Il generale Montoya nominato ambasciatore della Colombia nella Repubblica Dominicana

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Mario Montoya

Qualche mese fa, in seguito allo scandalo dei “falsi positivi”, quando vennero ritrovati in fosse comuni i cadaveri di alcuni giovani giustiziati dall’esercito e poi fatti passare come membri della guerriglia delle FARC, il  generale colombiano Mario Montoya, capo dell’esercito,  rassegnò  le sue dimissioni. Iván Cepeda portavoce del MOVICE (Movimento Nazionale delle Vittime dei Crimini di Stato) denunciò allora che i casi effettivi di sparizioni forzate di giovani poi uccisi allo scopo di farli passare come guerriglieri per  ottenere ricompense e giustificare così  la politica di “sicurezza democratica” del governo  di Álvaro  Uribe, sarebbero stati addirittura di centinaia se non di  migliaia. 
Mario Montoya è stato nominato in questi giorni ambasciatore della Colombia nella Repubblica Dominicana. Ricordiamo che qualche tempo fa,  il dirigente politico di sinistra dominicano Narciso Isa Conde lo aveva denunciato alla Presidenza della Repubblica del suo paese e alla Procura Generale, di essere  insieme con il precedente ambasciatore  Chaux Mosquera, (richiesto dalla giustizia colombiana per vincoli con il paramilitarismo), dietro al piano criminale che prevedeva il suo omicidio. Piano che fortunatamente non è stato messo in pratica ma che per ben due volte ha visto sia Narciso Isa Conde che la sua famiglia al centro di episodi di estrema gravità che hanno messo in serio pericolo la sua vita e quella degli uomini  della sua scorta. Nel mese di agosto dello scorso anno, il presidente Leonel Fernández aveva dichiarato che si sarebbe impegnato in prima persona per garantire la sicurezza di  Narciso Isa Conde e della sua famiglia. Narciso Isa Conde è convinto, e lo denuncia da tempo, dell’esistenza di un piano “Cia –Uribe” per eliminarlo; lo stesso Montoya qualche mese fa si recò nella Repubblica Dominicana  consegnando alle autorità “presunte” prove che vincolerebbero il noto dirigente comunista con le FARC. Le prove, come accade ormai da tempo per vicende analoghe consisterebbero in alcuni documenti “recuperati” dal computer di Raul Reyes, leader del gruppo guerrigliero,  ucciso dall’esercito colombiano in Ecuador il primo marzo dello scorso anno.  
 
Alla notizia della nomina di Mario Montoya come ambasciatore colombiano a Santo Domingo, Narciso Isa Conde ha immediatamente scritto una lettera al presidente del suo paese, Leonel Fernández, reiterando le sue accuse contro il generale e confermando la preoccupazione sia per la sua incolumità e quella della sua famiglia, sia per  la società dominicana tutta,  costretta ad accettare la presenza nel paese di questo”generale di forca e coltello”.
Se il presidente Fernández dovesse accettare la nomina di Montoya come ambasciatore colombiano si tratterebbe di un “lasciapassare, di una luce verde” all’attuazione del piano criminale contro di lui, ha dichiarato Narciso Isa Conde in una conferenza stampa rilasciata proprio in questi giorni ai mezzi di comunicazione.
 
Anche molti attivisti per i diritti umani che vivono e lavorano nella Repubblica Dominicana si dicono preoccupati per la presenza del generale Montoya nel paese e chiedono a gran voce al presidente Fernández che non accetti tale nomina, perchè diversamente questo metterebbe  a repentaglio il loro lavoro e la loro incolumità.
 
Qui la versione integrale della lettera di Narciso Isa Conde al presidente della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Siamo uno Stato oggi rappresentato da Berlusconi…

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ESMA

Ricevo da Anna Maria De Luca, oltre alla sua adesione alla richiesta di scuse formali da parte del governo italiano e della firma della ratifica da parte dell’Italia al trattato internazionale contro la sparizione forzata, anche questa sua testimonianza.
La ringrazio per avermi autorizzato a  pubblicarla. (A.M.)
Mia zia, Angela Maria Aieta, dopo essere stata sequestrata a Buenos Aires e rinchiusa nell’Esma, ha perso la vita in un volo della morte perchè madre del capo dell’opposizione al regime.
 
Mio cugino è stato dodici anni in carcere senza mai un processo. La moglie sequestrata e violentata. Il fratello sequestrato e ucciso dopo torture inenarrabili; l’altro fratello sequestrato.
 
Io faccio la gionalista. Mi occupo di diritti umani. Solo l’anno scorso siamo riusciti ad ottenere cinque ergastoli per i gerarchi argentini responsabili all’Esma, nel primo processo aperto a Roma nella storia italiana. Il primo, dopo trent’anni. Il primo dopo migliaia di morti.
 
Ieri, la battuta del nostro presidente del Consiglio è stata un’offesa alla memoria dei miei parenti e dei loro compagni. Un’offesa all’idea che li ha portati a non risparmiarsi.
 
Hanno lottato e perso la vita per combattere per la libertà della nazione che li ospitava. Potevano starsene tranquilli a casa, senza reagire, come facciamo noi italiani rimasti qui, invece hanno scelto di agire. 
 
Siamo lo Stato che ha voltato le spalle ai suoi figli in Argentina per tutto il tempo della dittatura. Siamo lo Stato che lo scorso anno ha dato 5 ergastoli agli assassini di mia zia. Siamo uno Stato oggi rappresentato da Berlusconi.
 

Mostra fotografica: Missione Colombia

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Comunicato Stampa

Medici per i Diritti Umani

MOSTRA FOTOGRAFICA:
“MISSIONE COLOMBIA”
Intervento sanitario nella Comunità di Pace di San Josè Apartadò

Medici per i Diritti Umani (MEDU) inaugura il 20 Febbraio 2009 alle 21.00 presso la libreria/ centro culturale BIBLI — Via dei Fienaroli 28, Roma - la mostra fotografica “Missione Colombia”.

Intervengono: Gianni Tognoni (Segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, Fondazione Basso-Sezione internazionale), Andrea Proietti (Presidente, Associazione Colombia Vive!), Carla Mariani (Volontaria, Associazione Colombia Vive!), Alberto Barbieri (Coordinatore generale, Medici per i Diritti Umani)

Il 21 febbraio del 2005, presso le località Mulatos e Resbalosa, 8 persone appartenenti alla Comunità di Pace — tra cui tre bambini — sono stati massacrate da gruppi paramilitari. Per questo crimine sono attualmente indagati 84 membri dell’Esercito colombiano.

“En memoria de los que caen para construir algo diferente”
( scritta su una pietra della comunità di pace di San Josè Apartadò)

La mostra sarà allestita fino al 27 febbraio. Orario: lunedì 17.30/24 -  da martedì a domenica 11/24 – ingresso libero

 


Mostra fotografica: Missione Colombia

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Comunicato Stampa

Medici per i Diritti Umani

 

MOSTRA FOTOGRAFICA:
“MISSIONE COLOMBIA”
Intervento sanitario nella Comunità di Pace di San Josè Apartadò

Medici per i Diritti Umani (MEDU) inaugura il 20 Febbraio  2009 alle 21.00 presso la libreria/ centro culturale BIBLI — Via dei Fienaroli 28,  Roma - la mostra fotografica “Missione Colombia”.

Intervengono: Gianni Tognoni (Segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, Fondazione Basso-Sezione internazionale),  Andrea Proietti (Presidente, Associazione Colombia Vive!), Carla Mariani  (Volontaria, Associazione Colombia Vive!), Alberto Barbieri (Coordinatore generale, Medici per i Diritti Umani)

Il 21 febbraio del 2005, presso le località Mulatos e Resbalosa, 8 persone appartenenti alla Comunità di Pace — tra cui tre bambini — sono stati massacrate da gruppi paramilitari. Per questo crimine sono attualmente indagati 84 membri dell’Esercito colombiano.

 

“En memoria de los que caen para construir algo diferente”
( scritta su una pietra della comunità di pace di San Josè Apartadò)

La mostra sarà allestita fino al 27 febbraio. Orario: lunedì 17.30/24 -  da martedì a domenica 11/24 – ingresso libero


Silvio Berlusconi ironizza sui voli della morte: il video

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Ringrazio i bravissimi amici di Qui News per l’ottimo lavoro svolto e mi associo alle scuse che porgono a tutti gli argentini e alle vittime di tutte le dittature. Sperando di non dover includere  anche noi stessi, di nuovo…


La incredibile e triste storia dei fratelli Cerezo

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I fratelli Cerezo, detenuti nel Centro di Rieducazione Sociale di Atlacholoaya, Morelos, in Messico, sono stati liberati ieri, 16 febbraio 2009, dopo aver scontato una condanna a  sette anni e mezzo di reclusione con   le false accuse di terrorismo, associazione a delinquere, possesso di armi ed esplosivi e criminalità organizzata.
 
La loro storia ha quasi dell’incredibile ed è emblematica dei metodi di giustizia sommaria tutt’ora vigenti in Messico. Antonio, Héctor e Alejandro Cerezo, insieme a Sergio Galicia, un indigeno nahuatl (liberato pochi mesi dopo l’arresto)   e a Pablo Alvarado,  furono arrestati il 13 agosto del 2001 e accusati di essere i responsabili delle esplosioni avvenute l’8 agosto dello stesso anno  in tre banche Banamex a Città del Messico. 
 
Alejandro fu rimesso in libertà, con piena assoluzione,   dopo tre anni e mezzo di detenzione, il 1 marzo del 2004.
Il 13 agosto del 2006 viene rimesso in libertà invece Pablo Alvarado, dopo 5 anni di carcere ingiusto, il quale in una conferenza stampa rilasciata dopo la sua scarcerazione ha denunciato pubblicamente di essere stato costantemente oggetto di torture e maltrattamenti durante tutto il periodo di detenzione.
 
Agli altri due fratelli Cerezo, Héctor e Antonio,   fu  confermata invece la condanna a sette anni e sei mesi di reclusione, sebbene ci fossero state fin dal primo momento  prove evidenti della loro innocenza e  sebbene le accuse fossero le  stesse anche per gli altri indagati successivamente rilasciati. Va rilevato inoltre che gli attentati del 2001 furono rivendicati dalle Forze Armate Rivoluzionarie del Popolo (FARP) attraverso un comunicato trasmesso ai media.
 
Al momento del loro arresto, i fratelli Cerezo, erano poco più che ventenni, tutti studenti dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Dal carcere hanno continuato a seguire i loro studi, mentre da  più parti della società civile messicana si sono levati in questi anni appelli e proteste per la loro  liberazione  in quanto il loro arresto si sospetta sia stato  un atto di intimidazione e di ricatto rivolto ai veri obiettivi delle forze di Pubblica Sicurezza e cioè i loro genitori: Emilia Contreras Rodríguez y Francisco Cerezo Quiroz, membri dell’  Esercito Popolare Rivoluzionario  (EPR), latitanti da anni  e che almeno dal 1990 non hanno più nessun contatto con  i loro figli, se non epistolare,  essendo partiti un bel giorno, “per non si sa dove” dice Alejandro.
 
Secondo il CISEN (Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale) Francisco Cerezo Quiroz sarebbe uno dei massimi dirigenti del EPR ed è proprio per questo che i suoi figli sono stati sempre tenuti sotto stretto controllo dai servizi di sicurezza messicani anche precedentemente al loro arresto.
 
Alejandro nel 2002 scrisse una lettera ai suoi genitori, pubblicandola in internet. Qualche mese dopo, “da un luogo qualsiasi  della Repubblica Messicana” essi risposero: “Toño, … ci dici che non dobbiamo sentirci responsabili per il vostro sequestro, ed hai ragione figlio mio, nonostante tutto lo siamo perchè lo Stato, mantenendovi come prigionieri vi sta giudicando perchè noi, mamma e papà, abbiamo trascorso circa metà delle nostre vite solidarizzando con molte delle cause legittime e nobili del nostro popolo e per questo siamo perseguitati, al fianco dei più deboli, degli indigeni, degli operai e dei contadini”.
 
Emilia nella lettera, chiede “resistenza”  ai suoi figli, specialmente ad Antonio ed  Héctor che hanno pagato più duramente degli altri l’impegno politico dei loro genitori.   In carcere sono stati torturati fisicamente e psicologicamente come è stato più volte denunciato da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dall’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura che, rallegrandosi oggi per la loro liberazione,   esprime tuttavia profonda preoccupazione per la situazione legale e per la sicurezza e l’integrità personale delle altre persone che si trovano ingiustamente detenute nelle prigioni messicane.

Berlusconi ironizza sui “voli della morte” in Argentina

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“erano belle giornate e li facevano scendere dall’aereo” ironizza Silvio Berlusconi in Sardegna concludendo la sua campagna elettorale, riferendosi ai desaparecidos argentini…

Qui l’articolo di Marco Bucciantini de l’Unità nel quale è riportata la frase.

Aggiornamento:
(AGI) Buenos Aires, 18 feb. — Il governo argentino ha convocato l’ambasciatore italiano a Buenos Aires, Stefano Ronca, a cui ha espresso “preoccupazione e disagio” per le affermazioni sui “desaparecidos” attribuite dal “Clarin” a Silvio Berlusconi. Lo hanno riferito fonti del ministero degli Esteri argentino. Il corrispondente del giornale argentino, Julio Alganarez, ha ripreso dall’”Unita’” una frase pronunciata nel comizio di chiusura della campagna elettorale in Sardegna, con cui il presidente del Consiglio avrebbe ironizzato sul dramma dei dissidenti lanciati in mare dagli aerei. “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei..”. L’ambasciatore italiano si e’ impegnato con Alberto D’Alotto, capo di gabinetto del ministro degli Esteri, a “verificare le frasi attribuite a Berlusconi e a informare a breve il governo argentino”. In precedenza fonti del governo italiano avevano negato che il premier volesse minimizzare i cosiddetti “voli della morte”, di cui al contrario intendeva denunciare l’efferatezza. La frase riportata dal “Clarin” ha suscitato anche la protesta di Estela de Carloto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, l’organizzazione a favore delle 30mila vittime dell’ultima dittatura militare argentina, quella dal 1976 al 1983. “Siamo offese, soprattutto perche’ gli argentini hanno sempre avuto una grande solidarieta’ dall’Italia, sia dai governi precedenti che dalla magistratura”, ha dichiarato. Una delle responsabili delle Madri di Plaza de Mayo, Taty Almeida, ha espresso sdegno per quelle che ha definito “dichiarazioni terroristiche”: “Offende e insulta la memoria dei nostri figli”, ha affermato.
  La polemica e’ scoppiata mentre la magistratura italiana sta valutando se chiedere l’estradizione dell’ex ammiraglio Emilio Massera, figura di spicco della dittatura militare.
 


Gianfranco Fini e Roberto Menia: fascisti erano…

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Roberto Menia e Gianfranco Fini

Quello alle spalle di Gianfranco Fini con il braccio alzato nel saluto romano è Roberto Menia, il promotore della legge che ha istituito il 10 febbraio come “Giorno del Ricordo” dedicato ai martiri delle Foibe .

Qui, ripuliti e soddisfatti al governo…  : - (


Roberto Menia e Gianfranco Fini: e fascisti rimangono…

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Roberto Menia e Gianfranco Fini

sono sempre loro, dalla strada al palazzo, il fascismo al governo. Ormai Menia può tenere le braccia incrociate… complimenti Italia! 


Foibe: Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica

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“Quello che oggi viene chiamato revisionismo ha radici lontane, che risalgono al periodo finale della Seconda Guerra Mondiale quando il movimento partigiano divenne un pericolo mortale per le classi dominanti che avevano messo al potere il fascismo, abbandonandolo solo quando divenne chiaro che i sogni imperiali si stavano trasformando in una catastrofe che minacciava di travolgere il loro stesso ruolo dominante perchè gran parte degli uomini e delle donne che erano diventati partigiani le armi non le avevano prese soltanto per liberarsi dall’occupazione nazista e fascista ma anche per spazzare via chi del fascismo era stato il padrino e per costruire un mondo diverso che sembrava possibile a portata di mano…” Ascolta qui l’intervista realizzata da Radio Onda Rossa a Sandi Volk (storico, Trieste) sulle Foibe e il revisionismo di Stato.

Riferimento: Foibe: Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica. Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico


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