New York: 1 maggio dei migranti

0 commenti

Foto Stanley W. Rogouski


Venezuela e Palestina inaugurano relazioni diplomatiche

0 commenti

28 aprile 2009
Il governo di Caracas e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) hanno stabilito relazioni diplomatiche in via ufficiale.
Nicolas Maduro, ministro degli Esteri venezuelano e il suo omologo palestinese Riyad al Maliki hanno firmato nella capitale sudamericana il documento che sancisce “l’eterna e permanente solidarietà del popolo venezuelano alla giusta causa dei Palestinesi” ha detto Maduro.
Durante la cerimonia, Al Maliki ha ringraziato il presidente Hugo Chávez per il suo supporto ai civili della Striscia di Gaza durante l’offensiva militare israeliana ‘Piombo fuso’ che ha causato la morte di oltre 1400 persone, in seguito alla quale Caracas ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele.
Il ministro ha detto inoltre che “grazie al suo sostegno alla causa palestinese”, e al suo approccio “scevro di pregiudizi” Chávez è il “capo di stato più popolare nell’intero mondo arabo”.
La rappresentanza palestinese inaugurata per l’occasione a Caracas è una delle 10 missioni diplomatiche che l’Anp ha in tutta l’America Latina.

Álvaro Uribe in Italia: lettera alle istituzioni

4 commenti
Comitato italiano di solidarietà con il Popolo Colombiano
costituito in occasione della visita del Presidente Alvaro Uribe Vélez
( Roma, 30 aprile 2009 )
 
All’Unione Europea e agli Stati membri
Al Governo colombiano
Al Governo e ai gruppi armati
Al Governo italiano
(Presidenza del Consiglio, III Commissione Affari esteri e comunitari della Camera, Commissione per i diritti umani del Senato, Ministro Affari Esteri)
Agli organi istituzionali (Nazione Unite)
Al procuratore della Corte Penale Internazionale
Alla comunità internazionale
.
Roma, 27 aprile 2009
 
Noi, i sottoscritti firmatari, rappresentiamo Associazioni, Movimenti, Istituzioni ed Enti Locali, il cui lavoro è finalizzato alla difesa e promozione dei diritti umani e all’accompagnamento dei processi di costruzione di pace dal basso in Colombia. Sosteniamo pertanto con il nostro lavoro tutti i soggetti e i processi che in Colombia cercano una soluzione al conflitto non attraverso le armi, la violenza, il sopruso, che continuano a produrre soltanto morte, povertà e ingiustizia, ma attraverso l’azione non violenta e il rifiuto degli attori armati. La nostra profonda conoscenza della grave situazione che si trova a vivere il popolo Colombiano, derivante da molteplici e diversificate esperienze sul territorio, e le ultime denunce dei difensori dei diritti umani colombiani e della stampa internazionale ci spingono a far sentire la nostra voce, in occasione della visita del Presidente Uribe a Roma.
 
Nei prossimi giorni, il Presidente Uribe verrà in visita ufficiale in Italia e sarà ricevuto dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal Papa Benedetto XVI. L’incontro con il premier italiano, che lo ha formalmente invitato a partecipare come ospite dell’America Latina al prossimo G8 in Italia, è stato incentrato sui temi della sicurezza, della pace e della lotta al terrorismo. Silvio Berlusconi, che ha intenzione di presentare durante il G8 il libro Lo stato del mondo, che raccoglierà gli interventi di tutti i capi di Stato presenti al vertice, ha chiesto al Presidente Uribe di scrivere un contributo sul tema “La governabilità sotto la minaccia del terrorismo”. Inoltre, importanti accordi economici e commerciali sono in via di definizione tra i due Paesi, come testimoniato dal recente viaggio a Medellin di Letizia Moratti e di altri imprenditori italiani, avvenuto in occasione del vertice della Banca Interamericana dello Sviluppo.
 
L‘ambito in cui avverranno questi incontri ed i temi trattati sono in netto contrasto con quanto non solo da noi ricostruito, grazie al nostro lavoro di monitoraggio, sostegno e protezione dei diritti umani, ma soprattutto con quanto denunciato da numerose istituzioni e organizzazioni colombiane ed internazionali.
 
Considerato:
 
-          Che la Colombia continua ad essere immersa in un conflitto armato interno complesso e dalle molteplici sfaccettature, il cui effetto sui diritti umani rappresenta una sfida continua per la sopravvivenza della popolazione civile e per la garanzia di una vita degna;
 
-          Che nel contesto latinoamericano la Colombia si presenta come un vero e proprio laboratorio di violazione dei diritti umani fondamentali;
 
-          Che sono 300 mila i morti registrati negli ultimi 10 anni, metà dei quali avvenuti per mano dei paramilitari; 4000 i sindacalisti uccisi negli ultimi 20 anni, migliaia gli indigeni e i contadini sterminati nelle campagne di terrore e 4 i milioni di sfollati;
 
-          Che durante i due mandati del Governo Uribe è stato rilevato un aggravamento del conflitto;
 
-          Che la politica di sicurezza democratica e l’adozione di piani di militarizzazione (Plan Colombia e Plan Patriota) hanno l’obiettivo di controllare il territorio colombiano e di imporre la strategia di sviluppo forzato promosso dal Governo;
 
-          Che dal 2005 al 2007 sono stati denunciati 11.292 casi di uccisioni e sparizioni forzate e che, nello stesso periodo, si è registrata la cifra più alta di investimenti stranieri nella storia della Colombia (si è passati dai 3.786 milioni di dollari del 2005 a 10.085 milioni del 2007), a conferma del persistente legame tra piani di sviluppo, militarizzazione e violenza;
 
-          Che la criminalizzazione messa in atto da alti funzionari del Governo dei gruppi più vulnerabili, dei difensori dei diritti umani, delle comunità indigene, afrocolombiane e contadine e la persecuzione sistematica di ogni forma di denuncia e opposizione alle politiche promosse dallo Stato in materia sociale, lavorativa e di sicurezza, viene fatta rientrare all’interno del paradigma della lotta al terrorismo;
 
-          Che una dei più gravi crimini avallati dal Governo colombiano nell’ambito della politica di pace e di lotta al terrorismo è quello dei “Falsos positivos”,ovvero civili innocenti uccisi dall’Esercito e presentati come guerriglieri, che di certo non rispondono all’obiettivo della lotta alla violenza né contribuiscono al ristabilimento della legalità in Colombia;
 
-          Che la legge di Giustizia e Pace non ha virtualmente smantellato le strutture paramilitari delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), favorendone di fatto la loro perpetuazione sotto altre sigle e destinandole ad un effettivo controllo sociale, politico ed economico del territorio (regioni di Antoquia, Cauca, Chocò, Cordoba, Narino e Valle del Cauca);
 
-          debitamente indagato e processato gli autori dei crimini di lesa umanità avvenuti nel paese: delle 3.637 persone che dovevano essere indagate e processate, solo 1.626 hanno iniziato la prima fase processuale (dati al 31 dicembre 2008);
 
-          Che la legge di Giustizia e Pace ha favorito la formazione di nuovi gruppi paramilitari che perseguono lo stesso obiettivo delle precedenti AUC, ovvero il controllo sociale, politico ed economico dei territori occupati (regioni di Antoquia, Cauca, Chocò, Cordoba, Narino e Valle del Cauca);
 
-          Che si sta ostacolando il percorso normale della giustizia per chiarire i fatti riguardanti i rapporti tra paramilitari e Governo e la natura corrotta del sistema para-statale
 
-          Che l’estradizione di 13 dei più importanti capi paramilitari smobilitati ha messo a serio rischio la possibilità di ricostruire integralmente i fatti in cui questi erano coinvolti e di riconoscere alle vittime il diritto alla verità, giustizia e riparazione;
 
-          Che ogni negoziazione politica esige, come requisito principale, l’esistenza di posizioni divergenti e opposte, e che con la Legge Giustizia e Pace il Governo ha deciso di orientare il dialogo alle sole forze paramilitari che difendono lo stesso modello politico e sociale;
 
-          Che senza un adeguato riconoscimento del conflitto armato interno e dei gruppi guerriglieri come forze antagoniste non si potrà giungere ad un reale accordo di pace.
 
Per quanto finora espresso
 
CHIEDIAMO
 
All’ Unione Europea ed ai suoi Stati membri
 
  • Di riconoscere l’esistenza di un conflitto armato in Colombia, applicando cosi tutte le normative vigenti che regolano le relazioni con i paesi in guerra;
 
  • Di sospendere la vendita di armi e l’aiuto militare alla Colombia;
 
  • Di monitorare ed eventualmente sospendere la vendita da parte dei Paesi della UE di agenti chimici necessari alla trasformazione della coca in cocaina, nessuno dei quali viene prodotto in Colombia ;
 
  • Di attivare una efficace vigilanza sulle risorse destinate alla cooperazione con la Colombia, per garantire che non siano utilizzate per rafforzare l’apparato militare, per lo sfruttamento illegale ed illegittimo delle risorse naturali, in modo da non contribuire all’acutizzazione della guerra;
 
  • Di condizionare la cooperazione e gli accordi commerciali con la Colombia al rispetto dei diritti umani;
 
  • Di impegnarsi maggiormente nelle iniziative promosse dalla Società civile colombiana ed in modo particolare dalle Comunità in resistenza civile in favore della difesa integrale dei diritti umani.
 
 
Specificamente al Governo italiano e all’Ambasciata italiana a Bogotà
 
  • Di appoggiare la relazione solidale che espressioni organizzate della società civile italiana hanno con le Comunità in resistenza civile e le Organizzazioni che difendono i diritti umani in Colombia;
 
  • Di accertarsi prima dell’accredito in Italia dei futuri ambasciatori colombiani, della loro estraneità ai fatti sopra enunciati ed in caso contrario negare il placet necessario;
 
 
Ai Governi dell’Italia e della Colombia
 
  • Di attivare meccanismi che combattano efficacemente la relazione tra le organizzazioni criminali della ‘Ndrangheta italiana e paramilitari colombiani particolarmente attive nel traffico di droga ed armi tra i due paesi. Allo stesso modo, contrastare i possibili sostegni che, da istanze ufficiali, funzionari pubblici dei due Paesi potrebbero offrire a queste pericolose organizzazioni illegali.
 
 
Al Procuratore della Corte Penale Internazionale:
 
  • Di non rimandare oltre la sua decisione di aprire un’indagine sul caso Colombia.
 
 
Al Governo colombiano
 
  • Di accogliere e dare seguito in maniera concreta alle raccomandazioni formulate nel Rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Colombia (anno 2008) e nella sentenza del Tribunale Permanete dei Popoli su “Empresas transnacionales y derechos de los pueblos en Colombia, 2006–2008” (Bogotà, 21–23 luglio 2008);
 
  • Di riconoscere il conflitto interno e la guerriglia come forza belligerante;
 
  • Di attenersi ai principi del Diritto Internazionale Umanitario rispettando, senza alcuna eccezione, la vita, l’integrità della popolazione civile;
 
  • Di implementare qualsiasi misura per porre fine alle pratiche di esecuzioni extragiudiziali e intensificare la collaborazione con la Fiscalia general de la Naciòn per investigare, giudicare e sanzionare questi crimini e di individuare le misure necessarie per porre fine alla pratica dei Falsi Positivi ed attuare in maniera pertinente perché vengano puniti i responsabili di questi crimini;
 
  • Di astenersi dal segnalare come sostenitori del terrorismo i gruppi più vulnerabili della popolazione civile e i difensori dei diritti umani, includendo le organizzazioni sindacali e cessare immediatamente qualunque tipo di violenza e persecuzione contro di loro;
 
  • Di adottare misure preventive concrete per porre fine al problema del desplazamiento forzado;
 
  • Di garantire il diritto Costituzionale appartenente alle Comunità indigene ed afrodiscendenti alla proprietà collettiva dei loro territori ed inoltre ratificare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni;
 
  • Di impedire che le risorse naturali del Paese continuino ad essere sfruttate per il solo beneficio delle imprese multinazionali; rispettare il diritto del popolo colombiano a determinare il proprio modello economico e il proprio processo di sviluppo;
 
  • Di garantire il diritto alla verità, giustizia e riparazione delle vittime e combattere l’impunità con tutti i mezzi legali disponibili. Riconoscere la ricostituzione di nuovi gruppi paramilitari operanti in molte regioni del Paese e assicurarli alla giustizia;
 
  • Di accogliere con favore il lavoro svolto dalle organizzazioni sociali per i diritti umani con l’obiettivo di costruire politiche di accordo umanitario verso la soluzione negoziata al conflitto sociale e armato in Colombia.
 
Primi firmatari al 28 aprile 2009
 
A Sud Ecologia e Cooperazione Onlus, Comitato Carlos Fonseca, Comunità Cristiana di Base di Oregina di Genova, Associazione Narni per la Pace, Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive! Onlus, Comune di Narni, Annalisa Melandri, Partito della Rifondazione Comunista– Sinistra Europea, Vittorio Agnoletto Europarlamentare gruppo GUE/NGL, Partito dei Comunisti Italiani
 
Riferimenti:
href=“reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom“>reteitalianadisolidarietaatgmaildotcom
href=“annalisamelandriatyahoodotit“>annalisamelandriatyahoodotit
 

Silvio Berlusconi e Álvaro Uribe: Sì ai profitti, no ai diritti umani

12 commenti

“Stando alla lista dei guerriglieri uccisi, le FARC le abbiamo sterminate due anni fa”

Il Presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez incontra Berlusconi: SI AI PROFITTI, NO AI DIRITTI UMANI
 
Il  30 aprile 2009  il presidente della Colombia Álvaro Uribe sarà in Italia invitato ufficialmente dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 
Incontrerà il premier, ministri, imprenditori e, per finire, il Papa.
 
Tratteranno di accordi economici e commerciali, investimenti di capitali, relazioni bancarie e finanziarie tra i due paesi, già predisposti dal recente viaggio di Letizia Moratti e di altri imprenditori italiani a Medellin in occasione del vertice della Banca Interamericana dello Sviluppo. 
 
Ma non una parola sul rispetto dei diritti umani in Colombia, con un presidente, Uribe, a capo di un governo da molti definito “narco-fascista”. Un governo, quello colombiano, che si è macchiato e continua a macchiarsi di gravi crimini contro la popolazione colombiana come attestano numerose denunce fatte da Amnesty International, HRW ‚ ONU, ecc.
 
Il bilancio del governo di Álvaro Uribe dal 2002 (anno della sua prima elezione) ad oggi è negativo sotto ogni aspetto; quello dei diritti umani, quello della sicurezza del paese, quello economico, quello della soluzione del conflitto che insanguina la Colombia da più di 50 anni.
Uribe, appoggiato da Bush, ha imposto al paese la cosiddetta “politica di sicurezza democratica” che ha reso la Colombia un enorme campo di battaglia dove, nonostante la legge di smobilitazione dei paramilitari, conosciuta come legge di Justicia y Paz, questi si sono riorganizzati sotto diverso nome e ancora controllano ampi settori della società, della politica e dell’economia.
Basti pensare che il 30% dei membri del Parlamento colombiano sono inquisiti per narcotraffico e paramilitarismo.
 
Oggi molti paesi europei e perfino il congresso degli Stati Uniti minacciano di sospendere gli aiuti al governo colombiano per il recente scandalo dei falsi positivi, esecuzioni extragiudiziali commesse dall’Esercito colombiano: un vero e proprio crimine di Stato, per giustificare in termini di numeri e cadaveri la lotta contro il terrorismo.
 
Berlusconi inviterà Uribe al prossimo G8 per dare un suo contributo al tema “Governabilità sotto la minaccia del terrorismo” nel libro “Lo stato del mondo” che dovrebbe contenere contributi di tutti i capi di Stato presenti al G8.
PROFITTI E CAPITALI VI INTERESSANO …DIRITTI UMANI NO!!!
Di fronte a questa gravissima provocazione, noi della società civile e democratica italiana comunichiamo al presidente colombiano che siamo molto attenti a quanto avviene nel suo paese in merito al rispetto dei diritti umani da parte dello Stato e leviamo un monito al governo e agli imprenditori italiani di condizionare la firma di ogni accordo commerciale con la Colombia al rispetto dei fondamentali diritti umani e civili del popolo colombiano.
 
(Comitato di solidarietà con il popolo Colombiano)
Costituito in occasione della Visita del Presidente Colombiano, Alvaro Uribe Velez, in Italia
Prime adesioni: Comitato Carlos Fonseca, A Sud, Comunità cristiana di base di Oregina di Genova, Narni per la Pace, Rete Italiana di Solidarietà Colombia vive! , Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, Annalisa Melandri, Vittorio Agnoletto Europarlamentare gruppo GUE/NGL, Partito dei Comunisti Italiani
Info: href=“annalisamelandriatyahoodotit“>annalisamelandriatyahoodotit
 
 
 
 

Colombia: Il conflitto armato e la realtà del Sindacalismo

0 commenti
Mercoledì 29 Aprile 2009 Ore 18:00
 
LASCIATECI IN PACE
Colombia: Il conflitto armato e la realtà del Sindacalismo
 
Conferenza con
 
Patrizia Sacco
Coordinamento America Latina Amnesty International
 
Guido Piccoli
autore del libro Colombia, il paese dell’eccesso
 
Davide Cavazza
Responsabile del coordinamento CampagneUnicef Italia
 
a seguire
El Senor Monserrat e i coniugi Coca-Cola
Rappresentazione Teatrale di Livia Porzio e Giancalo Fares
con Livia Porzio
regia di Giancarlo Fares
 
Libreria Centro Culturale Bibli
Via dei Fienaroli ‚28
Trastevere Roma Tel 065814534
 
Ingresso Libero
 
Amnesty International costituisce una comunità globale di attivisti i cui principi sono la solidarietà internazionale, l’azione efficace per le vittime individuali, la copertura globale, l’universalità e indivisibilità dei diritti umani, l’imparzialità e l’indipendenza, la democrazia e il mutuo rispetto.
Amnesty si impegna concretamente per:- porre fine alle violazioni dei diritti umani: pena di morte, sparizioni, esecuzioni extragiudiziali, processi iniqui, tortura, violazioni dei diritti economici e sociali — difendere i diritti fondamentali delle vittime delle violazioni: prigionieri di coscienza, prigionieri politici, donne, minori, obiettori, rifugiati, sindacalisti
Per info: www.amnestylazio.it   href=“gr056atamnestydotit“>gr056atamnestydotit   Alessio cell. 338 4795737

Serata peruviana

0 commenti
 
L’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini, Comune di Roma (Gruppo Consigliere Aggiunto per le Americhe), in collaborazione con il Nuovo Cinema Aquila è lieta di comunicarVi che il 29 aprile ci sarà :
 
“La Serata peruviana” pro i terremotati latinoamericani (circa 200) dell’Aquila.
 
*Si accettano soltanto carte telefoniche, kit d’igiene personale e libri. Agli interessati a collaborare diversamente, possiamo dare il contatto diretto con i terremotati (tra cui alcuni feriti).
 
* Sarà presente il Comitato dei Terremotati peruviani.
 
Nuovo Cinema Aquila — Via Aquila, 66/ 74 - al Pigneto, VI Municipio–
 
Alle 18.30 Proiezione del film Paloma de papel
 
Di Fabrizio Aguilar, Perú, 2003, 87’, vo. spagnola sott. italiani
 
La morte di migliaia di peruviani, come attestano le stime ufficiali, risulta essere solo un pallido riflesso della grande ferita inferta al cuore di questo Paese. Paloma de papel è uno sguardo su ció che furono gli anni di terrore visto attraverso gli occhi di un bambino…
 
Ingresso: 5,00€
 
Ore 20.30 Documentario Estado de miedo/Stato di paura.
 
Di Pamela Yates, Paco de Onís e Peter Kinoy; Perù-USA, 2005, 120′, vo. spagnola sott. italiani
 
Il documentario descrive la violenza scatenatasi dalla guerra civile negli anni ’80 e ’90 in Perù. Il conflitto delle guerriglie di Sendero Luminoso, il Movimiento Túpac Amaru e i gruppi paramilitari creati in complicità con il governo peruviano, causarono più di 70.000 vittime secondo il rapporto della Commissione della Verità e Riconciliazione (CVR).
 
Estado de miedo è stato realizzato nel 2005, è stato proiettato in 156 paesi, tradotto in 48 idiomi, e ha ricevuto numerosi premi in festival internazionali.
 
Presenta il documentario: Fabio Meloni, direttore del Nuovo Cinema Aquila e Sonia Castillo, presidente dell’Ass. Nuovi Orizzonti Latini.
 
Interverranno: Prof. Stefano Tedeschi (Università “La Sapienza” di Roma), Madisson Godoy (consigliere aggiunto al Comune di Roma per Latinoamerica), e le sorelle Marishori e Schunita Ampatino rappresentanti dell’Etnia Asháninka– Perú.
 
Ingresso: 5,00€
 
Ringraziamo vivamente Skylight Pictures, il regista Fabrizio Aguilar e il sostegno dell’Edizione Gorèe.
 
Info: 3337548526 – 3490778070 — 0670614390
 
 
 
 

El día en que a Air France se le prohibió sobrevolar Estados Unidos

1 commento

Hernando Calvo Ospina

Leggi in italiano qui  di Stella Spinelli (Peace Reporter)
Hernando Calvo Ospina
 
2009-04-22
 
El vuelo de Air France, numero 438, proveniente de Paris, debía aterrizar en ciudad de México hacia las 18h de este sábado 18 de abril. Faltarían unas cinco horas para llegar a su destino, cuando la voz del capitán anuncia que las autoridades estadounidenses desautorizaban el paso de la nave sobre ese país.
El motivo: entre los pasajeros que colmábamos el avión viajaba una persona que no era bienvenida por motivos de seguridad nacional.
Pocos minutos después, la misma voz señala a los sorprendidos viajeros que nos debíamos dirigir a Fort de France, Martinica, porque el giro que tendría que tomar el avión para llegar a su destino era muy largo y el carburante no alcanzaría.
La escala en ese territorio francés del Caribe, sería sólo para reabastecer de combustible a la nave.
El cansancio era uno de los temas entre nosotros. Pero el central era, en voz baja, quién podría ser el pasajero «terrorista», pues si los «gringos» dicen eso «es porque debe de ser terrorista».
Revisando a los que estábamos en esa última sección del avión, dos pasajeros confirmaron que ahí no podría estar porque «ninguno tiene cara de musulmán».
De nuevo en el aire, y preparándonos para otras cuatro horas de viaje, llegó hasta mí quien se identificó como el copiloto. Como tratando de ser discreto me preguntó si yo era el «señor Calvo Ospina».
Le dije que sí.
«El capitán quiere dormir, por eso vine yo».
Y me invitó a que lo acompañara hasta la parte trasera del avión.
Y es ahí cuando me dice que soy el «responsable» del desvió de la nave. Quedé atónito.
Mi primera reacción fue preguntarle: «¿usted cree que soy terrorista?»
Me dijo que no, que por eso me estaba avisando. Y también me aseguro que lo extraño es que era la primera vez que esto le pasaba a un avión de AF.
Ya poco antes de llegar a Martinica, una de las azafatas me había asegurado que en once años de trabajo nunca le había ocurrido algo parecido.
El copiloto, por último, en esa breve conversación me pidió de no decirle a nadie, incluido al resto de tripulación. Le aseguré que no tenía la mínima intención de hacerlo.
Volví a mi asiento. Y quizás por nervios o realidad, empecé a notar que la tripulación pasaba más deseguido, reparándome con curiosidad.
Al aterrizar, y sin aun haber llegado al edificio del aeropuerto, una voz femenina pedía que el «señor Calvo Ospina» se presentara a un miembro de la tripulación apenas el avión se detuviera.
Así lo hice. El joven tomó el teléfono interno y llamó a alguien. Al colgar me dijo que no, que ya no me necesitaban, que podía bajar. Me dijo que sabia de mi problema y que me deseaba suerte.
En un instante, en dos pedazos de papel que arranqué de un periódico, escribí el teléfono de mi casa y los entregué a dos personas con quienes había charlado en el avión, diciéndoles que yo era el del «problema». Me aseguraron que llamarían (no lo hicieron o no entendieron mis números)
Pocos metros después de salir del avión, justo a la entrada del edificio, nos esperaban varios agentes de civil pidiendo documentos. Yo ya empezaba a sentir que la garganta se me secaba debido a los nervios. Presenté mi pasaporte, y me dejaron pasar.
Mientras hacía fila para pasar migración me di cuenta que varios hombres buscaban a alguien. Ellos estaban situados atrás de un ventanal, de vidrios transparentes, que estaba a pocos pasos de los agentes de migración, aunque a buena altura para divisar.
La fila fue lentísima. Iba, sin alternativa, para donde yo presentía que me esperaba lo peor. Pero ¿qué podía hacer ante ello? El escándalo de un hombre señalado como presunto «terrorista» por Estados Unidos no tendría mucha oportunidad de levantar la mínima solidaridad. Debía seguir: Nada debía, y sigo sin deber, ante mi conciencia.
Entonces noté que los tres o cuatro hombres que estaban atrás de ese ventanal me habían identificado. Observaban la pantalla de un computador y me miraban. Yo me hacia el indiferente.
Quien me pareció el jefe (y lo era), bajó para decir a los agentes de migración algo sobre mí. Por más que él disimulaba era imposible que no me diera cuenta, en especial cuando sabía que yo era el «culpable». Y los de migración, uno a uno, levantaban los ojos para encontrarse con los míos, pues ya no quería esconder que sabia que era yo a quien esperaban.
Llegó mi turno. Saludé amablemente al hombre, y de la misma manera me respondió. Miró al computador, escribió algo y me dijo que esperara un momento que necesitaba una «precisión» de mi pasaporte. Me pidió que lo siguiera. Así hice. Y me hizo entrar a una sala que estaba a un lado de aquella del vidrio. Un agente en uniforme estaba sentado escribiendo algo a su entrada. Apenas deposité mis dos maletines de mano, le dije que quería ir al baño. Me indicó donde estaba. Pasé por dos grandes salones semi-oscuros, notando que en cada uno habían dos personas durmiendo en el piso en colchonetas. El baño estaba sin luz. Oriné sin importar si lo hacia por fuera de la taza: no veía nada.
Volví y me senté en una de las sillas. Busqué un libro mostrando tranquilidad, pero la garganta seguía seca. Pocos minutos después llegó el mismo hombre que más había visto buscándome desde el ventanal. Me pidió que lo siguiera en tono muy amable. Y entramos a la sala del ventanal.
El se hizo atrás del escritorio, y me pido sentarme en una de las dos sillas. Me senté y ahí me di cuenta que otro hombre estaba atrás de mi, a mi izquierda y de pie. Una joven revisaba una computadora y documentos, alejada de lo nuestro.
Lo primero que me dijo el hombre es que no debía de estar preocupado, que solo querían tener algunas precisiones. Porque «cinco puntos de información», bases de datos, habían lanzado algunas informaciones sobre mí, y me lo mostró. Que necesitaban «simplemente» hacer un «resumen». En ese paquete que me mostró podían haber unas doscientas hojas, amontonadas en unos cinco grupos grapados.
Me calmé, se me olvidó la sequedad de la garganta. Y les dije: «pregunten lo que quieran, no tengo nada que esconder».
Me repitió que eran cosas simples, y breves, que después podría irme. Conociendo a la policía, tuve mis dudas.
Le pregunté que si en esa cantidad de hojas decía que yo era culpable de algo. El hombre que estaba de pie habló para responder que en verdad yo estaba ahí por pedido de las autoridades estadounidenses. Que yo debía de saber que después del 11 de septiembre (2002), los estadounidenses les habían aumentado el trabajo de «colaboración».
En ese momento les pregunté: «¿entonces soy yo el culpable del desvío del avión?»
Me dijeron que no, que ellos tenían entendido que ese desvío había sido una simple escala técnica.
Les dije que ellos sabían que no era así. Que el capitán del avión nos había dicho a todos los pasajeros que era por un pasajero.
Se sonrieron, se miraron y volvieron a las preguntas
Preguntaron mi nombre, fecha de nacimiento, lugar de residencia, etc. Nada de trascendental, o que no estuviera en mis documentos.
El oficial sentado me repetía que en pocos minutos podría irme sin problema
Las preguntas más «destacadas» fueron las que hizo el hombre que estaba de pie:
- «¿Es católico?», le respondí que no, pero que tampoco era musulmán, sabiendo lo «determinantemente peligrosa» en que se ha convertido esta creencia religiosa para ciertas policías.
- «¿Sabe usar armas?» Le respondí que la única vez que tuve una en mis manos estaba muy joven, y había sido una escopeta de caza que me tumbó al dispararla. Que ni siquiera había ido al servicio militar. Les precisé que mi «única arma era escribir, en especial para denunciar al gobierno estadounidense al que yo consideraba terrorista».
Se miraron, y el hombre que estaba sentado dijo algo que yo ya sabía: «esa arma a veces es peor que los fusiles y las bombas».
Me preguntaron el por qué iba a Nicaragua (al día siguiente) y expliqué que debía realizar un reportaje para Le Monde Diplomatique.
Me preguntaron por mi dirección personal, así como los teléfonos de casa y celular, los que dí sin la mínima duda.
Me preguntaron si tenía hijos. Respondí que una jovencita y un niño. Y el hombre que estaba de pie, que se había sentado a mi lado, me dijo con mucha calma, como todas sus frases: «qué bien que haya logrado la parejita. Eso es muy lindo» Y me pareció hasta honesto.
Eso fue básicamente el interrogatorio, que casi fue una charla. Las anotaciones del hombre sentado no llenaron una hoja. Las del otro oficial no llenaron una pagina de su libreta. Me pareció que este último trabajaba para una sección de inteligencia más especializada.
En ningún momento existió, de parte de esos dos oficiales, la mínima palabra agresiva o amenazante. Fueron muy amables y correctos.
Finalmente me devolvieron los documentos de identidad que habían fotocopiado. Y nos despedimos estrechando las manos.
Eran casi las dos de la madrugada del domingo 19 de abril del 2009.
A las 10h30 no tuve problema para abordar el avión a Managua.
Pero hoy sigo pensando que ello fue un sueño con algo de pesadilla. Sigo sin creer que fui el «culpable» del desvío de un avión 747 de Air France por el «temor» de las autoridades estadounidenses.
¿Cuánto costó eso? Sólo AF puede saberlo, pues además debía pagar hotel y comida de por lo menos la mitad de pasajeros que tenían correspondencia.
Fui testigo del cansancio de los pasajeros, en especial de los niños, y algunos de ellos empezaron a vomitar. Además del temor de los mayores al saber que entre ellos había un «terrorista».
También fui testigo de la tranquilidad del personal de la cabina ante mí (después supe que todos lo sabían). No me pareció que me hicieran culpable de un delito.
¿Hasta dónde va a llegar la paranoia de las autoridades estadounidenses? ¿Y por qué Air France y las autoridades francesas siguen guardando silencio hasta hoy?
 
 
 
 
Hernando Calvo Ospina es periodista y escritor colombiano, radicado en Francia
 
 

Febbre suina, situazione in Messico sempre più grave

0 commenti

Domani, 27 aprile alle ore 12 ne parlerà in diretta dal Messico  Matteo Dean su Rai News24 (video)
La situazione in Messico rispetto al dilagare della febbre suina sembra aggravarsi con il passare delle ore.
Come riporta il quotidiano La Jornada il numero dei morti in un solo giorno è passato da 62 a 81 e  i casi di persone che hanno contratto il virus da 1000 a 1324. Negli Stati Uniti sono già 11 quelli accertati, ma alcuni casi sospetti si registrano in Nuova Zelanda e probabilmente in Spagna.
In Messico l’epidemia sembra al momento concentrata nella zona del Distretto Federale, nello Stato delMessico e a San Luis Potrosí e la popolazione è invitata a non effettuare spostamenti all’interno del paese  se non strettamente necessari.
Il presidente Felipe Calderón ha già predisposto misure straordinarie, quali la chiusura delle scuole fino al 6 maggio prossimo, il divieto di celebrare messe e qualsiasi altra iniziativa pubblica dove si possa avere grande concentrazione di persone, la chiusura di bar e locali pubblici, l’orario di lavoro sarà ridotto di 4 ore e la gente è invitata a restare nelle proprie abitazioni senza uscire per evitare il rischio di contagio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità,  che in settimana terrà una riunione per fronteggiare lo sviluppo della febbre porcina ha dichiarato che la malattia ha il potenziale per trasformarsi in una pandemia.
.
Leggi anche :
Città del Messico, cittadinanza in quarantena di Matteo Dean da Città del Messico
 
 

Ruanda 1994, quindici anni fa il genocidio

1 commento

Ringrazio Antonello Mangano e l’ottima redazione di Terre Libere per la segnalazione.

Rimando al sito di Terre Libere per ogni approfondimento sull’argomento. Qui una pagina completa ed esauriente.

Quindici anni fa si compiva nel cuore dell‘Africa il terzo genocidio del Novecento, dopo quello di armeni ed ebrei. Emmanuel Murangira, il guardiano delle ossa di Murambi, la scuola dove, il 21 aprile del 1994, furono massacrati 50.000 ruandesi, racconta la sua drammatica esperienza di sopravvissuto a quel massacro accusando gli assassini e denunciando le responsabilità dell’Occidente … (leggi tutto)


Silvio Berlusconi e il 25 aprile

6 commenti

Vignetta Mauro Biani

Liberazione occupata
di Alessandro Portelli
23 aprile 2009

Avevamo un Presidente Operaio. Il terremoto ci ha regalato un Presidente Odontotecnico che aggiusta le dentiere alle anziane signore. Adesso, grazie ai buoni uffici di Franceschini, abbiamo anche un Presidente Partigiano che si prepara ad andare a celebrare il 25 aprile.

Io non capisco che bisogno c’era di insistere per regalare a Berlusconi un ennesimo palcoscenico. Berlusconi non viene il 25 aprile perché finalmente si è convinto che i partigiani avevano ragione, che la Costituzione non è bolscevica, e che la colpa delle Fosse Ardeatine è dei nazisti. No, viene il 25 aprile perché alla fine la bulimia prevale sull’ideologia: «Non lo lascio alla sinistra», ha detto. Come dire che non poteva sopportare che esistesse nella sfera pubblica uno spazio non occupato da lui e non definito dalla sua presenza.

Il migliore omaggio che potesse rendere alla Resistenza , Berlusconi lo faceva standosene in famiglia il 25 aprile. Era un modo per dire che l’antifascismo è una differenza. Non esclude nessuno, ma ridefinisce chi include.


Ora, il 25 aprile che viene non ridefinisce Berlusconi, ma è Berlusconi che venendo ridefinisce il 25 aprile. Vi ricordate quando dicevamo, ingenui e settari, che «la Resistenza è rossa e non è democristiana»? Bene, non il Presidente Partigiano ha già annunciato che verrà a spiegarci che non è né rossa (Deus avertat) ma non è nemmeno democristiana; verrà a spiegarci che i partigiani (quelli buoni) hanno combattutto affinché l’Italia fosse come l’ha fatta diventare lui.

Abbiamo già visto episodi abbastanza grotteschi in proposito, come l’intervista in cui nientemeno che La Russa, nostalgico di Salò, ci ha spiegato che la Resistenza va bene, ma quella dei comunisti no perché loro combattevano per lo stalinismo e non per la libertà. Che dobbiamo prendere lezioni di libertà da un simile figuro è segno di che disastri stanno succedendo al linguaggio, oltre che alle idee.
Ci fosse venuto di sua iniziativa, sarebbe un’altra cosa: sarebbe un segno di evoluzione, di riflessione, magari di ripensamento. Ma viene degnandosi di aderire all’insistente invito del «leader» dell’«opposizione», e io non vedo che bisogno ci fosse di insistere per offrire a Berlusconi un’ennesima piattaforma, un ennesimo spazio di esibizione.

Capisco l’idea di recuperarlo a una cultura democratica che nasce dalla Resistenza; ma questo recupero dovrebbe avvenire, se mai, sui contenuti e sui valori, non sulle cerimonie. Se no, tanto vale offrirgli anche il palco del Primo Maggio a San Giovanni, magari con il fido Apicella, e poi fregarci le mani dicendo che l’abbiamo recuperato al movimento operaio. Che, peraltro, in quanto Presidente Operaio, era già cosa sua.


Pagina 93 di 175« Prima...102030...9192939495...100110120...Ultima »