7 maggio 2010: forziamo il blocco!

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UN APPELLO ALLE FORZE DEMOCRATICHE E ANTIFASCISTE DELLA CAPITALE E D’ITALIA
 
 
Esattamente un anno fa, attraverso un infame disegno di legge l’”Ordine del Tricolore”, ambienti governativi cercavano di infliggere l’ennesimo fendente mortale alla storia repubblicana del Paese assimilando partigiani e repubblichini alla medesima visione mistificatrice e senza memoria del nostro
passato.
Grazie alla mobilitazione spontanea e di massa dell’Italia antifascista l’aborrito proposito rientrava ma nei mesi successivi sistematicamente si continuava a perseguire, a più livelli, un preciso obiettivo: riscrivere, in spregio alla verità, la storia del passato per meglio controllare quella del futuro. Altrimenti non potrebbe essere in un Paese nel quale politicanti, trasformisti e avventurieri di ogni risma governano facendo e disfacendo leggi a loro piacimento e convenienza personale, sputando senza vergogna sulla Costituzione vergata col sangue di un’intera gioventù che seppe ribellarsi all’arbitrio e alla prevaricazione fatte sistema.
In questo quadro, dove a vincere sono sempre i furbetti potenti di turno, i prepotenti e gli uomini privi di etica, la Resistenza, simbolo reale e metastorico degli alti ideali di Giustizia sociale e Libertà rappresenta un precedente scomodo e ingombrante di cui sbarazzarsi frettolosamente.
Abbiamo così assistito al tentativo truffaldino di derubricare dai programmi scolastici i temi della Resistenza e della guerra di Liberazione, nella nostra città, medaglia d’oro alla Resistenza, al taglio dei fondi per le celebrazioni in onore dei caduti partigiani (Fosse Ardeatine, Quadraro). Tutto questo mentre ministri non hanno perso occasione di esaltare la “mai dimenticata X MAS”, noti imprenditori vicini al governo hanno sponsorizzato celebrazioni in ricordo delle SS italiane (vedi Nettuno), famigerati criminali neonazisti sono stati dislocati in posizioni strategiche dell’amministrazione comunale (vedi i recenti scandali comparsi sulle cronache cittadine).
Per il 7 maggio CasaPound e Blocco Studentesco, gli orgogliosi fascisti del III millennio, hanno indetto la loro piccola marcetta su Roma, una manifestazione nazionale che intende sfilare per le strade di Roma da piazza della Repubblica fino a piazza Venezia, in un evidente sussulto di nostalgia mussoliniana. In spregio al dettato costituzionale questo ennesimo tassello di una più articolata, rinnovata “mobilitazione reazionaria” si profila come particolarmente insidioso. La manifestazione, infatti, pur priva di una piattaforma rivendicativa intelligibile, reca con sè il fine strategico e oggettivo di far accreditare i fascisti che la organizzano come forza pienamente accettata e accettabile in una democrazia ferita e miope che ha perso le sue radici e le sue ali.
Un corteo di fascisti che fieramente inneggiano al traditore Mussolini (il guerrafondaio nemico dei popoli, collaborazionista dei criminali nazisti), un corteo di personaggi che puntutamente, da qualche anno a questa parte, rinverdiscono le vili gesta delle squadracce in camicia nera rendendosi responsabili in tutta Italia di vili aggressioni a studenti e studentesse (vedi i recenti fatti dell’Università di Tor Vergata). Un corteo di questo tipo sarebbe un’onta incancellabile per il cuore Libero e Generoso della nostra città.
Non possiamo tollerare che la memoria e la dignità delle migliaia di soldati, partigiani, uomini e donne che generosamente hanno sacrificato la loro vita nella lotta al nazifascismo per consegnarci una società più giusta vengano ancora una volta infangate complici l’oblio, la rassegnazione, l’indifferenza.
Intendiamo dare una risposta chiara e unitaria ai fascisti e ai loro padrini, per questo lanciamo un appello a tutte le forze dell’antifascismo romano e nazionale per bloccare sul nascere questa annunciata presenza in piazza dei nostalgici di Hitler e Mussolini.
Per questo chiediamo accoratamente alle associazioni partigiane, a quelle dei combattenti, ai movimenti, ai centri sociali, ai partiti, ai comitati di quartiere, ai singoli, ai comunisti, agli anarchici, agli antifascisti di ogni tendenza di sottoscrivere questo appello per creare insieme un ampio fronte che
esiga la cancellazione del corteo.
 

Per adesioni, informazioni e quant’altro: href=”/mc/compose?to=forziamoilbloccoatyahoodotit” rel=“nofollow” target=“_blank” ymailto=“forziamoilbloccoatyahoodotit“>forziamoilbloccoatyahoodotit
 
Patria Socialista, RASH Roma, Magazzini Popolari Casalbertone


Eric Salerno: Mossad base italiana

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L’ISTITUTO PER L’ORIENTE C. A. NALLINO

Ha il piacere d’invitare la S.V. alla presentazione che, venerdì 9 aprile alle 17,30,

nei locali dell’Istituto, sarà tenuta dal

Dr. Eric Salerno

Giornalista

Sul libro

(La sede dell’Istituto si trova sulla diretta prosecuzione della strada del Teatro Parioli)

Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallinovia Alberto Caroncini, 19 – 00197 Roma

‡„ 06–8084106 _ 06–8080710 _ _ 06–8079395 e-mail: ipocanatipocandotit

Eric Salerno
Mossad base italiana
 
Saggiatore — Collana: La cultura
 
Pagine 225 — Formato 15,5x21,5 — Anno 2010 — ISBN 9788842816140
Argomenti: Storia italiana, Storia contemporanea
Normalmente spedito in 3–5 gg. lavorativi
 
 Prezzo di copertina € 19.00
 
 
 
 
Nel 1945, lo stato di Israele non era ancora sorto. Per la sua posizione geografica nel Mediterraneo. l’Italia era il luogo ideale scelto dai fondatori del Mossad, — il leggendario Yehuda Arazi, meglio noto col nome in codice “Alon”, impersonato nel film Exodus da Paul Newman, e Mike Harari, l’uomo che ha accettato di svelare all’autore di questo libro i segreti della sua vita di spia — per impiantare la loro rete e diventare così il principale luogo di smistamento dell’immigrazione clandestina di ebrei europei e la base di transito dei militanti delle organizzazioni terroristiche ebraiche. Oltre a quello geografico, il Mossad potè godere in Italia di un altro fattore decisivo: il beneplacito delle autorità politiche, disposte a “chiudere un occhio, e possibilmente due” dinanzi alle operazioni clandestine, che permisero all’esercito israeliano, in pochi anni, di superare la capacità militare di tutti gli eserciti arabi messi insieme. A Roma il quadrilatero intorno a via Veneto sembrava un quartiere della Casablanca di Bogart, pullulante di spie e di agenti segreti con licenza di uccidere: personaggi reali fatti rivivere da Eric Salerno attraverso i ricordi di Mike Harari, che per la prima volta abbandona i suoi nomi in codice e viene allo scoperto.
 
Ne parlerà l’autore sabato 13 marzo direttamente dai microfoni di Radio Onda Rossa.
Intervista ascoltabile qui
 

Comunicado de la Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC), sobre liberaciones y acoso a TELESUR.

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Caracas 2 abril, 2010

La Asociación Bolivariana de Comunicadores, (ABC) saluda la reciente liberación del soldado Josué Daniel Calvo, el sargento Pablo Emilio Moncayo, así como la entrega de los restos mortales del capitán de policía Julián Guevara, entregados en un gesto de paz unilateral por las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC–EP).

Reconocemos y agradecemos en nuestra calidad de amigos de la paz de Colombia y en nombre de los comunicadores colombianos que integran nuestra Asociación, el papel de los presidentes de Ecuador Rafael Correa; de Venezuela Hugo Chávez y de Brasil Luiz Inácio Lula da Silva.

Exaltamos la titánica labor de la nuevamente senadora Piedad Córdoba y el grupo de Colombianos por la Paz, quienes no obstante, las calumnias y las persecusiones que sufrieron por parte del Gobierno colombiano y del presidente Álvaro Uribe, siempre han luchado con compromiso y firmeza para lograr la liberación de los retenidos y por una solución política y negociada al conflicto colombiano que pase por el canje de prisioneros.

Consideramos que la omisión de Moncayo con respecto a Uribe refleja el rechazo tácito al papel oportunista y manipulador del presidente de Colombia que tanto retrasó su salida innecesariamente.

Si bien, todo salió conforme esperaba el mundo, de nuevo la nota disonante fue tocada por el Gobierno colombiano, que en la persona del Alto Comisionado Frank Pearl, lejos de manifestar alegría o conformidad con la liberación de Pablo Emilio Moncayo, saltó a señalar a la cadena multiestatal Telesur porque había transmitido unas imágenes del momento de la liberación del sargento en contraveniencia de una prohibición del gobierno de cubrir el instante mismo de la entrega, acusándole, por otra parte, de hacerle propaganda “a un grupo terrorista y secuestrador como las Farc”.

Con lo que no contaba el gobierno es que las FARC-EP hacen sus propios registros fotográficos y filmicos y los distribuyen a diferentes fuentes informativas, por una razón que es muy fácil de deducir, por lo obvia, la prensa colombiana, propiedad de quienes detentan el poder en ese país manipula permanentemente la información en favor de los intereses de sus dueños.

RCN, El Tiempo y Caracol entre otros, hacen permanente eco a afirmaciones falaces como la que hizo Pearl sobre las FARC-EP para seguir negando la existencia del conflicto armado y lo peor para perpetuar una cruenta guerra que debe resolverse por la vía política y negociada.

El Gobierno de Colombia, quien, como señaló Izarra, presidente de Telesur, utilizó fraudulentamente el logo de TeleSUR y de la Cruz Roja Internacional durante la operación militar de rescate de Ingrid Betancourt y otros prisioneros de las FARC, ahora acusa TeleSUR con el evidente intento de estigmatizar y criminalizar el trabajo periodístico que no se encuentra bajo su influjo político, poniendo así en serio riesgo la seguridad y la incolumidad de sus periodistas; profesión de alta peligrosidad en un país cuyo Gobierno violador de derechos humanos es acusado por diferentes agrupaciones y sectores sociales de cometer graves y reiterados crímenes contra la humanidad.

La Asociación Bolivariana de Comunicadores, (ABC) se suma al coro de voces de rechazo a las acusaciones contra TeleSUR y expresa profunda solidaridad a sus periodistas amenazados en el libre cumplimiento de su actividad profesional.

 

Asociación Bolivariana de Comunicadores, (ABC)


Mercedes Sosa — Canción con todos

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Miami protegge criminale argentino accusato di aver partecipato al massacro di Trelew nel 1972

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detenidos de Trelew

i 19 detenuti evasi all’aeroporto al momento della loro resa 

Miami, non protegge soltanto criminali come Luis Posada Carriles, il terrorista cubano reo confesso dell’attentato all’hotel Copacabana all’Avana in cui perse la vita nel 1997 il giovane italiano Fabio Di Celmo e di quello del 1976 al volo civile della compagnia aerea Cubana de Aviación in cui persero la vita 73 persone. La magistratura della città, da sempre collusa con la mafia anticastrista, protegge anche i militari argentini che tentano di sfuggire alla giustizia nel loro paese che sta facendo luce sui crimini commessi durante gli anni bui delle dittature militari.

Il tenente dell’Aviazione in ritiro Roberto Guillermo Bravo, accusato in Argentina da tre testimoni di essere tra i responsabili dell’ esecuzione a sangue freddo di 16 prigionieri politici in quello che è ricordato come il massacro di Trelew, avvenuto il 22 agosto 1972, è stato liberato a Miami il 5 marzo scorso dal giudice Robert Dube, dopo essere stato arrestato qualche giorno prima , il 25 febbraio, in seguito alle pressioni delle autorità argentine che sollecitavano l’applicazione di un mandato di arresto risalente a circa due anni fa emesso dal giudice Hugo Sastre.

Bravo è stato liberato grazie al pagamento di una cauzione di 1,2 milioni di dollari e dovrà comparire il prossimo 2 aprile dinanzi al giudice Robert Dube. Il processo ad altri sei militari coinvolti nel massacro e sui quali pendono le stesse accuse contestate a Bravo e cioè privazione illegittima della libertà, torture e omicidio plurimo, si terrà invece ad aprile nella cittadina di Trelew.

Roberto Guillermo Bravo, che vive negli Stati Uniti dal 1973, ottenne la cittadinanza statunitense nel 1987 nonostante le gravi accuse che pendevano su di lui in Argentina ed attualmente è un imprenditore molto potente la cui impresa RGB Group Inc. ha contratti di forniture elettroniche addirittura con il Pentagono e con gli istituti carcerari degli Stati Uniti.

La stampa di Miami ha dato scarso rilievo alla notizia dell’arresto mentre ha causato indignazione in Argentina quella della sua rapida liberazione. Oltre a Bravo sono accusati di aver partecipato a vario titolo nel massacro anche il capitano di fregata a capo dell’operazione Luis Emilio Sosa, arrestato nel febbraio del 2008, e i capitani Rubén Paccagnini ed Emilio del Real.

Il 15 agosto del 1972, 110 prigionieri politici appartenenti a varie organizzazioni armate di sinistra, l’Esercito Rivoluzionario del Popolo (EPR), le Forse Armate Rivoluzionarie (FAR) e i Montoneros, detenuti nel carcere militare di Rawson, presso la Base Aereonavale Almirante Zar, organizzarono un’evasione che andò a buon fine soltanto per 6 di essi che riuscirono a dirottare un aereo e a fare rotta verso il Cile e successivamente verso Cuba. Invece 19 prigionieri riuscirono a giungere all’aeroporto soltanto quando l’aereo stava decollando mentre il resto del gruppo non riuscì a lasciare nemmeno il carcere. Il gruppo dei 19 si riconsegnò alle autorità senza opporre resistenza e dopo aver dato una conferenza stampa nella quale chiesero rassicurazioni circa la loro incolumità e sicurezza. Furono condotti invece da un gruppo di militari comandati da Luis Emilio Sosa, presso la base militare della Marina Almirante Zar nonostante le rassicurazioni ricevute che sarebbero stati ricondotti al carcere di Rawson.

Dopo alcuni giorni in cui la zona appariva estremamente militarizzata e in cui i giornalisti e gli avvocati vennero tenuti lontani dalla base e mentre già si temevano rappresaglie contro i 19 prigionieri, la notte del 21 agosto i 19 detenuti vennero messi in fila contro una parete e per 20 minuti una pattuglia di militari comandata da Sosa e dal tenete Bravo aprì il fuoco contro di loro.

Soltanto tre si salvarono, fingendosi morti ma scomparvero negli anni successivi, durante la dittatura di Videla.

Secondo la versione ufficiale, resa alla stampa e all’ opinione pubblica, i detenuti furono uccisi durante un tentativo di fuga.

Miami si conferma dunque, il paradiso giudiziario per ogni criminale, terrorista o sicario al soldo della Cia, mentre i 5 cubani che svolgevano operazione di intelligence in territorio nordamericano per prevenire attentati nel loro paese da parte dei gruppi terroristici anticastristi, da oltre dieci anni sono reclusi nelle carceri statunitensi senza poter nemmeno vedere  i loro familiari.


Calle 13 en Cuba

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Residente Calle 13 — Querido FBI
Esto es un mensaje...
De parte del residente 'e Calle 13...
Pa' to' el gobierno...
Y pa' to' los puertorriqueños...
Danny, métele ahí...
Queridos compatriotas...
Abogados, maestros, alcaldes, y chotas
Doctores, bichotes, bomberos, enfermeros
Contables, traqueteros, piragüeros, to' el mundo entero
Por mi madre que hoy me disfrazo de machetero
Y esta noche voy a ahorcar a diez marineros
Hoy tengo la mano aniquela' y a mano pela'
Les vo'a dar una pela pa' que vean que el gas pela
Nuestra bandera la han llena'o de meao
Murió desangra'o, mi gente, que murió desangra'o
Nunca arrodilla'o, lo van a tener que enterrar para'o
Con el machete al la'o
Que se activen La Perla, Lloren, Barbosa
Manuela, Caimito, Vista Hermosa
Covadonga, Camarones, Alturas, Torres Sabanas
Villa Esperanza, Sabana Abajo, Villa Fontana
Gladiolas, Villa Carolina, el pueblo de Trujillo
Las parcelas, San John, Monte Hatillo
Canales, San José, Río Grande, Luquillo
Puerta de Tierra, Santurce, Monasillo
Urbanizaciones, caseríos, el FBI se ha metido en un lío
Están jodidos, se jodio la Casa Blanca
Ahora voy a explotar con estilo
En el nombre de Filiberto Ojeda Ríos
Me tumbaron el pulmón derecho pero todavía respiro
Me voy a los tiros, pero todavía respiro
A los federales con piedras les tiro
Y si no hay piedras pues les tiro con güiro
Con lo que sea, tumbaron al hombre pero no a la idea
A to' los federales los escupo con diarrea
Me dan nausea, me dan asco
Yo se que estoy perdiendo los cascos
Por culpa de ustedes, jodios brutos
La Calle 13 esta de luto
(Con calma, Compi, hay que ser astuto!) ¡Cállate!
Fucking federales, gandules y guardias estatales
Que no hicieron na', con las manos cruzadas
Se quedaron mamándose un b|ch@
Fucking c@br0n gobierno que permite esto
Chorro 'e puercos, son todos unos insectos
Y por eso protesto
Protesto por una masacre en Ponce
Protesto por un Cerro Maravilla
Y hasta por un septiembre 11
(Lucha, lucha!)
(Como lucha libre!)
(Por la libre, viva Puerto Rico libre!)
(Hay mucho tiburón en el Caribe!)
(100 x 35 es el calibre!)
(Lucha, lucha!)
(Como lucha libre!)
(Por la libre, viva Puerto Rico libre!)
(Hay mucho tiburón en el Caribe!)
(100 x 35 es el calibre!)
Pa' explotar a esos c@br0n los colmillos
Hay 3.9 millones de cuchillos
Esto es sencillo, se me prendió el bombillo
Lo que hay es que activar a los corillos
En vez de apuntar pa' los mismos caseríos
Apuntar pa' arriba, pa' donde hace frío
Pa' los del Norte, sin c0j0nes la radio y las ventas
White Lion me dio el pasaporte pa' tirar este corte
(Lucha, lucha!)
(Como lucha libre!)
(Por la libre, viva Puerto Rico libre!)
(Hay mucho tiburón en el Caribe!)
(100 x 35 es el calibre!)
(Lucha, lucha!)
(Como lucha libre!)
(Por la libre, viva Puerto Rico libre!)
(Hay mucho tiburón en el Caribe!)
(100 x 35 es el calibre!)
Este fue el residente 'e Calle 13!
Acuérdense de mi nombre!
Porque lo van a tener en las carpetas!
Con to' el peso de la calle!
Les va a caer la Calle 13 completa!
Pa' que respeten!
Aquí se respeta o se te espeta!
Se respeta o se te espeta!
Se respeta o se te espeta, puñeta!


Fulvio Grimaldi:il ritorno del Condor

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Fulvio Grimaldi
Il ritorno del Condor
15 euro
«No me resigno y me indigno»: non mi rassegno e mi indigno. È la parola d’ordine delle donne dell’Honduras che dal 28 giugno scorso, giorno del golpe che ha deposto il presidente Manuel Zelaya, lottano contro la repressione. Una parola d’ordine di tutto il Fronte di Resistenza popolare, come mostra questo video del giornalista Fulvio Grimaldie.
«La riserva umana per una rivoluzione in corso d’opera». Così Grimaldi definisce il Fronte, questa immensa ed eterogenea massa che sta ancora pagando un caro prezzo, e che ora, con la complicità dei grandi media, rischia di continuare nel più completo isolamento.
Attraverso il racconto degli intervistati, Grimaldi ricostruisce le fasi del golpe, compiuto da militari agli ordini dell’oligarchia e degli Usa. La colpa di Zelaya? Aver voluto spostare il paese nel campo dei governi progressisti come Bolivia e Venezuela.
Parte così dall’Honduras una seconda Operazione Condor, un nuovo governo del Centroamerica ispirato dalla Cia come negli anni ‘70? La domanda percorre il video. Le nuove basi Usa in Colombia, e le manovre in tutto il Cono Sud – dice il giornalista –mostrano il nuovo disegno per ricondurre i paesi progressisti e rivoluzionari nel «cortile di casa» Usa. Un progetto a cui si oppone la resistenza popolare, raccontata soprattutto dalle donne, vere protagoniste del video:indigene, contadine, militanti e casalinghe, mogli di desaparecidos degli anni ’80, che avevano visto nelle politiche progressiste iniziate da Zelaya una speranza per il loro paese, il più povero dell’America latina dopo Haiti.
Una speranza interrotta dalle elezioni farsa che hanno messo alla presidenza il fantoccio Porfirio «Pepe» Lobo.
Per ordinare o presentare il video, tel. 06 99674258 o href=“visionandoatvirgiliodotit“>visionandoatvirgiliodotit
Annalisa Melandri
recensione per Le Monde Diplomatique — Il Manifesto febbraio 2010

Farc, Eta, Chávez e, perché no? Belzebù

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FARC, ETA, CHAVEZ E, PERCHE’ NO? BELZEBU’
di  Guido Piccoli

La notizia è di quelle bomba. Scoperti vincoli tra le Farc e l’Eta, sotto la protezione del governo Chávez. In realtà il nostro Saviano aveva già annunciato d’avere le prove della collaborazione tra Farc e Eta. Al posto di Chávez aveva sistemato la camorra campana e il legame tra i tre soggetti erano la droga e le armi. Il giudice Velasco spara più in alto, attaccando il Venezuela. E di mezzo c’è il terrorismo, cioè il reciproco addestramento di Farc e Eta sull’uso degli esplosivi e l’aiuto che l’Eta avrebbe dato ai guerriglieri per ammazzare presidenti, ambasciatori e politici colombiani. Ci siamo presi la briga di leggere la documentazione che il giudice rende pubblica (Auto de procesamiento 75/09). La verità sull’asse del Male verrebbe dalle dichiarazioni di agenti spagnoli, di un paio di guerriglieri “reinsertados” e dal computer di Raul Reyes, il “ministro degli esteri” delle Farc, ucciso dal bombardamento attuato su ordine dei governi di Washington e Bogotà in territorio ecuadoriano due anni fa. Un vaso di Pandora che Chávez ha definito qualcosa che è diventato “folclore colombiano”. La documentazione è tenuta insieme da molta letteratura che, senza prove più credibili, appare un fantasy mal scritto.

Scorrendo il documento troviamo affermazioni della cui stupidaggine possiamo dare prova. Ad esempio, a pagina 5 si sostiene che tra le personalità da eliminare in terra spagnola ( e da individuare, grazie all’aiuto di Eta) c’è il signor Bernardo Gutierrez Zuluaga (e non Zuloaga, si copi bene almeno!), ex comandante dell’Epl, smobilitato. Una stupidaggine appunto: tutti in Colombia (e anche molti in Italia) sapevano che il suddetto soggetto fosse stato mandato, in premio per la sua collaborazione, all’ambasciata olandese e poi fosse entrato alla FAO di Roma.

Una sequela di balle quindi o di affermazioni senza prova, che però hanno portato Zapatero a chiedere spiegazioni a Chávez per il suo ruolo di “tutor”, all’ex presidente Pastrana di lamentarsi con Caracas mentre, guarda caso, l’ancora per poco presidente Uribe (l’ideatore della farsa del computer di Reyes) mantiene una certa prudenza. Ovviamente, tale sparata del giudice Velasco farà dire al nostro Saviano (per altro onesto e incisivo quando si occupa di cose che sa, come le malefatte della camorra) “avevo ragione”.

Cosa ci porta a liquidare questa storia come una balla? Non certo un manicheismo che non ci appartiene. O l’allineamento a quello che fanno Farc e Eta, due gruppi molto diversi, nati con tutte le ragioni decenni fa e cresciuti in contesti diversi, la cui utilità oggi o il cui contributo positivo nella realtà in cui operano sono tutti da dimostrare. Ce lo fa ritenere la pochezza o l’inattendibilità della prove portate, come appunto l’onnicomprensivo computer di Reyes o la parola di qualche reinsertado, che può deporre la speranza di libertà in un firma su un copione scritto da altri. E poi l’esperienza, la memoria storica sulle montature fatte, ad esempio, sulle Farc. Negli ultimi 20 anni, abbiamo letto di collegamenti delle Farc con tutti i terroristi internazionali da Bin Laden in giù, di bombe atomiche, di aerei affittati per ripetere le Twin Towers a Bogotà e, ovviamente di macchinazioni più rustiche. E il tutto proposto e propagandato da uno Stato che si dimostra nei fatti dieci volte più terrorista delle Farc (una percentuale non detta a caso, ma confermata dagli annuali rapporti– questi si credibili– di organismi seri come Amnesty International e l’Alto Commissariato dei Diritti Umani dell’Onu). A rileggere quanto si sta scoprendo ora in Colombia sugli avvenimenti tragici durante gli anni della “guerra alla droga” si deve ammettere che, ad esempio, un delinquente come Pablo Escobar diceva la verità laddove mentivano lo Stato colombiano, gli Usa con menzogne che erano “bevute” come acqua santa dalla stampa internazionale, compresi gli onesti Saviano dell’epoca.
E che siano balle quelle del giudice Velasco ce lo fa supporre anche il buon senso. Ad esempio, viene logico chiedersi perché con decenni di esperienza, Eta e Farc dovrebbero avere bisogno di istruirsi a vicenda. O chiedersi cosa spingerebbe Chávez a sostenere tutto ciò? Lasciamo perdere. La bolla della balla si sgonfierà presto, anche se ne faranno altre. Di pessima letteratura, come questa. Viene nostalgia di John Le Carrè, quello si che è un grande.


El ex comandante del Ejército de Colombia, Mario Montoya, detrás de la masacre de San José de Apartadó

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Tres oficiales colombianos han acusado el general en retiro Mario Montoya, ex comandante del Ejército y hoy  embajador de Colombia en República Dominicana, de haber participado en la planificación de la Operación Fénix, conducida en la región de Urabá y culminada con la que se conoce cómo Masacre de San José de Apartadó.
 
Exactamente hace cinco años, el 21 de febrero de 2005, en San José de Apartadó, ocho personas pertenecientes a la local Comunidad de Paz fueron brutalmente asesinadas. Cinco adultos y tres niños, Natalia y Santigo Muñoz, respectivamente de 6 años y 18 meses y Deiner Guerra de 10 años, fueron degollados con machetes después de haber asistido al homicidio de sus padres. Deiner era hijo de Luis Eduardo Guerra Guerra, el más importante líder de la comunidad, asesinado barbaramente aquel mismo día.
 
Según la  confesión de los tres oficiales del Ejército, presentada durante el juicio  que justo en estos días ve implicados a 10 militares por responsabilidades directas en la masacre, habría sido el propio Montoya, a la época comandante de la Primera División, a enviar la autorización a la Brigada XVII a valerse de guías paramilitares, unos 60 hombres, por la exploración de la zona.
 
Todos, desde los primeros días siguientes al hecho, desde el mismo Presidente de la República hasta el último funcionario hicieron su parte para garantizar la impunidad de los militares implicados en la matanaza y para desviar las investigacciones. Aunque ya el día siguiente  el sacerdote jesuita Javier Giraldo y los miembros de la Comunidad de Paz habían denunciado las responsabilidades del Ejército y de un grupo de paramilitares, el mismo presidente Álvaro Uribe inculpó públicamente la guerrilla de las FARC. También fue negada la presencia de tropas del Ejército en la misma zona el día 21 de febrero, presentando mapas y documentos militares sucesivamente demostrados como falsos. El proceso a los diez militares implicados ha sido a riesgo de cancelación  por vencimiento de términos en cuanto las audiencias se han tenido con algunos meses de retraso por la desaparición de unos documentos relativos a las pruebas contra los militares en la Fiscalía Nacional de Medellín dónde estaban custodiados.
 
Fue justo el paramilitar Diego Fernando Murillo  Bejarano, alias “Don Berna” a dar inicio al juicio confesando, en  mayo del 2008, que su grupo “Bloque Héroes de Tolová” junto a militares  de la XVII Brigada del ejército colombiano había cumplió la masacre en San José de Apartadó.
 
Confesión avalorada por la que fue entregada  tres días después, por el  capitán en retiro Guillermo Armando Gordillo Sánchez, detenido  en noviembre del 2007, quien  ha admitido su participación a la operación Fénix.  
  
Mario Montoya, después de los hechos de San José de Apartadó fue nombrado comandante  del Ejército de Colombia y el paramilitar “Don Berna” y “Salvador Mancuso” fueron extraditados  por Uribe en los Estados Unidos por temor de ulteriores revelaciones. 
  
Ahora, después de que Montoya ha entregado  recientemente su renuncia  por el escándalo de los “falsos positivos”, (más de 2000 jóvenes asesinados por militares  y presentados  como guerrilleros caidos en combate), y después de su “promoción” como embajador en República Dominicana, la ulterior confesión de otro paramilitar, Daniel Rendón Herrera, alias “Don Mario”, ante la Unidad de Justicia y Paz (el programa de desmovilización de los paramilitares), agrava ulteriormente su posición. “Don Mario” acusa el ex general de haber recibido 1.500 millones de pesos de Miguel Arroyave, dinero que le fue entregado  para conseguir, en la guerra contra otro grupo paramilitar, el apoyo del Ejército al Bloque Centauros al que él pertenecía.  
  
El general Mario Montoya, gran general, ejemplo de eficacia, un hombre espontáneo, que no tiene nada escondido, que todo lo que piensa y cree, lo dice, con la espontaneidad que lo caracteriza, hombre de iniciativa, presentó renuncia, sin que nadie le hubiera pedido esa renuncia…  General, no renuncie, estas dificultades, lo bueno es que todo esto se está haciendo público, ha sido la norma del Gobierno desde el principio: que nada de esto permanezca oculto. No renuncie, mi general, esto lo superamos”.
 
Ésta fue la defensa pública del general Montoya de parte del presidente de la República Álvaro Uribe, que es también Comandante   Supremo de las Fuerzas Armadas de Colombia. 
Los familiares  de las víctimas de San José de Apartadó han pedido  la inmediata orden  de captura para Mario Montoya, “ejemplo de eficacia  y hombre que no tiene nada escondido”. Probablemente muy pronto él será  obligado a renunciar a su cargo cómo diplomatico y a volver a Colombia para responder  a estas graves  acusaciones. 
  
Son las extrañas paradojas colombianas. La justicia a veces funciona   y eminentes delincuentes políticos y militares tarde o temprano  caen en sus redes. Por medio de la prensa nacional se develan sus crímenes y sus vínculos con el paramilitarismo. La prensa es casi interamente de propriedad de la oligarquía colombiana representada en este caso por la familia  Santos, la misma a la que pertenecen el vicepresidente de la  República, (acusado por Salvatore  Mancuso de ser vinculado con el paramilitarismo) y el  ex ministro de la Defensa Juan Manuel Santos. Los eminentes delincuentes, vinculados de diversas maneras a  los paramilitares  muchas veces  quedan presos  y recordamos por todos el caso  del ex jefe del DAS, (la inteligencia colombiana), Jorge Noguera Cote, también ex cónsul en Milán, acusado de haber entregado la estructura del DAS a los paramilitares, a quienes presentaba  listas de personas incómodas que tenían que ser  eliminadas. 
  
Algunas veces, antes   que inicien  formalmente los juicios contra estos para-paramilitares, ellos son promovidos con cargos diplomáticos, consulados y embajadas en varios lugares del mundo, algunos considerados “estratégicos” por los servicios de seguridad colombianos. 
  
El mismo Montoya fue enviado  en República Dominicana a reemplazar  Juan José Chaux,  detenido en mayo  2009 en el  aeropuerto de Bogotá con la acusación que se había  encontrado en más que una ocasión con algunos de los más importantes jefes paramilitares colombianos. Este probablemente no fue el único objetivo de la  designación de Montoya a la embajada en Santo Domingo.  En República Dominicana la inteligencia colombiana, junto a la  CIA y a la inteligencia israelí, ha intentado  al menos dos veces de organizar planes  para atentar a la vida del dirigente comunista dominicano Narciso Isa Conde, siempre solidario con los diferentes  formas de lucha de liberación del pueblo colombiano y fuertemente crítico del gobierno de Uribe, quien  lo ha acusado públicamente en varias ocasiones de ser “un terrorista”. Pero todavía hay más  …
  
La República Dominicana se está volviendo  en estos últimos años el acodo caribeño de todo el tráfico de estupefacientes procedentes de Colombia, un narco-estado en donde  la corrupción, justo como en Colombia, impera en las estructuras políticas y entre las altas cumbres militares del país, que quedan impunes  a pesar de algunos escándalos recientes que  han visto militares involucrados en asuntos de narcotráfico junto a criminales colombianos. Existen vínculos criminales entre hombres de la inteligencia colombiana,  militares y generales dominicanos, (unos de ellos pertenecientes a la Dirección Nacional de Control de Drogas y a la Marina de Guerra)  y el mismo general Montoya.   
  
Volviendo a Colombia, extrañas paradojas, decíamos. Todos saben todo, las noticias son de dominio público por lo menos al interior del  país y algun criminal  a veces queda preso. Listas de hombres para destazar con motosierras, jueces poco  maleables obligados a renunciar, paramilitares utilizados como guías turísticas en  matanzas del horror, soldados borrachos jugando a football con las cabezas de los campesinos… pero el Maestro Uribe, el titiritero, el mandante, queda todavía impune, más bien se hace  reelegir, fraudulentamente, y piensa a como hacerlo por la tercera vez… Por el bien de todos los colombianos no logró. 
  
Y se obstinan en llamarla democracia…
 
 
 

Le “perle” di Uribe. Radiografia di un governo

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