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In occasione del 5° anniversario del massacro nella Comunità di Pace di San José de Apartadò del 21 febbraio 2005
Italia e Colombia a confronto:
Tra democrazia, Mafiosità e cittadinanza
                                                                                                                                                                                
22 febbraio 2010 – ore 15.00
Provincia di Roma, Palazzo Valentini
Sala Luigi Di Liegro 
Programma
 
“La storia della Colombia raccontata dal Tribunale Permanente dei Popoli”.
Gianni Tognoni  - Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli - TPP , Fondazione Basso-Sezione internazionale.
 
Cultura e pratiche mafiose in Italia e in Colombia
Fabio Neri –  Sociologo. Ha studiato le strategie di controllo del territorio da parte delle organizzazioni criminali ed economiche in Italia.
Ricardo Vargas – Docente. Ha studiato le strategie di controllo del territorio da parte delle organizzazioni criminali ed economiche in Colombia (intervento in teleconferenza da Bogotà)
 
Popolazione e Diritti Umani tra democrazia e mafiosità
 Tonio Dell’Olio — LIBERA. Associazioni, nomi e numeri contro le Mafie
 Emmanuel Rozental — Attivista e militante dei movimenti sociali in América    Latina
 
Terrorismo in Colombia tra propaganda e realtà
      Breve Proiezione del Documentario “Falsos Positivos di Simone Bruno e Dado Carrillo, 2009
Guido Piccoli - giornalista e scrittore
 
La  negazione dei diritti umani. Economia, legislazione e società civile
      Fabio Evangelisti – Commissione Esteri della Camera dei Deputati
 
Conclusioni
Andrea Proietti —  Presidente Rete Italiana Colombia Vive!
LIBERA. Associazioni, nomi e numeri contro le Mafie www.libera.it , href=“liberadotinternationalatliberadotit“>liberadotinternationalatliberadotit,
Rete italiana di solidarietà con le comunità di pace e in resistenza civile colombiane, Colombia Vive Onlus http://www.reteitaliana-colombiavive.org   , href=“reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom“>reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom,
In collaborazione con la Provincia di Roma 

Alla bandiera rossa

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BUON 2010!
.
Per chi conosce solo il tuo colore,
bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui
esista:
chi era coperto di croste è coperto di
piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese
africano,
l’analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore,
bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi
sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e
operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti
sventoli.
 
(P.P.Pasolini)

Paraguay, segnali di golpe?

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Fernando Lugo e Federico Franco
Sono sempre più insistenti in Paraguay  le voci di un probabile colpo di Stato che dovrebbe attuarsi secondo le modalità di quello messo in atto il 28 giugno scorso in Honduras. Come si vocifera anche tra gli alti vertici dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani), preoccupati per la crescente tensione nel paese,   “nessuno pensa che in Paraguay ci sarà un golpe, ma tutti ne parlano”.
 
Fernando Lugo  ha denunciato che da quando ha assunto la presidenza, nell’aprile del 2008,  ci sono stati vari tentativi di destabilizzarlo messi in atto da esponenti del Partido Colorado che è stato al potere nel paese  per 60 anni e che è uscito sconfitto nelle ultime elezioni presidenziali.  “Dopo decenni di dominio assoluto di uno stesso gruppo politico, non deve sorprendere che fin dal principio di questo governo alcuni settori e personaggi abbiano avuto la tentazione di fermare  il processo politico” ha dichiarato Lugo, mentre per sgomberare il campo da sospette  alleanze tra politica e Forze Armate ne ha riformato tutti  i vertici appena un mese fa.
 
A dirigere il tentativo di golpe è  il vicepresidente Federico Franco, leader del Partido Liberal Radical Auténtico, che guida l’ala conservatrice e più reazionaria della coalizione in cui si trova anche Lugo (Alianza Patriótica para el Cambio).  Franco  ha in vaie occasioni accusato pubblicamente  il presidente  di essere un “traditore” e ha detto  di “essere pronto ad assumere la presidenza del paese”, nel caso Lugo venga  sottoposto a impeachment.
 
La svolta a sinistra presa dal governo dopo l’elezione del  “vescovo rosso”   gli ha fatto progressivamente perdere l’appoggio politico di cui godeva in Parlamento e che era stato  soltanto funzionale a liberare il paese da decenni  di dominazione del Partido Colorado. Alleati  strategici di Franco, in quest’opposizione che potrebbe scaturire, come avvenuto in Honduras  in un “golpe istituzionale”,  sono  il presidente del Senato Miguel Carrizosa e il politico ed ex generale  Lino Oviedo, controverso personaggio accusato di aver realizzato in passato due colpi di stato, massacri contro alcuni civili e l’omicidio di un vicepresidente, attualmente alla testa del partito di destra UNACE.
 
Come già avvenuto in Honduras, anche in Paraguay i settori più conservatori della società, rappresentati dai latifondisti, da una classe politica e dirigenziale corrotta e spesso legata al narcotraffico, dal settore imprenditoriale,  sono preoccupati per  la decisione del presidente Lugo di aderire all’Alba, l’Alternativa Bolivariana  per le Americhe.  Ma non solo. Sono tante le riforme che il governo sta cercando di realizzare con non poche difficoltà,  come rendere gratuite sanità ed educazione, attuare una Riforma Agraria, liberarsi progressivamente della presenza delle forze militari statunitensi e  programmare una riforma costituzionale che renda possibile la realizzazione in tempi brevi del progetto sociale riformista  in favore dei più deboli ed emarginati.
 
Gli Stati Uniti, dal canto loro non possono che  vedere con preoccupazione crescente il  nuovo scenario che si profila all’orizzonte: un paese strategicamente importante (anche per le immense risorse idriche di cui è ricco) come il Paraguay, nel cuore dell’America latina, che lentamente sfugge al loro controllo e che ha intenzione di “restare un paese sovrano” come ha dichiarato in una recente intervista il ministro degli Esteri Héctor Lacognata, che ha respinto la proposta statunitense  di inviare nel paese 500 soldati in cambio di 2,5 milioni di dollari da destinarsi per la  costruzione di infrastrutture e  per attrezzature e spese mediche per le comunità più isolate de paese, nell’ambito di un progetto di cooperazione che prende  il nome di Nuevos Horizontes 2010.
 
L’ambasciatrice statunitense  ad Asunción, Liliana Ayalde ha detto che si è trattato di  un “duro colpo” se si pensa che si sta parlando “dell’educazione di circa 600 bambini, di assistenza medica per  19mila persone delle  comunità povere  e  di assistenza odontoiatrica per altre  3600.”
 
Il Paraguay di Lugo, che aderisce all’Unasur, l’Unione delle Nazioni Sudamericane,   non può non far proprie  le inquietudini  dell’America latina integrazionista rispetto alla  crescente presenza militare degli Stati Uniti nella regione, testimoniata anche dal recente accordo statunitense con la Colombia per la costruzione di 7 nuove basi militari nel paese andino. La presenza di 500 militari americani è stata pertanto giudicata inopportuna da Palacio de López, la sede del governo ad Asunción e Lacognata ha tenuto a ribadire a coloro che lo accusano di essere portatore di posizioni estremamente ideologizzate,  che il suo ruolo è quello di mantenere l’autonomia di un paese  che deve restare sovrano. “Non possono venire medici civili a realizzare gli interventi? Non possono venire civili a costruire le scuole?” si chiede il ministro. “Quello che vogliono fare gli Stati Uniti nel nostro paese non è una politica sociale, nel migliore dei casi  è carità” ha detto. A voler essere buoni. Perchè quello che gli Stati Uniti vogliono fare in Paraguay è quello che fanno molto più sfacciatamente in paesi zerbino quali ad esempio la Colombia.
 
Si chiama tattica o strategia in una regione nella quale  trovano sempre minori spazi all’interno della sempre maggiore coesione e integrazione economica e politica, ma soprattutto strategica ( e in un prossimo futuro probabilmente anche militare) che si sta organizzando in America latina.
 
Salvo Colombia, Perú,e  in parte il Cile in America del Sud sembra veramente che il “cortile” non abbia più intenzione di rimanere  tale.
Segnali preoccupanti  fanno tuttavia pensare che  i “falchi”  del Nord  stiano riorganizzando forze e mezzi. Le fragili democrazie come quella del Paraguay farebbero bene a stringere alleanze più solide ma soprattutto a rafforzare gli appoggi interni, che come l’Honduras ha insegnato, non possono essere più soltanto quelli realizzabili  sul piano istituzionale e politico, con alleati dell’ultima ora inaffidabili e corrotti o corruttibili,   ma devono necessariamente partire da un ampio consenso della base e dei movimenti sociali del paese, dei movimenti indigeni e delle donne. Quelli che come è avvenuto in Honduras hanno anche, e non è solo enfasi, veramente dato la vita per il ritorno del loro presidente legittimamente eletto.
 

El país de Alan García, donde él come y no deja comer a los y las excluido/as.

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Ricevo dall’ amica e instancabile attivista per la difesa dei diritti umani Diana Avila questo articolo. Sono considerazioni politiche condivisibili e importanti sull’anno che si sta appena concludendo nel Perú di Alan García. E riflessioni amare, su quello che sta iniziando. Illustrato dalle vignette del grande Carlos Tovar (Carlín)
 
Perú, terminando un año difícil
por Diana Avila Paulette                                                                    
publicato en la Revista Ideele Diciembre 2009
 
Finalizamos el año 2009 y ya estamos nuevamente en la campaña electoral 2010 para las elecciones regionales, municipales y las presidenciales el 2011. Alan García, en su segundo mandato tiene solamente quince meses para cumplir sus innumerables “promesas” y dejar el camino libre para que el APRA le asegure un blindaje en el período que viene, contra investigaciones necesarias y cabales frente a la corrupción de su segundo gobierno.
 
Logros del gobierno, el cinismo, de no al TLC y si al TLC que lo vimos antes que García asumiera. La burla en el cumplimiento de sus promesas. El “Perro del Hortelano” que come mucho y no deja comer, la criminalización de la protesta social, ese es el presidente García.
 
¿Lo más resaltable? Es una buena pregunta. Cuesta decidir, la corrupción me viene a la mente permanentemente y luego pienso en Bagua, no solamente por Bagua en tanto conflicto con los pueblos amazónicos, postergados de siempre, sino como ejemplo de una forma de enfrentar los problemas del país, con engaños, con “mecidas”, negocio/dialogo y te persigo/te ilegalizo como organización y entonces termino en la criminalización de la protesta social como la tónica de su gobierno. Cómo se ha resuelto Apurímac, Canchis, la lista es muy larga… Lo más permanente criminalizar y perseguir dirigentes sociales, “frases como disparen y luego piensen”. Cuántos muertos en el premierato de Yehude Simon? solamente.
 
Pensaría en los Petroaudios, Business Track, la alianza con su vicepresidente el Almirante Giampietri, como elementos muy significativos. La corrupción en definitiva y la impunidad total. Si eres ministro/a puedes hacer cualquier cosa y basta que renuncies y quedas en la total impunidad. Está la ex ministra de Comercio, gestora de Tratados de “Libre” Comercio, era ella la que decía que sin los Decretos Legislativos, en la crisis de los pueblos amazónicos en Bagua, el TLC con los Estados Unidos entraría en crisis. Una mentira muy grave. Ahora es Ministra de la Producción. Yehude Simon, responsable de los crímenes de Bagua, como Primer Ministro la acusa, cuando dejó de ser Premier Ministro. Y la responsabilidad de Yehude Simon??!!! La ex ministra del Interior Mercedes Cabanillas, durante la crisis de Bagua, condecorada por la Policía. Otro caso patético y más reciente es el de Frances Allison le ofreció una manifestación de apoyo, públicamente, cuando era Alcalde de Magdalena. Nombrado Ministro de Vivienda, donde se mueven proyectos y dineros muy relevantes. Aparece ligado a Business Track y los Petroaudios famosos y renuncia. Se va tranquilo y luego de sus vacaciones lo apresan en Miami por llevar 50,000 dólares, dinero no declarado. Evidentemente un error de cálculo!
 
Ese ha sido y es el país de Alan García, donde él come y no deja comer a los y las excluido/as. Lo que viene el próximo año, más concesiones a las grandes empresas, más criminalización de la protesta social, más persecución. La ley que corta los beneficios por trabajo, educación… a los condenados por “terrorismo” en los tiempos de la revuelta aprista de Trujillo habría dejado a la dirigencia aprista presa para toda la vida?
 
Me quedo en términos de la economía con el balance del modelo neoliberal que hizo Jurgen Schulz hace unas semanas en el Diario La República. “En pocas palabras, se trata de un modelo económico que asigna perfectamente los recursos productivos en base a la dinámica de los libres mercados, tal como se expresan a través de las tendencias de los precios relativos básicos. Pero, por eso mismo, es frágil frente a shocks externos, políticamente inestable y socialmente excluyente, por lo que la lógica ricardiana bien podría abrirle el campo a un gobierno abiertamente autoritario de uno de los extremos del espectro político.”
 
O las conclusiones de Francisco Durand cuando habla de Perú como “nueva oligarquía y neo latifundismo: “Vivimos los tiempos de la nueva oligarquía y el neolatifundismo. El grupo Gloria, por ejemplo, tiene 29,000 hectáreas. El país, dicen, prospera como nunca, aunque los primeros en prosperar son ellos. El Perú parece que fuera un puerto o un aeropuerto. Mirando siempre hacia el mar, para ver si llegan las importaciones, o si se embarcan a tiempo las exportaciones. A los cielos, para ver si llega a tiempo el avión que trae inversionistas o que nos lleva a París. Siempre de espaldas a la sierra o la selva.”
 
El 2010 será un año de conflictos sociales, de más denuncias de corrupción, de más congresistas desaforados. Año de campaña electoral con el dinero de nosotros y nosotras, el dinero del Estado peruano, ese que no está para la reparación de las víctimas del conflicto armado interno. No es pesimismo, porque en realidad en el contexto de América Latina nuestro futuro si puede ser diferente, a pesar de lo hecho por Alan García.
 
Diciembre 2009

Le forze di sicurezza egiziane trattengono partecipanti alla Gaza Freedom March a el-Arish e bloccano le commemorazioni al Cairo

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Oggetto: Le forze di sicurezza egiziane trattengono cittadini internazionali a el-Arish e bloccano le commemorazioni per Gaza al Cairo.
 
Quando: Nel pomeriggio di domenica 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 internazionali nei loro hotel a el Arish, e un altro gruppo di 8 internazionali alla stazione dei pullman. Le forze di polizia hanno anche interrotto le commemorazioni del massacro “Piombo Fuso” presso il ponte Kasr al Nil.
 
Nel pomeriggio del 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 attivisti nei loro hotel di el Arish mentre si stavano preparando a partire per Gaza, mettendoli agli arresti domiciliari. I delegati – tutti partecipanti della Gaza Freedom March, composta da 1.300 persone – erano cittadini spagnoli, francesi, inglesi, statunitensi e giapponesi. Le forze di sicurezza egiziane hanno poi finalmente ceduto, permettendo alla maggior parte dei manifestanti di lasciare gli alberghi, ma senza consentire loro di lasciare la città. Quando due giovani delegati – un francese e una donna giapponese – hanno tentato di lasciare el Arish, le autorità egiziane hanno fermato i loro taxi facendogli scaricare i bagagli.
 
Un altro gruppo composto da otto persone, di cui facevano parte statunitensi, inglesi, spagnoli, giapponesi e greci, sono stati trattenuti invece alla stazione dei pullman di el Arish nel pomeriggio del 27 dicembre. Alle 15.30 circa non erano ancora stati rilasciati.
 
Contemporaneamente, la polizia egiziana ha interrotto la commemorazione dell’invasione israeliana “Piombo Fuso” di Gaza organizzata dai partecipanti alla Gaza Freedom March presso il ponte di Kasr al Nil, uno dei principali collegamenti tra la Zamalek Island, al centro del fiume Nilo, e la città del Cairo. Come forma di dimostrazione nonviolenta in memoria degli oltre 1.300 palestinesi uccisi durante l’attacco israeliano di Gaza – iniziato un anno fa, il 27 dicembre del 2008 – i partecipanti della Gaza Freedom March hanno legato insieme centinaia di biglietti con pensieri, poesie, disegni, e i nomi delle vittime.
 
“Siamo amareggiati dal fatto che le autorità egiziane abbiano ostacolato la libertà di movimento dei partecipanti e abbiano interferito con la commemorazione pacifica delle vittime del massacro” ha detto Medea Benjamin di CODEPINK, una delle organizzatrici della Marcia.
 
Benjamin ha aggiunto che i partecipanti alla Gaza Freedom March stanno continuando a sollecitare il governo egiziano perché consenta loro di raggiungere Gaza. I manifestanti si sono recati presso la Lega Araba, chiedendo supporto, presso diverse ambasciate straniere e il Palazzo Presidenziale, per portare un appello rivolto al presidente Mubarak. Hanno inoltre rivolto un appello a tutti i loro sostenitori nel mondo perché contattassero le ambasciate egiziane sollecitandole a lasciare liberi i manifestanti, consentendo loro di arrivare a Gaza.
 
Manda la tua email all’Ambasciata Egiziana:


Honduras, semillas de libertad (Primera parte)

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Fabrizio De Andrè: Nella mia ora di libertà

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Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà

se c’è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.

È cominciata un’ora prima
e un’ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l’uscita

non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci sono stare.

Fuori dell’aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità

tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo scanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.

Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio.

Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.

E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual’è il crimine giusto
per non passare da criminali.

C’hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.

Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
e abbiamo deciso di imprigionarli
durante l’ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.


Colombia, la pace tra le FARC e l’ELN fa paura al governo di Uribe

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di Antonio Moscato

Fonte: Il megafono quotidiano

Il 21 dicembre il sequestro del governatore di Caquetá, ucciso quasi subito, ha inferto un duro colpo alle speranze della chiusura della fase più drammatica della storia insanguinata della Colombia, e ha suscitato non pochi sospetti.
Pochi giorni fa dalla Colombia era arrivata una notizia importante e positiva: Le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l’ELN (Ejército de Liberación Nacional), le principali formazioni storiche della guerriglia, avevano firmato un importante accordo. FARC ed ELN negli ultimi anni si erano scambiati accuse molte aspre, tra cui quella gravissima di collaborare col regime di Uribe, e in alcuni casi erano arrivati a scontrarsi con le armi in alcune località. Il testo dell’accordo, datato novembre e reso pubblico agli inizi di dicembre, aveva toni decisamente nuovi, e parlava di “riscattare la bandiera della pace in Colombia”, definendolo “un impegno di tutto il continente”.
Abbandonando i toni settari di un passato non lontano, il comunicato affermava che “solo l’unità e l’azione decisa dei patrioti colombiani, dei democratici, dei rivoluzionari, e di tutti coloro che conservano speranze in una soluzione politica, potrà fermare la guerra, trovare la pace e rendere possibile la costruzione di una nuova Colombia”. Significativo il riferimento a un “destino non estraneo alle nuove dinamiche che oggi si vivono nella nostra America”.
Come conseguenza di questo preambolo si stabilivano quattro punti:
Fermare immediatamente ogni scontro (confrontación) tra le due forze;
Non permettere alcun tipo di collaborazione col nemico del popolo;
Rispettare la popolazione non combattente, i suoi beni e interessi e le sue organizzazioni sociali;
Fare uso di un linguaggio ponderato e rispettoso tra le due organizzazioni rivoluzionarie.
Già questi punti indicavano una svolta non solo nei rapporti tra FARC e ELN, ma tra le due organizzazioni e la società. Inoltre indicavano la necessità di trovare spazi e meccanismi di consultazione “che permettano di chiarire e identificare le vere cause che ci hanno portato ad assurdi scontri in alcune regioni del paese, di superarle e di lavorare per riparare i danni arrecati.
Già in aprile era emersa un’altra novità: Le FARC avevano deciso di liberare unilateralmente un militare, Pablo Emilio Moncayo, caduto nelle mani dei guerriglieri dodici anni fa (viene indebitamente definito “ostaggio”, ma è un prigioniero di guerra catturato in combattimento). La Croce Rossa Internazionale si era impegnata a organizzare il difficile compito di prenderlo in consegna e portarlo fuori dalle zone occupate dalla guerriglia, ma pochi giorni fa si è ritirata per protesta contro la decisione del presidente Uribe di procedere al recupero a mano armata di tutti gli ostaggi detenuti. Il padre del sottufficiale, il professor Gustavo Moncayo, ha denunciato duramente l’atteggiamento del governo, che ha ignorato la decisione delle FARC di liberare unilateralmente oltre a suo figlio tutti i prigionieri di guerra in loro potere. Uribe ha respinto tutti i tentativi di negoziati basati su varie ipotesi, dallo scambio umanitario con i moltissimi militanti e simpatizzanti di sinistra detenuti, alla creazione di condizioni di sicurezza indispensabili per rendere possibile la consegna unilaterale.
È a questo punto che è arrivata la notizia del rapimento del governatore del dipartimento colombiano di Caquetá, Luis Francisco Cuéllar, che secondo il governo sarebbe stato sequestrato la notte tra lunedì e martedì dai guerriglieri delle FARC. È verosimile che, mentre ribadiscono da otto mesi di voler liberare unilateralmente tutti i prigionieri, un po’ per le pressioni internazionali (Venezuela compreso), un po’ per le difficoltà militari, le FARC vogliano catturarne un altro? O è stata una formazione locale in disaccordo con la linea distensiva della direzione?
Qualche dubbio riguarda anche le modalità del sequestro: come è stato possibile il rapimento di un uomo politico che è anche un potente latifondista, protetto da una milizia privata? Possibile che questa sia risultata così inefficiente e così poco combattiva, da cavarsela con un solo caduto nello scontro? Insomma, non è chiaro chi fosse e da dove venisse il “gruppo di uomini armati e vestiti con divise militari”che dopo aver fatto saltare con l’esplosivo il cancello della residenza di Cuéllar, lo hanno portato via. In ogni caso il corpo è stato trovato subito dopo, sgozzato, e imbottito di esplosivo, accanto al veicolo usato per rapirlo, a soli 15 km da Florencia, la capitale del dipartimento.
Gustavo Moncayo, che sta da lungo tempo “marciando per la pace” e la liberazione di suo figlio, ha affermato che la decisione del governo di procedere a interventi armati per liberare gli ostaggi, impedendo l’attività della Croce Rossa e di altri mediatori, mettere in pericolo la vita di suo figlio e degli altri prigionieri di cui le FARC hanno disposto da mesi la liberazione. “Vogliamo una soluzione politica negoziata”, ha ribadito.
Anche senza sollevare altri più pesanti dubbi, il professor Moncayo ha affermato che in ogni caso la sua famiglia e quelle di altri prigionieri di cui le FARC hanno deciso di consegnare a mediatori “non hanno la colpa del sequestro di questo signor Cuéllar”. E ha fatto un appello alla “comunità internazionale” perché intervenga per evitare che il governo Uribe utilizzi altri pretesti per evitare la liberazione di suo figlio e di altri soldati.
Uribe, che ha governato male, e che ha visto crescere nelle elezioni amministrative il peso delle sinistra, che governano ormai le principali città, ha bisogno, ad ogni costo, di giustificare la sua politica di provocazione e di sudditanza agli Stati Uniti con lo spauracchio della guerriglia, identificata sistematicamente con il narcotraffico, nonostante sia proprio la maggioranza governativa ad avere al suo interno decine di noti narcotrafficanti e capi di bande paramilitari.
La pace auspicata dal comunicato congiunto di FARC ed ELN, fa paura a Uribe…


Nuova denuncia di Narciso Isa Conde

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Narciso Isa Conde

Uribe-CIA e i generali scagnozzi di qua e di là: chiedendo la mia testa e quella di molti altri
di Narciso Isa Conde /MCB Repubblica Dominicana
ABP/17/12/2009
 
Non è per caso che mi segnalano ancora una volta come “coordinatore e ideologo” del “braccio politico” delle FARC-EP. Il Congresso Costitutivo del Movimento Continentale Bolivariano (MCB) deve averli infastiditi molto. Il Coordinamento Continentale Bolivariano (CCB) è cresciuto nonostante la criminalizzazione subita e si è trasformato in un forte movimento grazie alla   volontà di 1200 delegati provenienti da 30 paesi della nostra America, dell’Europa, dell’Australia e del Nord America, anche se ovviamente la maggior parte dei comitati partecipanti giungono dall’America latina e dai Caraibi. Forze rivoluzionarie molto diverse e intellettuali e militanti di gran peso politico e sociale hanno partecipato a questo evento che si è tenuto nei giorni 7, 8 e 9 dicembre a Caracas, dandogli un segno distintivo di qualità e un chiaro senso strategico nelle sue decisioni. Le forze più progressiste, quelle più anti-sistemiche, anti-imperialiste e anti capitaliste si sono unite ancora di più.
 
L’orrore narco-paramilitare-terrorista guidato da Alvaro Uribe, le basi militari statunitensi nella regione, i golpisti honduregni, la destra e la lumpenoligarchia continentale,il farsante Obama e il suo imperialismo pentagonizzato, sanno molto bene che gli risponderemo con nuove espressioni di resistenza e offensiva di carattere regionale e di vocazione internazionalista. Per questo la loro menzognera campagna mediatica.
 
Ho coordinato la presidenza Collettiva della CCB dal 2005, ho partecipato attivamente a questo Congresso Costitutivo del MCB e ora mi hanno scelto per coordinarne la presidenza. Da qui tanto accanimento contro di me.
 
Ci abbaiano contro perché stiamo galoppando e in modo particolare abbaia il “bulldog” di Washington con sede in Colombia, accompagnato dalla CIA e dal Mossad. Gli hanno assegnato compiti criminali da svolgere al di là delle sue frontiere, come fa Israele in Medio Oriente.
 
Abbaiando accusano che il comandante Iván Márquez (membro del Secretariato dellle FARC-EP) ed io abbiamo deciso di fondare il Coordinamento Continentale Bolivariano – trasformato ora in Movimento – come “braccio politico” internazionale dell’insorgenza colombiana, trasferendo così su di me le stigmatizzazioni e le calunnie anti-FARC e la decisione di annientarmi militarmente come se fossimo in guerra aperta.
 
La storia è invece molto diversa e la quantità di menzogne annesse non le andremo né a contare né a ribattere adesso, perché questo dossier ha un altro scopo; promettendo, sia chiaro, farlo nel più breve tempo possibile, dopo la pubblicazione di questo articolo.
 
Le accuse che rimbalzano dall’Ecuador: un’altra manovra per rafforzare la criminalizzazione.
 
Il lancio di questa vecchia accusa, falsamente viene attribuito al governo ecuadoriano, cercando così di dargli la legittimità di cui è carente, mentre proviene invece direttamente dai rappresentanti dello screditato Stato colombiano.
La “Commissione di Verità e Trasparenza” sul caso Angostura-Sucumbíos (bombardamento e massacro in territorio ecuadoriano dell’accampamento del comandante Raúl Reyes), sebbene sia stata istituita per decisione del presidente Correa, in realtà ha rappresentato una domanda della società civile, autonoma dal governo, che non ha tardato a prendere una sua propria direzione. Intorno a questa commissione gravita l’USAID e nel suo seno hanno esercitato influenza le corrotte e contorte versioni di fattura colombiana.
 
Il suo rapporto non è stato pubblicato formalmente e non rappresenta la posizione del governo ecuadoriano. Solo alcuni frammenti dello stesso, con evidente mala intenzione, sono stati resi pubblici attraverso i mezzi di comunicazione di destra e le agenzie internazionali della stampa.
 
La citata Commissione non ha rispettato il tempo fissato per la sua pubblicazione e si è prestata a questa manovra che include elaborazioni dell’intelligence colombiana, della CIA e del Mossad. Il suo presidente Francisco Huerta ha fama di essere un opportunista ed evidentemente insieme ad altri membri della Commissione si è prestato a favorire versioni che sembrano provenire più dal governo colombiano che da quello ecuadoriano. In definitiva ha ingannato il suo proprio Stato.
 
In quel poco pubblicato in questo rapporto, abbondano le falsità e le mezze verità, anche molto pasticciate. Si tratta di un vero e proprio sgorbio che inizia ad essere contestato nel seno della società ecuadoriana e specialmente dalle persone calunniate.(*)
 
Tra i passaggi più diffusi ci sono quelli che mi citano e mi accusano, alcuni di essi usati dalle agenzie internazionali e ripresi dai mezzi di comunicazione dominicani.
 
Chiedono la mia testa : reiterano il proposito
 
Ripeto che questo non avviene a caso.
 
La macchina mediatica alimentata dai centri del potere della tragica alleanza colombiano-statunitense è tornata a rimettersi in moto contro la mia persona e contro altri dirigenti del nascente MCB, chiedendo le loro teste e il carcere.
 
Nel mio caso ho denunciato e diffuso molte informazioni precisando che il regime di Uribe, con l’appoggio del potere imperialista statunitense, vuole la mia testa, cioè è deciso ad uccidermi.
 
Ha cercato di farlo nel settembre del 2008 quando l’ex ambasciatore colombiano Juan José Chaux Mosquera (uno dei capi politici del paramilitarismo) e l’addetto militare di questa missione diplomatica, il capitano Manuel Hernández, per ordine di Montoya hanno tramato questo piano criminale con la luce verde dell’ambasciata americana, rappresentata dalla colombiana-statunitense Beatriz Arena.
 
Alcune settimane fa hanno reiterato il loro terribile proposito.
 
Lo stesso generale Montoya ambasciatore colombiano in Repubblica Dominicana e la stessa Beatriz Arena, consigliere dell’ambasciata degli Stati Uniti, hanno proposto all’attuale capo della Polizia Nazionale, generale Guillermo Guzmán Fermín, il quale muore dalla voglia di mandarmi all’altro mondo, una forma di “annientarmi”, di farmi scomparire dalla mappa. Questo è stato giustamente denunciato ma prima ne è stato informato   il presidente Fernández.
 
Fino ad ora sono vivo grazie all’ alto costo politico che rappresenterebbe il mio omicidio per il governo attuale, il cui presidente si limita a ripetere i rischi che corro e a promettere garanzie che non mantiene.
 
Leonel Fernández non ha il coraggio di agire e di mettere al loro posto i colombiani e gli statunitensi che partecipano attivamente a questa congiura, nonostante siano stati già segnalati con nome e cognome.
Al contrario gli sta dando la possibilità di organizzare, mettere a punto e disegnare piani repressivi e di contaminare con le loro mafie narco-paramilitari le strutture dello Stato e la società dominicana.
 
Operano impunemente in Haití e nella Repubblica Dominicana, vincolati a investimenti provenienti dal narco-lavaggio (più di mille milioni di dollari in totale), a gruppi imprenditoriali mafiosi e ai loro cartelli preferiti.
 
Leonel Fernández, i politici del PLD che gli ruotano intorno e una parte dei generali che lo appoggiano sono complici e beneficiari tanto di questi affari e di questi metodi sporchi come dell’appoggio politico derivato da quest’associazione a delinquere con i generali e le mafie colombiane. Per questo gli garantisce impunità per le loro malefatte.
 
Nel mio caso, Leonel e l’attuale capo della Polizia sono stati frenati dalla consapevolezza che entrambi hanno dell’enorme costo politico che rappresenterebbe per loro e per il governo il mio omicidio. Farò in modo che questo sia ogni giorno più grande.
 
Ciò nonostante, la cupola civile e militare colombiana, strumento degli Stati Uniti nella regione, non ha desistito da questo proposito. Questa nuova campagna criminalizzatrice evidenzia che continuano in questa strada e cerca di aumentare la sua offensiva annunciando misure legali, ordini di cattura e richieste di estradizione come quella contro il compagno venezuelano e presidente del Parlamento latinoamericano , Amilcar Figueroa.
 
 
Generali dominicani, compari    del generale Montoya
 
Nel mio caso il pericolo è maggiore perché fanno affidamento nel paese con forti connessioni a livello militare e della Polizia, incluso con l’attuale capo di questa, che si dimena tra il desiderio di contribuire al piano criminale e la coscienza delle sicure implicazioni catastrofiche dello stesso sulla sua “carriera” e sulla sua persona.
 
Questa “patata” è così calda che scotta. Non si tratta però, rispetto alle citate connessioni, ripeto, soltanto di lui, famoso per la sua durezza e vocazione criminale, meglio conosciuto come il capo dei “chirurghi” e il campione delle fucilazioni illegali. Nel suo caso si può dire “tale padre, tale figlio” ricordando il boom degli omicidi e le torture durante la direzione della polizia da parte di suo padre generale Guzmán Acosta, durante gli anni del terrore di Balaguer.
 
Ci sono altre connessioni colombiano-dominicane molto pericolose.
 
Esternamente alle strutture di polizia propriamente dette, a capo dell’Autorità Metropolitana del Trasporto (AMET ma con forti legami con esse), agisce il generale Rafael Bencosme Candelier, forgiato nel crimine e nelle torture, coinvolto in ogni tipo di delinquenza commessa dal potere e associato direttamente alle narco-mafie.
 
Ex capo del potente Dipartimento di Investigazioni della Polizia Nazionale, Rafael Bencosme Candelier, è socio del suo attuale dirigente, generale Manuel Fructuoso, un altro della sua stessa risma, esperto in torture, prove false, abusi, angherie e associazione mafiosa. Gli antecedenti di ambedue si fanno risalire al lugubre Servizio Segreto (SS) della Polizia Nazionale nei governi di Balaguer, entità responsabile di omicidi e torture da far rabbrividire.
 
Ambedie hanno diretto l’operazione di polizia nella quale ho rischiato di perdere la vita a settembre dello scorso anno. Lo stesso capo della polizia, Guzmán Fermín, ha ammesso in riservatezza la partecipazione di Bencosme Candelier in questa operazione, cercando di evadere proprie responsabilità e di segnare la distanza con lui per i contrasti che li dividono. Bencosme gli altri generali sono coinvolti nel massacro di Paya, prodotto delle lotte tra le mafie colombiano-domenicane, realizzato per appropriarsi di un enorme carico di cocaina e di una ingente somma di danaro che ancora non sono stati recuperati.
 
I tre, per vie diverse hanno adesso una relazione “carnale” con Montoya. Sono i suoi compari in tutto e per tutto.
 
Montoya , come capo dell’esercito colombiano ha visitato clandestinamente il paese prima di essere ambasciatore e tra le sue missioni c’era quella di preparare il piano per uccidermi, missione che è rimasta a carico di Chaux Mosquera e Beatriz Arena. Il generale Freddy Padilla de León, attuale capo dell’esercito colombiano, ha seguito i preparativi e dopo una settimana in incognito è apparso annunciando un accordo di “cooperazione strategica” tra ambedue le forze armate.
 
In entrambe le occasioni il generale dominicano Ramón Aquino García, allora Segretario delle Forze Armate Dominicane e ora capo della Direzione Nazionale di Investigazioni (DNI) , vincolata alla CIA, si è prestato a favorire questi propositi, impegnandosi inoltre a “investigare” sui “vincoli” dominicani con l’insorgenza colombiana.
 
Aquino García si è alleato con il generalato mafioso colombiano ed è stato decorato due volte: ufficialmente ed extraufficialmente. In quest’ ultimo caso gli è stato   consegnato come prova di “amicizia” e “riconoscimento” il fucile del comandate fariano Martín Caballero, caduto in combattimento qualche anno fa.
 
Una vecchio legame con le mafie civili e militari colombiane ha avuto il Contralmirante Ventura Bayonet, ex capo della Direzione Nazionale del Controllo degli Stupefacenti (DNCD) e della Marina di Guerra, dove costituì gli “squadroni della morte”, fece fortuna e successivamente organizò il sicariato militare all’interno delle Forze Armate. Oggi è sottosegretario di questa istituzione nonostante le evidenze che lo vedono coinvolto nel massacro di Paya, nella protezione dei voli carichi di droga, nel traffico per mare della cocaina e nel contrabbando di alcolici.
 
Ed egli è uno di quelli che è stato a favore del mio omicidio.
 
Va precisato che una parte dei capi della scorta presidenziale, tra i quali il generale Florentino y Florentino (socio del cartello Quirino e oggi capo del corpo di sicurezza della frontiera) e il proprio Aquino García hanno usato questa posizione per catapultarsi alle alte gerarchie delle Forze Armate e stabilire relazioni di complicità e associazione con le mafie civili e militari colombiane. Entrambe queste persone sono state ministri delle Forze Armate.
 
Tutti questi generali delle Forze Armate e della Polizia Nazionale sono compari dei generali colombiani, protetti da Leonel Fernández e pedine chiave nel processo di accelerazione nella conversione dello Stato Dominicano in “narco stato”, ciò che ha reso più facile e veloce per lui arricchirsi insieme agli alti gerarchi civili e militari del governo attuale.
 
Nessuno spazio alla paura
 
Questo quadro di degrado criminale non solo favorisce la trama delittuosa contro di me, ma soprattutto minaccia, se non si risponde ad esso con fermezza e coraggio, di consolidare (favorito dalla recente controriforma costituzionale) uno Stato narco-corporativo, espressione del potere dei vecchi e dei nuovi ricchi, che privatizza tutto il patrimonio nazionale ed è accompagnato da una forte impronta fascistoide mascherata da democrazia rappresentativa.
 
Rispetto a così infauste prospettive non è consentito avere paura spaventarsi, ma dobbiamo indignarsi, ribellarsi, e combatterle prima che sia troppo tardi. Denunciare la loro illegittimità e illegalità e mobilitare il paese per sventarle, ricostruendo lo Stato per mezzo di un processo costituente.
 
La paura deve essere vinta e allontanata. La nostra società è stanca di tanta criminalità di Stato associata alla delinquenza comune. Dobbiamo avere il coraggio di sfidarla fino a sconfiggerla definitivamente. La partecipazione del popolo a questa lotta di trascendentale importanza è l’unica cosa che garantisca la vittoria dell’onestà e della giustizia collettiva.

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(*) L’ Associazione dei genitori e familiari delle vittime di Sucumbíos ha espresso le stesse opinioni rispetto alla citata Commissione nel corso del loro viaggio in Ecuador, realizzato immediatamente dopo aver partecipato al Congresso del MCB di Caracas. Leggi qui.

 
traduzione di Annalisa Melandri
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Discorso di Hugo Chávez a Copenhagen

8 commenti

Signor Presidente, signori, signore, amici e amiche, prometto che non parlerò più di quanto altri non abbiano già fatto questo pomeriggio, ma permettetemi un commento iniziale che avrei voluto facesse parte del punto precedente discusso da Brasile, Cina, India e Bolivia. Chiedevamo la parola, ma non ci è stato possibile prenderla.
Ha parlato la rappresentante della Bolivia, e porgo un saluto al compagno Presidente Evo Morales qui presente, Presidente della Bolivia. Tra le varie cose ha detto che, ho preso nota, il testo che è stato presentato non è democratico, non è rappresentativo di tutti i paesi. Ero appena arrivato e mentre ci sedevamo abbiamo sentito il Presidente della sessione precedente, la signora Ministra, dire che c’era un documento da queste parti, che però nessuno conosce: ho chiesto il documento, ancora non lo abbiamo avuto. Credo che nessuno sappia di questo documento top secret.
Certo, la collega boliviana l’ha detto, non è democratico, non è rappresentativo, ma signori e signore: siamo forse in un mondo democratico? Forse il sistema mondiale è rappresentativo? Possiamo aspettarci qualcosa di democratico e rappresentativo nel sistema mondiale attuale? Su questo pianeta stiamo vivendo una dittatura imperiale e lo denunciamo ancora da questa tribuna: abbasso la dittatura imperiale! E che su questo pianeta vivano i popoli, la democrazia e l’uguaglianza! E quello che vediamo qui è proprio il riflesso di tutto ciò: l’esclusione.
C’è un gruppo di paesi che si reputa superiore a noi del sud, a noi del terzo mondo, a noi sottosviluppati, o come dice il nostro grande amico Eduardo Galeano: noi paesi travolti come da un treno che ci ha avvolti nella storia [sorta di gioco di parole tra desarrollados = sviluppati e arrollados = avviluppati NdT]. Quindi non dobbiamo stupirci di quello che succede, non stupiamoci, non c’è democrazia nel mondo e qui ci troviamo di fronte all’ennesima evidenza della dittatura imperiale mondiale. Poco fa sono saliti due giovani, per fortuna le forze dell’ordine sono state decenti, qualche spintone qua e là, e i due hanno cooperato, no? Qui fuori c’è molta gente, sapete?
Certo, non entrano tutti in questa sala, sono troppi; ho letto sulla stampa che ci sono stati alcuni arresti, qualche protesta intensa, qui per le strade di Copenaghen, e voglio salutare tutte quelle persone qui fuori, la maggior parte delle quali sono giovani. Non ci sono dubbi che siano giovani preoccupati, e credo abbiano una ragione più di noi per essere preoccupati del futuro del mondo; noi abbiamo – la maggior parte dei presenti – già il sole dietro le spalle, ma loro hanno il sole in fronte e sono davvero preoccupati. Qualcuno potrebbe dire, Signor Presidente, che un fantasma infesta Copenaghen, parafrasando Karl Marx, il grande Karl Marx, un fantasma infesta le strade di Copenaghen e credo che questo fantasma vaga per questa sala in silenzio, aleggia in quest’aula, tra di noi, attraversa i corridoi, esce dal basso, sale, è un fantasma spaventoso che quasi nessuno vuole nominare: il capitalismo è il fantasma, quasi nessuno vuole nominarlo. È il capitalismo, sentiamo ruggire qui fuori i popoli. Stavo leggendo alcune delle frasi scritte per strada, e di questi slogan, alcuni dei quali li ho sentiti anche dai due giovani che sono entrati, ho preso nota di due. Il primo è ‘Non cambiate il clima, cambiate il sistema’.
Io lo riprendo qui per noi. Non cambiamo il clima, cambiamo il sistema! E di conseguenza cominceremo a salvare il pianeta. Il capitalismo, il modello di sviluppo distruttivo sta mettendo fine alla vita, minaccia di metter fine alla specie umana. E il secondo slogan spinge alla riflessione. In linea con la crisi bancaria che ha colpito, e continua a colpire, il mondo, e con il modo con cui i paesi del ricco Nord sono corsi in soccorso dei banchieri e delle grandi banche degli Stati Uniti, si è persa il conto, per quanto è astronomico. Ecco cosa dicono per le strade: se il clima fosse una banca, l’avrebbero già salvato. E credo che sia la verità. Se il clima fosse una delle grandi banche, i governi ricchi l’avrebbero già salvato. Credo che Obama non sia arrivato, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace quasi nello stesso giorno in cui mandava altri 30mila soldati ad uccidere innocenti in Afghanistan, e ora viene qui a presentarsi con il Premio Nobel per la Pace, il Presidente degli Stati Uniti. Gli USA però hanno la macchinetta per fare le banconote, per fare i dollari, e hanno salvato, vabbhé, credono di aver salvato, le banche ed il sistema capitalista.
Bene, lasciando da parte questo commento, dicevo che alzavamo la mano per unirci a Brasile, India, Bolivia e Cina nella loro interessante posizione, che il Venezuela e i paesi dell’Alleanza Bolivariana condividono fermamente; però non ci è stata data la parola, per cui, Signor Presidente, non mi conteggi questi minuti, la prego. Ho conosciuto, ho avuto il piacere di conoscere Hervé Kempf – è qui in giro -, di cui consiglio vivamente il libro “Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta”, in francese, ma potete trovarlo anche in castigliano e sicuramente in inglese. Hervé Kempf: Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta. Per questo Cristo ha detto: E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Questo l’ha detto Cristo nostro Signore.
I ricchi stano distruggendo il pianeta. Pensano forse di andarsene su un atro pianeta quando hanno distrutto questo? Hanno qualche piano a tal proposito? Fino adesso nell’orizzonte della galassia non se ne vede nessuno come la terra. Questo libro mi è appena arrivato, me l ha regalato Ignacio Ramonet, che è anche lui qui presente, ho terminato il prologo ed il preambolo, questa frase è molto importante, Kempf dice quanto segue: “Non possiamo ridurre il consumo materiale a livello globale se non facciamo in modo che i potenti scendano di vari gradini e se non combattiamo la disuguaglianza. È necessario che al principio ecologista tanto utile al momento di prendere coscienza, pensare globalmente ed agire localmente, aggiungiamo il principio che impone la situazione: consumare meno e distribuire meglio”. Credo che sia un buon consiglio che ci da questo scrittore francese Hervé Kempf.
Bene, Signor Presidente, il cambiamento climatico è senza dubbio il problema ambientale più devastante di questo secolo, inondazioni, siccità, tormente, uragani, disgeli, innalzamento del livello del mare, acidificazione degli oceani e ondate di calore, tutto questo acuisce l’impatto delle crisi globali che si abbattono su di noi.  L’attività umana d’oggi supera i limiti della sostenibilità, mettendo in pericolo la vita del pianeta, ma anche in questo siamo profondamente disuguali. Voglio ricordarlo: le 500 milioni di persone più ricche del pianeta, 500 milioni, sono il sette per cento, sette per cento, seven per cento della popolazione mondiale.  Questo sette per cento è responsabile, queste cinquecento milioni di persone più ricche sono responsabili del cinquanta per cento delle emissioni inquinanti, mentre il 50 per cento più povero è responsabile solo del sette per cento delle emissioni inquinanti. Per questo mi sembra strano mettere qui sullo stesso piano Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti hanno appena 300 milioni di abitanti. La Cina ha una popolazione quasi 5 volte più grande di quella degli USA. Gli Stati Uniti consumano più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno, la Cina arriva appena ai 5,6 milioni di barili al giorno, non possiamo chiedere le stesse cose agli Stati Uniti e alla Cina.
Ci sono questioni da discutere, almeno potessimo noi Capi di Stato e di Governo sederci a discutere davvero di questi argomenti.  Inoltre, Signor Presidente, il 60% degli ecosistemi del pianeta hanno subito danni e il 20% della crosta terrestre è degradata; siamo stati testimoni impassibili della deforestazione, della conversione di terre, della desertificazione e delle alterazioni dei sistemi d’acqua dolce, dell’iper-sfruttamento del patrimonio ittico, della contaminazione e della perdita della diversità biologica. Lo sfruttamento esagerato della terra supera del 30% la sua capacità di rigenerazione. Il pianeta sta perdendo ciò che i tecnici chiamano la capacità di autoregolarsi, il pianeta la sta perdendo, ogni giorno si buttano più rifiuti di quanti possano essere smaltiti. La sopravvivenza della nostra specie assilla la coscienza dell’umanità. Malgrado l’urgenza, sono passati due anni dalle negoziazioni volte a concludere un secondo periodo di compromessi voluto dal Protocollo di Kyoto, e ci presentiamo a quest’appuntamento senza un accordo reale e significativo.
Voglio dire che riguardo al testo creato dal nulla, come qualcuno l’ha definito, il rappresentante cinese, il Venezuela e i paesi dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe, noi non accettiamo nessun altro testo che non derivi dai gruppi di lavoro del Protocollo di Kyoto e della Convenzione: sono i testi legittimi su cui si sta discutendo intensamente da anni. E in queste ultime ore credo che non abbiate dormito: oltre a non aver pranzato, non avete dormito. Non mi sembra logico che ora si produca un testo dal niente, come dite voi.
L’obiettivo scientificamente sostenuto di ridurre le emissioni di gas inquinanti e raggiungere un accordo chiaro di cooperazione a lungo termine, oggi a quest’ora, sembra aver fallito. Almeno per il momento. Qual è il motivo? Non abbiamo dubbi. Il motivo è l’atteggiamento irresponsabile e la mancanza di volontà politica delle nazioni più potenti del pianeta, nessuno si senta offeso, ricorrendo al grande José Gervasio Artigas quando disse: “Con la verità non temo e non offendo”. È davvero un atteggiamento irresponsabile di marce, di contromarce, di esclusione, di gestione elitaria, un problema di tutti e che solo possiamo risolvere collettivamente. Il conservatorismo politico e l’egoismo dei grandi consumatori, dei paesi più ricchi testimoniano di una grande insensibilità e della mancanza di solidarietà con i più poveri, con gli affamati, con coloro più soggetti alle malattie, ai disastri naturali, Signor Presidente, è chiaramente un nuovo ed unico accordo applicabile a parti assolutamente disuguali, per la grandezza delle sue contribuzioni e capacità economiche, finanziarie e tecnologiche, ed è evidente che si basa sul rispetto assoluto dei principi contenuti nella Convenzione.
I paesi sviluppati dovrebbero assumersi degli impegni vincolanti, chiari e concreti per la diminuzione sostanziale delle loro emissioni e assumere degli obblighi di assistenza finanziaria e tecnologica ai paesi poveri per far fronte ai pericoli distruttivi del cambiamento climatico. In questo senso, la peculiarità degli stati insulari e dei paesi meno sviluppati dovrebbe essere pienamente riconosciuta. Signor Presidente, il cambio climatico non è l’unico problema che colpisce la umanità, altri flagelli ed ingiustizie ci colpiscono, la forbice che separa i paesi ricchi da quelli poveri non ha smesso di crescere, nonostante tutti gli obiettivi del millennio, la riunione di finanziamento di Monterrey, tutte questi vertici, come diceva qui il presidente del Senegal, denunciando una grande verità, promesse e promesse incompiute ed il mondo continua nella sua marcia distruttiva.
Le entrate totali delle 500 persone più ricche del mondo sono superiore alle entrate delle 416 milioni di persone più povere, le 2800 milioni di persone che vivono nella povertà, con meno di 2 dollari al giorno e che rappresentano il 40 per cento della popolazione mondiale, ricevono solo il 5 per cento delle entrate mondiale. Oggi muoiono all’anno 9,2 milioni di bambini prima di arrivare al 5’ anno di vita ed il 99,9% di queste morti avvengono nei paesi più poveri. La mortalità infantile è di 47 morti per mille nati vivi, ma nei paesi più ricchi è solo 5 per mille. La speranza di vita mondiale è di 67 anni, nei paesi ricchi è di 79 anni, mentre in alcune nazioni povere è solo di 40 anni. Ci sono 1100 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, 2600 milioni prive di servizio di sanità, più di 800 milioni di analfabeti e 1020 milioni di persone affamate: ecco lo scenario mondiale. E ora, la causa, qual è la causa? Parliamo della causa, non evitiamo le responsabilità, non evitiamo la profondità del problema, la causa senza dubbio, torno all’argomento di questo disastroso scenario, è il sistema metabolico distruttivo del capitale e della sua incarnazione: il capitalismo.
Ho qui una citazione di quel gran teologo della liberazione che è Leonardo Boff, come sappiamo, brasiliano, che dice: Qual è la causa? Ah, la causa è il sogno di cercare la felicità con l’accumulazione materiale e il progresso senza fine, usando, per fare ciò, la scienza e la tecnica con cui si possono sfruttare in modo illimitato le risorse della terra; e cita qui Charles Darwin e la sua “Selezione Naturale” la sopravvivenza dei più forti, però sappiamo che i più forti sopravvivono sulle ceneri dei più deboli. Rousseau, dobbiamo ricordarlo sempre, diceva che tra il forte ed il debole la libertà opprime, per questo l’impero parla di libertà, è la libertà di opprimere, invadere, assassinare, annichilare, sfruttare, questa è la sua libertà, e Rousseau aggiunge la frase salvatrice: solo la legge libera.
Ci sono alcuni paesi qui che stanno giocando affinché non ci sia alcun documento, perché non vogliono una norma, perché l’inesistenza di questa norme permette loro la libertà si sfruttare, la libertà di travolgere gli altri. Facciamo uno sforzo e facciamo pressione qui, nelle strade, affinché si realizzi questo impegno, esca un documento che impegni i paesi più potenti della terra.Bene, si domanda Leonardo Boff. Avete conosciuto Leonardo Boff? Non so se è presente qui, l’ho conosciuto poco tempo fa in Paraguay, lo abbiamo sempre letto. Può una terra finita sopportare un progetto infinito?
La tesi del capitalismo, lo sviluppo infinito, è un modello distruttivo, accettiamolo. Dopo Boff ci domanda: Che possiamo aspettarci da Copenhagen? Solo questa semplice confessione: così come ci troviamo non possiamo continuare, ed un proposito semplice, andiamo a cambiare la rotta, facciamolo, ma senza cinismo, senza menzogne, senza doppie agende, senza documenti prodotti dal nulla, con la verità davanti a noi.
Fino a quando ci chiediamo dal Venezuela, signor Presidente, signore, signori, fino a quando andiamo a permettere simili ingiustizie e disuguaglianze; fino a quando andiamo a tollerare l’attuale ordine economico internazionale e i meccanismi di mercato vigente, fino a quando andiamo a permettere che grandi epidemie come l’HIV AIDS colpiscano la popolazione intera; fino a quando permetteremo che gli affamati non possano alimentarsi, ne nutrire i propri figli; fino a quando andiamo a permettere che continuino a morire milioni di bambini per malattie curabili, fino a quando andiamo a permettere conflitti armati che massacrano milioni di esseri umani innocenti, con il fine di appropriarsi delle risorse degli altri popoli da parte dei potenti? Noi popoli del mondo chiediamo agli imperi, a quelli che pretendono di continuare a dominare il mondo e noi, chiediamo loro che finiscano le aggressioni e le guerre. Niente più basi militari imperiali, né colpi di Stato, costruiamo un ordine economico e sociale più giusto e equitativo, sradichiamo la povertà, freniamo subito gli alti livelli di emissioni, arrestiamo il deterioramento ambientale ed evitiamo la grande catastrofe del cambiamento climatico, integriamoci nel nobile obiettivo di essere tutti più liberi e solidali.
Signor Presidente, da quasi due secoli, un venezuelano, libertador di nazioni e precursore di coscienze ha lasciato per la posterità un apoftegma pieno di volontà: “Se la natura si oppone lotteremo contro di lei e fare in modo che ci obbedisca…” era Simón Bolívar, el Libertador. Dal Venezuela Bolivariano, dove un giorno come oggi da circa dieci anni, dieci anni esatti viviamo la tragedia climatica più grande della nostra storia: la tragedia di Vargas così chiamata, da questo Venezuela che tenta con la sua Rivoluzione di conquistare la giustizia per tutto il suo popolo.
Il solo cammino possibile è quello del socialismo, il socialismo, l’altro fantasma del quale parlava Carlo Marx, anche questo aleggia da queste parti, il socialismo, questa è la rotta, questa la direzione per la salvezza del pianeta, non ho il ben che minimo dubbio, ed il capitalismo è il cammino dell’inferno e della distruzione del mondo.Il socialismo, da questo Venezuela, che per questo è minacciato dall’impero nordamericano. Dai paesi che conformano l’ALBA, la Alleanza Bolivariana esortiamo, lo dico con rispetto, però dal profondo della mia anima, a nome di molti su questo pianeta, esortiamo i governi ed i popoli della Terra, parafrasando Simón Bolívar, el Libertador: se la natura distruttiva del capitalismo si oppone, dunque lotteremo contro essa e faremo in maniera che ci ubbidisca, non aspettiamo con le braccia conserte la morte dell’umanità.
La storia ci chiama all’unità e alla lotta. Se il capitalismo ci oppone resistenza, noi siamo obbligati a dar battaglia contro il capitalismo ed aprire il cammino alla salvezza della specie umana, tocca a noi alzare le bandiere di Cristo, de Mahoma, della uguaglianza, dell’amore, della giustizia, dell’umanismo, del vero e più profondo umanismo. Se non lo facciamo, la più bella creazione dell’universo, l’essere umano, sparirà, sparirà.
Questo pianeta è vissuto migliaia di milioni di anni, e questo pianeta è vissuto per migliaia di milioni di anni senza di noi, la specie umana: non ha bisogno di noi per esistere. Bene, noi senza la Terra non viviamo, e stiamo distruggendo la Pachamama, come dice Evo e come dicono i nostri fratelli aborigeni del Sudamerica.
In conclusione, signor presidente, solo per concludere, ascoltiamo Fidel Castro quando dice: una specie è in pericolo di estinzione, l’essere umano. Ascoltiamo Rosa Luxemburg, quando dice: Socialismo o barbarie.
Ascoltiamo Cristo il redentore quando dice: Benvenuti i poveri perché loro sarà il regno dei cieli. Signor presidente, signore e signori, dobbiamo essere capaci di non fare di questa terra la tomba dell’umanità, ma facciamo di questa terra un cielo, un cielo di vita, di pace, di pace e fratellanza, per tutta la umanità, per la specie umana. Signor presidente, signori, mille grazie e buon appetito.   

[trad. dal castigliano RPTA/Italia – www.redportiamerica.com]

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