Venerdì 24 aprile alle ore 17.00
nella Sala della Pace Giorgio La Pira
della Provincia di Roma
Via IV novembre n. 119/a ( nei pressi di Piazza Venezia).
presentazione di un classico del pensiero pacifista
finalmente tradotto in italiano:
E. Krippendorff, LO STATO E LA GUERRA, Centro Gandhi Edizioni.
Insieme all’autore e al traduttore Francesco Pistolato
interverranno il sen. Salvatore Senese e il prof. Cesare Frassineti.
Ekkehart Krippendorff
LO STATO E LA GUERRA
L’insensatezza delle politiche di potenza
a cura di F. Pistolato
€ 30,00 [ISBN: 978–88-7500–018-9]
Il saggio dimostra come la nascita e la vita degli Stati moderni siano intimamente legati all’apparato militare. Il cemento ideologico che li unisce è il realismo politico, che Krippendorff, con una stringente e brillante argomentazione dimostra essere insensato, cioè frutto di una sostanziale stupidità, di un accecamento di cui soffrono i potenti a danno delle popolazioni che governano.
Il libro è un classico mondiale del pensiero pacifista che ci permette di riflettere su verità inconfessabili, sui fattori e le dinamiche storiche che portano alle guerre.
Nell’entusiasmo generale che ha accompagnato il Vertice delle Americhe di Trinidad e Tobago, è sfuggito agli osservatori internazionali che hanno seguito con trepidazione forse eccessiva l’incontro e la “storica” stretta di mano tra il neo presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello del Venezuela Hugo Chávez, che alcune ore prima, mentre i media internazionali si beavano di un’atmosfera festosa da inizio di nuovo mondo, all’aeroporto dell’isola venivano arrestati senza nessuna spiegazione alcuni rappresentati dei movimenti antagonisti sociali latinoamericani che erano appena arrivati per partecipare al contro Vertice dei Popoli, la risposta organizzata dei movimenti al Vertice istituzionale dei capi di Stato.
Le delegazioni fermate sono state quelle del Brasile, del Venezuela, di Cuba e di Porto Rico. Questi due ultimi paesi sono i due grandi esclusi dal Vertice delle Americhe, sebbene i riflettori come ogni anno siano accesi più sull’assenza di Cuba (che alla fine si trasforma di fatto in una grande presenza a livello mediatico) che su quella di Porto Rico.
Ai delegati di questi paesi, appartenenti a diverse associazioni latinoamericane sono stati sequestrati i passaporti e dopo essere stati trattenuti alcune ore in stato di fermo senza nessuna giustificazione né motivazione, sono stati rilasciati con la minaccia che se avessero organizzato qualunque tipo di manifestazione sarebbero stati arrestati nuovamente ed espulsi dal paese.
Diversamente è andata però ad uno degli appartenenti della delegazione di Porto Rico, le cui già note forme di protesta pacifiche ma spettacolari e di grande impatto hanno sempre riscosso grande simpatia. Alla notizia infatti dell’arrivo all’aeroporto del leader ambientalista Alberto de Jesús,alias Tito Kayak, militante del gruppo ambientalista Amigos del M.A.R (Movimiento Ambiental Revolucionario) la polizia locale di Trinidad e Tobago in sinergia con l’FBI ha preso contro di lui misure straordinarie e gravemente lesive della libertà di movimento e del diritto di protesta pacifica delle persone.
Tito Kayak è stato accolto al suo arrivo all’aeroporto di Trinidad e Tobago da un nutrito numero di poliziotti armati fino ai denti che lo hanno ammanettato appena sceso dalla scaletta dell’aereo davanti a tutti gli altri passeggeri.
“Non so perchè mi hanno arrestato” ha commentato Kayak. “”Non potevano permettere che la mia presenza in nessun modo rovinasse quello che si sarebbe celebrato il giorno dopo” ha detto in un’intervista.
Tito Kayak da anni porta avanti una lotta del tutto pacifica, ma espressa sempre spettacolarmente, per chiedere l’indipendenza di Porto Rico dagli Stati Uniti, sotto il cui dominio si trova dal lontano 1898, dal tempo della guerra Ispano-Americana.
Nel 2005 fu arrestato per aver cercato di togliere la bandiera degli Stati Uniti sostituendola con quella di Porto Rico dalle aste davanti agli Uffici delle Nazioni Unite a New York; sempre nello stesso anno si è arrampicato sulla Statua della Libertà e nel suo paese e nell’intera area caraibica è conosciuto per le proteste ambientali e politiche che compie sul suo kayak.
Ha detto Tito che non gli sono stati spiegati i motivi del suo arresto durato una intera notte a Trinidad e Tobago e che al mattino seguente è stato rimesso su di un aereo che lo ha riportato a Porto Rico senza nemmeno avergli riconsegnato il passaporto. Al suo arrivo è stato interrogato a lungo da un agente dell’FBI.
“Non ci sono dubbi che dietro quanto accaduto ci sia il governo statunitense” ha dichiarato con convinzione Tito Kayak. Il grande show del vertice delle Americhe non poteva essere rovinato dalla presenza di un pacifista ambientalista già noto per le sue proteste improvvise e spettacolari.
L’agenda del Vertice delle Americhe come sempre viene stabilita dagli Stati Uniti e se era stato deciso che questo era il momento di accendere i riflettori sull’incontro tra Obama e Chávez e sull’apertura verso Cuba, non sarebbe stato permesso nessun “fuori programma” che avesse portato l’attenzione su problematiche sulle quali l’amministrazione di Obama non ha ancora deciso di prendere posizione, come per esempio la richiesta di indipendenza di Porto Rico.
La riappacificazione tra i potenti di sempre e i “discoli” (Chávez ma anche Raúl Castro) passa sempre sulla testa dei soggetti realmente antagonisti che non ci stanno a subire un’agenda dettata dall’opportunismo del momento e dalle convenienze economiche.
Gli antagonisti di sempre riuniti nel Vertice dei Popoli che si è svolto regolarmente nonostante i tentativi del potere di boicottarlo e cancellarne la presenza delle sue voci più significative, hanno discusso di crisi economica, di ambiente, di alimentazione, di cultura, di disarmo.
Hanno convenuto che al pari dell’analisi delle cause della crisi economica attuale è importante mettere in atto strategie appropriate per affrontarla.
Sono state denunciate realtà dove ancora viene applicata una schiavitù di tipo moderno e dove gli immigrati, vengono sfruttati in condizioni disumane, concludendo che la globalizzazione e le sue politiche economiche stanno alla base dei moderni e massicci fenomeni migratori.
Hanno chiesto che sia Cuba ma anche Porto Rico vengano ammessi a partecipare ai vertici internazionali, e per la piccola colonia a stelle e strisce è stata chiesta l’indipendenza.
I popoli, i veri attori di questo vertice, le donne e gli uomini latinoamericani, i giovani studenti, gli operai, i sindacalisti, i contadini e gli indigeni hanno chiesto che la loro terra sia smilitarizzata, che vengano smantellate le basi militari, che la IV Flotta degli Stati Uniti di pattuglia nella regione lasci le acque del Mar dei Caraibi, che vengano rispettate le garanzie e i diritti individuali e dei popoli calpestati dagli Stati nel nome della politica di “sicurezza democratica”.
Hanno chiesto di essere ascoltati, hanno concluso che “ascoltare i popoli ed operare in funzione dei loro interessi e non dei guadagni di pochi è l’unica via di uscita alla crisi, durevole, sostenibile e che va nel senso di un’America più giusta”.
Vedi la fotogalleria di Tito Kayak
Ascolta qui l’intervista a Giuseppe De Marzo fatta da Radio Onda Rossa sulle nuove costrituzioni latinoamericane, quella della Bolivia e dell’Ecuador
Sabato 18 Aprile
Il presidente boliviano Evo Morales ha denunciato ieri che le forze di sicurezza boliviane hanno sventato due giorni fa a Santa Cruz un piano organizzato da «mercenari internazionali» per attentare contro la sua vita e quella del vicepresidente, Alvaro Garcia Linera: lo ha detto in Venezuela lo stesso Morales, mentre a La Paz la polizia locale annunciava l’uccisione dei tre attentatori.
I tre uomini uccisi dalle forze speciale sono il rumeno Mayarosi Ariad, l’irlandese Dyer Micheal Martin e il boliviano di origine ungherese Eduardo Rozsa Flores, sospettato di essere il capo della banda. Lo affermano fonti ufficiali di La Paz, e lo ha ripetuto Morales subito dopo essere giunto a Cumanà, in Venezuela, dove partecipava al vertice dell’Alternativa Bolivariana delle Americhe (Alba), accolto dal presidente Hugo Chavez.
L’anno scorso l’opposizione è fallita nel tentativo di allontanarlo dalla presidenza tramite un referendum, ha ricordato Morales: «successivamente, ha aggiunto, hanno provato con un golpe di stato civile… ora stavano cercando di crivellarci».
La polizia ha arrestato altre due persone, il boliviano Francisco Tadic Astorga (ex militare residente in Croazia) e l’ungherese Elot Toazo (anche esgi residente in Croazia) con l’accusa di essere coinvolte nell’attentato. Il capo della polizia di Santa Cruz, Victor Hugo Escobar, ha precisato che i tre attentatori uccisi erano «terroristi specializzati e addestrati» per questo tipo di attentati e che la polizia è intervenuta «per rispondere al fuoco» dei tre.
Lo scenario disegnato dagli attentati contro il Presidente e il Vicepresidente della Bolivia e contro il cardinale di Santa Cruz appare estremamente grave e preoccupante non solo per la Bolivia ma per tutte le forze democratiche e progressiste dell’America Latina e del mondo.
Il coinvolgimento di mercenari europei, già attivi nelle milizie di destra all’interno della guerre che hanno dilaniato la Jugoslavia negli anni Novanta, rivelano all’opinione pubblica internazionale l’esistenza di una rete terrorista neofascista ancora attiva e che trova nelle forze reazionarie ancora dominanti in alcune regioni boliviane, un inquietante centro di complicità.
Il senatore del MAS Riccardo Diaz ha accusato l’ex governatore di Santa Cruz Branco Marinkovic di avere legami con i grupp terroristi croati.
Quanto accaduto in Bolivia concretizza agli occhi dell’opinione pubblica l’esistenza ancora attiva di quella rete terroristica neofascista che da mesi in Bolivia tenta di ribaltare il governo legittimo di Morales e che ha trovato rifugio e complicità proprio negli ambienti della destra boliviana che oggi si oppone violentemente al cambiamento democratico in corso nel paese, dove proprio all’inizio del 2009 è stata approvata da referendum consultazione popolare la nuova costituzione: una costituzione che riconosce nuovi diritti e disconosce antichi privilegi, minacciando lo status quo della ricca oligarchia boliviana.
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Il Comune di Bologna ha scelto questa immagine per promuovere via mail un convegno sulla violenza alle donne. La scelta, ovviamente discutibile ha scatenato innumerevoli e comprensibili proteste.
Si è trattata indubbiamente di una decisione presa con leggerezza e con superficialità.
Non si è tenuto conto della situazione di emergenza razzismo nella quale vive il paese. Chi ha scelto questa immagine per promuovere un convegno sulla violenza alle donne ha dimostrato di non vivere appieno il tessuto sociale del nostro paese. E di per sé, per chi governa, per chi lavora nella pubblica amministrazione e in quella politica, è già una colpa. Grave.
Nei giorni immediatamente successivi all’omicidio di Giovanna Reggiani, uccisa e violentata nel novembre del 2007 a Roma dal romeno Nicolae Romolus Mailat, gruppi di estrema destra avevano tappezzato i muri della capitale e non solo proprio con questo manifesto e con alcuni simili dove era riportata la stessa scritta.
Gli organizzatori hanno detto che è stato frainteso, forse è vero. Che le intenzioni fossero nobili lo si può immaginare, lo si dovrebbe immaginare. Tuttavia la particolarità del momento sociale che viviamo, il contesto politico e culturale del nostro paese chiedono, pretendono che simili leggerezze non avvengano.
Purtroppo siamo sprofondati nel buio e abbiamo bisogno di essere presi per mano ad ogni piccolo passo, come i bambini.
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Rimando al blog di Barbara Spinelli, giurista, una delle relatrici al convegno. Autrice di “Femminicidio”, e a Marginalia, il blog di Vincenza Perilli.
Letizia Moratti e Álvaro Uribe
“Ho trovato un paese che vive grandi trasformazioni, un paese con una grande energia, che si sta rilanciando e che dimostra tutta la sua volontà nell’essere protagonista del suo futuro e in tutta la regione”.
Così il sindaco di Milano Letizia Moratti ha parlato della Colombia visitata nel suo recente viaggio in occasione del quale ha partecipato a Medellin all’assemblea della Banca Interamericana di Sviluppo che si è svolta alla fine di marzo e nel corso della quale ha anche incontrato il presidente Álvaro Uribe.
Il sindaco Moratti, che ha firmato un accordo chiamato delle tre M (Milano, Medellin, Moda, visto che Medellin è la capitale colombiana della moda e tra le più importanti in America ) ha dichiarato inoltre di voler mettere a disposizione a Milano un edificio che si chiamerà Casa Colombia e che sarà un luogo dove diffondere la cultura e le potenzialità del paese latinoamericano. Milano farà anche da palcoscenico alle iniziative che l’ambasciata colombiana in Italia, congiuntamente ad altre rappresentanze diplomatiche della Colombia nel mondo, stanno portando avanti per lanciare l’immagine di paese paladino della lotta al narcotraffico e della legalità.
Anche la Chiesa fa la sua parte nel balletto: la Fondazione San Raffaele, diretta da Don Luigi Verzé metterà a disposizione un “San Raffaele natante” per portare la medicina del centro medico milanese sulle coste della Colombia e dei Caraibi e che si chiamerà “Vita senza Droga” .
Lo show Italia – Colombia continuerà, probabilmente con un prossimo viaggio nel nostro paese del presidente Uribe e probabilmente con la firma di qualche accordo più propriamente commerciale in senso stretto favorevole per l’Italia.
Ogni riferimento a sparizioni forzate, violazioni dei diritti umani, falsi positivi, leader sindacali morti ammazzati (due proprio negli ultimi giorni) è volutamente omesso…
Per noi, la Colombia è invece rappresentata da queste tre M : Muertos, Motosierras, Montoya.
Muertos, morti ammazzati in vere e proprie esecuzioni extragiudiziali, 1600 persone circa dal 2002 al 2008 nella politica di Sicurezza Democratica voluta dal governo Uribe.
Motosierras come le motoseghe che i paramilitari utilizzano per squartare i corpi dei contadini o presunti guerriglieri e per terrorizzare intere comunità costringendole a fuggire dalle loro terre, lavoro svolto per lo più in combutta con le Forze Armate. Ricordiamo che l’80% del parlamento colombiano è indagato per reati connessi con il narcotraffico e il paramilitarismo.
Montoya, come il generale a capo dell’Esercito colombiano, costretto alle dimissioni per lo scandalo recentemente scoppiato in Colombia e conosciuto come “dei falsi positivi” , cioè omicidi compiuti a vario livello dall’ esercito e dalle forze di polizia di giovani innocenti fatti passare come “terroristi uccisi nel corso di scontri a fuoco” per giustificare le risorse destinate alla politica di sicurezza democratica e alla lotta contro il terrorismo del governo ma anche per amplificare mediaticamente i suoi risultati concreti e cercare quindi consenso tra la popolazione.
Questa è per noi la Colombia oggi, al governo colombiano andrebbero chieste le dimissioni del suo presidente Álvaro Uribe per l’incapacità nel gestire una situazione di violenza radicalizzata ormai nel paese e per la presenza di una intera rappresentanza governativa con un piede nelle patrie galere; la firma di accordi commerciali con la Colombia e le collaborazioni anche da parte della Chiesa dovrebbero essere vincolate invece al rispetto della giustizia e dei trattati internazionali in materia di diritti umani e dei popoli.
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Foto: H.I.J.O.S. México
L’oscurità genera la violenza
e la violenza ha bisogno di oscurità
per diventare crimine.
Per questo il due di ottobre attese la sera
perchè nessuno vedesse la mano che impugnava
l’arma, ma solo i colpi che sparò.
(Da Memorial de Tlatelolco di Rosario Castellanos)
Da genocida a “innocente con riserva di legge”. Questa potrebbe essere la formula magica con la quale la giustizia messicana ha salvato il 27 marzo scorso, l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez, 87 anni, dall’accusa di genocidio, come richiesto già dal Tribunale Speciale per i Movimenti Sociali e Politici del Passato (Femospp). Il massacro di Tlatelolco (o della Piazza delle Tre Culture) fu chiamata quella strage, compiuta dallo stato per distruggere nel giro di poche ore il movimento studentesco messicano.
E di genocidio si trattò, compiuto contro un “gruppo nazionale” (quello degli studenti) come ha dichiarato una perizia sociologica.
Correva l’anno 1968. Il magnifico 1968. Fu magnifico ed organizzato non solo negli Stati Uniti e in Europa. In Messico non si erano mai viste manifestazioni spontanee di quella portata, il momento d’oro del movimento studentesco si sviluppò proprio tra l’agosto e il settembre del 1968.
Il 2 ottobre di quello stesso anno, alle cinque e mezza del pomeriggio, nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico, c’erano diecimila persone. Quasi tutti giovani studenti universitari, ma anche bambini, casalinghe, lavoratori, abitanti delle palazzine circostanti scesi a curiosare, anziani, migliaia di persone che si erano date appuntamento per ascoltare il comizio dei promotori del Consejo Nacional de Huelga (Comitato Nazionale dello Sciopero) che parlava dal terzo piano dell’edificio Chihuahua.
All’improvviso un bagliore alto in cielo, le luci di alcuni bengala. Un segnale. Lo si capì dopo, soltanto dopo. E fu una pioggia di proiettili, infinita, implacabile. 29 minuti di orrore. 5mila soldati armati di mitragliatrici per 29 minuti contro 10mila persone inermi chiuse in una piazza che sembra un’arena.
Dopo 40 anni ancora non si conosce con esattezza il numero dei morti né quello delle persone scomparse quel giorno.
La sentenza del tribunale ha accertato che nonostante sia vero che il 2 ottobre 1968 fu compiuto un genocidio e che tale delitto non è prescrivibile essendo un crimine contro l’umanità, ha però confermato un verdetto del 2007 con il quale di fatto viene sollevato dalle sue responsabilità l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di segretario del governo del presidente Gustavo Díaz Ordaz.
Luis Echeverría che si trovava agli arresti domiciliari dal 2006, in seguito a tale sentenza è adesso un uomo libero e innocente, nonostante in Messico pochi siano convinti della sua estraneità al massacro.
Quella di Tlatelolco non è la prima accusa di genocidio per l’ex presidente. E non è la prima dalla quale viene prosciolto. Era già accaduto con la strage detta del Corpus Domini o del halconhazo dal nome degli halcones, (falchi), gli agenti speciali della polizia al suo servizio quando ricopriva la carica di presidente della Repubblica (dal 1970 al 1976), che massacrarono decine di studenti mentre manifestavano il 10 giugno del 1971.
Alcune associazioni tra le quali il Comité 68, Eureka, e H.I.J.O.S. México, che raggruppano i familiari dei desaparecidos del movimento studentesco e della guerra sucia degli anni ’70 hanno organizzato qualche giorno dopo la sentenza, il 1 aprile scorso, un escrache, (lett. uno sputtanamento) come si definisce in Messico (ma anche in Argentina) la protesta pubblica solitamente agita sotto l’abitazione o il luogo di lavoro della persona che si vuole denunciare.
Hanno circondato la casa dell’ ex presidente Echeverría con cartelli recanti le scritte “Genocida libero” e “Luis Echeverría il popolo ti condanna” e lanciato uova e pomodori contro il suo portone. Nelle vie circostanti altri cartelli con la fotografia di Echeverría avvisavano i passanti e i residenti che in quella zona risiede un genocida.
Era presente all’iniziativa anche Lucía Morett, l’unica sopravvissuta al massacro compiuto a Sucumbíos (Ecuador) dall’esercito colombiano, dove sono morti 4 suoi connazionali oltre a una ventina di guerriglieri e al numero due delle FARC Raúl Reyes. Ha ricordato che, come Echeverría, anche Álvaro Uribe è un genocida e un terrorista di stato.
Le associazioni che hanno organizzato la protesta hanno anche annunciato che nei prossimi giorni presenteranno ricorso ai tribunali internazionali.
TG3 ore 19.30:
“Sono 2 ancora i corpi da identificare di apparente etnia italiana… nel senso che sono bianchi”.
Breve scossa di terremoto, mi sono svegliata, un amico di Napoli mi dice in questo momento via skype che si è sentita anche lì, leggo che verso le 22.30/23 si è registrata una forte scossa tra Marche ed Emilia Romagna che si è sentita da Nord a Sud, perfino in Venezuela c’è stata una scossa di terremoto oggi.
A proposito… quali sono i siti nucleari sicuri in Italia? E nel mondo?
Beh io torno a letto.…
Le poetesse Patricia del Valle (sin), Rosina Valcárcel (centro) e Marcela Pérez Silva (destra) lavando la bandiera del Perú
Un sondaggio realizzato in Perú dall’agenzia Ipsos Apoyo rivela che il 42% delle circa mille persone intervistate da questa agenzia in tutto il paese sono contrarie al Trattato di Libero Commercio che il presidente Alan García ha recentemente firmato con il Cile e che è operativo ormai dal 1 marzo scorso.
La protesta è condotta dal Partido Nacionalista guidato dall’ex candidato presidenziale, Ollanta Humala, che ha minacciato battaglia legale contro il TLC in virtù del fatto che l’accordo è stato firmato senza la ratifica del Congresso. Inoltre il Partido Nacionalista considera prioritaria la definizione della disputa sui confini marittimi e terrestri con il Cile, attualmente in discussione al tribunale internazionale dell’Aja.
Altri tipi di proteste e manifestazioni si sono realizzate spontaneamente in tutto il paese, come quella organizzata a Lima da alcuni amici, un gruppo di circa 30 poeti ed intellettuali, tra i quali Rosina Válcarcel, Patricia Del Valle, Ana Maria Intili e Winston Orrillo,che hanno organizzato il 22 marzo scorso una singolare forma di protesta: lavando simbolicamente la bandiera del loro paese nella Plaza San Martín a circa 500 metri dal palazzo del governo, hanno tenuto a sottolineare come l’accordo con il Cile sia “lesivo degli interessi nazionali”, come ha precisato lo scrittore Winston Orrillo, docente di giornalismo dell’Universidad Nacional Mayor de San Marcos.
P.S.
Va sottolineato che alcune di queste persone, impegnate da tempo anche nella campagna per il trasferimento di Victor Polay Campos, leader del MRTA, in un carcere civile (è detenuto ormai da 17 anni nella Base Navale del Callao) e per il loro impegno in difesa dei diritti umani stanno ricevendo via mail da settimane ormai, minacce e insulti provocatori.
Victor Polay Campos deve scontare ancora 18 anni di carcere,essendo stato condannato dalla Corte Suprema a una pena di 35 anni. Chi volesse firmare la petizione per il trasferimento di Victor Polay Campos a un carcere civile può farlo inviando una mail a:
comiteprolibertadvictorpolayhotmailcom (comiteprolibertadvictorpolayhotmailcom)
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I poeti Winston Orrillo (sin) e Germán Carnero Roqué (destra) lavando simbolicamente la bandiera del Perú
“Sono manifestazioni di idee” Letizia Moratti
La giunta comunale della città di Milano, Medaglia d’Oro della Resistenza e capitale della Guerra di Liberazione, oggi lascia il compito della difesa dei valori dell’antifascismo e della libertà contro la feccia neonazista giunta da tutta Italia e da tutta Europa, a circa 500 coraggiosi giovani italiani antifascisti che scenderanno in piazza contro quest’iniziativa, per consentire la quale è prevista la presenza di un migliaio di agenti di polizia, la chiusura di una stazione della metropolitana e la deviazione di venti linee di autobus. Tutto ciò per rendere possibile lo svolgimento di un “congresso” di negazionisti, razzisti e nazisti, i cui simboli, linguaggi e teorie sono apertamente vietate dal nostro codice penale, oltre che ovviamente dalla coscienza civile (per i fortunati che ne sono provvisti).
“Sono manifestazioni di idee, se non ci sono problemi di ordine pubblico non mi sento di intervenire”ha detto il sindaco Letizia Moratti. Idee che vale la pena ricordare al sindaco hanno causato migliaia di morti.
Le iniziative previste dal Comune di Milano in programma per la celebrazione del 25 aprile, giorno della liberazione dalla dittatura fascista, a questo punto appaiono soltanto come la ripetizione simbolica e sterile di eventi e valori dei quali da tempo la giunta comunale ha preso le distanze. L’antifascismo si agisce e non si celebra.
Saranno considerati responsabili pertanto il sindaco di Milano Letizia Moratti e il vicesindaco De Corato per tutto ciò che potrà oggi accadere.