Grande discorso! E come sempre grandi segnali di coerenza e solidarietà dall’America latina.
La Paz, 14 ene (ABI).- El Gobierno de Bolivia disolvió este miércoles las relaciones diplomáticas con el Estado de Israel que continúa con los ataques bélicos contra la población civil de la Franja de Gaza que cobró la vida de más de 1.000 personas.
“Bolivia tenía relaciones diplomáticas con Israel, pero frente a estos hechos de grave atentado contra la vida, a la humanidad, Bolivia rompe relaciones diplomáticas con Israel”, afirmó el presidente Evo Morales Ayma.
Esta decisión del Gobierno boliviano, lo hizo conocer en oportunidad del saludo protocolar que recibió del cuerpo diplomático acreditado en el país, realizado en instalaciones de Palacio Quemado.
Además anunció que el país presentará esta denuncia ante la Corte Penal Internacional sobre el genocidio que está cometiendo Israel contra la población civil de la Franja de Gaza.
“Hacemos el llamado, adjunto con muchos estados y organismos internacionales, especialmente organismos que defienden la vida para que a partir de este momento trabajemos para defender a la humanidad”, aseveró.
Recordó que cualquier Estado puede presentar denuncias contra los actores de los crímenes de lesa humanidad, genocidio, exterminio y otros.
“Los crímenes del Gobierno de Israel afectan la estabilidad y paz mundial y han hecho retroceder al mundo a la peor etapa de los crímenes de lesa humanidad que no se habían vivido sino en la segunda guerra mundial y en los últimos años en la ex Yugoslavia y Ruanda”, señaló el Mandatario.
El Jefe de Estado aclaró que Bolivia es pacifista y no puede estar expectante ante el evidente genocidio que comete Israel contra la gente civil en Gaza.
Desde el comienzo de la ofensiva militar israelí han muerto 1.000 palestinos y al menos 4.300 resultaron heridos en la Franja de Gaza, según informes palestinos. Sólo el martes el ataque israelí provocó la muerte de 47 palestinos.
Se anunció un refuerzo en la ofensiva contra la organización islamista Hamas en Gaza, donde los combates continúan sin pausa y las tropas ingresaron por primera vez en varios suburbios de la capital.
L’ Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) ha presentato il 3 dicembre il suo rapporto sugli scontri avvenuti a Pando in Bolivia lo scorso mese di settembre, dove almeno 30 persone furono uccise e dove si registrarono numerosi feriti e casi di persone scomparse a causa della violenza dei gruppi di separatisti legati all’ex prefetto Leopoldo Fernández, attualmente in carcere a La Paz con l’ accusa di omicidio, terrorismo e associazione a delinquere.
I leader dei paesi che aderiscono all’Unione delle Nazioni Sudamericane, dopo i violenti scontri si riunirono infatti straordinariamente in Cile, paese al quale spetta la presidenza di turno dell’Unione, e confermando l’appoggio incondizionato al presidente boliviano Evo Morales dichiararono, in quella che è nota come la Dichiarazione della Moneda, di voler dar vita a una commissione investigativa che potesse far luce sugli avvenimenti di Pando.
Nel rapporto finale, consegnato il 27 novembre alla presidenta cilena Michelle Bachelet, secondo UNASUR dunque non si trattò di decessi dovuti a scontri tra diverse fazioni, ma di vere e proprie esecuzioni sommarie ed extragiudiziali realizzate da persone vicine alla prefettura del dipartimento di Pando, che rispondevano ad un preciso piano destabilizzatore e criminale.
Rodolfo Matatrollo, rappresentante della Commissione dell’ UNASUR, ha dichiarato che a Pando “si è svolto un massacro, e questa è proprio la parola esatta perchè è così che si definiscono nei protocolli internazionali questo tipo di fatti”.
Tra le conclusioni del rapporto si legge che secondo la commissione il massacro dei contadini fu premeditato e si configura pertanto come un crimine contro l’umanità.
Si evidenzia anche il ruolo passivo della Polizia durante quei giorni, atteggiamento che ha permesso al clima di violenza generale di degenerare pesantemente, verificandosi inoltre casi di vera e propria complicità con gli aggressori dei contadini.
Le testimonianze raccolte, i video visionati e numerose fotografie hanno dimostrato inquivocabilmente le torture inflitte da funzionari statali ai contadini boliviani dopo il loro arresto o mentre venivano condotti agli ospedali con lo scopo di obbligarli a incriminare altre persone di quanto avvenuto.
Ovviamente la presentazione della relazione finale della Commissione, è stata accompagnata in Bolivia dai settori dell’opposizione al presidente Evo Morales, da numerose polemiche.
Il Rettore Renato Guarini con il poncho tradizionale boliviano (Foto A Sud)
L’ UPEA (Università Pubblica di El Alto) rappresenta senza dubbio un’esperienza particolarissima in Bolivia ma anche in tutta l’America latina nell’ambito del recupero del diritto all’istruzione dei popoli indigeni ma soprattutto rappresenta la battaglia per l’autonomia universitaria e per l’affermazione dell’identità indigena del paese.
L’UPEA è un’università indigena, perchè El Alto, cittadina sorta inizialmente come quartiere di la Paz e poi cresciuta esponenzialmente, è abitata prevalentemente da indigeni Quechua e Aymara.
La battaglia per l’autonomia universitaria in Bolivia ha origini antichissime. Risale infatti al 1930, quando un referendum popolare si espresse a favore di un’università autonoma e libera da vincoli con lo Stato.
L’università boliviana che ne risultò fu un’università libera e indipendente che però con il passare del tempo si è trovata anche sempre più lontano dal popolo mentre sempre più facilmente ha adottato il pensiero neoliberale imperante nel continente. L’altra grande università pubblica del municipio di La Paz, per esempio, la UMSA (Universidad Mayor de San Andrés) rimase completamente estranea alla lotta per il gas del 2003, nonostante fra le sue facoltà ve ne sia anche una di Ingegneria Petrolifera.
La UPEA nasce invece da un’esigenza reale e sentita del popolo alteño che ha origine nel 1989 quando venne stipulato un accordo con la UMSA per formare un’ università autonoma di discipline tecniche. L’indipendenza dell’UPEA si concretizzò poi soltanto nel novembre del 2003, con l’entrata in vigore della legge a garanzia dell’autonomia universitaria.
Nello stesso anno 2003 l’UPEA si è distinta per essere stata al fianco dei cittadini di El Alto e della Bolivia tutta nella battaglia per il gas, terminata con la fuga dal paese del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada.
Nei giorni scorsi è stato firmato uno storico accordo, promosso dall’associazione A Sud tra l’università la Sapienza e l’università Pubblica di El Alto.
Il rettore della Sapienza Renato Guarini, indossando il caratteristico poncho, dono della delegazione boliviana rappresentata da Benecio Quispe Gutierrez, ex rettore e preside della facoltà di sociologia dell’UPEA, ha firmato il protocollo d’intesa e collaborazione delle due università.
…
Ieri 1 ottobre, nei locali del rettorato dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma, è stato firmato il protocollo di intesa e collaborazione tra l’Ateneo La Sapienza e l’UPEA — Università Pubblica di El Alto, Bolivia.
Si tratta di un accordo storico, promosso dall’Associazione A Sud al fine di consolidare spazi di dialogo tra le esperienze boliviane ed italiane in materia di diritto allo studio, formazione ed educazione e favorire lo scambio di informazioni, studenti e docenti, rendendo possibile il rafforzamento di relazioni di solidarietà e la costruzione di ponti di reciproca comprensione tra i popoli e gli atenei del nord e del sud del mondo.
Alla cerimonia hanno partecipato il rettore della Sapienza Renato Guarini, l’ambasciatore boliviano in Italia Elmer Catarina, il preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini, il docente Marco Cilento che è stato il promotore accademico dell’iniziativa, Giuseppe De Marzo e Laura Greco di A Sud e — per l’UPEA — l’ex rettore e preside della facoltà di sociologia Benecio Quispe Gutierrez, invitato in Italia per un ciclo di iniziative organizzato da A Sud.
L’accordo – declinato in protocolli esecutivi che stabiliscono forme e tempi della collaborazione – assume un significato simbolico particolare perchè l’UPEA rappresenta uno dei baluardi delle rivendicazioni sociali che hanno portato al processo di cambiamento economico, politico e sociale in atto nel paese.
Nata come risultato delle rivendicazioni indigene della cittadina di El Alto, nel distretto di La Paz, l’UPEA testimonia una realtà unica al mondo, dove si insegna storia andina, epistemologia e lingue indigene e si propongono piani di studio elaborati congiuntamente da professori e studenti. E’ l’unica Università Boliviana ad avere un sistema di voto universale, grazie al quale studenti e docenti eleggono con pari poteri le più alte cariche accademiche. E’ stata il centro propulsore delle rivendicazioni per i beni comuni che hanno portato alla cacciata delle multinazionali dell’acqua e del gas dal paese nel 2003, all’elezione del primo presidente indigeno dell’America Latina, Evo Morales, ed alla nazionalizzazione degli idrocarburi nel 2006.
Il portavoce di A Sud, Giuseppe De Marzo ha spiegato che “questo accordo avvicina i nostri popoli sulla basa della reciprocità e del rispetto, contribuendo a costruire pace su fondamenta solide come la difesa e la valorizzazione dei saperi.”
Secondo Benecio Quispe della UPEA, che ha ringraziato il rettore della Sapienza per “l’apertura e la disponibilità di un ateneo storico come La Sapienza a allacciare relazioni con la più giovane università boliviana”, […] “in qualità di istituzioni accademiche, docenti e studenti abbiamo l’obbligo di impegnarci per fornire strumenti culturali che aiutano a ricostruire le coscienze, in un mondo in profonda crisi come quello in cui viviamo”.
Dopo la firma dell’accordo e lo scambio dei doni, con indosso il tradizionale poncho rosso portato in dono dalla Bolivia, il rettore Guarini ha ringraziato il docente boliviano spiegando che “l’importanza di questo accordo è ancora più viva se si tiene in considerazione la storia della UPEA e la sua valenza simbolica. Siamo convinti che questo protocollo assuma al giorno d’oggi un significato non solo accademico e culturale, ma un messaggio importante di avvicinamento e integrazione tra i popoli del mondo”.
Infine – ha ricordato il preside Morcellini “questi accordi dimostrano che esistono strumenti di politica internazionale diversi dagli atti governativi, che come istituzioni educative abbiamo il dovere di usare per implementare processi di comprensione e collaborazione”.
A Sud
Questa raccolta di firme contro le aggressioni fasciste in Bolivia e in solidarietà al popolo boliviano sta girando in America Latina. Sarebbe molto importante che giungessero adesioni dall’Italia e dall’Europa.
Inviare una mail a: geopoliticageopoliticaws (geopoliticageopoliticaws) indicando nell’oggetto: FIRMA A LA CARTA DE REPUDIO A AGRESIONES FASCISTAS CONTRA BOLIVIA
Carta de repudio a agresiones fascistas contra Bolivia
Bolivia enfrenta en estas horas el mayor atentado contra la democracia y la constitucionalidad. Repudiamos totalmente los actos vandálicos y
delictivos organizados por la oligarquía y los grupos fascistas santacruceños, que intentan provocar una guerra civil o un golpe de estado. Demandamos castigo a los culpables y los conminamos a mantener su lucha por cauces legales y democráticos. No nos mantendremos
impasibles frente a estos acontecimientos. Estamos comprometidos con la democracia, la justicia y la autodeterminación de los pueblos y la
defenderemos en cualquier parte del mundo. Hoy toca en Bolivia. Con Bolivia estamos.
FIRMAS HASTA EL MOMENTO
Estados Unidos
Immanuel Wallerstein, Grassroots Global Justice Alliance,
México
Ana Esther Ceceña, Enrique Leff, José Francisco Gallardo, Angel Guerra,
Ricardo Melgar, Manuel Pérez Rocha, Enrique Rajchenberg, Gudrun
Lohmeyer, Carlos Lenkersdorf, Alicia Castellanos, Gilberto López y
Rivas, Carlos Fazio, Observatorio Latinoamericano de Geopolítica,
Alberto Arroyo, Fernando Buen Abad, Beatriz Stolowicz, Carlos Beas,
Magdalena Gómez, José Luis Ávila, Aldo Rabiela, Dolores González
Saravia, Red Mexicana de Acción frente al Libre Comercio, Marco Antonio
Velázquez, Comité Mexicano de Solidaridad con Bolivia, José Steinsleger,
Ma. Guadalupe Guadarrama Huerta, Benjamín Tirado, Jaime Estay, Red
Nacional Genero y Economía, Marcha Mundial de las Mujeres, Mujeres por
el Diálogo AC, Siembra AC, Leonor Aída Concha, Maricarmen Montes C, Rosa
Barranco, Angeles González, Lourdes del Villar, Elizabeth Alejandre,
Graciela Tapia, Virginia Bahena, Cecilia Bonilla, Marianela Madrigal,
Teresina Gutiérrez-Haces, Ezequiel Maldonado López, Héctor de la Cueva,
Centro de Investigación Laboral y Asesoria Sindical, Federico Manchón,
Aida Lerman, Frente Autentico del Trabajo, Ezequiel Garcia Vargas, Hilda
Ramirez Garcia, José Luz Trejo Torres, Cándido Cerón Hernández, Gabino
Jimenez, Movimiento Mexicano de Solidaridad con Cuba, Comité de DH
“Asís”, Héctor Martínez, Ericka Navarro, Rodolfo Castillo, Lucía García,
Isabel Pichardo, Josefina Ponce, Juana Quevedo, Alejandro Castillo,
Pilar Puertas, Colectivo Cosme Damian, Jaime Cota Aguilar, CITTAC, Dalia
Ruiz Avila, ALAMPYME, Adán Rivera, René Fernández, Ciudadanos en Apoyo a
los Derechos Humanos A.C., Consuelo Morales Elizondo, CADHAC, Mario
Bladimir Monroy Gómez, Paula Ramírez, MACONDO, Raymundo Reynoso, AMATE,
Julieta Reynoso, Alejandro Javier Herrera, Arte en Rebeldia, Seeking
Heaven Crew, Iniciativas para el Desarrollo de la Mujer Oaxaqueña AC,
Josefina Morales, Berence Ramirez, Hida Puerta, Germán Sánchez
Ecuador
María Augusta Calle (Presidenta de la mesa de soberanía, relaciones
internacionales e integración latinoamericana en la Asamblea
Constituyente), Ecuador Decide, Paulina Muñoz, SERPAJ Ecuador, Helga
Serrano, ACJ Ecuador, Osvaldo León, Sally Burch, Eduardo Tamayo
Haití
Camille Chalmers
Francia
Juan Carlos Bossio Rotondo, Yole Risso Bossio
Alemania
Dario Azzellini
Brasil
Theotonio Dos Santos, Roberto Leher, Plinio de Arruda Sampaio Jr.,
Confederación Sindical de Trabajadores/as de las Americas, Marcha
Mundial de las Mujeres, REMTE, Rede Social de Justica e Direitos
Humanos, Marcelo Carcanholo,
España
Juan Carlos Monedero, Francisco Fernández Buey
República Dominicana
Chiqui Vicioso
Paraguay
Martín Almada, Marielle Palau, Orlando Castillo, Iniciativa Paraguaya de
Integración de los Pueblos
Colombia
Juan Manuel Roca, Gilberto Herrera Stella, Emmanuel Rozental, Consejería
de la Asociacion de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca, Alianza
Social Continental
Venezuela
Gustavo Fernández Colón, Edgardo Lander
Canadá
Michel Lebowitz, Pueblos En Camino, Foro Social de Toronto-Canada, Janet
Conway, Judy Rebick y Carlos Torres
Chile
Marta Harnecker, Rafael Agacino
Argentina
Miguel Mirra, Susana Moreira, Emilio Taddei, Víctor Ego Ducrot,
Mopassol, Juan Roque, Telma Luzzani, Julio Gambina, Rina Bertacini,
ATTAC – Argentina, Diálogo 2000, Nora Cortiñas, Jubileo Sur Amèricas
El Salvador
Raúl Moreno, Red Sinti Techan
Uruguay
Sebastian Valdomir, REDES-Amigos de la Tierra, SERPAJ América Latina,
Ana Juanche, Antonio Elías,
Perú
Luis Miguel Sirumbal, Rosa Guillén, Marcha Mundial de las Mujeres de las
Americas, Alianza Social Continental — Capitulo Perú, Monica Bruckmann
Guatemala
Mesa Global
Il presidente boliviano Evo Morales lo scorso fine settimana è stato costretto a sospendere improvvisamente il suo viaggio nella città di Sucre, capitale costituzionale della Bolivia, per motivi di sicurezza. Gruppi di estrema destra, organizzati dall’ Alcaldia (il Comune) e formati da studenti dell’Università Pontificia di San Francisco Xavier e da appartenenti al Comité Interinstitucional, come ha denunciato il ministro del Governo Alfredo Rada, hanno dato origine a gravi disordini il cui bilancio è stato di una cinquantina di feriti. Persone armate di bastoni e pietre si sono prima scontrate con le forze dell’ordine, accerchiandole e insultando i militari che si sono ritirati su disposizione del governo per evitare il degenerare della situazione. Successivamente hanno preso di mira 20 contadini ed indigeni di etnia quechua affiliati al Mas (il partito di Morales), aggredendoli, insultandoli e legandoli dopo averli denudati nella piazza principale della cittadina, dove sono stati costretti a baciare il terreno, a maledire il MAS e il governo centrale e a chiedere scusa per le tre vittime degli scontri avvenuti lo scorso novembre durante l’approvazione della bozza della Nuova Costituzione.
Il viaggio di Morales si doveva svolgere in occasione dei festeggiamenti per i 199 anni della città.
Il Comité Interinstitucional che da tempo rivendica il passaggio di tutti i poteri dalla capitale governativa La Paz alla città di Sucre dove invece risiede soltanto la Corte Suprema, si è trasformato in un vero e proprio gruppo ribelle.
L’alto commissariato Onu per i diritti umani in Bolivia ha condannato duramente quanto accaduto: “questi incidenti violenti sono incompatibili con il rispetto dei diritti umani, violano la dignità umana, il diritto all’integrità personale e il divieto di sottoporre una persona ad atti degradanti”.
E infatti quello che ha caratterizzato la protesta contro la visita di Morales è stata la forte connotazione razzista che questa ha assunto.
Le comunità indigene e contadine della zona sono molto scosse da quanto avvenuto. Scene come quelle che si sono viste nella piazza principale del paese, riportano la storia indietro di centinaia di anni e il fatto che a compiere tali azioni siano stati soprattutto giovani e persone vicine alle istituzioni locali rende la situazione, già di per sè preoccupante (per la spinta autonomista delle regioni della Media Luna che va avanti da tempo), ancora più grave. Evo Morales ha invitato la Chiesa Cattolica, Metodista ed Evangelica a farsi promotrici di una campagna nazionale contro il razzismo, ma i suoi sostenitori, per la maggior parte indigeni e contadini, chiedono a questo punto al presidente boliviano maggior fermezza nella lotta al razzismo, che nelle ricche regioni orientali del paese sta assumendo le connotazioni di una vera e propria guerra civile.
CON I MOVIMENTI SOCIALI BOLIVIANI E IL GOVERNO MORALES
PER LA DEMOCRAZIA, LA PARTECIPAZIONE, LA GIUSTIZIA SOCIALE
CONTRO IL REFERENDUM REAZIONARIO DELL’OLIGARCHIA
LA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE, LA SCHIAVITU’
SOSTENIAMO LE NAZIONI E I POPOLI INDIGENI DELLA BOLIVIA
NEL LEGITTIMO RECUPERO DELLE PROPRIE TERRE ANCESTRALI
DICIAMO NO AGLI ABUSI E ALLE VIOLENZE DEI LATIFONDISTI
Per il 4 maggio 2008, settori conservatori della Bolivia, oligarchia e latifondisti, e le autorità del Dipartimento di Santa Cruz, loro emanazione, hanno promosso il “Referendum per gli Statuti di Autonomia”. Un atto illegittimo e illegale che si pone al di fuori delle leggi e della Costituzione minacciando l’unità nazionale.
Lo Statuto di Autonomia proposto disconosce il governo centrale e dispone che le regioni abbiano il controllo delle terre e delle risorse naturali, cosi come delle tasse derivanti dallo sfruttamento delle medesime risorse. Non riconosce né i popoli indigeni, né la loro cultura o i loro idiomi come elementi fondamentali delle sue proposte. Anzi!
Inoltre prevede un’autonomia pressoché completa dallo stato centrale – art.122 “Nel caso in cui la conformazione dell’organo di controllo di costituzionalità della Bolivia venga realizzato in violazione dei principi costituzionali di indipendenza dei poteri, delle idoneità e delle specificità della funzione giuridica, il Dipartimento Autonomo di Santa Cruz non si sottometterà alla sua giurisdizione […]” — con addirittura diritti politici diversi per i cittadini cruzeñi rispetto al resto dei boliviani, e conta anche su di una legislazione sulla terra molto differente: art. 102, “Il diritto alla proprietà della terra, la regolarizzazione dei diritti, la distribuzione, riditribuzione e amministrazione della terra nel Dipartimento di Santa Cruz è responsabilità del Governo Dipartimentale [..]”; art. 105, “Il Governo Dipartimentale, attraverso l’Istituto Dipartimentale della Terra (IDT), applicherà processi di raggruppamento, distribuzione e ridistribuzione della terra per evitare l’apparizione del fenomeno del minifondo improduttivo [..]”; art. 109, “Il Governatore firmerà tutti i Titoli Agrari che accreditano proprietà sulla terra […]”.
Questi articoli forniscono una risposta precisa alla domanda su chi abbia redatto un simile Statuto di Autonomia e su quali fossero le sue intenzioni: contrastare le riforme politiche-economiche del governo Morales e le azioni dei movimenti sociali che si sono battute per la difesa delle risorse naturali, per il cambiamento politico, l’eliminazione dei latifondi e la restituzione delle terre agli indigeni.
Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei popoli indigeni, nel rapporto redatto in seguito alla visita ufficiale in Bolivia dal 25 novembre al 4 dicembre 2007, ha dichiarato:
“Il progetto di statuto di autonomia prevede una serie di disposizioni di carattere razzista, compreso l’articolo 161, che sarebbe estremamente dannoso per le popolazioni indigene del dipartimento”.
Di fatto l’art. 161 dello statuto mostra il suo carattere razzista quando “riconosce con orgoglio la sua condizione razziale a maggioranza meticcia” e limita il riconoscimento dei popoli indigeni ai soli oriundi: “conservare la cultura e promuovere lo sviluppo integrale e autonomo dei popoli indigeni oriundi del dipartimento: Chiquitano, Guaraní, Guarayo, Ayoreo e Mojeño…”.
In realtà più del 20% della popolazione di Santa Cruz si auto identifica come Quechua o Aymarà. (dati censimento 2001)
E come vogliono “promuovere lo sviluppo dei popoli indigeni” i latifondisti e l’oligarchia Cruzeña?
Con la riduzione in schiavitù degli indigeni guaranì e l’opposizione armata al legittimo recupero delle terre ancestrali da parte dei popoli indigeni!
È il caso della hacienda “Caraparicito”, di proprietà del nordamericano Larsen.
Questo latifondista tiene in suo potere indigeni guaranì ridotti in schiavitù e per due volte, il 29 febbraio e il 4 aprile, ha impedito che venisse portata a compimento la restituzione delle terre, occupate da lui illegalmente, al Popolo Guaranì, ostacolando, sequestrando e minacciando di morte le commissioni ufficiali giunte alle porte della sua hacienda.
Il 4 aprile, Larsen ha minacciato personalmente e in maniera esplicita Alejandro Almaraz, viceministro per la Questione della Terra, e Wilson Changaray, Presidente dell’Assemblea del Popolo Guaranì.
Anche il già citato Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale delle Nazioni Unite, ha dichiarato di aver
“osservato con preoccupazione e condannato le aggressioni che nei giorni passati hanno colpito nella regione dell’Altipiano Cruzeño alcuni funzionari pubblici e membri delle comunità guaranì durante il processo di restituzione dei territori ancestrali a questo popolo”.
Il raggiungimento di una giustizia sociale a livello globale, di nuovi modelli di sviluppo che non comportino lo sfruttamento o la distruzione dell’ambiente naturale né degli esseri umani che lo popolano, passa dall’abbattimento delle oligarchie, dal recupero delle terre occupate arbitrariamente dai latifondisti, dall’eradicazione di ogni schiavitù, discriminazione, razzismo.
Facciamo un appello ai movimenti sociali Italiani, alle personalità politiche e intellettuali affinché sottoscrivano questo messaggio di solidarietà con le nazioni e i popoli indigeni, i movimenti sociali Boliviani e il Governo Morales.
Primi firmatari :
Confederazione COBAS, ARCI, Partito Rifondazione Comunista, SELVAS.ORG-Osservatorio Informativo, Associazione ASUD, REBOC — Rete Boicottaggio Coca Cola– Comitato Carlos Fonseca, Associazione Italia Nicaraguacircolo “Leonel Rugama” Roma, Spazio Sociale EX-51 Roma- El Vagon Libre.Onlus — Claudio albertani, insegnante messico – Guido Piccoli, giornalista
[1] La Bolivia, paese a maggioranza indigena (il 62% della popolazione) è la patria di 36 popoli indigeni ufficialmente riconosciuti, dei quali i maggiori per numero sono i Quechua e gli Aymarà.
[2] I popoli indigeni hanno ottenuto i titoli di proprietà per 11 milioni di ettari, sulla base della Legge Agraria 3545 di “Reconducción Comunitaria de la Reforma Agraria”, promulgata il 28.11.2006 dal presidente della repubblica Evo Morales.
[3] La nuova costituzione risponde a vari momenti storici: il superamento della colonia con il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni; il fallimento della riforma agraria del 1953; le conseguenze delle dittature degli anni ’70; il flagello neoliberista imposto dal 1985; le nuove sfide della Bolivia e del Mondo: una democrazia partecipativa, una giustizia reale e una umanità in armonia con la natura.
..
per aderire:
comitatocarlosfonsecavirgilioit (comitatocarlosfonsecavirgilioit)
…
In segno di solidarietà al popolo boliviano, in seguito alla richiesta della Telecom di istruire una causa contro il Governo di Evo Morales davanti al CIADI – Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie relative agli Investimenti, interno alla Banca Mondiale – alcuni rappresentanti dei movimenti sociali italiani hanno occupato questa mattina, martedì 13 novembre, la sede centrale romana della Telecom, in Corso d’Italia.
L’azione ha avuto come finalità ottenere che la Telecom rinunci immediatamente alla domanda di arbitraggio, rispettando la volontà sovrana del Governo boliviano, che ha legittimamente disconosciuto il CIADI sottraendosi alla sua giurisdizione nel maggio scorso.
Telecom Italia, attraverso la controllata Euro Telecom International, ha presentato una denuncia al CIADI contro la Bolivia per i rischi degli investimenti di Telecom nel Paese causati dalle politiche sociali e economiche del governo Morales.
Il CIADI ha annunciato pochi giorni fa di voler procedere nella causa.
La decisione arriva nonostante il governo boliviano abbia legittimamente disconosciuto l’organismo nel maggio scorso, accusandolo di essere un foro di disuguaglianza sempre schierato a favore delle multinazionali a danno dei popoli dei Paesi economicamente più deboli.
Tra gli occupanti, anche Sara Vegni e Giuseppe De Marzo di A Sud e Nunzio D’Erme di Action.
“I diritti dei popoli devono venire prima dei mancati guadagni delle multinazionali. E’ inaccettabile che un’impresa del nostro Paese sia protagonista di un atto di sciacallaggio del genere. Con questa azione vogliamo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e del Governo italiano affinché salvaguardi l’immagine del nostro Paese e riconosca il diritto della Bolivia di difendere l’interesse dei propri cittadini”, ha spiegato De Marzo.
“Riteniamo inammissibile che la Bolivia venga punita con la minaccia di un risarcimento multimilionario ed illegittimo solo per aver sovranamente difeso i diritti del proprio popolo e chiediamo quindi alla Telecom di ritirarsi immediatamente dall’arbitraggio” — ha concluso Nunzio D’Erme.
Per Alessandro Pullara dei COBAS del GRUPPO TELECOM “l’atteggiamento dell’Azienda è in conflitto con l’immagine che tende a dare di se e cioè di una azienda impegnata nel sociale, basti pensare alle compagne TELETHON, inoltre il suo comportamento è ancora più grave perché viziato da una totale avversità alle politiche sociali che il governo boliviano sta cercando di mettere in piedi per tutelare il diritto alla libera comunicazione. Bisogna ricordare che Telecom Italia deve ancora al fisco boliviano ingenti somme legate alla privatizzazione del 1996 e che le sono state comminate severe sanzioni per i disservizi causati alle comunità rurali per le interruzioni di servizio”.
Durante l’occupazione una delegazione di manifestanti, composta da De Marzo, D’Erme e Pullara è stata ricevuta dal Responsabile delle relazioni sindacali dell’impresa Onofrio Capogrosso, dirigente Telecom incaricato dell’incontro. Nella riunione il portavoce di A Sud De Marzo ha spiegato al dirigente le ragioni della dimostrazione, chiedendo alla Telecom di ritirare la domanda di arbitraggio dando il via ad una negoziazione col Governo boliviano affichè la questione sia risolta politicamente e non per vie legali. I rappresentanti dei movimenti hanno dichiarato che concederanno 10 giorni di tempo alla Telecom per rispondere sulla questione, prima di passare al lancio di una campagna internazionale contro la Telecom, accusata di appoggiare le oligarchie che si oppongono al legittimo governo di Morales in Bolivia e di continuare a violare i diritti dei popoli.
L’ambasciatore statunitense Phillip Goldberg, il secondo da sinistra, in posa con il mafioso colombiano Jairo Vanegas Reyes, attualmente in carcere. Sono in compagnia del Presidente della Camera di Industria e Commerico di Santa Cruz, Gabriel Dabdoub e di un membro della sicurezza dell’ Ambasciata nordamericana.
Goldberg go home!
Di Rafael Rolando Prudencio Briancon
Recurrentemente reitero de que el goebbeliano y golpista de Goldberg –master en mentir y mutilar-; o se va por la buenas, o de una buena vez hay que ignominiosa e inevitablemente EExpUUlsarlo del país a éste zaino saboteador que de la ex Yugoslavia, se vino vilmente a balcanizar Bolivia.
Ya es hora de ponerlo a éste indeseable e insidioso infiltrado en su sitio; o sea en la frontera, y no sólo es por el reciente y repentino impasse en el que se ha descubierto que el desestabilizador y dEElincUUencial diplomático, mantiene rufianescas relaciones con un delincuente, ni tampoco es por el hecho de que pueda tener amistad con paramilitares, asaltantes y asesinos; sino por la continua como conspiradora conducta que tiene el “escicionista” embajador estadounidense.
Y es que es como dice no mas ese remolón refrán “hazte de fama y échate en cama”. Pero de ahí a que nosotros queramos dormir, con el enemigo, sería como hacernos el harakiri; o que condescendientemente nos convirtamos en unos majaderos masoquistas ante la mala intención del Mr GOLPErg.
Y es que no se trata de la primera vez que el divisionista diplomático dirige arteramente su artillería contra la seguridad nacional, ya son varias veces que se lo encuentra con las manos en la masa –pólvora– para hacer estallar especializadamente la integridad territorial y la unidad nacional.
Hay pues una serie de subversivos sucesos que se han dado después del avieso arribo de Mr GOLPErg al país; e incluso desde antes, como fue por ejemplo la destrucción de los mísiles chinos, durante el gobierno del traicionero Rodríguez Veltzé, o el caso de los atentados terroristas en dos alojamientos donde perecieron dos compatriotas.
Pero el arbitrario y asiduo acoso de los subversivos súbditos norteamericanos, es moneda corriente de todos los días. La otra vez fueron las “balas balcanizadoras”, que la novia del hijito de papá; o sea del “patovica” –el seguridad de la embajada, James Campbell– se lo estaba traficantemente trayendo, un lote de quinientas balas; dizque para que pueda practicar tiro al blanco.
Posteriormente sucedió el tráfico de reliquias históricas de nuestro patrimonio nacional, que un funcionario de la embajada intentaba ilegalmente sacar del país; luego se vino la gansada de Goldberg, quien menospreciadamente se mofó del gobierno señalando sarcásticamente sobre el traslado de la sede de Disneylandia.
Hoy se trata de éste espectacular escándalo en el que se ha envuelto la embajada estadounidense nuevamente, claro que no faltaran la embusteras excusas para evadir responsabilidades, a la que le harán alineada y alcahuetemente eco denodadamente su defensora derecha, esa que la semana pasada, histéricamente increpaba al gobierno por las declaraciones de Hugo Chávez.
Es que claro, se han acostumbrado –derecha– arteramente ha minimizar miedosamente, con cualquier tipo de gEEnUUflexos justificativo las arbitrariedades de los americanos como, por ejemplo eso de decir: que el terrorista que metió las bombas a los alojamientos es un enajenado mental, o que las balas balcanizadoras eran para la práctica de tiro de su patovica, o que el traficante de arte, es un concienzudo coleccionista, o que sólo quería distender los ánimos con su infantil insinuación sobre Disney, o que no sabe el embajador con quien se hace sacar fotos.
Pero para mi; ya está de buen tamaño esta embustera EEstUUpidez del embajador estadounidense para explicar lo inexplicable; o es que éste –Goldberg– es cómplicemente el capo de la “cosa nostra” de la banda del paramilitar y mercenario mafioso John Jairo Venegas, o es que realmente se trata de la truculenta tramoya para balcanizar Bolivia, que personalmente pienso que eso, es así no mas. Y es que claro los credenciales de cruzado para la división y desintegración de las naciones así también lo confirman contundentemente.
Hay un dato mas que no puede descontextualizarse sobre la artificial y artificiosa crisis creada por la capitalidad de la república; y es que hace casi un año atrás, Mr GOLPErg, fue fotografiado en la plaza “25 mayo” almorzando con los alcahuetes y “hambrientos” constituyentes de la derecha, algo que nunca pudieron explicar las razones del porque les convidó esa conspiradora comilona. A partir de ese momento empezó la conspiración contra la constituyente con la coartada de la capitalidad, que casualidad, no creen?
Entonces pienso que lo mejor es cortar por lo sano, no mas las relaciones con este desestabilizador diplomático, que cree todavía que el país es su patio trasero, porque además todo tiene su límite, y precisamente ese es que de una buena vez hay que ponerlo en la frontera.
Roma 28/10/07 — Morales: “La rivoluzione di oggi è la rivoluzione di ieri.”
“La rivoluzione di oggi è la rivoluzione di ieri. Una rivoluzione pacifica e democratica”. Lo ha affermato Evo Morales, Presidente della Bolivia, durante il discorso alle comunità boliviane in Italia, in svolgimento nella sala della Protomoteca del Comune di Roma.
Aumento delle riserve di risorse naturali, crescita del PIL del paese, riforma del sistema pensionistico, ridistribuzione del reddito e creazione di un sistema bancario per lo sviluppo produttivo delle imprese locali. Questi i temi toccati da Morales in un discorso fiume alla comunità immigrata.
“La Bolivia è un paese che in meno di due anni ha aumentato la propria riserva di risorse naturali, raggiungendo il 4% annuo di crescita del paese”.
In merito poi alle multinazionali che operano in Bolivia per l’estrazione di gas naturale, il Presidente Morales ha precisato: “Le imprese (straniere ndr) che investono in Bolivia e che danno adeguate garanzie economiche e per la popolazione, sono le benvenute. Chi opera solamente per i propri interessi, no”.
Fonte: Andinamedia