente valida una risoluzione internazionale emessa ad hoc a legittimare un intervento armato con lo scopo di imporre la democrazia, quando l’organismo che la emette diventa strumento nelle mani delle potenze mondiali. Perché infatti non si è mai intervenuto allo stesso modo contro Israele, che continua impunemente, anche in queste ore, a commettere un vero e proprio genocidio sistematico contro il popolo palestinese?
Più passano le ore e più, nel caos e nella confusione di dichiarazioni, smentite, dubbi sui ruoli e finanche sullo scopo, l’intera operazione si profila come la stessa campagna mediatica che l’ha preceduta: maldestra, confusa, improvvisata e grossolana.
Con quelle tombe in costruzione fatte passare per fosse comuni, con i bombardamenti inesistenti su Tripoli, smentiti allegramente dall’ambasciatore italiano e dal vescovo di Tripoli che proprio in questi giorni sta parlando di guerra assurda e sta invocando la “mediazione per risolvere i conflitti” (non era la stessa cosa che diceva Chávez qualche settimana fa?), bufale colossali, come i 10.000 ribelli morti e gli oltre 50.000 mila feriti, che quasi nemmeno il terremoto e lo tsunami in Giappone. Bufale che gli stessi ideatori e disinformatori di professione hanno dovuto ritirare in fretta e furia dal mercato di fronte all’evidenza dei fatti.
Campagna mediatica evidentemente grossolana proprio perché si è reso evidente il fatto che non era necessario uno sforzo disinformativo eccezionale. Si disinforma chi potrebbe, di fronte all’evidenza dei fatti, reagire in qualche modo. Chi avrebbe dovuto reagire a questa nuova guerra, e come? L’ opinione pubblica internazionale?
Perché esiste l’opinione pubblica internazionale? Di cosa o chi stiamo parlando? Di quell’ “indignazione morale condivisa per infrazioni evidenti del comandamento contro la violenza e per massicce violazioni dei diritti umani”?[1] Dove sta? Dove e come si esprime? Chávez a l’intera coalizione dell’Alba, da sud tuonano contro le mire neocolonialiste di un pugno di stati che credono che le lancette del tempo siano ancora ferme al XIX secolo, Putin, da nord parla di “crociata medievale”… In mezzo c’è l’Europa, confusa politicamente e con la voce del suo popolo, della sua gente completamente assente oggi.
Dove stanno? Dove sono le voci dei popoli? Gli unici a levare proteste contro la guerra sono alcuni presidenti, qualche governo, qualche intellettuale… Dove sono i giovani? Dove sta il sentimento pacifista che ha animato in passato le strade e le piazze europee e che è stato il fondamento, il pilastro di tutti i movimenti giovanili? Dove stanno le bandiere della pace che hanno colorato le strade e le piazze europee tra il 2002 e il 2003? Si calcola che allora in Italia quasi tre milioni furono i balconi e le finestre dove il vessillo multicolore indicava che in quella casa, in quell’ufficio, in quella scuola si stava esprimendo un forte e chiaro NO alla guerra! E le moltitudinarie proteste del febbraio 2003…
Questa è la ricostruzione che fa di quel sabato 15 febbraio 2003 lo storico statunitense J.J. Sheehan[2]: “Sabato 15 febbraio 2003 si tenne la più grande dimostrazione della storia europea, contro la guerra che stava per colpire l’Iraq. A Londra una folla di circa un milione di persone si riversò in Trafalgar Square, riempiendo le strade cittadine dagli argini del Tamigi alla Euston Station; un milione di manifestanti marciò a Barcellona e a Roma, altri 600.000 a Madrid. A sfidare il gelo al Tiergarten di Berlino furono in 500.000, un numero quasi pari ai partecipanti alla Parata dell’Amore che vi si teneva in estate. Si trattava ovunque di folle pacifiche. Ci furono pochi arresti, nessun episodio di violenza. Le dimostrazioni attirarono una ricca varietà di partecipanti: c’erano alcuni adolescenti vestiti in pelle e con l’aria da duri e giovani che indossavano la kefiah palestinese o la sciarpa nera degli anarchici, ma nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di cittadini dall’aspetto rispettabile, che indossavano caldi cappotti invernali e scarpe comode – pensionati, accademici di mezza età, membri dei sindacati, studenti delle superiori e universitari. C’erano tante famiglie, genitori e nonni che non partecipavano a una dimostrazione dagli anni Sessanta, bambini che per la prima volta facevano l’esperienza di quel caratteristico miscuglio di euforia e disagio delle manifestazioni politiche. Un quotidiano tedesco definì l’evento «una rivolta di persone comuni»…. Diversamente da chi in passato aveva manifestato contro la guerra in Vietnam, nessuno mostrava alcuna simpatia per l’altra parte; non c’erano bandiere irachene né ritratti di Saddam Hussein. Per la maggior parte di quelle persone, il vero problema non era chi aveva ragione e chi torto, ma se la guerra potesse essere considerata una risposta.”…In tutte le città coinvolte, guardando al di sopra della marea umana, la scritta che appariva più spesso era composta da una sola parola: «No».
Sicuramente, come si è visto, le proteste nulla hanno potuto contro la guerra, che a distanza di 8 anni continua cruenta ancora oggi. Tuttavia esprimevano un sentire comune, se non dei governanti, quanto meno dei governati. Esprimevano un sentimento che riuscì anche solo per un breve, anche se inutile momento, ad uscire dalle pance e a riversarsi nelle strade.
Guardando indietro con gli occhi di oggi, guardando oggi da questa Europa folle che, nel tentativo di contrastare “l’unilateralismo missionario” dell’interventismo statunitense di allora, riesce oggi ad essere soltanto una ridicola caricatura di se stessa, vediamo tuttavia che, l’ottimismo di alcuni intellettuali dovuto allora alla contemporaneità di quelle moltitudinarie proteste contro la guerra, appare oggi sicuramente esagerato. Junger Habermas e Jacques Derida nel loro appello dal titolo: Il 15 febbraio: ovvero, ciò che unisce gli europei auspicavano, credendola possibile, “la nascita di un’opinione pubblica europea” proprio a partire da quelle grandi e sentite manifestazioni di pacifismo, le “più grandi dalla fine della seconda guerra mondiale”. Oggi, rispetto ad allora, resta simile soltanto la spaccatura europea rispetto al ruolo della politica estera del continente. E all’interno dei singoli Stati le spaccature sulle posizioni da tenere, rendono tutto il gioco guerrafondaio ancora più sguaiato e meschino. Ai rumori della guerra fa eco il chiasso della politica e tutto intorno il silenzio…
Spostando la visuale, infatti, guardandoci da fuori, noi “persone comuni” del 2003, dove siamo oggi? Dove sta la nostra rabbia contro la guerra? Dove sono i nostri giovani?
Io lo so e il saperlo mi riempie di tristezza e inquietudine. I nostri giovani stanno tutti al pc. Seguendo giorno per giorno gli avvenimenti. Certo, partecipando, scrivendo (come sto facendo io stessa in questo momento), dibattendo, insultando questo o quel politico, Berlusconi come Sarkozy, Obama come Cameron, manifestando dissenso e rabbia, esponendo foto e scritte come si fa con gli striscioni in piazza.
Io non credo che sia casuale tutto questo. Io credo, sono fermamente convinta, che la rete sia una grande conquista della comunicazione, che sia una grande opportunità di crescita e di condivisione, di comunicazione e di scambio, di esperienze, di lotte, di battaglie e di informazioni. Credo però anche che sia mancato uno studio serio e intelligente degli effetti che questo mezzo avrebbe potuto avere sulla militanza, sulla protesta, sul dissenso. E questo ci ha fregati. Abbiamo pensato, nelle lunghe giornate d’inverno, o al fresco delle nostre case nelle estati assolate e torride, che fare e produrre informazione comodamente seduti davanti ad un monitor fosse in qualche modo costruttivo. Abbiamo pensato che scrivere, e scrivere, e condividere notizie, e produrre dibattito, fosse una maniera diversa e più acculturata di apportare il nostro contributo alle cause in cui credevamo e crediamo. Abbiamo pensato che far girare e condividere in migliaia di siti le orrende foto degli eccidi israeliani al fosforo bianco sui bambini palestinesi volesse dire contribuire in quale maniera a quella causa. Abbiamo pensato che mettere la bandiera della pace nelle nostre pagine web o nei nostri avatar fosse come mettercele addosso o esporle alle nostre finestre.
Sbagliavamo. Le piazze si sono svuotate, i cortei si sono fatti più silenziosi e noiosi, i colori sono lentamente sfumati. Nessuno grida più, nessuno torna a casa la sera stanco, sudato e senza voce dopo un corteo, tutti appaiono stanchi invece di tanto sbraitare e urlarsi addosso rabbia virtuale nei social forum.
Il potere ha vinto. La fantasia non è riuscita a dominarlo. In passato soffocata da tonnellate di droghe gettate addosso alle menti migliori, quelle più fervide e ribelli, poi livellata con il ventennio uniforme e squallido dell’avvento delle televisioni commerciali (che ha dato il colpo di grazia a cultura e originalità), così oggi, i centri di potere, dandoci l’illusione della libertà di espressione, facendoci credere di essere tutti partecipativi nella creazione globale dell’informazione, con quel mezzo diabolico e terribilmente geniale e seducente che è internet, hanno controllato, con meno morti e meno diffusione di malattie, ogni velleità rivoluzionaria dei giovani.
In piazza a Roma la settimana scorsa contro la guerra hanno manifestato una cinquantina di persone, il gruppo in Facebook Fuori l’Italia dalla Guerra in Libia conta 697 persone, il gruppo No alla guerra in Libia piace a 150 persone, No alla guerra contro la Libia piace a 300 persone, Io non voglio la Guerra in Libia piace a 792 persone e così via…
Paradossalmente proprio questi mezzi, internet e i suoi social Forum Facebook e Twitter, proprio quelli che hanno contribuito a creare adesione e consenso intorno a tanti militanti di alcuni paesi lontani da noi sia geograficamente che culturalmente , sono stati quelli che li hanno maggiormente isolati, chiudendoli dentro le maglie repressive della rete.
La rete, quella è la vera piazza oggi. Questa è la vera sconfitta. La nostra e del pacifismo, violento o non violento che sia, più educato e rispettoso o sguaiato e rabbioso, non importa il modo o la forma. E’ la sostanza che manca, la grande assente. Questa, signori, è la sonora e scottante sconfitta della militanza.
[1] J. Habermas, L’Occidente diviso, Editori Laterza, Roma-Bari 2005
[2]J.J. Sheehan L’età post-eroica Guerra e pace nell’Europa contemporanea (Laterza)
Olga Salanueva y Adriana Pérez: ellos están allí por querer advertir a nuestro pueblo de la muerte
Se puede vivir doce años luchando por la liberación de la persona amada detenida injustamente en una cárcel? Se puede vivir doce años luchando con la misma fuerza desde el primer día? Adriana Pérez y Olga Salanueva, esposas respectivamente de Gerardo Hernández y de René Gonzáles, dos de los cinco cubanos presos en Estados Unidos desde el año 1998, nos cuentan en esta entrevista (realizada durante un viaje de ellas a Italia en la primavera pasada), sus vidas, sus dificultades, sus deseos, sus luchas. Una charla entre mujeres más que una entrevista, explorando delicados sentimientos de amor y cariño pero siempre acompañados por una fuerza y una terquedad admirables. No hay dudas en que los 5 cubanos, Gerardo Hernández, René González, Ramón Labañino, Fernando González y Antonio Guerrero, que recordamos fueron arrestados en Miami donde estaban haciendo investigaciones sobre los grupos anticastristas que proyectaban atentados terroristas en Cuba y ellas, además de las otras esposas y familiares sean verdaderos hombres y mujeres de paz al estar sacrificando sus vidas y su libertad por la seguridad de su pueblo.
Adriana y Olga no ven a sus esposos desde doce años. Les han negado la visa para visitarlos alrededor de diez veces con argumentos diferentes, como que son posibles inmigrantes o que representan una amenaza por la “seguridad nacional de Estados Unidos”. Olga pudo visitar los primeros dos años a René en la cárcel, luego fue deportada de Estados Unidos como forma de chantaje y de venganza porque René no quiso admitir la infamante acusación según la cual estaba espiando el gobierno americano.
Olga y Adriana son dos mujeres tiernas y enamoradas, pero sobre todo determinadas, que desde doce años recurren el mundo denunciando la injusta detención de sus esposos de parte de un gobierno arrogante y prepotente. Un gobierno que ahora deja pasear líberamente por las calles de Miami el terrorista cubano Luis Posada Carriles reo confieso de diferentes atentados en Cuba(entre ellos el que costó la vida al nuestro Fabio Di Celmo). El mismo Posada Carriles sobre quien los 5 cubanos estaban investigando en Miami y que por esto fueron detenidos.
por Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
A.M. :¿Olga y Adriana, qué condenas tienen René Y Gerardo?
OLGA: René está condenado a 15 años de cárcel y Gerardo, que tiene la condena más pesada, a doble cadena perpetua más 15 años de prisión. Están presos todos los 5 desde el 12 de septiembre de 1998.
A.M. : ¿Ustedes no tienen ningún tipo de contacto con ellos?
OLGA: Bueno, nosotros tenemos contactos a través de llamadas telefónicas que se hacen únicamente de las cárceles hacia afuera. Ellos tienen una determinada cantidad de minutos a disposición que tienen que emplear para hablar con sus abogados, hablar con funcionarios cubanos que son los que le transmiten a través de los accesos consulares fundamentalmente las noticias de las familias y con los familiares. Efectivamente tienen muy poco tiempo a disposición para para comunicarse.
La otra vía es la correspondencia, pero esa se ve afectada por la censura que lleva la cárcel igual que como ocurre con las llamadas telefónicas. Estas son grabadas todo el tiempo y la correspondencia también es revisada. Sin embargo eso no es lo importante, lo importante es la demora en la llegada y la salida de la correspondencia hacia el exterior que se va muy afectada , fundamentalmente en el caso de Gerardo que es precisamente el que tiene los mayores cargos, la mayor sentencia, dos cadenas perpetuas y además le ponen más obstáculos en la correspondencia. Escribirle a Gerardo puede ser que le demore a llegarle una carta varios meses y en su caso también es violada la ley de la correspondencia legal que debería ser entregada cerrada o abierta delante de él, le llega muy tardíamente y abierta sin su presencia. Esto ha interferido en muchas ocasiones importantes de los procesos en las diferentes apelaciones; de hecho él no pudo tener en su mano toda la documentación que se iba a presentar ante la Corte Suprema, él no la pudo revisar no obstante fuera el más implicado en el caso. Entonces la comunicación con ellos es mínima, la tratamos de aprovechar al tiempo, el mayor tesoro que tenemos nosotras son dos tres minutos de llamada, cuatro, hasta 15 minutos en una llamada, pero a veces se tienen que compartir los minutos .
Para nosotras son mucho más importantes las llamadas porque la carta si bien puede expresar todo tu sentimiento, demora mucho. Además últimamente en las cárceles federales se ha aprobado el correo electrónico, pero en dos de los casos, el de Fernando y de Gerardo tienen la prohibición absoluta de acceso al correo electrónico, aunque en el caso de los otros tres que lo tienen aprobado, tu escribes un correo y puede que demore dos o tres días, o cuatro.
A.M. ¿Ustedes tienen hijos?
ADRIANA: No. Gerardo y yo no tenemos.
OLGA: René tiene dos niñas que ya no son tan niñas, la mayor va a cumplir 26 años y la más chiquita tiene 12. Nosotros llevamos 27 de matrimonio y somos los mayores del grupo.
A.M. : ¿Habían esperado que con la elección de Obama a la presidencia de Estados Unidos hubiera podido cambiar algo en la situación de los 5?
ADRIANA: Nosotros sabemos que cualquier administración tiene una posición muy bien definida hacia Cuba, pero la injusticia hacia los 5 es muy evidente, ellos ya han pasado muchos años en prisión. Lo que es cierto es que tenemos confianza en la presión que se puede ejercer desde el mundo hacia la administración de Obama, teniendo en cuenta que esta es una administración un poco más receptiva a los reclamos internacionales. Sin embargo ya ha transcurrido prácticamente un año y medio donde no hemos logrado ni siquiera un gesto de buena voluntad de otorgarnos la visa. Por supuesto confiamos más en las acciones que las personas puedan hacer para obligar a que Obama tome una decisión, Obama junto con todo su staff administrativo, porque realmente podría demostrarse de esta manera que la decisión que él tome no sea una decisión solamente por una intención personal , sino dada por una solicitud, por un reclamo internacional de que está observando cual es la política y la posición de ese gobierno ante la justicia. Precisamente por eso nosotros hacemos un pedido y un reclamo a todo el mundo, o sea de intensificar la campaña. Es el momento de demostrarle a Estados Unidos que su actuar se está observando por el resto de la humanidad. También sabemos que Obama de una forma voluntaria y espontanea no lo va a hacer, por eso hay que tratar de presionar y no con accionares aisladas, sino tratando que cada día le lleguen los mensajes, que le lleguen las informaciones, que le lleguen las solicitudes, para lograr que se ponga fin a esta injusticia, que no va a hacer porque la ley nos permita ese beneficio sino por la presión internacional.
A.M. ¿Han buscado la forma de pedir un encuentro con Obama?
OLGA: ¡Ojalá nosotros pudiéramos tener la oportunidad de entrevistarnos personalmente con él! Hemos tratado de llegar a Obama por diferentes vías, por personalidades, por gente solidaria en el Parlamento que le lleven la información… No podemos ver a Obama porque él no va ir a Cuba y nosotros no vamos a Estados Unidos. Los familiares que han podido ir a visitarlos a ellos, que le dan visa, es una visa muy restringida. Restringida en el lugar de acceso, es decir por donde deben entrar , restringida en la ciudad por donde deben estar, que coincide con la ciudad donde están los presos, le tienen prohibición total de acceso a cualquier tipo de meeting, de dar cualquier tipo de entrevista, de llegar a alguna personalidad en el momento en que tienen la visa en territorio norteamericano. Es decir que se la dan única y exclusivamente para trasladarse hacia la cárcel y cumplir con la visita de ese mes y regresar, entonces si no nos dejan ver a un periodista, mucho menos ninguno de nosotros va poder tener acceso a la Presidencia. Por lo tanto, como decía Adriana, lo más importante son ahora las personas solidarias que nos permitan de forma indirecta llegar a la administración Obama porque evidentemente no son escuchadas las voces de ellos, ante la Corte, no son escuchadas las voces de ellos en los reclamos, no son escuchadas las voces de los familiares, ni siquiera del pueblo de Cuba y el gobierno de Cuba que abiertamente se ha manifestado a favor de la liberación de los 5.
A.M. : Una mirada femenina y revolucionaria a la vida de ustedes…
OLGA: Nosotras, las madres, la parte femenina de la familia, vivimos la mayoría del tiempo esperando. Solamente quedan tres madres , las otras fallecieron y la de Gerardo recientemente. Las que viven están con otros hijos que tienen, sufriendo día a día en espera de sus hijos que sean liberados. Respecto a las esposas, dos parejas no tienen hijos, Adriana y Gerardo y Rosa Aurora y Fernando. Ellas viven solas en sus hogares esperando por ellos.
Económicamente somos todas independientes, somos profesionales, de distintas profesiones. La parte económica no es lo importante, gozamos como todos los cubanos de la seguridad social, de la tranquilidad ciudadana, pero nos falta lo fundamental. Las otras dos parejas tenemos hijas, Ramón tiene una hija mayor de otro matrimonio que vive con su mamá y con Elizabeth su esposa, tiene dos, una jovencita y otra más adolescente , 17 y 13 años, y yo tengo las dos niñas que te dije.
Es muy difícil, no te voy a negar que es muy difícil, el día a día, porque no son dos meses ni dos años, son 12 años con la tristeza de no tener nuestro a esposo en la casa. Somos matrimonios que los ha unido el amor y toda pareja cuando se une hace planes para vivir juntos , para vivir la vida juntos, para tener hijos, para hacer planes futuros. Todo esto se quedó paralizado un día, pero tenemos que seguir , tenemos que sobreponernos a todo esto porque hay que seguir viviendo para tener fuerzas para luchar, para que ellos regresen antes de lo que tiene pronosticado el gobierno de Estados Unidos, que en el caso de Gerardo es que nunca regrese.
Entonces se hace bien difícil estar solos, regresar a la casa y cerrar la puerta. Esto en el caso por ejemplo de las que no tienen ni siquiera la tormenta que son los hijos en casa, pero esa tormenta te ayuda a tomar fuerzas ya no por ti sino por ellos mismos y el tiempo un poco se te llena más. En el caso de las que no tienen hijos bueno es difícil estar sola un día más, otro día, otro día, las esperanzas se van acortando a veces cuando vemos unos regresos de un punto de vista jurídico y por eso es tan importante la familia… las personas se van poniendo mayores, vas perdiendo tus afectos también, esa parte es muy difícil.
Nosotros siempre en primero pensamos en ellos , si nosotros estamos solos, si nosotros estamos pasando mucho trabajo desde el punto de vista afectivo, que no pasarán ellos que han estado in celdas en solitario tantos meses, por tantas veces sin comunicación, tratando de impedir que reciban ni siquiera cartas, viendo que el proceso se complica y se termina, y que no hay una esperanza pronta de salir… Eso nos da fuerza porque tenemos que nosotros ser las voces de ellos, la forma de moverse, de buscar solidarios, de buscar voces, somos nosotros , porque ellos no pueden.
Es decir que la lucha por la liberación de ellos se devuelve el eje de nuestros días, todos los días hacemos algo por eso, pero cuando vamos a la casa después que trabajamos, que cocinamos, que limpiamos la casa, que nos vamos a acostar… en este momento nuestra mente se vuelve a ocupar del mismo tema, es decir que no se descansa, no se descansa nunca. También nos acordamos de que ellos están ahí por defender la vida y que al pueblo cubano le ha tocado muy de cerca, o sea que son muchas las familias que también se acuestan pero en este caso pensando en los seres queridos que ellos perdieron por acciones terroristas. Entonces decimos bueno, ellos están allí por querer advertir a nuestro pueblo de la muerte y nosotros tenemos que hacer de que salgan para seguir protegiendo la vida.
Juan Manuel Santos, da falco a colomba
Di HERNANDO CALVO OSPINA *©Le Monde Diplomatique in spagnolo. Marzo 2011.
Sorprendentemente, da quando il 7 agosto del 2010, Juan Manuel Santos ha assunto la presidenza della Colombia, si è trasformato da falco in colomba. Il suo gesto più inaspettato è stato quello di trattare come suo “migliore amico” Hugo Chávez, presidente del Venezuela, quando lo ha incontrato tre giorni dopo il suo insediamento, ripristinando le relazioni diplomatiche con Caracas. Ha ristabilito anche con l’Ecuador i rapporti a tempo di record. D’altra parte, quest’uomo venuto dalla destra afferma adesso che la “prosperità sociale” è il principale obiettivo del suo mandato. Come spiegare cambiamenti tanto spettacolari?
Dal 7 agosto scorso del 2010 Juan Manuel Santos è il presidente della Colombia. Appartiene all’oligarchia tradizionale. La sua famiglia ha costruito il suo potere grazie al quotidiano di Bogotá El Tiempo, “utilizzando i mezzi di comunicazione a suo piacimento, sempre al servizio del potere” secondo Alirio Uribe Muñoz, avvocato difensore dei diritti umani. Laureato da sottoufficiale all’Accademia navale ed economista formatosi nelle università degli Stati Uniti e del Regno Unito, è arrivato ad occupare i ministeri del Commercio estero e dell’Economia. Nel 2004 lascia il partito Liberale e sostiene il governo di estrema destra del Presidente Álvaro Uribe. L’anno successivo è nominato capo della campagna per la rielezione di Uribe e del vice presidente, suo cugino Francisco Santos. Nel luglio del 2006 viene nominato ministro della Difesa, incarico che ricoprirà fino al maggio del 2009, quando decide di candidarsi alla presidenza della Colombia.
Essere presidente divenne per Santos un’ossessione fin dal momento in cui la Corte Costituzionale si oppose alla candidatura di Uribe per il terzo mandato. Oltre alle ansie di potere Santos doveva proteggersi contro eventuali denunce penali per crimini contro l’umanità commessi contro la popolazione civile dalle forze armate e di sicurezza al suo comando. Per ottenere il suo scopo, non si è fatto scrupoli – a detta dell’avvocato Alirio Uribe Muñoz – a utilizzare l’ influenza delle “truppe uribiste”, principalmente paramilitari, narcotrafficanti e i 130 parlamentari processati per diversi crimini.
L’avvocato ci fa questo quadro: “L’ex presidente Uribe rappresenta il mondo agrario e latifondista arricchitosi con l’esproprio delle terre, rudo e violento, amalgamato alle classi emergenti del narcotraffico e dei crimini del paramilitarismo. Invece Santos è l’uomo della città, colto e cosmopolita per eccellenza. Nonostante, con la sua famiglia abbia approfittato dello Stato per agevolare i suoi affari personali e per arricchirsi. Come esponenti dell’oligarchia non hanno avuto remore nel favorire e nell’ utilizzare i metodi violenti per mantenere i propri privilegi.”
Nel novembre del 2005 il ministero della Difesa approvò una direttiva segreta che dava un prezzo alla testa dei guerriglieri. I militari iniziarono ad assassinare dei civili, facendoli passare per “ribelli caduti in combattimento” che presero il nome di “falsi positivi”. La Procura Generale sta indagando circa tremila casi, tra i quali adolescenti, ritardati mentali, indigenti, tossicodipendenti…
Quando Santos giunse al ministero, nel luglio del 2006, si registrarono 274 casi di “falsi positivi”. L’anno seguente si raggiunse il culmine: 505 omicidi… Di fronte allo scandalo mediatico e ai rapporti dell’Alto Commissariato dell’ONU, la pratica si detenne: nel 2009 sette casi… 27 ufficiali furono ritirati, tra i quali tre generali, ma … senza attribuirgli la responsabilità degli omicidi. L’ONU affermò, nel luglio del 2009 che “l’impunità in relazione alle esecuzioni extragiudiziali arriva fino al 98,5%”.
I paramilitari sono stati gli incaricati della strategia della “terra bruciata” che cerca di svuotare le campagne dalla popolazione non favorevole al governo. Esistono più di 4 milioni di contadini sfollati, cioè più del 10% della popolazione. Circa 10 milioni di ettari di terra di elevato interesse economico sono stati così rubati alle vittime e offerti alle multinazionali, a nuovi latifondisti paramilitari, cacicchi politici e vertici militari.(1) Ora il presidente Juan Manuel Santos ha presentato la “Legge di Terre” come la panacea, con la quale si cerca di restituire le terre agli sfollati. Al compimento dei primi cento giorni del suo mandato ha dichiarato: “Ci siamo proposti un piano di azione per consegnare con titolo di proprietà, entro aprile, 378 mila ettari di terre e già siamo a tre quarti dell’obiettivo.” In realtà però si tratta di 10 milioni di ettari…
Nonostante se ne parli molto poco, si stima che 250 mila persone siano “scomparse” per mano delle forze di sicurezza e dei loro paramilitari. Soltanto negli ultimi quattro anni sono scomparse 40 mila persone.(2) Alcune di loro vennero sotterrate nella maggior fossa comune dell’America latina, scoperta dietro una caserma dell’Esercito a 200 chilometri a sud di Bogotá: più di 2000 cadaveri…(3)
I paramilitari adesso sono chiamati “bande criminali”, Bacrim. Cifre ufficiali segnalano che queste agiscono in 21 dei 32 dipartimenti colombiani, cioè nel 75% del territorio e che sono comandate per la maggior parte da assassini amnistiati dei loro crimini durante il mandato del presidente Uribe. “Durante le prime settimane del governo del presidente Santos, l’azione delle bande criminali si è intensificata (…) avanzano nel controllo territoriale e politico secondo lo stile migliore delle vecchie strutture paramilitari”.(4) Il nuovo governo insiste nel dire che i loro crimini sono collegati con il traffico di droga, ma “la realtà mostra che poi colpiscono gli attivisti sociali”.(5) Il partito dell’opposizione, il Polo Democratico Alternativo, ha denunciato il 9 novembre del 2010, che nei primi novanta giorni del mandato del nuovo presidente, circa cinquanta leader politici e sociali erano già stati assassinati… Di fronte a questa violenza di Stato, quattro Relatori Speciali dell’ONU hanno esaminato la situazione dei diritti umani. E nelle loro relazioni, il ministero della Difesa si trovava sempre nella prima linea della responsabilità…
Bisogna inoltre sottolineare la stretta relazione di Santos con le autorità di Israele e i suoi servizi di sicurezza. L’ex generale Israel Ziv fu portato in Colombia da Santos – il quale viaggiò in varie occasioni in questo paese del Vicino Oriente – per la cifra di dieci milioni di dollari per dare supporto ai servizi segreti colombiani. “Israel Ziv, ex comandante del reggimento di Gaza, è l’ufficiale di più alto grado tra quelli israeliani che svolgono compiti relazionati con l’addestramento di personale nel governo colombiano. I vincoli militari tra Israele e Colombia risalgono ai primi cinque anni del 1980, quando un contingente di soldati del Battaglione Colombia… alcuni dei peggiori violatori dei diritti umani nell’emisfero occidentale, ricevettero addestramento nel deserto del Sinai da alcuni tra i peggiori violatori dei diritti umani del Medio Oriente” secondo il ricercatore statunitense Jeremy Bigwood.(6)
Nell’ottobre del 1997, Manuel Santos aveva già dato dimostrazione della sua mancanza di scrupoli. Si riunì con i tre principali capi paramilitari per proporgli la partecipazione in un colpo di Stato contro il presidente liberale Ernesto Samper (proposta che fece anche alla guerriglia delle FARC e del ELN). Uno di loro, Salvatore Mancuso, lo ha confermato recentemente a magistrati statunitensi e colombiani da un carcere degli Stati Uniti (7) dove è stato estradato, nel maggio del 2008, insieme ad altri 14 narcotrafficanti, per traffico di droga, attività con la quale si finanzia il paramilitarismo.(8) Furono inviati lì anche se i loro crimini erano prima di ogni altra cosa crimini contro l’umanità. Si evitò così che i colombiani venissero a sapere di prima mano delle responsabilità dello Stato con il paramilitarismo.
Nel settembre del 2008, il giornalista venezuelano Josè Vicente Rangel, disse di Santos: “E’ l’uomo del Pentagono nella politica colombiana. Ha acquistato forza all’ombra di Uribe ed oggi possiamo dire che lo ha perfino superato.” (9)
Santos fu un seguace della linea dura dell’ ex presidente statunitense Gorge W. Bush sulla “guerra preventiva” con altre nazioni, con la scusa della legittima difesa. Questo lo portò a realizzare l’incursione militare contro l’Ecuador dove morì un cittadino ecuadoriano, per cui un giudice di quel paese decretò contro di lui un ordine di cattura internazionale per estradarlo. Decisione revocata il 30 agosto del 2010. Nell’aprile del 2010, da candidato alla presidenza, Santos disse che era “orgoglioso” di quell’ incursione. Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa replicò: Santos “non ha capito che in America latina non c’è più posto per aspiranti piccoli imperatori.” Hugo Chávez avvisò: qualsiasi aggressione contro Ecuador, Bolivia, Cuba o Nicaragua, “sarà un attacco contro il Venezuela”. Dal canto suo il presidente boliviano, Evo Morales, designò la Colombia come “servile e obbediente al governo degli Stati Uniti”.
Quello che provocò tensione nella regione fu l’accordo con Washington, firmato nell’ottobre del 2009, con il quale la Colombia autorizzava l’utilizzo di 7 basi militari. Ma dieci giorni dopo l’inizio del governo di Santos, la Corte Costituzionale lo ha dichiarato anticostituzionale. È stato un duro colpo per il presidente. Consuelo Ahumada, docente universitaria a Bogotá, basandosi sui documenti di WikiLeaks, ha scritto: “Risulta molto compromesso il ruolo dell’allora ministro della Difesa Juan Manuel Santos, che ha mantenuto sempre la posizione più dura, in sostegno di Uribe, rispetto a quella più conciliante e diplomatica del ministro degli Esteri. Santos e Uribe, appoggiati dagli USA, erano disposti a sconfinare di nuovo nei paesi vicini per combattere le FARC(…) Non erano infondati i timori dei governanti sudamericani sulla portata regionale dell’accordo con gli Stati Uniti.” (10)
Sorprendentemente, con la presidenza nelle mani, Santos si è trasformato da falco in colomba. Il suo gesto più inaspettato è stato quello di trattare come suo “migliore amico” il presidente Chávez e ripristinare a tempo di record le relazioni con Venezuela ed Ecuador. Secondo Sergio Rodriguez, docente venezuelano: “La rottura con Ecuador e Venezuela aveva significato per la Colombia la perdita di 7 miliardi di dollari nel 2009. E Santos fa parte di quell’ oligarchia reazionaria ma pragmatica, con potenti interessi corporativi da difendere”.
Parallelamente, Santos continua ad approfondire i legami con Washington. Il 30 gennaio scorso, il ministro della Difesa, Rodrigo Rivera, si è recato a Washington con l’obiettivo di “approfondire le relazioni in materia di difesa e di sicurezza con gli Stati Uniti”. E’ stato ricevuto dal suo omologo Robert Gates, così come dal capo del Comando Sud, dal sottosegretario degli Affari di Sicurezza delle Americhe e dal direttore aggiunto della CIA. Forze della controinsorgenza colombiana parteciperanno alla guerra in Afghanistan. Le spese sarebbero sostenute dagli Stati Uniti e dalla Spagna. I comandi militari alloggerebbero in battaglioni spagnoli e così, senza che la Colombia sia membro di questa coalizione, si troverebbero sotto la bandiera della NATO.
Lo stesso giorno che il ministro Rivera arrivava negli Stati Uniti, la Colombia entrava nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per due anni. La candidatura di Bogotà era stata spinta da Washington e Parigi. Per questo non fu casuale, che il 24 gennaio il presidente colombiano si sia recato in Francia invitato dal presidente Nicolas Sarkozy. Juan Manuel Santos ne approfittò per vendere le risorse naturali del suo paese e anche dell’America latina perché “possiede in questo momento ciò di cui il mondo ha bisogno”. Il petrolio, per esempio. Il suo giornale, El Tiempo, titolò per l’occasione: “Santos ha fatto questa settimana un nuovo passo per diventare il leader latinoamericano che vuole essere”.
*giornalista. Autore di El Equipo de Choque de la CIA, El Viejo Topo, Barcelona, 2010. © Le Monde Diplomatique in spagnolo Marzo 2011.
1) http://www.movimientodevictimas.org…
2) http://www.telesurtv.net/noticias/s…
3) http://www.publico.es/internacional…
4) Radio Nederland, Amsterdam, 26/08/2010
5) El País, Madrid, 30/01/2011.
6) José Steinsleger, “Israel en Colombia”, La Jornada, México, 12 de marzo de 2008.
7) El Espectador, Bogotá, 21/04/2010.
8 ) Hernando Calvo Ospina, Colombia, laboratorio de embrujos. Democracia y terrorismo de Estado. Akal, Madrid, 2008.
9) VTV. Caracas, 17 ottobre 2008
10) El Tiempo. Bogotá, 12/01/2011
Traduzione di Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
Juan Manuel Santos, de halcón a paloma
Por HERNANDO CALVO OSPINA* © Le Monde Diplomatique en español. Marzo 2011.
Sorpresivamente, desde que, el 7 de agosto de 2010, Juan Manuel Santos asumió la presidencia de Colombia pasó de halcón a paloma.El gesto más inesperado fue tratar de “mi mejor amigo” a Hugo Chávez, presidente de Venezuela, cuando se reunió con él tres días después de su toma de posesión, reactivando las relaciones diplomaticas con Caracas. Con Ecuador también restableció en tiempo record las relaciones. Por otra parte, este hombre venido de la derecha afirma ahora que la “prosperidad social” es el principal objetivo de su mandato. ¿Cómo explicar cambios tan espectaculares?
Desde el 7 de agosto de 2010, Juan Manuel Santos es el presidente de Colombia. Pertenece a la oligarquía tradicional. Su familia construyó poder gracias al diario de Bogotá El Tiempo, “hasta manejar los medios de comunicación a su antojo, siempre al servicio del poder”, según Alirio Uribe Muñoz, abogado defensor de derechos humanos. Graduado como suboficial en la Academia naval, y economista formado en universidades de Estados Unidos y Reino Unido, llegó a ocupar los ministerios de Comercio exterior y de Hacienda. En 2004, abandona el Partido Liberal, y pasa a respaldar el gobierno de extrema derecha del Presidente Álvaro Uribe. Al año siguiente, es nombrado jefe de la campaña reeleccionista de Uribe y del vicepresidente, su primo Francisco Santos. En julio de 2006, es nombrado ministro de Defensa, cargo que ocupará hasta mayo de 2009, cuando decide lanzarse como candidato a la presidencia de Colombia.
Ser presidente se convirtió, para Santos, en una obsesión desde el momento en que la Corte Constitucional se opuso a que Uribe compitiese por un tercer mandato. Además de sus ansias de poder, debía blindarse contra eventuales demandas penales por crímenes de lesa humanidad cometidos contra la población civil por las fuerzas armadas y de seguridad bajo su mando. Para conseguir su fin, no tuvo escrúpulos –al decir del abogado Alirio Uribe Muñoz– en utilizar la influencia de las “huestes uribistas”, principalmente paramilitares, jefes narcotraficantes y los 130 parlamentarios procesados por diversos delitos.
El abogado nos hace este cuadro: “El ex presidente Uribe representa el mundo agrario y terrateniente enriquecido en el despojo, rudo y violento, mezclado a las clases emergentes del narcotráfico y crímenes del paramilitarismo. En cambio, Santos es el hombre urbano, culto y cosmopolita por excelencia. Aunque, junto con su familia, se ha aprovechado del Estado para favorecer sus negocios y su enriquecimiento personal. Como exponentes de la oligarquía, no han dudado en propiciar y utilizar los métodos violentos para mantener sus privilegios.”
En noviembre de 2005, el ministerio de defensa aprobó una directiva secreta que ponía precio a la cabeza de los guerrilleros. Los militares se dedicaron a asesinar civiles, haciéndolos pasar por “rebeldes caídos en combate” que llamaron “falsos positivos”. La Fiscalía General investiga unos tres mil casos, entre los que se encuentran adolescentes, retrasados mentales, indigentes, drogadictos…
Cuando Santos llegó al ministerio, en julio de 2006, se registraron 274 casos de “falsos positivos”. Al año siguiente, se subió al tope: 505 asesinados… Ante el escándalo mediático y los informes del Alto Comisionado de la ONU, la práctica se detuvo: en 2009, siete casos… 27 oficiales fueron pasados a retiro, incluidos tres generales, pero… sin atribuirles los asesinatos. La ONU expresó, en julio de 2009, que “la impunidad en relación con ejecuciones extrajudiciales llega hasta el 98,5%.”
Los paramilitares han sido los encargados de la estrategia de “tierra arrasada” que busca vaciar el campo de población no proclive al gobierno. Existen más de 4 millones de campesinos desplazados, o sea más del 10% de la población. Unos 10 millones de hectáreas de alto interés económico han sido así robadas a las víctimas, y ofertadas a multinacionales, nuevos gamonales paramilitares, caciques políticos y mandos militares (1). Ahora, el presidente Juan Manuel Santos ha presentado una “Ley de Tierras” como la panacea, con la cual se pretende devolver los campos a los desplazados. Al cumplir cien días de mandato expresó: “Nos propusimos un plan de choque para titular, hasta abril de 2011, 378.000 hectáreas, y ya hemos cumplido tres cuartas partes de la meta”. Pero son 10 millones de hectáreas…
Aunque poco se menciona, se estima que 250.000 personas han sido “desaparecidas” por las fuerzas de seguridad y sus paramilitares. Tan sólo en los últimos cuatro años lo fueron casi 40.000 personas (2). Algunas de ellas fueron enterradas en la mayor fosa común de Latinoamérica, hallada detrás de un cuartel del Ejército a 200 kilómetros al sur de Bogotá: más de 2.000 cadáveres… (3).
Ahora, a los paramilitares se les llama “bandas criminales”, Bacrim. Cifras oficiales señalan que éstas operan en 21 de los 32 departamentos colombianos, o sea en el 75% del territorio, y son dirigidas, en su mayoría, por asesinos amnistiados de sus crímenes durante el mandato del presidente Uribe. “En las primeras semanas del gobierno del presidente Santos, el accionar de las bandas criminales se ha recrudecido (…) avanzan en el control territorial y político al mejor estilo de las viejas estructuras paramilitares” (4). El nuevo gobierno insiste en que esos crímenes están relacionados con el negocio de las drogas, pero “la realidad muestra que atentan contra líderes sociales” (5). El partido opositor Polo Democrático Alternativo, denunció el 9 de noviembre de 2010, que en los primeros 90 días del mandato del nuevo presidente, unos cincuenta líderes políticos y sociales habían sido asesinados… Ante esta violencia estatal, cuatro Relatores Especiales de la ONU examinaron la situación de los derechos humanos. En sus informes, el ministerio de Defensa estuvo siempre en primera línea de responsabilidad…
Hay que subrayar también la estrecha relacion de Santos con las autoridades de Israel y sus servicios de seguridad. El ex general Israel Ziv fue llevado a Colombia por Santos –que viajó en repetidas ocasiones a ese país de Oriente Próximo– por la suma de diez millones de dólares para asesorar a los servicios de inteligencia. “Israel Ziv, ex comandante del regimiento de Gaza, es el de más alto rango entre los oficiales israelíes que ocupan tareas relacionadas con el entrenamiento de personal en el gobierno colombiano. Los nexos militares entre Israel y Colombia datan del primer lustro de 1980, cuando un contingente de soldados del Batallón Colombia ‘… uno los peores violadores de los derechos humanos en el hemisferio occidental, recibieron entrenamiento en el desierto del Sinaí por algunos de los peores violadores de los derechos humanos en Medio Oriente’, según el investigador estadunidense Jeremy Bigwood” (6).
En octubre de 1997, Manuel Santos ya había demostrado su falta de escrúpulos. Se reunió con los tres principales cabecillas paramilitares, para proponerles de participar en un golpe de Estado contra el presidente liberal Ernesto Samper (propuesta que también hizo a las guerrillas FARC y ELN). Uno de ellos, Salvatore Mancuso, lo ratificó hace poco ante jueces estadounidenses y colombianos, desde unaprisión en Estados Unidos (7) adonde fue extraditado, en mayo de 2008, junto con otros 14 líderes, por tráfico de drogas, actividad que financia el paramilitarismo (8). Allá fueron enviados aunque sus crímenes eran de lesa humanidad, y esto prima por sobre otros delitos. De ese modo, se evitó que los colombianos supieran de primera mano la responsabilidad del Estado con el paramilitarismo.
En septiembre de 2008, el periodista venezolano José Vicente Rangel dijo de Santos: “Es el hombre del Pentágono en la política colombiana. Ha venido cobrando fuerza a la sombra de Uribe, y hoy es posible decir que rebasa al propio Uribe” (9).
Fue un seguidor de la línea dura del ex presidente estadounidense George W. Bush sobre la “guerra preventiva” contra otras naciones, alegando legítima defensa. Esto le llevó a realizar la incursión militar contra Ecuador, donde murió un ciudadano ecuatoriano, por lo cual un juez de ese país dictó orden de captura internacional contra Juan Manuel Santos con fines de extradición. Decisión revocada el 30 de agosto del 2010. En abril del 2010, siendo candidato a la presidencia, declaró que estaba “orgulloso” de esa incursión. El Presidente de Ecuador, Rafael Correa replicó: Santos “no ha entendido que, en América Latina, ya no hay lugar para aspirantes a emperadorcitos.” Hugo Chávez alertó: cualquier agresión contra Ecuador, Bolivia, Cuba o Nicaragua, “será un ataque contra Venezuela”. Por su parte el presidente boliviano, Evo Morales, tildó a Bogotá de “sirviente y obediente al gobierno de Estados Unidos”.
Lo que puso en tensión a la región fue el acuerdo con Washington, firmado en octubre del 2009, donde Colombia le permitía la utilización de siete bases militares. Pero a diez días de iniciado el mandato de Santos, la Corte Constitucional lo declaró “inexequible” (que no se puede llevar a efecto). Duro golpe para el presidente. Consuelo Ahumada, profesora universitaria en Bogotá, basándose en los documentos divulgados en WiliLeaks, escribió: “Resulta muy comprometedor el papel del entonces ministro de Defensa Juan Manuel Santos, quien mantuvo siempre la posición más dura, en respaldo a Uribe, frente a una más conciliadora y diplomática, planteada por el canciller. Santos y Uribe, apoyados por Washington, estaban dispuesto a incursionar de nuevo en los países vecinos para actuar en contra de las FARC (…) No eran infundados los temores de los gobernantes suramericanos sobre el alcance regional del acuerdo con Estados Unidos” (10).
Pero, sorpresivamente, con la presidencia en la mano, Santos pasó de halcón a paloma. Su acto más inaudito fue tratar de “mi mejor amigo” al presidente Chávez, y reactivar en tiempo record las relaciones con Venezuela y Ecuador. Según Sergio Rodríguez, catedrático venezolano: “La ruptura con Ecuador y Venezuela le había significado a Colombia la pérdida de unos 7 mil millones de dólares en 2009. Y Santos hace parte de esa oligarquía reaccionaria pero pragmática, con poderosos intereses corporativos a defender”.
Paralelamente, Santos sigue robusteciendo los lazos con Washington. El 30 enero pasado, el ministro de Defensa, Rodrigo Rivera, viajó a Washington con el objetivo de “profundizar la relación en materia de defensa y seguridad con Estados Unidos”. Fue recibido por su homólogo Robert Gates, así como por el jefe del Comando Sur, el subsecretario para Asuntos de Seguridad de las Américas y el director adjunto de la CIA. Fuerzas de contrainsurgencia colombianas participarán en la guerra de Afganistán. Los gastos serán asumidos por Estados Unidos y España. Los comandos estarán alojados en batallones españoles, y, sin que Colombia sea un miembro de esa coalición, estarán bajo bandera de la OTAN.
El mismo día que el ministro Rivera llegaba a Estados Unidos, Colombia ingresaba en el Consejo de Seguridad de la ONU por dos años. La candidatura de Bogotá había sido impulsada por Washington y París. Por eso no fue casual que, el 24 de enero, el presidente colombiano llegara a Francia, invitado por el presidente Nicolas Sarkozy. Juan Manuel Santos aprovechó para dedicarse a vender los recursos naturales de su país y también los de América Latina, porque “tiene lo que, en este momento, el mundo está pidiendo”: petróleo, por ejemplo. Su periódico El Tiempo, tituló para la ocasión: “Santos dio esta semana un nuevo paso para convertirse en el líder latinoamericano que quiere ser.”
* Periodista. Autor de El Equipo de choque de la CIA, El Viejo Topo, Barcelona, 2010.
© LMD EN ESPAÑOL MARZO 2011. http://www.monde-diplomatique.es/?u…
Notas:
(1) www.movimientodevictimas.org… content&task=view&id=274&Itemid=69
(2) www.telesurtv.net/noticias/s… mas-de-38-mil-personas-desaparecidas-en-tres-anos/
(3) www.publico.es/internacional… adaveres
(4) Radio Nederland, Amsterdam, 26 de agosto de 2010.
(5) El País, Madrid, 30 de enero de 2011.
(6) José Steinsleger, “Israel en Colombia”, La Jornada, México, 12 de marzo de 2008.
(7) El Espectador, Bogotá, 21 de abril de 2010.
(8) Hernando Calvo Ospina, Colombia, laboratorio de embrujos. Democracia y terrorismo de Estado, Akal, Madrid, 2008.
(9) VTV, Caracas, 17 de octubre de 2008.
(10) El Tiempo, Bogotá, 12 de enero de 2011.
ALBAinformazione con la pace e con l’autodeterminazione del popolo libico contro la nueva guerra neocoloniale per il petrolio
In merito alle vicende libiche il Consiglio Politico dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA-TLC), fin dalle prime settimane della crisi aveva espresso una dichiarazione in cui si condivideva la preoccupazione a livello mondiale rispetto a quanto stava accadendo nel paese, sperando tuttavia in una soluzione pacifica al conflitto armato. Soluzione, che auspicavano i paesi membri dell’ALBA, potesse essere raggiunta senza ingerenze straniere.
Era già una posizione fuori dal coro, mentre la stampa di tutto il mondo tra fosse comuni fasulle e bombardamenti inesistenti addottrinava l’opinione pubblica mondiale sulla necessità di un intervento contro il nemico di turno, ipotesi già ventilata da Fidel Castro in una delle sue Reflexiones.
In seguito è stato proprio il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frias a lanciare la proposta di una Commissione Internazionale Umanitaria per la Pace e Integrazione in Libia. Essenzialmente una proposta anti imperialista dal momento che si facevano giorno dopo giorno più evidenti i propositi di aggressione contro il paese arabo da parte della Nato.
Non si sbagliavano Fidel e Hugo Chávez. Proprio in queste ore la Libia sta subendo una violenta aggressione militare da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia. Una guerra neocoloniale per assicurarsi approvvigionamenti di petrolio per i prossimi anni, malamente mascherata da intervento umanitario.
La riunione delle cancellerie di tutti i paesi dell’ALBA tenutasi a Caracas il 4 marzo scorso, fondamentalmente ha appoggiato e sostenuto la proposta del presidente Chávez, una proposta di pace osteggiata duramente dalla Francia che a quanto pare aveva già pronti i suoi piani di invasione. L’ennesima guerra petro-fintoumanitaria, mentre in tutto il Medio Oriente migliaia di arabi protestano contro le proprie monarchie e dittature. Yemen, Bahrein, ovunque le manifestazioni sono violentemente represse dai governi con morti e feriti. In Egitto una giunta militare guidata dalla vecchia cupola di Mubarak continua a detenere il potere (e a fornire di armi, previo consenso USA, ai ribelli libici). Tuttavia si invade solo la Libia, dopo aver creato una campagna disinformativa ad hoc sulla stessa linea di quella che preparò l’invasione e l’occupazione dell’Iraq nel 2003, con l’ostensione delle provette con le armi di distruzione di massa (inesistenti) al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Per Questo Nicolas Maduro, il ministro degli Esteri venezuelano, alla riunione delle Cancellerie dell’ALBA ha parlato di due posizioni nel mondo: “la visione del sud, basata sulla pace e il superamento dei conflitti” e da altra parte “la visione guerrafondaia che la NATO e gli Stati Uniti pretendono imporre ai popoli del mondo”.
In Italia l’iniziativa di pace del governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela e dell’ALBA-TCP è stata sostenuta senza se e senza ma dalla redazione della rivista ALBAinformazione che ha tra i suoi principi fondanti proprio quella “visione del sud” che guarda dalla parte della pace, dell’autodeterminazione dei popoli e dell’anti imperialismo.
In un comunicato congiunto, consegnato al console venezuelano a Napoli e firmato dalla Associazione Nazionale di Reti e Organizzazioni Sociali (ANROS), dalla rete Red PorTi America, da Annalisa Meandri, dai Circoli Bolivariani José Carlos Mariategui di Napoli e Antonio Gramsci di Caracas, dall’Associazione Lavoratori Extracomunitari e Comunitari di Salerno, dall’Associazione La Comune ONLUS, dall’Associazione Solidarietà Proletaria, dal Sindacato Lavoratori in lotta, da ASICUBA, la redazione della rivista ALBAinformazione preso atto del delirio collettivo ormai generalizzato, appoggia l’unica proposta veramente di pace giunta in questi giorni, cioè quella avanzata dal presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuel Hugo Chávez Frías, sostenuta pubblicamente dal Consiglio Politico dell’ALBA-TCP.
Segnaliamo che essendo stati praticamente in Italia gli unici a manifestare pubblicamente adesione e appoggio alla proposta di pace del presidente Chávez, il notiziario venezuelano Vision Mundial ha dato copertura mediatica alla nostra presa di posizione.
Qui il video: (min. 4.35)
http://www.youtube.com/watch?v=az1iIB1LP5Q
Protesta dei parlamentari francesi ed europei contro la nomina di Álvaro Uribe Vélez in Francia.
Los sueños no mueren en prisión: 8 de Marzo con las presas políticas en las cárceles de Colombia
LOS SUEÑOS NO MUEREN EN PRISION
Voy a tomar el aire de los muertos que me cubren
voy a evadir las ráfagas a viento
voy a llorar muy hondo mis derrotas
voy a saborear el café amargo que es la vida
voy a tenderme complacido
en los humeadle de las sangres y las flores.
¿Qué quien soy yo? ¿Cómo me llamo?
¿Que si estoy viva… herida?
¿O acaso, me han matado?
¿ Que quienes son los míos? ¿… mis compañeros?
¿Los que conmigo se deslizan en las sombras de lo oculto?
Soy toda hecha de silencios y lealtades
Piedra dura y muda
cimiento de las edificaciones del futuro.
¿Qué quien soy yo? ¿Como me llamo?
vuelve y juego en la apuesta de la vida soy la mujer de los mil nombres clandestinos
la que se atrevió a tropezar
en las trochas de la vida
quizás queriendo apurar los pasos de la historia.
Soy la mujer en sus manos temblorosas
las armas de los justos
la que se ardió como semilla
al agua, al sol, al viento
y en lsa heladas noches del infortunio
tras emboscadas
y abrió su cuerpo, su corazón, su ternura
para conjurar la tragedia de la guerra.
Soy la mujer que cargo
sobre sus hombros y su espalda
la agonía y los sufrimientos
de su pueblo.
La que hundió sus firmes pasos en la tierra
para probarla de rebeliones y esperanzas.
Soy la mujer que se arrastro como serpiente
y no dudo en cubrir su piel en barro
para sorprender las fortalezas enemigas.
La que sobrevivió y burlo
Las infernales hogueras del terror
La que se levanto de las cenizas
la que tuvo que dejar sus brazos y sus piernas
abandonadas y esparcidas
en medio del campo de batalla
la que no sabe ahora como hallarse
entre su nuevo cuerpo mutilado…
la que permaneció los tiempos necesarios
para fortalecerse de fracasos y derrotas.
Soy la mujer que se debate entre las dudas
de a que fuera
ofrenda y resultado de su vida.
La que lo dio todo sin quedarse nada,
la que se pasa entre la reja y la ventana
a contemplar el horizonte del futuro,
la que ve nubes grises
de pasar lento,
tan lento como la interminable
agonía de su pueblo y de sus días.
Soy la mujer que hoy habita
la prisión de la infamia
la que siempre supo
que hay un “otro mundo”
de felicidad, de paz y abundancia.
II
¿Qué quién soy? ¿Cómo me llamo?
Soy el puro “hueso seco” y el “aliento de la vida”.
Soy la mujer agotada y consumida
En la explotación y el trabajo.
Soy la mujer que se sentaba cada dia
A la mesa del hombre
Para no doblegarse a recoger
La indignidad de las migajas
La que se trajo y lleno de lagrimas
Ante la escasa comida para sus hijos.
La que se atrevió a desafiar en su abundancia
a las tiendas del consumo
La que se violento al solo poder.
Acariciar entre sus manos
La humilde panela con la que
Quizás soñaba endulzar la vida
Diaria panela necesaria
Que hubo de dejar allí
Adornando el altar de la opulencia
Por no poder disminuir
Se paga miserable;
Soy la que huyo de allí
A la vez: vacía y llena
De iras y rabias contenidas.
Soy la mujer que busco y rebuscó
Entre las basuras
La que sufre y se arrastra
En su miseria y su indigencia
Por las calles.
¿Qué puede ser otra y no la mujer que soy?
¿Acaso el hambre no ha carcomido mis entrañas?
¿Qué nuevamente,
Me han tirado la puerta en las narices?
¿Acaso no se habían cerrado
Ya mucho antes…
Desde siempre,
Todas las puertas a la vida?
¿Acaso no era esta
Estación probable
En la apuesta por la vida?
III
¿Qué quien soy ahora?
soy la mujer que ya no extraña tu presencia
la que se abraza a las dulces horas de la noche
porque solamente en ese
efímero instante,
se olvida que está presa.
Soy la mujer de la melancolía infinita,
la que aun se sobresalta
al escuchar el tronar de los cerrojos.
La que se despierta en madrugada
sola para acariciar su incertidumbre,
soy la que mato al olvido,
la soledad,
la indiferencia,
los recuerdos,
para quedarme en el silencio
y escuchar solo
la voz de mi conciencia
IV
soy la mujer de las heridas
que no sanan
la que se revolvió en la sangre
de sus muertos
la que se paró al borde de la fusa
y tomó entre muchos
los huesos de los suyos.
La que amo y lloro
en su orfandad,
a los hijos de los justos.
la que no olvida, ni perdona
la que no vende
ni acepta precio
al dolor de sus entrañas
¿Acaso es mercancía?
Soy la mujer para quien siempre fue un deber
no dejar morir
los sueños de sus muertos
V
Soy la mujer de la mirada llameante
la que en la apuesta por la vida
ha sido confinada,
a la sepultura de los vivos.
la que arrastra lastimosos pasos
sobre baldosas carcomidas de abandono
la que sueña
volver con paso firme
por las estrechas trochas de la vida
Soy la mujer que escupe fuego
a la ciudad de la ignominia,
la que se arde y quema en iras,
la que aun se retuerce
en las cenizas de sus sueños.
La que hoy te dice:
Compañera, Camarada:
No te abandones a la desesperanza.
Retoma el fuerte aliento de la vida
Eleva el fuego de la antorcha,
que es tu cuerpo.
cuerpo probado en la tortura,
en los fracasos y derrotas
y en las extenuantes
jornadas de lucha
Guía el camino al socialismo
y derrámanos con tu fertilidad política.
Han querido anticiparnos la muerte
pero el nuestro es compromiso consecuente.
Resérvanos un lugar
allende los muros que hoy nos contienen
Hombro a hombre lidiaremos
en las contiendas que devienen.
De las Prisioneras Políticas,
en voz de aliento a las mujeres
que todavía sueñan y luchan
por un mundo mejor
Reclusión de Mujeres de Bogotá
Buen Pastor, Marzo 8 de 2011
Fundación Lazos de Dignidad
La Lucha social no es un delito, es un paso hacia la Libertad…
PRESXS POLÍTICXS A LA CALLE !!!
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La redazione della rivista ALBAinformazione sostiene l’iniziativa di pace dell’ALBA-TCP
Il conflitto in Libia è motivo di preoccupazione per i popoli del mondo. Alla perdita di vite umane e alla tragedia dei profughi si aggiungono infatti le minacce di intervento militare da parte della NATO che, come la storia del secolo scorso e degli ultimi dieci anni ha dimostrato, è mossa da interessi tutt’altro che umanitari. Le notizie contraddittorie o addirittura false diffuse dai media ufficiali – come è stato rivelato in più occasioni, anche da studiosi accreditati a livello internazionale – rendono di fatto difficile comprendere quale sia la situazione reale nel Paese.
Appare chiaro che le multinazionali dell’informazione stanno preparando il consenso dell’opinione pubblica a un intervento militare in Libia. Quest’ultimo avrebbe l’obiettivo di ottenere il controllo delle risorse energetiche e idriche del Paese, oltre che di occupare una posizione decisiva nell’area strategica del Maghreb e del Mediterraneo orientale, ancora segnata dai crimini coloniali europei e attraversata di recente da movimenti di portata storica.
Nel contesto internazionale, il governo Berlusconi si distingue per le posizioni contraddittorie quanto reazionarie dei ministri preposti alla gestione dell’emergenza: da una parte il leghista Maroni, che invita gli USA a «darsi una calmata» (Fonte: ANSA – 6 marzo 2011), temendo gli esiti migratori di un’aggressione militare; dall’altra Frattini, che ricalca diligentemente le linee dettate dal Segretario di Stato USA Hillary Clinton e sollecita la presa di posizione della NATO, le cui basi militari in territorio italiano sono già pronte a ospitare le imminenti manovre belliche.
La sola vera iniziativa di pace avanzata negli ultimi giorni è quella del Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chávez Frías, appoggiata pubblicamente dal Consiglio Politico dell’ALBA-TCP (Alleanza Bolivariana dei Popoli per la nostra America – Trattato di Commercio dei Popoli) con un comunicato emesso il 4 marzo 2011 (vedi traduzione in calce).
La proposta (che si può leggere in castigliano al seguente indirizzo web:
http://aporrea.org/venezuelaexterior/n176027.htm) è quella di formare una «Commissione Umanitaria Internazionale per la Pace e l’integrità della Libia», che invii osservatori e operi per una mediazione fra le parti, al fine di evitare un attacco militare del Paese e nel quadro degli sforzi della comunità internazionale per aiutare il popolo libico.
La presa di posizione del governo bolivariano del Venezuela e dell’ALBA-TCP testimonia l’impegno per la risoluzione pacifica dei conflitti e l’autodeterminazione popolare, e conferma che i processi di integrazione in atto in America Latina sono un punto di riferimento per i popoli del mondo, verso la costruzione di un’alternativa necessaria alla guerra e all’oppressione su cui si fonda il capitalismo.
Accogliamo e rilanciamo l’appello dell’ALBA-TCP ai movimenti sociali e all’opinione pubblica internazionale, perchè si mobilitino contro i piani militaristi e interventisti in Libia.
Sosteniamo l’iniziativa di pace del Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela e dell’ALBA-TCP!
Appoggiamo le resistenze dei popoli in lotta!
Per la vita, la sovranità e l’autodeterminazione del popolo libico!
Napoli, 8 marzo 2011
La redazione di “ALBAinformazione”
Primi firmatari:
ANROS (Italia)
RedPorTiAmerica, www.redportiamerica.com, www.redportiamerica.org
www.annalisamelandri.it
Circolo Bolivariano “José Carlos Mariátegui” – Napoli
Circolo Bolivariano “Antonio Gramsci” – Caracas
ALEC (Associazione Lavoratori Extracomunitari e Comunitari) – Salerno
….
Associazione La Comune ONLUS
Partito dei CARC
Associazione Solidarietà Proletaria
Sindacato Lavoratori in Lotta
ASICUBA Umbria
per adesioni scrivere a:
albaredazionegmailcom
DICHIARAZIONE del Consiglio Politico dell’ALBA-TCP
L’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America condivide la preoccupazione mondiale per la situazione del conflitto in Libia e la conseguente perdita di vite umane, ed esprime il suo interesse a che il popolo fratello della Libia trovi una soluzione pacifica e sovrana al conflitto armato in corso, senza ingerenze straniere e nella garanzia dell’integrità territoriale del proprio paese.
Appoggia l’iniziativa di pace e unione del presidente Chávez, al fine di creare una Commissione Internazionale Umanitaria per la Pace e la Integrità della Libia, con l’obiettivo di evitare l’aggressione militare della NATO e come parte degli sforzi che la comunità internazionale deve fare per aiutare il popolo libico.
Rifiuta categoricamente qualsiasi tipo di intervento di questo organismo o potenza straniera in Libia, così come tutte le intenzioni di approfittare opportunisticamente, attraverso i media, della tragica situazione creata per giustificare una guerra di conquista verso le risorse energetiche e idriche che sono patrimonio del popolo libico, e non possono essere utilizzate per soddisfare la voracità del sistema capitalista.
L’ALBA si appella all’opinione pubblica internazionale e ai movimenti sociali del mondo al fine di mobilitarsi in risposta ai piani di bellici ed interventisti in Libia.
Appoggiamo la Proposta del Presidente Chávez contro i piani di ingerenza della NATO e degli USA.
Caracas, 4 marzo 2011
[traduzione a cura di «ALBAinformazione»]
La revista ALBAinformazione apoya el llamado del ALBA-TCP por la autodeterminación del pueblo libio
POR LA AUTODETERMINACION DEL PUEBLO LIBIO SOSTENEMOS LA INICIATIVA DE PAZ DEL GOBIERNO BOLIVARIANO DE VENEZUELA– ALBA– TCP
El conflicto en Libia es motivo de preocupación para los pueblos del mundo. A la pérdida de vidas humanas y la tragedia de los prófugos se suman las amenazas de intervención militar de la OTAN organización que, como lo ha demostrado la historia del siglo pasado y de los últimos diez años, está motivada por intereses bien distintos a los humanitarios. Las informaciones contradictorias y no veraces, difundidas a través de los medios –como ha sido demostrado, en más de una ocasión, incluso por acreditados expertos a nivel internacional– hacen imposible entender cuál es la situación real que se vive en ese país.
Es evidente que las multinacionales de la información están preparando el consenso de la opinión pública para una intervención militar en Libia, con el fin de obtener el control de los recursos energéticos e hídricos del país, además de ocupar una posición decisiva en el área estratégica del Maghreb y del Mediterráneo Oriental, zona aún señalada por crímenes coloniales europeos y atravesada recientemente por importantes movimientos históricos.
En este contexto, Italia se distingue por la posición contradictoria y reaccionaria de los ministros encargados de la gestión de la emergencia: por una parte el “leghista” Roberto Maroni (Ministro de Interior italiano perteneciente al partido Lega Nord) invita a los Estados Unidos a “calmarse” (Fuente ANSA 6 marzo de 2011) temiendo por la ola migratoria que pueda desatarse como consecuencia de la agresión militar; por otra parte, Franco Frattini (Ministro de Exteriores italiano) siguiendo diligentemente las líneas dictadas por la Secretaria de Estado USA Hillary Clinton hace presión para una toma de posición de la OTAN, – cuyas bases militares en territorio italiano ya están preparadas para acoger las inminentes maniobras bélicas-.
La única propuesta verdadera de paz de los últimos días proviene del Presidente de la República Bolivariana de Venezuela Hugo Chávez Frías, apoyada públicamente por el Consejo político del ALBA-TCP (Alianza Bolivariana de las Américas y Tratado de Comercio de los Pueblos) con un comunicado emitido por dicho organismo el pasado 4 de marzo de 2011. (Se anexó traducción en italiano de dicho documento).
La propuesta (que puede leerse en español a través de la siguiente dirección electrónicahttp://aporrea.org/venezuelaexterior/n176027.html es la de crear una “Comisión Humanitaria Internacional para la paz y la integridad de Libia”, que envíe observadores y trabaje para una mediación entre las partes, al fin de evitar un ataque militar al país en el marco de los esfuerzos de la comunidad internacional para ayudar al pueblo líbio.
La toma de posición del Gobierno Bolivariano de Venezuela y del ALBA-TCP demuestran el empeño por una resolución pacífica de los conflictos y la autodeterminación de los pueblos, confirmando que los procesos de integración en América Latina son un punto de referencia para los pueblos del mundo hacia la construcción de una alternativa distinta a la guerra y a la opresión, sobre las cuales sienta sus bases el capitalismo.
Acogemos y relanzamos el llamado del ALBA-TCP a los movimientos sociales y a la opinión pública internacional para que se movilicen contra los planes militaristas e intervencionistas en Libia.
Sostenemos la iniciativa de paz del gobierno de la República Bolivariana de Venezuela y del ALBA-TCP.
¡Apoyamos la resistencia de los pueblos en lucha!.
¡Por la vida, la soberanía y la autodeterminación del pueblo líbio!.
Nápoles, 8 de marzo de 2011
La redacción de “ALBAinformazione”
Primeras firmas:
ANROS (Italia)
RedPorTiAmerica, www.redportiamerica.com, www.redportiamerica.org
www.annalisamelandri.it
Circolo Bolivariano “José Carlos Mariátegui” – Napoli
Circolo Bolivariano “Antonio Gramsci” – Caracas
ALEC (Associazione Lavoratori Extracomunitari e Comunitari) – Salerno
….
Associazione La Comune ONLUS
Partito dei CARC
Associazione Solidarietà Proletaria
Sindacato Lavoratori in Lotta
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