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A volte le strade si trasformano
in visioni di inquietudini,
strani filmati di deliri sociali.
Il guscio reclama il nucleo ribelle e fuggitivo.
Vedo e sento fredde solitudini
scontrarsi con la mia.
Rincorro semafori in sequenza
e il sogno indefinito del riposo.
Il racconto commosso e indignato dei familiari dei giovani studenti messicani massacrati insieme ad altre 25 persone nel corso del bombardamento notturno avvenuto contro un accampamento delle FARC in Ecuador il 1 marzo 2008 da parte dell’esercito colombiano in sinergia con forze statunitensi e apparati dell’intelligence israeliana. In spregio a ogni trattato internazionale tra Stati e al Diritto Umanitario.
La Colombia di Uribe tra i giganti dell’America Latina
nella violazione dei diritti umani e sindacali!
Mercoledì prossimo (25 novembre) si terrà un convegno organizzato dalla cattedra di Geografia economica di Scienze politiche dal titolo “La Colombia di Uribe tra i giganti dell’America Latina”.
L’unico campo in cui la Colombia è gigante in America latina è quello della violazione dei diritti umani e sindacali:
49 sindacalisti assassinati nel 2008
4.100.000 profughi interni (fonte: ACNUR) su 45.000.000 abitanti, 227.127 solo nel 2008 (fonte: Presidenza della Repubblica)
Più di 7200 prigionieri politici (fonte: CPDH)
900 persone torturate negli ultimi 5 anni, nel 50,6% dei casi da agenti statali, nel 42% dei casi con la complicità di agenti statali (casi noti, fonte: CCCT)
più di 1400 persone uccise dall’esercito e denunciati come come guerriglieri caduti in combattimento per mostrare risultati militari tra 2007 e giugno 2009 (casi noti, fonte: MOVICE)
Con la scusa del conflitto e del narcotraffico l’esercito colombiano uccide civili, tortura, minaccia ed appoggia le milizie paramilitari per sostenere la rapina delle risorse naturali da parte delle multinazionali e lo sfruttamento dei lavoratori.
A tenere la conferenza sarà l’ambasciatore colombiano in Italia Sabas Pretelt de la Vega: come ministro dell’interno di Uribe (2002–2006) ha ideato e applicato la Legge di giustizia e pace per la smobilitazione delle bande narco-paramilitari, una legge che ha garantito alla maggior parte di loro di non scontare nessuna pena per i crimini commessi e di conservare le terre espropriate con la violenza. Dopo la finta smobilitazione, gli squadroni della morte operano ora sotto il nome di Aguilas Negras, i capi paramilitari estradati per narcotraffico negli Stati Uniti hanno confessato i loro accordi con molti uomini politici e imprenditori legati al governo Uribe.
Nonostante dal 2002 gli Stati Uniti abbiano erogato alla Colombia più di 6.000.000.000 di dollari di finanziamenti militari attraverso il Plan Colombia la produzione di coca è rimasta superiore alle 600 tonnellate annue, primo paese produttore al mondo, e le fumigazioni selvagge hanno colpito soprattutto le coltivazioni legali.
CONTESTIAMO UN GOVERNO ASSASSINO CHE GIUSTIFICA CON LA LOTTA
AL NARCOTRAFFICO UNA SPESA MILITARE (11 miliardi di dollari)
PIÙ ALTA DI QUELLA PER L’ISTRUZIONE
mercoledì 25 novembre 2009 ore 17.00 aula B, facoltà di Scienze politiche
Università di Roma La Sapienza (piazzale Aldo Moro 5)
Comitato “Carlos Fonseca”
Ricevo da parte di Marisa Masucci la petizione in italiano e qui in spagnolo da inoltrare alle autorità peruviane in difesa dei diritti dei prigionieir politici, violati pesantemente con la recente approvazione da parte del governo della nuova legge che regola le condizioni carcerarie.
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Negli ultimi tempi si sta verificando in Perù una serie di eventi che, con il pretesto della lotta al terrorismo, stanno rendendo sempre più difficile la condizione dei prigionieri politici, mediante un irrigidimento delle leggi e il ritorno a condizioni di detenzione che, con il crollo della dittatura fujimorista e dopo il lavoro effettuato dalla Commissione della Verità e Riconciliazione, sembravano dovere essere superate definitivamente. A ciò contribuisce senza dubbio la campagna di demonizzazione dei prigionieri ed degli ex-prigionieri politici realizzata dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione, mediante la quale si diffonde la preoccupazione che la loro liberazione possa contribuire ad ingrossare le fila dell’insorgenza armata, nonostante ad oggi non esista alcuna evidenza dell’incorporazione nei gruppi armati attualmente operanti di ex prigionieri politici che hanno ottenuto la libertà.
Nelle scorse settimane è stata approvata una legge che prevede l’abolizione dei benefici penitenziari, grazie ai quali era possibile, attraverso la realizzazione di attività di studio e di lavoro condotte in carcere, ottenere la libertà dopo avere scontato i tre quarti della pena. Bisogna sottolineare che si tratta di persone che si trovano in condizioni di detenzione dai primi anni novanta, con condanne che oscillano tra i 15 e i 30 anni di reclusione.
Il 13 ottobre scorso, inoltre, 36 prigionieri politici, appartenenti a Sendero Luminoso, al Movimiento Revolucionario Túpac Amaru ed ai nazionalisti, che avevano richiesto un miglioramento delle condizioni carcerarie dopo le ultime restrizioni nell’erogazione di servizi minimi (acqua, luce, alimenti e cure mediche), sono stati trasferiti dal carcere Miguel Castro Castro di Lima ad altri istituti di detenzione, tra cui quello di massima sicurezza di Piedras Gordas (costruito per detenuti di alta pericolosità e in cui vige un sistema penitenziario molto duro) e quello di Cañete, ubicato a diverse centinaia di chilometri dalla capitale. A questo si aggiunge che viene loro negata la possibilità di lavorare e di studiare, con il pretesto che tali attività non sono più necessarie, essendo stati aboliti i benefici penitenziari. Tutto ciò, oltre ad allontanarli dalle loro famiglie, rendendo di fatto impossibile ricevere le visite settimanali a cui in teoria hanno diritto, li priva di diritti fondamentali per la persona umana, quali l’accesso alla cultura e all’attività lavorativa.
A rendere ancora più inaccettabile questo trattamento, che ha tutto il sapore di una vendetta a danno di indifesi, ci sono le notizie riguardanti le condizioni di detenzione dell’ex presidente della repubblica del Perù, Alberto Kenya Fujimori, condannato per crimini di lesa umanità (torture, sparizioni di persone, esecuzioni extragiudiziarie), che viene ripreso mentre passeggia fuori dall’edificio penitenziario dove dovrebbe trovarsi recluso e nel quale gli viene permesso di ricevere visite giornaliere senza alcuna limitazione di orario, trasformando di fatto il suo luogo di detenzione in un centro di coordinamento politico. Di fronte a tali evidenze le autorità penitenziarie si sono giustificate considerandole parte del programma per il suo reinserimento nella società civile.
Appare doveroso manifestare indignazione nei confronti di tutto questo, chiedendo, oltre a una uguaglianza dei trattamenti per tutti i cittadini peruviani, la reintroduzione dei benefici penitenziari, la garanzia di condizioni di vita accettabili all’interno delle carceri e il ritorno dei 36 prigionieri politici nel carcere da cui sono stati trasferiti.
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PETIZIONE ALLE AUTORITA’ PERUVIANE IN DIFESA DEI DIRITTI DEI PRIGIONIERI POLITICI
Al Sig. Presidente della Repubblica del Perù – Alan García Pérez
Jirón de la Unión s/n cuadra 1
Lima
Al Sig. Ministro della Giustizia del Perù – Aurelio Pastor
Carlos Tenaud cuadra 3 s/n
Miraflores , Lima 18
Al Sig. Direttore dell’INPE (Istituto Nazionale Penitenziario) — Jorge León Ballén
Jirón Carabaya N° 456 – Lima
Stimati Signori,
Apprendo con preoccupazione che negli ultimi tempi si stanno verificando eventi di cui sono vittima i prigionieri politici peruviani. Dopo l’entrata in vigore della legge che li priva della possibilità di godere dei benefici penitenziari, 36 di loro, dopo avere richiesto un miglioramento delle condizioni carcerarie minime (diminuzione delle restrizioni nell’erogazione di acqua, luce, alimenti e cure mediche), sono stati trasferiti improvvisamente dal carcere di Lima Miguel Castro Castro a quello di massima sicurezza di Piedras Gordas e ad altri istituiti penitenziari lontani da Lima. So inoltre che, dopo l’abolizione dei benefici penitenziari, si è verificato un irrigidimento delle condizioni di detenzione, come il divieto di dedicarsi ad attività di studio e di lavoro.
Allo stesso tempo vengo a conoscenza del fatto che l’ex presidente della Repubblica, Alberto Kenya Fujimori, condannato per crimini di lesa umanità, ha libero accesso all’esterno dell’edificio penitenziario in cui dovrebbe trovarsi recluso e riceve quotidianamente visite senza limiti di orari.
So che la costituzione del Perù considera diritto fondamentale della persona l’uguaglianza di fronte alla legge e ritengo che la cultura, il lavoro, la salute e l’alimentazione siano diritti inalienabili della persona umana.
Ritengo infine che una società giusta debba considerare la detenzione non una vendetta ma una via per il reinserimento nella società civile e mi augurio che l’irrigidimento delle condizioni di detenzione dei prigionieri politici e la disparità di trattamento tra i cittadini della Repubblica non allontanino il Perù da un cammino di riconciliazione che gli permetterebbe di sanare ferite profonde.
Chiedo quindi la reintroduzione dei benefici penitenziari e il ritorno dei 36 detenuti politici al carcere di Castro Castro , oltre alla garanzia di condizioni di vita accettabili all’interno delle carceri peruviane.
Nella certezza di ottenere il vostro interessamento su quanto sopra esposto, trattandosi di giustizia e di umanità, ringraziando, porgo distinti saluti
Nome e Cognome
Indirizzo
Paese
INPE (Instituto Nacional Penitenciario):
Nella parte inferiore della pagina: “quejas y sugerencias” (reclami e suggeriementi) bisogna compilare i seguenti campi:
Nombres: nome/i di battesimo
Apellido paterno: cognome
Apellido materno: sarebbe il cognome della madre, che in Italia non abbiamo. Trattandosi di un campo obbligatorio, è necessario riempirlo, anche solo con una lettera dell’alfabeto
Correo: indirizzo e-mail
Oficina regional: Instituto Nacional Penitenciario
Hechos: incollare il testo della petizione in spagnolo
ENVIAR: INVIARE
PRESIDENCIA DE LA REPUBLICA
Pagina “Cartas al presidente” (lettere al presidente)
Nombres: nome/i di battesimo
Apellidos: cognome
Fecha de nacimiento: data di nascita
Documento de identidad: documento d’identità
Dirección: indirizzo
Ciudad o comunidad: città
Provincia: provinvia
País: Italia
Correo electrónico: indirizzo e-mail
Motivo del mensaje: denuncias
Mensaje: incollare il testo della petizione in spagnolo
ENVIAR: INVIARE
Al Sr. Presidente de la República del Perù – Alan García Pérez
Jirón de la Unión s/n cuadra 1
Lima
Al Sr. Ministro de Justicia del Perú — Aurelio Pastor
Carlos Tenaud cuadra 3 s/n
Miraflores , Lima 18
Al Sr. Director del INPE – Jorge León Ballén
Jirón Carabaya N° 456 – Lima
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Estimados Señores,
observo con preocupación que en los últimos tiempos se vienen dando circunstancias de las cuales son víctimas los presos políticos peruanos. Después de la promulgación de la ley que elimina los beneficios penitenciarios, 36 de ellos, después de haber pedido una mejoría de las condiciones mínimas de vida al interior de la prisión (reducción de las restricciones en el servicio de agua, electricidad, alimentación, atención médica) han sido transferidos de improviso del penal limeño Miguel Castro Castro al penal de máxima seguridad de Piedras Gordas y a otras cárceles lejos de Lima. Sé también que, después de la abolición de los beneficios penitenciarios, las condiciones de detención se han vuelto más rígidas, con la prohibición, por ejemplo, de dedicarse a actividades de estudio y trabajo.
Mientras que por otro lado soy testigo como el ex presidente de la República, Alberto Kenya Fujimori, condenado por crímenes de lesa humanidad, tiene la posibilidad de caminar libremente fuera de la cárcel donde debería de estar encerrado y sin embargo recibe sus visitas sin ninguna restricción.
Sé que la Constitución del Perù establece como un derecho fundamental de la persona la igualdad frente a la ley y creo que la cultura, el trabajo, la salud y la alimentación sean derechos inalienables de la persona humana.
Opino, en fin, que en una sociedad justa la detención no tenga que ser una venganza sino un camino para la reincorporación dentro de la sociedad civil y espero que el endurecimiento de las condiciones de detención de los presos políticos y la desigualdad en el trato entre los ciudadanos de la República no alejen al Perú del camino de reconciliación que permita sanar sus heridas profundas.
Por lo tanto pido la restitución de los beneficios penitenciarios, el retorno a la prisión de Castro Castro de los 36 presos políticos y la garantía de condiciones de vida aceptables dentro de las cárceles peruanas.
Con la certeza de obtener Vuestro interés por lo expuesto, por ser de justicia y humanidad, Les saludo agradeciéndoLes.
Nombre y Apellido
Dirección
País
di Renata Puleo
Liberazione
Il 21 settembre 2009 è il giorno in cui si celebra la commemorazione dei soldati morti a Kabul, Afghanistan. E’ anche l’inizio della vicenda surreale o iperrealista in cui mi trovo coinvolta. Verso la metà della mattina del 21, la mia collega, Simonetta Salacone, mi telefona e mi dice che sta girando una circolare ministeriale che invita (ribadisco: invita) le scuole ad osservare un minuto di silenzio in segno di lutto nazionale. Lei non l’ha ancora vista — in molte scuole arriverà nel tardo pomeriggio o il giorno dopo — ma ha deciso di non diffonderla in ogni caso, di convocare i docenti ad un collegio straordinario per il pomeriggio, di comunicare le sue decisioni all’Ansa. Mi dice che anche la collega della Marconi, Maria Letizia Ciferri non ha diffuso la circolare. Credo, ma potrebbe essere un ricordo deformato dai fatti successivi, che mi parli anche di bandiere esposte, di superficiali patriottismi di alcuni suoi docenti, di fascisti in strada. Da noi, tutto tranquillo. Venendo a scuola, lungo la strada non vedo le finestre impavesate col tricolore come ha chiesto il Governo, mentre sventolano alcune bandiere arcobaleno.
Non sono d’accordo sulla comunicazione alla stampa, non mi fido di come potrebbero fare strame del comunicato, è accaduto spesso in questi anni di contestazione e di lotta. E poi, credo che ogni atto politico debba tener conto delle condizioni, dei rapporti di forza. Io godo di prestigio nel mio piccolo ambito lavorativo, ma non basta per una battaglia ideale sulla pace e sulla guerra. Ci sono atti che si possono fare solo “in levare”, in esonero. Così non risponderò a nessuna richiesta di dichiarazioni che arriva di lì a poco da diverse testate e televisioni. Nel pomeriggio del 22 settembre, c’è una riunione ordinaria del Collegio docenti e apro la seduta comunicando la mia decisione. Gli interventi sono tutti a favore della mia inerzia, per via dell’intempestività della comunicazione contenente l’invito, per l’età dei bambini, per l’imbarazzo di parlare di una guerra non dichiarata, non dichiarabile. Chi non è d’accordo non si rivela.
Dal giorno successivo incalzano i fatti: a scuola circola un comunicato redatta dal direttore dei servizi amministrativi e da alcuni docenti che inizia con il richiamo all’art. 11 della Costituzione. Viene firmato dalla stragrande maggioranza di chi legge, ma nei giorni seguenti alcuni — per paura di ritorsioni o per altre motivazioni di cui non si viene a sapere — chiederanno di cancellare la firma. La stampa — come immaginavo — pubblica con grande risalto tutto ciò che attiene ai funerali solenni e alla nostra vergognosa disobbedienza, così decido di diffondere alle famiglie e al personale una breve nota in cui spiego le motivazioni del mio atto di inerzia. Lo manderò anche al presidente del Municipio XIX che non ha perso tempo, ha chiesto al consiglio di votare un ordine del giorno dai toni ingiuriosi che stigmatizza il mio comportamento e in cui chiede siano presi dal ministero provvedimenti disciplinari. Qualche giorno dopo verrà approvato a maggioranza, con il voto contrario del Pd e del Prc Nel frattempo, in alto, molto in alto, si chiede scusa alle famiglie dei soldati per il comportamento offensivo nei confronti del loro sacrificio, ad opera di alcuni dirigenti scolastici romani. Vengono presentate interrogazioni parlamentari alla Ministra Gelmini che assicura l’assunzione di provvedimenti contro i sediziosi.
Il 28 settembre, nel tardo pomeriggio, mi arriva al cellulare una telefonata dalla segreteria della Direzione regionale in cui mi si invita ad un colloquio con la Direttrice, chi chiama afferma di ignorarne il motivo. Ci andremo tutte e tre, il lunedì successivo, a distanza di mezz’ora l’una dall’altra. Simonetta Salacone ribadisce le motivazioni note, io dico che non amo la retorica patria, l’uso dei bambini come cifra della commozione nazionale ( il bambino con il baschetto e quello che accarezza la bara), Maria Letizia Ciferri sostiene la linea del guasto tecnico che le ha impedito di vedere e diffondere la circolare (verrà tenuta fuori dall’apertura del procedura disciplinare). Il colloquio è umiliante, non per me, ma per ciò che è costretta (ma forse ne è convinta ) a ribattere la Novelli (anche un bambino di due anni conosce il significato della morte) e per i due signori che assistono silenziosi, come due cortigiani. Saprò in seguito — dalla nota di contestazione — che si tratta di una mia collega e di un funzionario del Usp in funzione di testimoni. Arriva anche una richiesta scritta di chiarimenti a tutte e tre, in cui ciascuna di noi ribadirà seccamente che — in ogni caso — l’ invito non era disponibile in circolare. Arriva il 28 di ottobre la contestazione degli addebiti per me e per la collega Salacone. Per costruirla, in assenza di atti ufficiali, utilizzano le dichiarazioni che hanno carpito durante il colloquio informale (registrate, verbalizzate, a nostra insaputa?), le utilizzano fuori contesto, fanno uso di richiami alla fedeltà alla Nazione che noi avremmo tradito. Pur consapevoli che, al momento, nessun magistrato potrebbe dare loro ragione, si spingono a ventilare la risoluzione del nostro contratto.
A questo punto, alcuni colleghi sindacalisti più avvertiti di me, mi offrono una lettura della vicenda in linea con quanto sta predisponendo il Ministro Brunetta, il ripristino del giuramento per i pubblici funzionari, la messa in soffitta dell’autonomia, ecc, e dunque, all’agio che, comunque vada, questa storia fa loro. Quando i Cobas-scuola chiedono alla Direzione regionale di conoscere attraverso quale monitoraggio sia stata rilevata l’adesione all’invito-al-minuto-di-silenzio, visto che migliaia di scuole risulta non lo abbiano fatto, la risposta è semplicemente: nessuno. La Direzione regionale, il Ministero non ne hanno avuto bisogno se la tesi sostenuta dei colleghi sindacalisti è corretta. Basta un pretesto per far scattare la tenaglia.
Vedremo come andrà a finire. Ma intanto, ai miei colleghi che non hanno nemmeno dato uno sguardo alla circolare, a quelli che ne hanno chiesto l’osservanza “perché certi genitori di destra ci tengono”, a quelli che si sono affrettati a fare qualcosa quando l’aria si è fatta pesante, a chi ancora adesso non ci ha capito molto, va detto, state attenti. Non perdetevi i prossimi atti del tormentone. Ne va anche del vostro lavoro, della vostra autonomia, della possibilità che avrete in futuro di prendere decisioni discrezionali come prevede il contratto che avete firmato, ogni invito diventerà un ordine. Ne va dell’intera scuola pubblica. C’è in questa storia surreale o iperrealista, qualcosa che riguarda tutti.
La lettera che i lavoratori della Yamaha hanno scritto a Valentino Rossi non è altro che l’esemplificazione del fatto per cui ormai perfino la classe operaia agisce secondo schemi propriamente destrorsi.
Evidentemente si rassegnino coloro che si stavano entusiasmando di fronte a qualche timido segnale di ripresa dell’effervescenza delle dinamiche sociali. Non abbiamo ancora toccato il fondo.
Ma ci può essere di peggio?
Il delegare ad un singolo la soluzione de propri problemi, l’esaltazione delle potenzialità dell’uno che ha come contraltare soltanto il fallimento del tutto, rappresenta una dinamica antica nella quale si intravedono componenti di tipo religioso e di forte impronta conservatrice.
Il dio potente che può, magari ascoltando una preghiera, cambiare l’ordine delle cose; il faraone, investito di poteri sovrannaturali e venerato pertanto come una divinità; il mafioso o il boss al quale ci si rivolge perché risolva piccoli e grandi problemi; il latifondista, signore delle sue terre e di coloro che le lavorano, che con una mano frusta e con l’altra aiuta a rialzarsi; il parroco al quale si ricorre nei momenti di difficoltà; il divo dello spettacolo o l’asso sportivo che si immagina possa salvare il posto di lavoro.
Non la lotta organizzata, non il sindacato, non i compagni, non la società, non la solidarietà di classe.
L’egoismo, la dinamica individualista che traspare in tutto questo è quello che fa più male. Il non pensare che per 67 lavoratori per i quali può intercedere Valentino Rossi, ce ne sono milioni alle spalle dei quali c’è soltanto il nulla. L’anonimo e silenzioso nulla.
Tutti quelli che costruiscono anonimi oggetti di uso quotidiano, non rombanti moto o auto sportive. I lavoratori della FIAT, quelli di Termini Imerese che hanno occupato il Municipio per protesta contro la decisione dello stabilimento di portare la produzione della Lancia Ypsilon in Polonia a chi dovrebbero scrivere? All’anonimo rag, Mario Bianchi? O allo sconosciutissimo dr. Rossi che utilizza l’automobile tutte le mattine per recarsi in ufficio e che la sta pagando a rate infinite?
I lavoratori che hanno lasciato su questo blog alcune terribili testimonianze e che si trovano COMPLETAMENTE SOLI a combattere tra dolori, sofferenze e difficoltà per una miserabile rendita INAIL spettante di diritto a fronte di un infortunio sul lavoro, a chi dovrebbero scrivere? Lavoratori che oggi trovano come unica risorsa affidare la disperazione e la rabbia alla rete, in questo deserto creato ad arte, sì dal sistema, sì dal capitalismo, da tutti i mostri moderni che volete, ma con la criminale complicità di tutti quei dirigenti e politici di sinistra (di centro ed estrema), di quei sindacalisti che hanno creato il vuoto intorno alle braccia di questo paese. Criminali parassiti che ancora hanno il coraggio, oggi di chiamarsi opposizione, che ancora parlano di lavoro, di salari, di programmi politici, di sindacato. Che ancora hanno il coraggio di salire su di un palco davanti alla folla e ai quali ancora nessuno tira uova marce addosso, purtroppo.
Una volta il POTERE era operaio. Adesso il potere è la remissione assoluta dei propri destini e delle proprie vite nelle mani di un VIP.
Che brutta fine… RIORGANIZZATEVI, RIORGANIZZIAMOCI.
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Este es mi aporte al debate virtual sobre la convocación que hace la Agencia Bolivariana de Prensa por un Encuentro Internacional de Comunicadores y Medios Bolivarianos que se desarrollará en Caracas entre el 4 y 5 de diciembre.
Questo è il mio contributo al dibattito virtuale che precede l’ Incontro Internazionale di Comunicatori e Mezzi di comunicazione Bolivariani che avrà luogo a Caracas il 4 e 5 dicembre prossimo, promosso dall’Agencia Bolivariana de Prensa.
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Leo con sumo agrado el llamado que la ABP, la Asociación Bolivariana de periodistas de Estocolmo y la Red Radial Bolivariana
han hecho para la participación al Encuentro Internacional de Comunicadores y Medios Bolivarianos que se desarrollará en Caracas este 8 de diciembre.
Es evidente que en la conyuntura actual, de paso con el fortalecimiento del proceso revolucionario en América latina que confirma en la región una nueva ola progresista con gobiernos de izquierda o de centro izquierda, se observa en el mismo tiempo el fortalecimiento de fuerzas regionales de derecha que actúan conjuntamente con las de otros paises y con los centros del poder economico y político que han hecho por decadas de América latina su patio trasero.
Me refiero obviamente a los Estados Unidos pero no tenemos que hacer el error de subvalorar el rol siempre mayor que Europa tiene en este sentido, como fuerza contrarrevolucionaria capaz de contrasatar los nuevos procesos izquierdistas en América latina respondiendo a los interes de sus poderosas transacionales y grupos economico.
Los medios de comunicación siempre han estado al servicio del poder, desde ahora en adelante ellos tiene que responder solamente a los intereses de los pueblos y estar al servicio de la colectividad.
1. ¿Quién es y qué caracteriza al periodista y o comunicador bolivariano?
El comunicador o periodista bolivariano debe ser antes que todo “un hombre del pueblo” en el sentido que tiene que hacer propios los anhelos de libertad y justicia social de los pueblos. Sobre todo tiene que ser capaz “de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquier persona en cualquier parte del mundo”. Si esta es la “cualidad más linda de un revolucionario” debe también la cualidad fundamental de un comunicador social, la que hace de un simple periodista un periodista humanista. Un periodista bolivariano es entonces un guevarista de la comunicación. Él tiene que “hacer suyo” el pueblo: solamente de esta manera realizará la tarea fundamental de su misión que es la de ser testigo y constructor de la realidad en el mismo tiempo. Estamos cansados de periodistas al servicio del dinero, esclavos del capitalismo, objetivos y super partes. El periodista y el comunicador bolivariano absolutamente no pueden ser y no serán nunca objetivos e imparciales en sus miradas y denuncias. La palabra debe ser un arma al servicio de justicia y libertad.
2. ¿Cuál es y qué caracteriza al medio, escrito impreso, virtual, radial Bolivariano?
La caracteristica fundamental del medio bolivariano debería ser la de representar la “voz del pueblo” en el sentido que tiene que ser vocero de las luchas, de las demandas y de los deseos. Un medio bolivariano, cualquier sea, debe cumplir con su tarea fundamental que es la de “ser la voz de los sin voz”, de los ultimos, a quienes el capitalismo y el imperio niegan el derecho fundamental de partcipar a la vida social, política y economica. Un medio de comunicación bolivariano tiene que cumplir con las dos funciones esenciales de la actividad revolucionaria, o sea conjugar en el mismo tiempo teoría y praxis. Ser herramienta para los que acceden a la comunicacíón en el sentido de producir documentos, ensayos, estudios, promover debates y foros, ser centro de critica y debate sobre la socieda, la historia, la política, la economía y ser en el mismo tiempo motor y medio de difusión de acciones, iniciativas, eventos, huelgas, marchas, protestas, conciertos etc etc.
3. ¿Cuál es el papel de los medios alternativos en la lucha contra el poder imperial del capitalismo en crisis?
Es un papel prioritario para la profundización de la lucha contra el capitalismo. La comunicación, qué como escribe Dax Toscano hasta ahora ha sido una industria con única finalidad la de obtener una ganancia economica y beneficios políticos-ideológicos, tiene que transformarse desde ahora en una red creativa de espacios de autonomía de los pueblos respecto a los estados.
4. ¿Cómo funcionará la Asociación Bolivariana de Comunicadores y o periodistas Bolivarianos?
Debería desarrollarse como un trabajo redaccional, como una “redacción abierta” que tenga buena comunicación entre los miembros, donde se puedan dibatir las adhesiones, emitir comunicaciones a nombre de la Asociación, donde se puedan aprobar los artículos, donde dibatir los temas que necesitan más enfoque al momento, donde se decida que es lo prioritario que hay que profundizar. La batalla prioritaria es entonces liberar la información del rol de mercancía que le ha impuesto el capital.
5. ¿Cómo funcionara la Red de medios? ¿Deberá dividirse en radial, virtual y escrita?
Si seria buena esa división, con un responsable por cada sector. Además pudiera haber una divisíon por temas o por paises.
Es importante que los medios puedan relacionarse entre sí. Por ejemplo en eventos especiales o importantes (como fue el golpe en Honduras por ejemplo) se pueden realizar reportajes realizados en diferentes medios pero sobre el mismo tema.
6. ¿Cuáles son las tareas que deben emprenderse desde ya para echar a andar las dos propuestas?
El encuentro internacional de diciembre es muy importante. Se debería profundizar la comunicación entre los más activos en el proyecto. Se deberían realizar reuniones periodicas para seguir desde cerca el avance del proyecto.
Desde una mirada europea se debería profundizar el trabajo sobre la información y el terrorismo mediatico. Desde Europa quienes manejan un poco en temas latinoamericanos notan que hay en la informacíón que llega desde América latina unos huecos negros completamente olbidados y me refiero por ejemplo a la información sobre las cuestiones obreras y sindicales, sobre la crisis economica en la región, sobre la criminalización de la protesta social en algunos paises (por ejemplo Chile y Perú), sobre los movimientos estudiantiles. Hay que hacer el esfuerzo que estos temas lleguen hasta Europa y que vuelvan parte de la agenda de los grandes medios comunicativos mainstream. Se nececita por lo tanto profundizar una red de conexión y comunicación entre Europa y América latina. Sería importante que a la Asociación se sumaran periodistas europeos ya conocidos o latinoamericanos que viven y trabajan en Europa. Hay unos que ya desarrollan un trabajo muy bueno sobre todo en Francia y España. La unidad latinoamericana se realizará más temprano si en todo el mundo pudiera llegar una mirada justa sobre la política regional, sobre las luchas de los pueblos, sobre los crimenes de los halcones norteamericanos, sobre los juegos de poder en el que no puede ser más el patio trasero de nadie. La comunicación que llega desde América latina está filtrada todavía demasiado por una mirada eurocentrica que la falsa y la distorciona. En Europa por ejemplo se habla de Michelle Bachelet todavía cómo presidenta socialista y de izquierda, nadie sabe casi que Alan García cometió crimenes contra la humanidad en su primer gobierno, Chávez es siempre un dictador aún haya siempre sido elegido en libres elecciones, de Haití se desconoce completamente la situación, sobre el narcotrafíco en República Dominicana no llega nada, para no hablar de Colombia donde el narcoparapresidente es recibido con todos los honores en sus viajes. Nuestro compromiso se mide allá donde tenemos enemigos, donde los pueblos claman justicia, donde las madres lloran sus hijos desaparecidos, donde se tortura y donde falta la dignidad del hombre. Eso para que un día no lejano todos los pueblos hermanos de América latina puedan sumarse al sueño que fue de Simón Bolivar y que ahora es nuestro también.
Palazzo Valentini
Via IV Novembre 119/A
Sala del Consiglio
mercoledì 18 novembre 2009 - ore 17.00
Desaparecidos: Memoria e Giustizia
Il 18 novembre 2009 si svolgerà a Roma la prima Udienza del processo control’ex-Procutaore militare cileno Alfonso PODLECH riguardante l’omicidio dell’ex-sacerdote Omar Venturelli avvenuto a Temuco nel 1973.
Sempre il 18 novembre si terrà la seconda Udienza dibattimentale del processo contro l’Ammiraglio Emilio MASSERA che risponde per gli omicidi di Angela AIETA GULLO (nata a Cosenza nel 1921) e di Giovanni e Susana PEGORARO (oriundi di Verona).
MASSERA fece parte della Giunta che prese il potere il 24.3.1976 in Argentina ed è stato il padrone assoluto della caserma della Marina militare, ESMA sita nel centro di Buenos Aires, da dove sono passate 5.500 persone, delle quali 4.400 sono state uccise e buttate in mare con i “voli della morte”. Massera
Saluti di benvenuto:
Giuseppina Maturani
Presidente del Consiglio provinciale di Roma
Orlandino Greco
Presidente del Consiglio provinciale di Cosenza
Musiche:
Gabriel Aguilera
(compositore, liutaio e chitarrista cileno)
Letture:
Patricia Rivadeneira
(attrice cilena, responsabile Cultura IILA)
Carolina Di Monte
(attrice italo-argentina, figlia di desaparecidos)
www.24marzo.it
di Franca Pesce*
Nei giorni scorsi a Roma, nell’ambito del festival del cinema, è stato proiettato il film di Miguel Littin: “Dawson Isla 10″.
In quest’isola, a cui si era cancellato il nome e che veniva chiamata solo con il numero dieci, dopo il colpo di stato di Pinochet erano stati incarcerati i maggiori collaboratori del presidente Salvador Allende, con l’intento di emarginarli e di annientarli fisicamente e mentalmente.
La pellicola presenta la capacità di resistenza dei reclusi ai rigori del clima e della prigionia, la loro fierezza nell’esprimere quella dignità, che altri avrebbero voluto calpestare, la manifestazione dei valori morali, che li avevano portati a operare le loro scelte politiche, la loro determinazione nel coltivare la cultura con lo studio delle lingue e con la collaborazione reciproca in quell’ambiente così difficile ed ostile.
Mi ha colpito questa vicenda perché in questo momento in Perù, nazione confinante col Cile, altri uomini stanno vivendo un’esperienza, per alcuni versi, simile a questa.
In varie carceri del Paese i prigionieri politici, molti dei quali professionisti o in possesso di un elevato livello culturale, oltre ad aver partecipato ad attività gestite da operatori al servizio dell’amministrazione carceraria, producendo manufatti di ceramica, di sartoria, di pelletteria, o creando opere di pittura, scultura ecc., da tempo si sono organizzati dando vita a laboratori ed attività di vario tipo.
Essi infatti si sono dedicati all’apprendimento ed all’insegnamento delle lingue, hanno organizzato incontri con artisti, scrittori, professori, o commemorazioni di personaggi o di momenti significativi della storia e della cultura, svolgendo in tal modo una importantissima funzione educativa e sociale in un paese che ancor oggi discrimina ed emargina le classi più povere.
Per quanto ci riguarda più da vicino, dall’anno 2001 un prigioniero politico, condannato con l’accusa di appartenere all’MRTA, ha fondato ed organizzato un laboratorio per lo studio dell’italiano, il taller ” Papà Cervi”( operante in questi ultimi anni nel carcere Castro Castro” di Lima), superando le difficoltà causate dalla mancanza di mezzi, dagli ostacoli posti dall’amministrazione carceraria e dall’ambiente oggettivamente difficile e spesso ostile. Nonostante ciò, da tre anni il lavoro svolto dall’autodidatta ingegner Emilio Villalobos Alva, organizzatore ed insegnante del laboratorio, ha ottenuto il riconoscimento dell’Istituto Italiano di Cultura di Lima, che periodicamente ha inviato insegnanti a verificare e a valutare il livello di conoscenze raggiunte. Lo stesso direttore, dott. Renato Poma, nell’ottobre scorso si è recato in visita al taller in occasione della “Settimana della Lingua Italiana nel Mondo” , valorizzando la serietà e l’impegno dimostrato dagli studenti e dai professori-studenti. Molte altre sono state le iniziative ideate ed organizzate dal laboratorio “Papà Cervi”, come incontri culturali con la partecipazione di insegnanti ( come il prof. Maurizio Leva dell’Università “Sedes Sapientiae” di Lima), di artisti, o come la fondazione della biblioteca “Javier Heraud”, adiacente alla stanza delle lezioni.
Seguendo passo passo l’evolversi di quest’esperienza, ed essendomi recata ad estati alterne nel carcere “Castro Castro” di Lima ad insegnare italiano e latino nel laboratorio “Papà Cervi”, ho avvicinato un mondo inaspettato, carico di energie positive e ricco di esempi di collaborazione e dignità.
Attraverso gli esercizi a cui sottoponevo gli alunni, i dialoghi per ampliare la conoscenza e la fruizione dei vocaboli, la correzione dei loro elaborati, ho percepito la difficile realtà in cui molti di loro sono vissuti, il loro desiderio di riscatto, la volontà di apprendere, migliorarsi e rendersi utili alle loro famiglie.
Mi hanno accolta con atteggiamenti di rispetto e di attenzione, da tutti ho ricevuto affetto, amicizia e gratitudine.
Ho sperimentato così il valore del laboratorio, come la coerenza morale, la capacità di combattere le brutture di un sistema carcerario oppressivo, l’assimilazione e la condivisione di valori coltivati attraverso l’impegno e la cultura.
Purtroppo in queste ultime settimane dal Congresso del Perù sono state prese decisioni che aggravano la posizione dei prigionieri politici, non considerati più degni di accedere ai benefici penitenziari previsti dalla legge. Anzi, senza preavviso ed in modo arbitrario, il 14 ottobre, dieci di loro sono stati trasferiti in un altro supercarcere di massima sicurezza, quello di Piedra Gorda.
Tra loro c’era Emilio Villalobos Alva, che ha dovuto interrompere la sua attività al servizio dei compagni.
Pare che alcuni laboratori siano stati smantellati e che il clima si sia fatto oppressivo ed intimidatorio: nonostante si predichi da parte delle autorità di spirarsi a principi di “reinserimento” e di “rieducazione” dei carcerati, si tende a punire e a colpire.
Non è facile spiegare la complessa situazione di un paese difficile come il Perù.
Mi era stato detto, a proposito della figura dell’ex presidente Fujimori, ammirato da molti in quanto abile nello “sconfiggere il terrorismo”, ma attualmente condannato a causa di violazioni dei diritti umani:” Qui non è come in Europa: si può uccidere per fame o con le pallottole, è la stessa cosa.”
Io penso che si tenta anche di uccidere togliendo la speranza e impedendo di nutrire la mente con interessi culturali e l’animo con valori morali.
* insegnante d’ italiano presso il penale di Castro Castro in Perú