Mario Casasús, Brecha
24 agosto 2007
“Uruguay è parola di un uccello, o lingua dell’acqua, è sillaba di una cascata, è tormento di cristalleria”
Pablo Neruda, Canto generale
Neruda ha vissuto clandestinamente in Uruguay tra il 1953 e il 1956, a casa di Alberto Mántaras, nella località balneare di Atlántida.
Testimonianza di questa permanenza è l’erbario progettato per l’ Ode ai fiori di Datitla (testo pubblicato nel Terzo libro delle Odi; Losada 1957), rimasto inedito fino al 2003.
Il suo esilio fu dovuto alla relazione con Matilde Urrutia a differenza di quello che fu costretto a vivere quando in Cile dichiararono illegale il Partito Comunista e la sua carica di senatore fu revocata: allora attraversò le montagne a cavallo con destinazione Buenos Aires, dove Miguel Ángel Asturias gli prestò il suo passaporto per far sì che a Parigi, Picasso lo potesse presentare al Congresso Mondiale per la Pace.
La militanza del nostro poeta non è un segreto, di origini comuniste, diplomatico del Frente e della Unidad Popular, si ficcava in ogni pasticcio, come in Messico, quando liberò dal carcere il muralista Siqueiros o in Spagna, quando fece emigrare 2500 repubblicani sulla nave Winnipeg.
È da tempo che si dice che la morte di Neruda sia avvenuta più per tristezza che per cancro, io credo che il 23 settembre 1973 agirono entrambe le cause in maniera fulminante.
L’erbario fu composto in Uruguay insieme alla poesia Testamento del Canto Generale:
“Lascio ai sindacati
del rame, del carbone e del salnitro
la mia casa sul mare d’Isla Negra.
Voglio che lì riposino i vessati figli
della mia patria, saccheggiata da asce e traditori,
dissipata nel suo sacro sangue,
consumata in vulcanici brandelli”
Sono stati questi i versi che posero le basi del progetto che il poeta scelse di chiamare Cantalao: “Fondazione di Beneficenza senza fini di lucro il cui obiettivo sarà la diffusione della letteratura, dell’arte e della scienza, specialmente nella zona compresa nel litorale tra San Antonio e Valparaíso (…) a) costruzione e messa a disposizione per il bene comune della Fondazione di edifici che avranno lo scopo di essere luogo di incontro per scrittori, artisti e scienziati nazionali e stranieri così come avranno la funzione di ospitarli.
L’articolo quinto relativo alla composizione del Consiglio Direttivo ed Esecutivo: questo sarà formato da due rappresentanti di Pablo Neruda, dai rettori dell’Università del Cile, Cattolica e Tecnica dello Stato, da un rappresentante della Centrale Unitaria dei Lavoratori e da un rappresentante della Società degli Scrittori del Cile (documento inedito, datato il 9 maggio 1973, del quale conservo una fotocopia autenticata davanti ad un notaio pubblico).
Dopo il colpo di Stato del 1973, alla vedova Matilde Urrutia furono confiscate le case del poeta, lo stesso fecero al Partito Comunista erede di Isla Negra. Matilde Urrutia accompagnava le madri dei detenuti scomparsi nei commissariati in cerca di un habeas corpus, faceva dichiarazioni alla BBC sulla sistematica violazione dei diritti umani della dittatura, autorizzava antologie di Neruda a paesi amici – per esempio al Fondo della Cultura Economica del Messico, sporgeva denunce nella Spagna franchista quando venivano censurate le fotografie di Neruda con Salvador Allende, ma lei visse solo fino al 1986. Che successe poi con l’eredità di Neruda dopo la morte della vedova? Dove finì il denaro del poeta? È in quel momento che appare Agustín Figueroa, un personaggio sinistro che si impadronì dei diritti del poeta e dell’amministrazione della sua immagine.
Il legame con Neruda lo stabilisce tramite sua sorella, Aída Figueroa, che su richiesta del Partito Comunista nascose Neruda nel 1948 (periodo nel quale scrisse in clandestinità il Canto Generale) e con questo gesto riuscì a conquistarsi la fiducia e l’amicizia del poeta. Una volta morto Neruda e quando molte persone voltarono le spalle a Matilde Urrutia (o i suoi amici si trovavano in esilio), Aída le presentò suo fratello Juan Agustín (che non fu mai amico di Neruda). Matilde accettò il consiglio della sua amica, senza sapere che fin dalla sua gioventù Figueroa era stato intimo amico e socio del pinochetista Ricardo Claro. Una volta morta Matilde Urrutia, la dittatura lasciò campo libero a Juan Agustín Figueroa.
Contravvenendo alla volontà di Neruda, Figueroa consigliò Matilde affinchè nominasse nel Consiglio Direttivo della Fondazione un gruppo di persone di sua fiducia tra le quali c’erano sua moglie (QEPD), sua sorella e l’avvocato del suo studio. Vedendo l’amministrazione di Figueroa, il primo a rinunciare fu Jorge Edwards.
Dove finì il denaro del poeta? Ritornando all’epigrafe: “è tormento di cristalleria”: 2.3 milioni di dollari(USD) incassati solo nel 2003 come diritti d’autore delle opere di Neruda sono stati investiti in buoni fruttiferi nella Cristalerias Chile, secondo la logica neoliberale per cui è conveniente un investimento di basso rischio con poca speculazione del capitale, vero? Nel 2005 pubblicai in esclusiva l’inchiesta completa sulla nuova Fondazione Neruda (si è perduto il nome Cantalao così come come l’erbario uruguayo). Cristalerías Chile è di proprietà di Ricardo Claro: questi fu consigliere di Pinochet fin dal 12 settembre 1973, ambasciatore della dittatura dal 1978, responsabile di aver portato in Cile il suo amico Henry Kissinger, quale fu il motivo del suo viaggio se non orchestrare il Plan Condor?
Nel capitolo VI – Centri di detenzione – della Commissione Nazionale sulla Prigione Politica e Tortura presieduta dal vescovo Sergio Valech (pagine 312/313; Informe Valech, 2004) si elencano le testimonianze delle navi usate come prigioni a Valparaíso, e come riporta il quotidiano La Nación “Ricardo Claro mise a disposizione delle forze di sicurezza due navi di una sua impresa, la Compañia Sudamericana de Vapores, per essere usati come centri di detenzione e tortura. Una di esse, la Maipo, ha portato 380 detenuti da Valparaíso fino a Pisagua. Molti dei suoi “passeggeri” persero la vita. L’altra nave, la Lebu, era un carcere galleggiante e più di 2000 persone passarono e per le sue stive e cabine (05.12.2004).
***
L’esecutore testamentario della Fondazione, Juan Agustín Figueroa dichiarò dieci giorni dopo la pubblicazione della mia ricerca: “Neruda sarebbe stato completamente d’accordo” (in merito all’investimento di denaro nella ditta di Ricardo Claro)…”Il mondo di Neruda è finito e dobbiamo aprirci su altri fronti” e “gli utili permetteranno alla fondazione di sopravvivere quando decadranno i diritti d’autore di Neruda nel 2023” (diario La Tercera; 21.08.2005, dove attualmente è editorialista della domenica Henry Kissinger). Un anno dopo, il quotidiano ufficiale del Cile, riprese la mia inchiesta e le reazioni della Fondazione Neruda non furono diverse: L’avvocato, bibliotecaria e componente del Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda, Clara Budnik dichiarò a Javier García del quotidiano La Nación: “Voglio che sappiate che se si è investito in modo da ottenere dei dividendi per l’istituzione, per me non ci sono problemi. Inoltre Ricardo Claro apporta cultura al nostro paese”. (09.07.2006).
La Fondazione Neruda non ha mai potuto smentirmi, li ho accusati di evasione fiscale (per 140 milioni di pesos cileni e del suo equivalente 249,309.95 USD), di negligenza di fronte alla falsificazione dell’Antologia Popolare 1972 da parte dell’editrice Edaf (legata all’estrema destra del PP spagnolo), di influenza da parte di Juan Agustín Figueroa nel rispolverare le Leggi Antiterroriste contro la comunità mapuche, nemmeno il nostro editorialista del quotidiano La Jornada Noam Chomsky visitando Temuco l’anno scorso per una riunione con i leader mapuche, poteva credere che chi presiede la Fondazione Neruda è l’ideologo della Ley Maldita (Legge Maledetta), per la quale Neruda abbandonò il paese, oggi chiamata Legge Antiterrorista.
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Juan Agustín Figueroa è amico personale e socio di Ricardo Claro dal 1950, ora è chiaro del perchè la dittatura gli ha lasciato mano libera nella Fondazione Neruda dopo la morte della vedova del poeta. Figueroa ha apportato “piccoli cambiamenti agi statuti” creati da Neruda, dei 7 membri originari, ora ce ne saranno solo 5, “le loro cariche saranno vitalizie, ma potranno cessare per rinuncia, e venendosi a creare un posto vacante, gli altri quattro membri possono scegliere il sostituto. Se rimangono solamente uno o più membri del Consiglio sarà compito di questi designare il sostituto”. L’attuale Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda è composto da:
Aida Figueroa Yávar, sorella del direttore generale; Jorge del Río, socio dello studio degli avvocati di Figueroa; Raúl Bulnes, intimo amico di Figueroa, e con la morte della moglie di Figueroa (che faceva parte anche lei della direzione) si è preparata la strada a Ignacio Figueroa in qualità di futuro presidente vitalizio, dal momento che suo padre Juan Agustín Figueroa erediterà la Fondazione Neruda… tutto rimarrà in famiglia, niente per gli scrittori, gli universitari o i sindacalisti cileni.
Ho insistito nella necessità di una convocazione della Fondazione Neruda da parte del ministro delle Finanze (imposte interne), ho sollecitato al presidente Bachelet la cancellazione della Personalità Giuridica della Fondazione Neruda, ho intervistato tutti gli amici e biografi del poeta in Spagna, Cuba, Messico, Italia, Germania, Stati Uniti, Uruguay, Argentina e Cile e ho soltanto vinto alcune piccole battaglie: mi hanno concesso le dimissioni di un dirigente esecutivo,(Francisco Torres), l’Agenzia Balcells ha rimproverato l’editrice Edaf per la falsificazione della sua Antologia Postuma 2004 (mentre in realtà è l’Antologia Popular del 1972) , ma la cosa più importante è il caso di Pascual Pichún, un mapuche di 23 anni che è fuggito attraverso le montagne dopo essere stato accusato di essere un “terrorista” secondo la logica di Figueroa, in Argentina si deciderà se dovrà essere deportato per la violazione delle leggi migratorie (come avrebbero fatto con Neruda ai tempi della Ley Maldita) e fino a questo momento si trova lì come rifugiato politico, in parte grazie alla mia inchiesta sui diritti di autore di Pablo Neruda investiti nelle aziende di un terrorista di Stato come Ricardo Claro.
“Cosa penserebbe Neruda di tutto questo?” Cosa scriverebbe nel settimanale Marcha o nel Siglo Ilustrado su Ricardo Claro e Juan Agustín Figueroa? Ricordo una vecchia foto di Neruda nella redazione di Marcha insieme a Mario Benedetti. La mia editrice Faride Zerán mi dice che il caso Fondazione Neruda “rappresenta la metafora della transizione cilena”.
(Traduzione di Annalisa Melandri)
Mario Casasús è un giornalista nato in Messico le cui radici sono “rappresentate da un esilio permanente” come egli stesso scrive parlando della sua famiglia cilena in una lettera aperta al Subcomandante Marcos e pubblicata su la Jornada Morelos, quotidiano messicano per il quale lavora.
E’ giovanissimo, è nato a Cuautla nel 1980 e lavora anche per il Clarín del Cile. E’ coraggioso e come i migliori giornalisti è mosso da sincera passione e amore per la verità. Se Julio Scherer è il “periodista incómodo” (giornalista scomodo) del Messico, mi sento di definire Mario “periodista incómodo” del Cile.
Io lo ammiro molto e credo che tutti noi che amiamo Neruda dovremmo essere grati a Mario e al suo lavoro”. A.M.
…
ODE AI FIORI DI DATITLA
Sotto i pini la terra prepara
piccole cose pure:
erbe sottili
dai cui fili
si impennano minuscoli fanali,
capsule misteriose
piene di aria perduta,
ed è diversa lì
l’ombra,
filtrata
e fiorita,
lunghi aghi verdi sparsi
dal vento che attacca e mette in disordine
i capelli dei pini.
Sulla sabbia
capitano
petali frammentari,
calcinate cortecce,
pezzi azzurri
di legno morto,
foglie che la pazienza
degli scarabei
boscaioli
cambia di posto, migliaia
di coppe minime
l’eucaliptus lascia
cadere
sopra
la sua
fresca e fragrante
ombra
e ci sono
erbe
simili a flanella
e argentate
con morbidezza
di guanti,
bastoni
di orgogliose spine,
irsuti padiglioni
di acacia scura
e fiori colore di vino,
stiance, spighe,
cespugli,
ruvidi steli riuniti come
ciuffi nella sabbia,
foglie
rotonde
di ombroso verde
tagliato con forbici,
e tra l’alto giallo
che improvvisamente
alza
una silvestre
circonferenza d’oro
fiorisce la tigridia
con tre
lingue di amore
ultravioletto.
Sabbie di
vicino
all’aperto estuario
de La Plata, nelle prime
onde del grigio Atlantico,
solitudini amate,
non solamente
al penetrante
odore e movimento
di pinete marittime
mi riportaste,
non solamente
al miele dell’amore e alla sua delizia,
ma alle circostanze
più pure della terra:
alla secca e scontrosa
Flora del Mare, dell’Aria,
del Silenzio.
…
L’Ode ai Fiori di Datitla di Pablo Neruda è un erbario che ha una lunga storia, fatto e manoscritto da Pablo Neruda e Matilde negli anni del loro amore clandestino. Quest’opera fu regalata a Alberto Mantarás, amico di Pablo, come ringraziamento dell’ospitalità che ricevettero in casa di lui, nella zona balneare di Atlántida, in Uruguay, (1953–1956). L’ originale dell’Erbario Ode ai Fiori di Datitla si trova nel Museo “Paseo de Neruda” Fundación Fortín de Santa Rosa, Atlántida, Uruguay.
“Uruguay es palabra de pájaro, o idioma del agua, es sílaba de una cascada, es tormento de cristalería”
Pablo Neruda, Canto general
Mario Casasús, Brecha
24 agosto 2007
Neruda vivió clandestinamente en Uruguay entre 1953 y 1956, en casa de Alberto Mántaras en el balneario de Atlántida. Constancia de ello fue el herbario proyectado para la Oda a las flores de Datitla (texto publicado en el Tercer libro de las Odas; Losada 1957) que permaneció inédito hasta 2003.
Su exilio era ya por amores con Matilde Urrutia a diferencia del comienzo fugitivo cuando en Chile decretaron ilegal al Partido Comunista y a Neruda senador desaforado: cruza la cordillera a caballo con destino porteño, donde Miguel Ángel Asturias le prestaría su pasaporte para que finalmente Picasso lo presentara en París en un Congreso Mundial por la Paz.
La militancia de nuestro poeta no es un secreto, comunista de cepa, diplomático del Frente y la Unidad Popular, se metía en cada quilombo lo mismo en México, al liberar de prisión al muralista Siqueiros o en España al rescatar a 2,500 republicanos en el barco Winnipeg. Hace tiempo que se dice de la muerte de Neruda por tristeza más que por cáncer, yo creo que ambos de manera fulminante el 23 de septiembre de 1973. El herbario compilado en Uruguay junto al poema Testamento del Canto general:
“Dejo a los sindicatos
del cobre, del carbón y del salitre
mi casa junto al mar de Isla Negra.
Quiero que allí reposen los maltratados hijos de mi patria, saqueada por hachas y traidores, desbaratada en su sagrada sangre, consumida en volcánicos harapos.”
Fueron estos versos los que colocaron las bases de lo que el poeta eligió llamar Cantalao: “Fundación de Beneficencia sin fines de lucro cuyo objetivo será la propagación de las letras, las artes y las ciencias, en especial en el litoral comprendido entre San Antonio y Valparaíso (…) a) construcción y habilitación en el bien raíz que se aporta para la Fundación de edificaciones que se destinaran a sitios de reuniones de escritores, artistas y científicos nacionales y extranjeros como así mismo para su alojamiento (…) En el artículo Quinto relativo a la Composición del Consejo Directivo y Ejecutivo: ‘Se compondría de dos representantes de Pablo Neruda, de los rectores de las universidades de Chile, Católica y Técnica del Estado, por un representante de la Central Unitaria de Trabajadores y un representante de la Sociedad de Escritores de Chile’” (documento inédito, fechado el 9 de mayo de 1973, del que conservo una fotocopia certificada ante notario público).
Después del golpe de Estado de 1973, a la viuda Matilde Urrutia se le confiscaron las casas del poeta, lo mismo al Partido Comunista heredero de Isla Negra. Matilde Urrutia acompañaba a las madres de detenidos desaparecidos a las comisarías en busca de un hábea corpus, hacía declaraciones en la BBC sobre la sistemática violación de los derechos humanos de la dictadura, autorizaba antologías de Neruda a países amigos –por ejemplo al Fondo de Cultura Económica mexicano-, se querellaba en la España franquista cuando censuraban las fotos de Neruda junto a Salvador Allende, pero ella sólo sobrevivió hasta 1986. ¿Qué pasó con la herencia de Neruda luego de la muerte de la viuda? ¿A dónde fue a parar la plata del poeta? Es entonces cuando aparece Juan Agustín Figueroa, un personaje siniestro que se irá adueñando de los derechos del poeta y del manejo de su figura.
La conexión le llega por su hermana, Aída Figueroa, que a petición del Partido Comunista escondió a Neruda en 1948 (tiempo en el que escribiría en la clandestinidad el Canto general), y con ello se ganó la confianza y amistad del poeta. Una vez muerto Neruda y cuando mucha gente le dio la espalda Matilde Urrutia (o vivían el exilio sus amigos), Aída le presentó a su hermano Juan Agustín (que nunca fue amigo de Neruda). Matilde acepta el consejo de su amiga, pero sin saber que desde su juventud Figueroa era íntimo y socio del pinochetista Ricardo Claro. Una vez muerta Matilde Urrutia la dictadura dejó trabajar sin problemas a Juan Agustín Figueroa.
Desobedeciendo la voluntad de Neruda, Figueroa asesoró a Matilde para que nombrase en el directorio de la fundación a un grupo de personas dóciles a sus intereses entre los que estaba su propia esposa (QEPD), su hermana y el abogado de su despacho. Al ver la administración de Figueroa, el primero en renunciar fue Jorge Edwards.
¿A dónde fue a parar la plata del poeta? Vólviendo al epígrafe: “es tormento de cristalería”: 2.3 millones de dólares (USD) generados sólo en 2003 por derechos de autor de Neruda se invierten mediante bonos bursátiles en Cristalerías Chile, bajo la lógica neoliberal está bien una inversión de bajo riesgo con poca especulación de capitales ¿cierto? Lo Claro, es que en 2005 publiqué en exclusiva la investigación completa sobre la nueva Fundación Neruda (se perdió el nombre Cantalao como el herbario uruguayo) Cristalerías Chile es propiedad de Ricardo Claro: asesor de Pinochet desde el 12 de septiembre de 1973, embajador de la dictadura hasta 1978, responsable de traer a Chile a su amigo Henry Kissinger ¿A qué viajó sino a orquestar el Plan Cóndor?
En el Capítulo VI –Recintos de detención– de la Comisión Nacional sobre Prisión Política y Tortura presidida por el obispo Sergio Valech (páginas 312 a 313; Informe Valech, 2004) acopia los testimonios de los buques usados como prisión en Valparaíso, como resume el diario La Nación “Ricardo Claro puso a disposición de las fuerzas de seguridad dos barcos de otra de sus empresas, la Compañía Sudamericana de Vapores, para ser usados como centros de detención y tortura. Uno de ellos, El Maipo, trasladó a 380 detenidos desde Valparaíso hasta Pisagua. Muchos de sus ‘pasajeros’ perdieron la vida. El otro, El Lebu, cumplió el rol de cárcel flotante y más de dos mil personas pasaron por sus bodegas y camarotes” (05.12.2004).
***
El albacea de la Fundación, Juan Agustín Figueroa declaró a 10 días de publicada mi investigación: “Neruda habría estado totalmente de acuerdo” (con la inversión en la empresa de Ricardo Claro)… “El mundo de Neruda se acabó y tenemos que abrirnos a otros lados” y “Las ganancias permitirán a la fundación subsistir cuando caduquen los derechos de autor de Neruda, en 2023″ (diario La Tercera; 21.08.2005, donde actualmente es columnista dominical Henry Kissinger). Un año después el diario oficialista de Chile retomó mi investigación y las reacciones de la Fundación no fueron distintas: La abogada, bibliotecóloga e integrante del directorio de la Fundación Neruda, Clara Budnik declaró a Javier García del diario La Nación: “Quiero que sepas que si se invirtió en términos de que dé dividendos a la institución, yo no veo problemas. Por lo demás, Ricardo Claro ha aportado a la cultura de nuestro país” (09.07.2006).
La Fundación Neruda nunca ha podido desmentirme, los he acusado de evasión fiscal (por 140 millones de pesos chilenos o su equivalente 249,309.95 USD), de negligencia ante la falsificación de la Antología Popular 1972 por parte de la editorial Edaf (ligada a la extrema derecha del PP español), de tráfico de influencias por parte de Juan Agustín Figueroa al desempolvar Leyes Antiterroristas contra la comunidad mapuche, ni nuestro columnista del diario La Jornada Noam Chomsky al visitar Temuco el año pasado para reunirse con líderes mapuches podía creer que quien preside la Fundación Neruda sea el ideólogo de la actualización de la Ley Maldita (por la que Neruda salió de su país) ahora llamada Ley Antiterrorista.
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Juan Agustín Figueroa es amigo personal y socio de Ricardo Claro desde 1950, ahora tiene sentido que la dictadura lo dejara trabajar al frente de la Fundación Neruda a la muerte de la viuda. Figueroa hizo ‘pequeños cambios a los estatutos’ creados por Neruda: de 7 integrantes, ahora sólo serán 5 “Sus cargos serán vitalicios pero podrán cesar por renuncia, producida alguna vacante los otros cuatro miembros elegirán al reemplazante. si sólo quedase uno o más miembros del Consejo a éstos corresponderá designar a los reemplazantes” El actual directorio de la Fundación Neruda lo integran:
Aída Figueroa Yávar, hermana del director general; Jorge del Río, miembro del estudio de abogados de Figueroa; Raúl Bulnes, íntimo amigo de Figueroa, y con la muerte de la esposa de Figueroa (que también estaba en el directorio de la Fundación) le preparan el camino a Ignacio Figueroa como futuro presidente vitalicio, ya que su padre Juan Agustín Figueroa le heredará la Fundación Neruda… todo quedará en familia, nada para los escritores, universitarios o sindicalistas chilenos.
He insistido en la necesidad de una auditoria a la Fundación Neruda por parte del Ministerio de Hacienda (impuestos internos), le he solicitado a la presidenta Bachelet el Desconocimiento de la Personalidad Jurídica de la Fundación Neruda, entrevisté a todos los amigos y biógrafos del poeta en España, Cuba, México, Italia, Alemania, Estados Unidos, Uruguay, Argentina y Chile; y sólo he ganado pequeñas batallas: me concedieron la renuncia de un directivo ejecutivo (Francisco Torres), la Agencia Balcells regañó a la editorial Edaf por la falsificación de su Antología Póstuma 2004 (cuando en realidad es la Antología Popular 1972), pero lo más importante es el Caso Pascual Pichún, un mapuche de 23 años que escapó por la cordillera acusado de ‘terrorista’ bajo la lógica de Figueroa, en Argentina se decide si lo deportan por violar leyes migratorias (como lo hiciera Neruda en tiempos de la Ley Maldita) y hasta ahora está en calidad de refugiado político, en parte por mi investigación sobre los derechos de autor de Neruda invertidos en un terrorista de Estado como Ricardo Claro.
¿Qué pensaría Neruda de todo esto? ¿Qué escribiría en el semanario Marcha o El Siglo Ilustrado sobre Ricardo Claro y Juan Agustín Figueroa? Recuerdo una vieja foto de Neruda en la redacción de Marcha junto a Mario Benedetti. Mi editora Faride Zerán me dice que el Caso Fundo Neruda ‘es la metáfora de la transición chilena’.
…
“Mario Casasús es un periodista nacido en Mexico cuyas raices son representadas por un exilio permanente” cómo él mismo escribe refiriendose a su familia chilena en una carta abierta al Subcomandante Marcos publicada en la Jornada Morelos, periodico de Mexico, por el, cual trabaja.
Es muy joven, nació en Cuautla en 1980 y escribe también por El Clarín de Chile. Es valiente y cómo los mejores periodistas trabaja por pasión sincera y amor por la verdad. Si Julio Scherere es el “periodista incómodo” de Mexico, estoy segura que puedo llamar Mario “periodista incómodo” de Chile.
Yo lo admiro mucho y todos los que amamos Pablo Neruda deberiamos agradecer Mario por su valiente trabajo”. A.M.
…
Oda a las flores de Datitla
Bajo los pinos la tierra prepara
pequeñas cosas puras:
hierbas delgadas
desde cuyos hilos
se suspenden minúsculos faroles,
cápsulas misteriosas
llenas de aire perdido,
y es otra allí
la sombra,
filtrada
y floreada,
largas agujas verdes esparcidas
por el viento que ataca y desordena
el pelo de los pinos.
En la arena
suceden
pétalos fragmentarios,
calcinadas cortezas,
trozos azules
de madera muerta,
hojas que la paciencia
de los escarabajos
leñadores
cambia de sitio, miles
de copas mínimas
el eucaliptus deja
caer
sobre
su
fría y fragante
sombra
y hay
hierbas
afraneladas
y plateadas
con suavidad
de guantes,
varas
de orgullosas espinas,
hirsutos pabellones
de acacia oscura
y flor color de vino,
espadañas, espigas,
matorrales,
ásperos tallos reunidos como
mechones de la arena,
hojas
redondas
de sombrío verde
cortado con tijeras,
y entre el alto amarillo
que de pronto
eleva
una silvestre
circunferencia de oro
florece la tigridia
con tres
lenguas de amor
ultravioleta.
Arenas de Datitla
junto
al abierto estuario
de La Plata, en las primeras
olas del gris Atlántico,
soledades amadas,
no sólo
al penetrante
olor y movimiento
de pinares marinos
me devolvéis,
no sólo
a la miel del amor y su delicia,
sino a las circunstancias
más puras de la tierra:
a la seca y huraña
Flora del Mar, del Aire,
del Silencio.
ODA A LAS FLORES DE DATITLA DE PABLO NERUDA, es un herbario que tiene una larga historia, hecho y manuscrito por Pablo Neruda y Matilde en los años de su amor clandestino. Esta obra fue regalada a Alberto Mántaras, amigo de Pablo, en agradecimiento a la hospitalidad que recibieron en la casa de aquél, en el balneario de Atlántida en el Uruguay (1953 — 1956).
El original del herbario Oda a las Flores de Datitla, se encuentra en el Museo “Paseo de Neruda”. Fundación Fortín de Santa Rosa, Atlántida, Uruguay.
Publico de buenas ganas la carta enviada al Ministro de la Universidad e la Investigación Científica Fabio Mussi, como protesta en contra de la decisión tomada por la Universidad de Siena de atribuir una Laurea ad Honorem al presidente de Chile, señora Bachelet.
En la página web de la televisión de Estado Rai.it refiere que “Micelle Bachelet serà condecorada con dicho título por su “compromiso político en defensa de la democracia y de los derechos humanos, por el aporte al desarrollo de la medicina social y de la salud pública”.
Sabemos que eso es falso, que es probado por los ultímos acontecimientos en Chile y la situación siempre más grave en que se encuentran los pueblos mapuche y chileno en materia de derechos humanos.
Quien lo desea, puede escribir al Ministro Mussi a : mussi_fcamerait (mussi_fcamerait)
CARTA ABIERTA
al
Sr Ministro
De la Universidad y de la Investigación
Científica
dr Fabio Mussi,
Hemos recibido la noticia de la Laurea ad honorem que será asignada por la Universidad de Siena al presidente de Chile señora Michelle Bachelet.
No conocemos los criterios que han motivado la aprobación por Usted atribuida a la entrega de esta laurea.
Lo que conocemos, es la violación de los Derechos Humanos que existe en Chile y la represión sistemática del estado chileno contra el Pueblo Mapuche, en lo sustancial el proseguimiento del sistema represivo establecido por la Dictadura Militar y actualmente administrada por la señora Bachelet
Sabemos que el gobierno de la señora Bachelet permite a las transnacionales y a los latifundistas adueñarse y devastar el territorio perteneciente al pueblo originario mapuche.
Sabemos que la señora Bachelet permite la aplicación de la ley antiterrorista 18.314, promulgada por Pinochet y todavía en vigencia, exclusivamente en territorios mapuche. Este es un comportamiento racista contra los mapuches que pacíficamente revindican sus derechos.
Sabemos que en Chile hay almenos 23 detenidos (otras fuentes informativas citan 50) entre lonkos y comuneros mapuches. La señora Bachelet niega el encarcelamiento esencialmente politico de estos prisioneros.
Sabemos que los mapuches prisioneros politicos sufren una condena emitida después de un juicio irregular con testigos contratados, aparecidos en la sala con el rostro oculto. Sabemos que durante la encarcelación los comuneros son víctimas de vejámenes y torturas; sabemos que sus familiares, también niños son amenazados, chantajeados y perseguidos.
Conocemos las condiciones de indigencia a la cuál está obligado por las persecusiones el Pueblo Mapuche.
Sabemos que la señora Bachelet se negó a testificar en el Informe Valech sobre Prisión y Tortura cuando era ministro de Defensa.
Esto, señor Ministro, basta para contrarrestar “el compromiso politico en defensa de la democracia y de los derechos humanos”,
vanagloriosa propaganda de la señora Bachelet que la Universidad de Siena da crédito.
Señor Ministro , estamos indignados y rechazamos el otorgamiento de esta inmerecida Laurea ad honorem a la señora Michelle Bachelet.
Saludos cordiales.
FIRMAN:
As. WENUYKAN AMICIZIA CON IL POPOLO MAPUCHE
As. ARGENTINA VIENTOS DEL SUR
As. CULTURA MAPUCHE Goteborg Svezia
RADIO REGION IVX
SOLIDARIDAD CON EL PUEBLO MAPUCHE
Coordinación en Italia
Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007
Riciclaggio di denaro del narcotraffico nella Fondazione Neruda?
E’ una linea investigativa che non seguivo ormai da due anni, da quando pubblicai in esclusiva la notizia dell’evasione fiscale di 250 mila dollari, effettuata tramite false ricevute di pagamento di onorari, notizia che la Fondazione Neruda non potè smentire.
Dieci giorni dopo l’uscita del mio articolo (La Jornada Morelos 11/08/2005) mi sono state comunicate le dimissioni dell’allora direttore esecutivo Francisco Torres. (La Tercera 21/08/2005).
Ho tralasciato le notizie relative alle abitudini personali e al consumo di droga a cui sono soliti dedicarsi alcuni personaggi della Fondazione, mi è sembrato irrilevante rispetto i precedenti criminali del suo nuovo testamentario: il pinochettista Ricardo Claro.
La notizia dell’evasione fiscale già era di per sé degna di richiamare l’attenzione del governo del Cile, ho creduto che denunciare “l’elogio del terrorismo” con l’investimento di 2,3 milioni di dollari della Fondazione Neruda nelle imprese di Ricardo Claro, le cose si sarebbero sistemate.
Ma lo Stato cileno è stato sopraffatto sistematicamente da Ricardo Claro: fin dal 12 di settembre 1973 fu consigliere di Pinochet nel ministero più importante, quello degli Esteri; Claro mise inoltre a disposizione due sue imbarcazioni come centri di tortura e organizzò il golpe fascista contro l’Unidad Popoular nel suo tempo libero da civile. Ricardo Claro, l’amico di Kissinger, (al quale propose l’invasione di Cuba nel 1976), e nello stesso tempo, Claro, nemico di Sebastiàn Piñera (come dimenticare l’umiliazione a cui sottopose l’ex candidato presidenziale con il caso dello spionaggio Kioto in Mega TV). Nel mio paese Ricardo Claro, decide la politica editoriale di Televisa (di cui è azionista e dove ha trascorso sette anni nel Consiglio di Amministrazione, dove vengono convocati solo membri del Club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la famiglia Azcárraga); infatti la dottoressa Michelle Bachelet durante la sua prima visita ufficiale in Messico si fece accompagnare da Ricardo Claro, in veste di addetto alle pubbliche relazioni. Il quotidiano ufficiale La Nación pubblicò: “L’agenda di visite della Bachelet continuerà oggi con un incontro imprenditoriale bilaterale che riunirà importanti impresari cileni come Ricardo Claro, con i suoi omologhi messicani” (21/04/2007). Ora tutto è “claro”… (chiaro)…
Neruda muore ipotecato, di cancro e tristezza fulminante nel 1973.
La dittatura di Pinochet già aveva fatto programmi a lungo termine per amministrare le risorse del poeta. Negli anni 1950 quando erano studenti universitari, Ricardo Claro aveva alle sue dipendenze Juan Augustín Figueroa e già in democrazia egli ne ha approfittato per ottenere accordi con la Concertación.
Nel 1986, la Fondazione Neruda ottiene personalità giuridica come vessillo del neoliberalismo, ovviamente la dittatura ha lasciato agire un uomo di sua fiducia come J.A. Figueroa e per il Centenario di Neruda nel 2004, ingannandoci tutti con il recupero poetico e delle memorie, al punto di cedere il nome al Premio Neruda ed impossessarsene.
I poeti José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli e Fina García Marruz, di riconosciuto valore letterario e di sinistra, furono ingannati quando Juan Austín Figueroa apparì ogni anno nella foto ufficiale del Premio Neruda o quando annunciò loro per telefono la buona notizia, o quando li invitò per un cocktail alla Chascona per darne notizia alle agenzie di stampa. La colpa non fu dei poeti ma del governo cileno. Ho insistito con la giuria del Premio Neruda, nel senso che si faccia una dichiarazione pubblica per evitare il protagonismo di Juan Agustín Figueroa ma non ho ottenuto risultati. Poco opportunamente ho informato Jaime Concha e a Hernán Loyola (giurati nel 2004 e nel 2005) e nel 2006 la scrittrice Margo Glantz che chiaramente non mi dette nessuna credibilità e anzi dette ragione ai funzionari quando le comunicarono che” tutto andava bene nella Fondazione Neruda”.
L’anno successivo, partecipò come giurato lo scrittore Roberto Fernández Retamar, il quale alla mia domanda dichiarò: “mi sono sentito sollevato con la coscienza quando mi hanno informato che il Premio Neruda lo consegna il governo cileno e non la Fondazione”, tuttavia la poetessa cubana Fina García ha ricevuto la telefonata di J.A. Figueroa che le ha annunciato la vittoria del Premio e sicuramente sarà invitata ala Chascona per un elegante cocktail. Spero che lei lo accetti protestando (in quanto l’esecutore testamentario della Fondazione Neruda, Ricardo Claro propose a Kissinger di invadere Cuba nel 1976) e che sia José Emilio Pacheco, che Carlos Germán Belli e Juan Gelman assumano una posizione politica davanti a un “Premio politico” con il quale si riabilita J.A. Figueroa, per mezzo del governo del Cile, facendo parte della Concertación tramite il destrorso Partito Radicale.
Già c’erano stati sintomi della decomposizione politica di J.A Figueroa. La legge Antiterrorista, applicata contro la comunità mapuche, fu rispolverata, dal momento che non la utilizzava più nemmeno la dittatura: invenzione di crimini, testimoni con il volto coperto. Tutto il peso dello Stato contro il popolo originario del Sud.
Prigionieri politici in democrazia?
La D.ssa Bachelet ha dichiarato in Svezia che i mapuche “hanno commesso dei crimini”. Per lei “mapuche” è sinonimo di terrorismo, ma che faceva la Fondazione Neruda il giorno dell’arresto dei mapuche Pascaul Pichún e Aniceto Norin? A titolo personale J.A. Figueroa, tramite conoscenze è riuscito a smontare lo stato di diritto di un paese servendosi della legislatura della dittatura con il primo caso di Legge Antiterrorista. Cinque anni fa, esattamente il giorno della sentenza, Figueroa consegnava il Premio Neruda 2003 (versione locale e precedente di quello dei 30 mila dollari per autore affermato) a Jaime Huenún; la colpa fu sua. Ma il poeta era mapuche, e fece parte del lavoro mediatico e politico di Figueroa condannare come terroristi e dare avvio alla persecuzione contro i mapuche e il giorno della sentenza dei giudici consegnare il premio Neruda 2003 a un mapuche.
E lo Stato cileno?
Lascia correre tutto: la legge antiterrorista, l’evasione fiscale, la falsificazione dei libri nerudiani, gli investimenti con il terrorista Ricardo Claro. Né Mariel Bravo, addetta culturale dell’ambasciata cilena in Messico, né molto meno Paulina Urrutia, ministro della Cultura, sono disposte a rompere il circolo vizioso che vige all’interno della Fondazione Neruda, per diplomazia e in difesa dello status quo.
Il giorno che incendiai, (letteralmente e con la benzina) un’antologia di Neruda falsificata da Edaf/PP sulla scrivania di J.A. Figueroa, c’era il ministro e la stampa cilena. Sospetto che il suo intervento impedì un mandato di arresto contro di me; Paulina Urrutia disse di essersi sentita “ostaggio della situazione”, che non capiva il mio atteggiamento e che “non si può fare come se qui non fosse successo nulla, al momento che in Cile non si bruciano più libri dai tempi della dittatura”. So che l’assessore del ministro, il giornalista Willy Haltenhoff, le consegnò una relazione scritta sulle motivazioni del mio show, ma alla data odierna non ho ricevuto nessun altro gesto di buona volontà da parte del governo cileno. Mariel Bravo l’ho conosciuta alla Fiera del Libro di Guadalajara del 2004, abbiamo parlato delle falsificazioni di Edaf, gli ho lasciato il quotidiano El Universal del Messico dove pubblicai la notizia sulla prima pagina culturale (24/10/2004) e due anni dopo tornammo a parlare dell’argomento.
Lei mi disse: “devi capire che per noi non è facile affrontare il problema degli investimenti della fondazione Neruda; sì, leggo tutte le tue lettere e i tuoi articoli, buono quello dell’antologia di Edaf, ma io ero appena scesa dall’aereo nel 2004 con il mio nuovo impegno di addetta culturale in Messico. Il segretario esecutivo del Consiglio del Libro, Jorge Montealegre, mi disse ufficiosamente: “sto studiando con gli avvocati del Consiglio del Libro il modo di editare
l’Antologia Popolare 1972 di Neruda senza gli errori di Edaf, se il libro è appartenuto allo stato cileno, non vedo perché lasciarlo nelle mani dei privati.” Almeno mi resta la piccola soddisfazione di Madrid, quando la prestigiosa Agenzia Balcells prese atto della mia inchiesta e chiese a Edaf di ritirare dalla circolazione la sua Antologia postuma e prima di ogni altra riedizione di sistemarne i suoi errori (Informe interno dell’Agenzia Balcells, 04/05/2006).
Il patrimonio culturale rubato da quelle stesse mani
Il 27 maggio ho pubblicato un’intervista con lo scrittore ed accademico Jorge Aravena Llanca sulla storia del carico di libri di proprietà dell’allora ambasciatore Neruda a Parigi; è noto che il poeta dopo aver ricevuto il Nobel (1971) comprò una casa di campagna in Normandia e il resto del danaro lo concesse a collezioni bibliofile francesi, spagnole e americane. Matilde Urrutia denunciò: “Quando arrivarono i miei containers a Valparaíso, successe qualcosa di insolito, al di fuori delle regole. Presero i miei pacchi dalla dogana e li misero in un recinto dell’esercito…la cosa più dolorosa fu il saccheggio che fecero dei miei libri, mi lasciarono molte collezioni incomplete. I libri più preziosi si persero” (Memorie; Seix Barral, 1986, Pag. 207)
Quello che Matilde Urrutia non sapeva è che Neruda ancora non era morto e Juan Augustín Figueroa già stava vendendo la collezione di libri in Germania, il carico fu intercettato in Valparaíso (nel 1973) dai militari, successivamente si “legalizzò il lotto” e i libri ritornarono in Europa per essere venduti finalmente nel Museo Regina Sofía di Madrid.
Lo stato cileno chiederà una spiegazione alla Corona Spagnola?
Nel caso della Fondazione Neruda, il ministero della giustizia pronunciò la Risoluzione 3296/22 nel maggio del 2007: “non si può accreditare o stabilire infrazioni di carattere giuridico” di fronte alla domanda dell’Associazione Americana di Giuristi (Valparaíso) che presentò il ricorso di disconoscimento della personalità giuridica contro la Fondazione.
Esistono però statuti originali redatti da Neruda per la sua Fondazione, dove egli specifica che la direzione deve essere composta da rappresentanti dell’Università del Cile, dell’ Università Cattolica, dell’Università Tecnica dello Stato(UASACH) e da dirigenti della Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT) e della Società di Scrittori del Cile (SECH) più due persone di fiducia di Neruda (che potrebbe indicare il Ministero della Cultura tra due nerudologi).
Ad oggi il direttivo “vitalizio” include solo i quattro intimi di Juan Augistín Figueroa . E al ministero della Giustizia non gli interessa che “una associazione senza fini di lucro” evada le tasse, commetta tutta una serie di reati e falsificazioni e investa con “fini di lucro” 2.3 milioni di dollari nel pinochettismo. Fondazione Neruda e narcotraffico?
E’ il meno.
Il giorno che si ritireranno gli investimenti della Fondazione Neruda a Ricardo Claro, sarà una condanna e un giudizio morale contro il terrorista di stato cileno.
Traduzione di Annalisa Melandri
Mario Casasús è un giornalista argentino editorialista de La Jornada Morelos e del Clarín del Cile
Mario Casasús
La Jornada de Morelos
16/07/2007
¿Lavado de dinero del narcotráfico en la Fundación Neruda?
Es una línea de investigación que descuidé hace dos años, al publicar en exclusiva la evasión fiscal por 250 mil dólares, mediante boletas de honorarios falsas, situación que la Fundación Neruda no pudo desmentir. Diez días después de mi nota (La Jornada Morelos 11/08/2005), me concedieron la renuncia del entonces director ejecutivo, Francisco Torres (La Tercera 21/08/2005). Deseché los trascendidos sobre los hábitos personales y el consumo doméstico de drogas que acostumbran ciertos personeros de la Fundación, me pareció irrelevante comparando los antecedentes delictivos de su nuevo albacea: el pinochetista Ricardo Claro. El hecho de la evasión fiscal, por sí mismo era digno de llamar la atención del gobierno de Chile; creí que al denunciar el “enaltecimiento del terrorismo” con la inversión de 2.3 millones de dólares de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro las cosas se revertirían. Pero el Estado chileno ha sido rebasado por Ricardo Claro sistemáticamente: desde el 12 de septiembre de 1973 ya asesoraba a Pinochet en la cartera más importante, la de Relaciones Exteriores; Claro facilitaba dos barcos como centros de tortura y en sus ratos libres de civil organizó el golpe fascista contra la Unidad Popular. Ricardo Claro, el amigo de Kissinger (a quien le propuso invadir Cuba en 1976), y al mismo tiempo, Claro, enemigo de Sebastián Piñera (cómo olvidar la humillación que hizo pasar al ex candidato presidencial con el espionaje del Caso Kioto en Mega TV).
En mi país, Ricardo Claro decide la política editorial en Televisa (accionista y siete años en su Consejo de Administración, donde sólo son convocados el club Forbes: Carlos Slim, Roberto Hernández o la familia Azcárraga); por lo tanto, la doctora Michelle Bachelet durante su primera gira oficial a México se hizo acompañar por Ricardo Claro, en el papel de relacionista público. El periódico oficialista La Nación publicó: “La agenda de Bachelet continuará hoy con un encuentro empresarial binacional que reunirá a destacados empresarios chilenos como Ricardo Claro, con sus pares mexicanos” (21/04/2007). Ahora todo queda Claro. Neruda muere intestado, de cáncer y tristeza fulminante en 1973. La dictadura de Pinochet ya tenía planes a largo plazo para administrar los recursos del poeta. Desde la década de 1950, cuando eran estudiantes universitarios, Ricardo Claro tiene de empleado a Juan Agustín Figueroa y en democracia ha sido aprovechado para lograr acuerdos con la Concertación. En 1986, la Fundación Neruda adquiere personalidad jurídica como mascarón de proa del neoliberalismo, obviamente la dictadura dejó trabajar a un hombre de su confianza como J. A. Figueroa y para el Centenario en 2004, nos engañó a todos, con la recuperación poética y memorística, al punto de ceder el nombre al Premio Neruda y apoderarse de él. Los poetas José Emilio Pacheco, Juan Gelman, Carlos Germán Belli y Fina García Marruz, de reconocida trayectoria literaria e identificados a la izquierda, fueron tergiversados cuando Juan Agustín Figueroa se tomó la foto oficial del Premio Neruda cada año o les anunciaba por teléfono la buena nueva, o los invitaba a un cóctel en La Chascona para subir la nota a las agencias de prensa. La culpa no es de los poetas, sino del gobierno chileno. He insistido con el Jurado del Premio Neruda, en el sentido de que se haga una declaración pública para evitar que Juan Agustín Figueroa se adjudique el protagonismo, pero no he obtenido resultado.
A destiempo le informé a Jaime Concha y Hernán Loyola (jurados en 2004 y 2005) y en 2006 la escritora Margo Glantz sencillamente no me dio credibilidad alguna y mejor le hizo caso a los funcionarios cuando le dicen que “todo está bien en la Fundación Neruda”. Al año siguiente, participó como jurado el escritor Roberto Fernández Retamar, quien ante mi pregunta declaró: “siento un alivio de conciencia cuando me informaron que el Premio Neruda lo otorga el gobierno y no la Fundación”, pero la poeta cubana Fina García recibió la llamada telefónica de J. A. Figueroa para anunciarle el Premio y seguramente será invitada a La Chascona a un elegante cóctel. Espero que ella lo reciba bajo protesta (con el argumento de que el albacea de la Fundación Neruda, Ricardo Claro, le propuso a Kissinger invadir Cuba en 1976) y que tanto José Emilio Pacheco, Carlos Germán Belli y Juan Gelman tomen una postura política, ante un “Premio político” con el que se reivindica J. A. Figueroa, vía gobierno de Chile, siendo parte de la Concertación mediante el derechista Partido Radical. Había síntomas de la descomposición política de J. A. Figueroa. La Ley Antiterrorista, aplicada contra la comunidad mapuche, fue desempolvada, pues ya ni la dictadura la utilizaba: fabricación de delitos, testigos con el rostro oculto. Todo el peso del Estado contra los pueblos originarios del Sur.
¿Presos políticos en democracia?
La Dra. Bachelet declaró en Suiza que los mapuches “cometieron delitos”. Para ella mapuche es sinónimo de terrorismo, pero ¿qué hacía la Fundación Neruda el día que se encarcelaba a los mapuches Pascual Pichún y Aniceto Norin? A título personal J. A. Figueroa, mediante tráfico de influencias, logró desbaratar el estado de derecho de un país al aprovecharse del marco legislativo de la dictadura con el primer caso de Ley Antiterrorista. Hace 5 años, exactamente el día de la sentencia, Figueroa entregaba el Premio Neruda 2003 (versión local y predecesora del de 30 mil dólares para autor consagrado) a Jaime Huenún; la culpa no es de él. Pero el poeta era mapuche, como parte del trabajo mediático y político de Figueroa, encarcela por terroristas e impulsa el acoso contra los mapuches y el día de la resolución judicial entrega el Premio Neruda 2003 a un mapuche.
¿Y el Estado chileno?
Deja que todo pase: la ley antiterrorista, la evasión fiscal, la falsificación de libros nerudianos, la inversión con el terrorista Ricardo Claro. Ni Mariel Bravo, agregada cultural de la Embajada chilena en México, ni mucho menos Paulina Urrutia, ministra de Cultura, están dispuestas a romper el ciclo vicioso al interior de la Fundación Neruda, por diplomacia y en defensa del estatus quo. El día que incendié (literalmente y con gasolina) una Antología de Neruda falsificada por Edaf/PP en el escritorio de J. A. Figueroa, estaba la ministra y la prensa chilena. Sospecho que su intervención impidió una orden de arraigo en mi contra; Paulina Urrutia dijo sentirse “rehén de la situación”, que no entendía mi actitud, “no se puede hacer como que aquí no pasó nada, ya que en Chile no se quemaban libros desde dictadura”. Sé que el asesor de la ministra, el periodista Willy Haltenhoff, le entregó un informe por escrito de las razones del performance, pero a la fecha no he recibido otro gesto de buena volunt
ad del gobierno chileno. A Mariel Bravo la conocí en la Feria del Libro de Guadalajara 2004, hablamos de la falsificación de Edaf, le dejé el periódico El Universal de México donde publiqué la noticia en primera plana cultural (24/10/2004) y dos años después volvimos a hablar. Ella dice: “tienes que entender que para nosotros no es fácil abordar el problema de la inversión de la Fundación Neruda; sí, leo todos tus correos y notas, pero bueno lo de la antología de Edaf, yo apenas estaba bajando del avión en 2004 con mi nuevo compromiso de agregada cultural en México”. El secretario ejecutivo del Consejo del Libro, Jorge Montealegre, me dijo extraoficialmente: “estoy estudiando con los abogados del Consejo del Libro la forma de editar la Antología Popular 1972 de Neruda sin los errores de Edaf, si el libro perteneció al Estado chileno, no veo por qué dejarla en manos de particulares”. Al menos me queda la pequeña victoria en Madrid, cuando la prestigiada Agencia Balcells certificó mi investigación y pidió a Edaf que retire de circulación su Antología póstuma y ante cualquier reedición Edaf debe arreglar su error (Informe interno de la Agencia Balcells, 4/05/2006).
El patrimonio cultural robado por las mismas manos
El 27 de mayo, publiqué una entrevista con el escritor y académico Jorge Aravena Llanca con la historia del embarque de libros propiedad del entonces embajador Neruda en París; es sabido que el poeta al recibir el Nobel (1971) compró una casona en Normandía y el resto de la plata fue a dar en colecciones bibliófilas francesas, españolas y americanas. Matilde Urrutia denunció: “Cuando llegaron mis containers a Valparaíso, pasó algo desusado, fuera de toda ley. Sacaron mis bultos de la aduana y los llevaron a un recinto militar… lo más doloroso fue el saqueo de los libros, me dejaron muchas colecciones incompletas. Los libros más valiosos se perdieron” (Memorias; Seix Barral, 1986, Pág. 207). Lo que Matilde Urrutia no sabía es que Neruda todavía no moría y Juan Agustín Figueroa ya andaba vendiendo la colección de libros en Alemania, el embarque fue interceptado en Valparaíso (en 1973) por los militares, posteriormente se “legalizó el lote” y los libros regresaron a Europa para ser vendidos finalmente en el Museo Reina Sofía de Madrid.
¿El Estado chileno pedirá una explicación a la Corona Española?
En el Caso Fundación Neruda, el ministerio de Justicia dictaminó la Resolución 3296/22 en mayo de 2007: “No se pudo acreditar o establecer infracciones de carácter estatutario” ante la solicitud de la Asociación Americana de Juristas (Valparaíso) que presentó un recurso de desconocimiento de la personalidad jurídica contra la Fundación. Existen estatutos originales redactados por Neruda para su Fundación, donde especifica que el directorio debe estar integrado por representantes de la Universidad de Chile, de la U Católica y la U Técnica del Estado (USACH) y por los dirigentes de la Central Unitaria de Trabajadores (CUT) y la Sociedad de Escritores de Chile (SECH) más dos personas de confianza de Neruda (que podría destinar el Ministerio de Cultura, entre dos nerudólogos). Hoy día el directorio “vitalicio” incluye sólo a los cuatro íntimos de Juan Agustín Figueroa. Y al Ministerio de Justicia no le interesa que una “asociación sin fines de lucro” evada impuestos, cometa toda una serie de negligencias, falsificaciones e invierta “con fines de lucro” 2.3 millones de dólares al pinochetismo. ¿Fundación Neruda y narcotráfico? Es lo de menos. El día que se retire la inversión de la Fundación Neruda junto a Ricardo Claro, será un castigo y un juicio moral contra el terrorista de Estado chileno.
Link su Rebelión: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=53569
Il 12 luglio scorso, lo ricordo ogni anno, è stato l’anniversario della nascita di Pablo Neruda.
Non lo dimentico mai perché personalmente ho un debito morale verso il grande Poeta in quanto in un particolare momento della mia vita l’ho sentito talmente “vicino” da riuscire a trasmettermi forza e coraggio nel prendere una decisione importante.
A volte il merito dei “Grandi” consiste proprio in questo, l’universalità del loro messaggio.
Per questo Pablo Neruda è patrimonio di tutta l’umanità e il suo messaggio è un imprescindibile punto di riferimento. L’umanità tutta non può fare a meno di Pablo Neruda e della sua Poesia per i valori eterni e universali in essa contenuti.
In gran parte pensata e scritta per la sua terra, il Cile, e per il suo popolo ma talmente grande ed immensa da abbracciare l’intero pianeta.
Talmente viva e vibrante da essere sempre attuale perché purtroppo sempre attuali sono ingiustizie, abusi, violazioni dei diritti umani, il potere di pochi contro tanti.
Ci ha lasciato un grande compito Neruda, in cambio di tanta passione e di tanta grazia, un input al quale chi lo ama e lo sente ancora vivo, non riesce a sottrarsi.
Nella grande opera Canto Generale che anche Che Guevara portava nel suo zaino fino allo stesso giorno della sua morte, ci dice il poeta:
“Per questo ti parlerò di quelle pene che vorrei allontanare
ti costringerò a vivere ancora una volta fra quelle bruciature,
non per soffermarci come in una stazione alla partenza,
e neppure per battere la fronte come la terra,
né per riempirci il cuore d’acqua salata,
ma per camminare sapendo, per toccare l’onestà
con decisione infinitamente gravide di significato,
perché il rigore sia una condizione della gioia,
perché in tal modo possiamo essere invincibili.”
Compito impegnativo ha lasciato il Maestro, al suo popolo in particolare e a noi tutti più in generale: rigore ed onestà.
E per rigore ed onestà, rispondendo al messaggio di Pablo Neruda, ricordiamo che il Cile, tradito da tutti, tradito da sempre, (“il mio popolo è stato il più tradito di questo tempo” Egli scriveva) continua ad essere purtroppo tradito anche da chi dovrebbe proteggere la memoria del suo Poeta e quindi la dignità e l’orgoglio del popolo cileno: la Fondazione Neruda.
La Fondazione Neruda è gestita da Agustín Figueroa, figura scelta da Matilde Urrutía alla morte del Poeta come amministratore della stessa.
Tale scelta, fu fatta in quanto egli era fratello di Aida Figueroa, amica di Pablo Neruda e militante comunista.
Il nome di Figueroa è strettamente legato a quello di Ricardo Claro, uomo di punta della dittatura di Pinochet ed elemento di collegamento con la CIA che quella stessa dittatura ha sostenuto fin dall’inizio.
Il nome di Figueroa appare nel consiglio direttivo di molte imprese di Ricardo Claro. I proventi della Fondazione Neruda che nelle intenzioni del Poeta doveva essere un luogo di diffusione di pace e cultura e che invece è diventata un’impresa dedita all’evasione fiscale e al riciclaggio di danaro, vengono gestiti in collaborazione con gli uomini forti del regime di Pinochet.
Al giornalista argentino, Mario Casasús, editorialista de La Jornada Morelos, va il merito di aver, in questi ultimi anni ricostruito la rete di interessi e traffici che esistono tra la Fondazione Neruda e Ricardo Claro, aver ricostruito l’evasione fiscale della Fondazione e aver più volte denunciato tale situazione.
Questo il suo primo articolo del 11/08/2005
La gestione della Fondazione Neruda, uno sguardo critico
di Mario Casasús
La Jornada, Morelos; Cuernavaca Messico 11.08.2005
La memoria dell’America s’estende dal pueblo natale di Neruda, Parral (nel
profondo sud del Cile) al nostro Parral (alla frontiera con gli Stati Uniti
e Chihuahua), dalle Alture di Macchu Pichu alle viscere della Valle di
Cuauhnahuac (Cuernavaca è legata a Neruda non meno della sua poesia e vita:
nel 1941 un gruppo di simpatizzanti nazisti lo colpirono brutalmente in un
ristorante del centro di Cuernavaca, così come nel 1966, Neruda per l’ultima
volta en Messico, visitò a La Tallera il suo intimo amico David Alfaro
Siqueiros).
Pablo Neruda fu sempre un testimone nell’occhio del ciclone; giusto a titolo
d’esempio: la guerra civile spagnola, la nascente Guerra Fredda tra USA e
URSS, il trionfo della Rivoluzione cubana, la proposta di via democratica al
socialismo di Unidad Popular (1970–1973), le azioni clandestine degli Stati
Uniti per far saltare il governo di Salvador Allende; fino allo stesso
funerale di Neruda, accadimento storico che dimostra che anche i morti ci
parlano, dato che assunse il carattere di prima marcia di ripudio contro la
dittatura di Pinochet.
Neruda perseguitato politico, poeta proibito, nell’anno 1948 se ritrova
senatore privato dei poteri e con sul capo un ordine di cattura, con il
Messico del PRI che gli nega un salvacondotto o l’asilo politico: “Neruda, a
quel punto, se rifugia nella ambasciata Messicana. Lo accoglie
l’ambasciatore Pedro di Alba. A sorpresa arriva l’ordine dal Messico di
negargli asilo. Erano gli anni del governo controrivoluzionario di Miguel
Alemán. Neruda –come ricorda Cardoza e Aragón nelle sue memorie Il río,
riterrà sempre colpevole del fatto ignominioso il cancelliere Jaime Torres
Bodet. E’ quel 1948 in cui, all’interno del Canto generale, scrive:
’…e quando il Messico aprì le sue porte
per ricevermi e proteggermi,
Torres Bodet, misero poeta,
ordinò che mi consegnassero
ai carcerieri furenti’”
(Ricerca di Marco Antonio Campos, in Neruda clandestino di José Miguel
Varas, pubblicato ne La Jornada Semanal del 18 Luglio 2004).
Lo stesso vecchio PRI che nel 1973, con il suo genocida Luis Echeverría
Álvarez, gli offre un aereo speciale per il suo nuovo esilio. Neruda non
poté ritornare in Messico nel 1973 (muore a causa d’un cancro e per
tristezza fulminante il 23 Settembre). Alla morte di Neruda, la vedova di
lui Matilde Urrutia fece quanto di meglio poté per preservare il patrimonio
e la memoria di Neruda, diede sistemazione organica ai versi sparsi e
inediti del poeta, li pubblicò, camminò solidale al fianco del suo popolo
quando il terrore militare era atroce, diede battaglia agguerrita a tutela
dei diritti umani denunciando all’estero le sistematiche violazioni compiute
dalla dittatura pinochetista. Il suo unico errore fu quello di fidarsi di
Juan Agustín Figueroa nominandolo presidente della Fondazione Neruda, e
questo perché era il fratello di Aída Figueroa Yávar (grande amica di
Neruda, che la conobbe durante la persecuzione del 1948).
Né Matilde Urrutia, men che meno Pablo Neruda, avrebbero potuto immaginare
che le lotte di tutta una vita ed i mille sforzi intrapresi affinché venisse
compiuta la propria volontà testamentaria sarebbero stati fatti naufragare
sotto il peso di una Fondazione azionista della oligarchia pinochetista
dominata da Juan Agustín Figueroa e Ricardo Claro. La vera intenzione di
Neruda era quella di una Fondazione Cantalao per mettere in piedi la quale
aveva donato un terreno in località Punta di Tralca, e redatto gli statuti
per il suo funzionamento, giammai progettando la creazione di case-museo
succursali, e ancor meno una Fondazione che rendesse culto alla sua
personalità.
Il documento di Neruda (inedito, datato 9 Maggio 1973, del quale se è
discusso solo all’interno del Partito Comunista del Cile — che ne ha
pubblicato una parte sul proprio organo di stampa– e all’interno del
Consiglio Direttivo della Fondazione Neruda), documento che mi permetto di
citare visto che entrambi gli statuti, quello del 1973 e quello del 1982,
certificati presso pubblico notaio, sono in mio possesso): Originariamente
si trattava di una “Fondazione di Beneficenza senza fini di lucro il cui
obiettivo sarà la diffusione della letteratura, delle arti e delle scienze,
con particolare attenzione verso il litorale compreso tra San Antonio e
Valparaíso. a) messa in opera e realizzazione nel terreno donato alla
Fondazione di edifici destinati a luoghi di riunione, e altresì di
alloggio, per scrittori, artisti e scienziati nazionali ed internazionali”.
Nell’articolo quinto, relativo alla composizione del Consiglio Direttivo e
Esecutivo: “Sarà composto di due rappresentanti di Pablo Neruda, dai Rettori
delle Università del Cile, Cattolica e Tecnica dello Stato, da un
rappresentante della Central Unitaria di Trabajadores (vale a dire il
Sindacato) e da un rappresentante della Sociedad di Escritores di Cile”.
Senza dubbio, il testo del 1982, non fa menzione della volontà di Neruda, e
nomina cinque persone (quando invece nel 1973, erano sette, e ora nessuna è
rappresentante delle Università Cilene). Inoltre, Juan Agustín Figueroa
redige: “Le loro cariche saranno vitalizie a meno che non cessino per
rinuncia. In caso di posto vacante, gli altri quattro membri provvederanno
all’elezione del sostituto. Se i membri restanti sono solo uno o più membri
del Consiglio, a questi spetterà designare i rimpiazzi”. Una vera e propria
dittatura che perpetua il Consiglio Direttivo, grazie ai margini di manovra
legale degli statuti del 1982, redatti dall’avvocato Juan Agustín Figueroa a
mo’ di testamento di Matilde Urrutia.
Nella pagina ufficiale del suo sito web
www.neruda.cl, la Fondazione se
definisce come “una persona giuridica di diritto privato costituita nel
1986″; solo che in nessun punto rendono pubbliche le loro attività
economiche: già solo nel 2003 lasciò nelle sue casse all’incirca un miliardo
di pesos Cileni — quasi due milioni di dollari USA -, suddivisi tra diritti
d’autore, vendita di biglietti d’ingresso alle case-museo e merchandising”
(secondo una nota di Andrés Gómez del quotidiano La Tercera del 10 Giugno
2004). Essendo “una persona giuridica di diritto privato” non devono rendere
conto allo Stato Cileno (se non per il pagamento delle imposte), ed ancor
meno alla popolazione in generale (grazie alla nota di La Tercera veniamo a
sapere che esiste un “buco di 25 milioni di pesos per appropriazione
indebita in una Casa Museo di Neruda”).
Per certi versi, forse all’avvocato Juan Agustín Figueroa dovrebbe andare il
nostro plauso, per il recupero della casa di Isla Negra, inizialmente donata
al Partito Comunista da Pablo Neruda, successivamente espropriata alla
collettività politica dalla dittatura di Pinochet e finalmente (a partire
dal 1991) amministrata dalla Fondazione. Se non fosse che… non è quello
che Neruda voleva, soprattutto se pensiamo alla sua poesia:
“lascio ai sindacati
del rame, del carbone e del salnitro
la mia casa sul mare d’Isla Negra.
Voglio che l&i
grave; abbiano riposo i maltrattati figli
della mia Patria, saccheggiata da asce e traditori,
distrutta nel suo sacro sangue,
ridotta in brandelli vulcanici.”
(Testamento, da Canto Generale. Messico, 1950.)
Juan Agustín Figueroa fu Ministro, titolare del dicastero dell’Agricoltura,
durante il governo di Patricio Aylwin (1990–1994), e la propria immagine
pubblica se l’è fatta soprattutto grazie alla sua carica di Presidente della
Fondazione Neruda. Il giornalista Cileno Ernesto Carmona descrive Figueroa
come: “una sorta di ponte politico tra l’estremista di destra Ricardo Claro
e la Concertación, la coalizione a maggioranza
socialista-democraticocristiana che governa il Paese”. “Io nominai Juan
Agustín Direttore (di Cristalerías Cile), perché siamo molto amici fin dai
tempi dell’Università”, dichiarò Ricardo Claro a Il Mercurio.”(vedi: Agencia
Cilena de Noticias del 17 Gennaio 2005).E’ possibile verificare chi sono i
membri del Direttivo di Cristalerías di Cile visitando il loro sito web,
www.cirstalCile.cl. L’affinità ideologica tra Ricardo Claro e Juan Agustín
Figueroa viene chiaramente fuori quando il Presidente della Fondazione
Neruda invoca la ley antiterrorista contro due indigeni Mapuche (per un
presunto incendio e invasione delle sue proprietà nel sud del Cile, quando
la realtà è che i Mapuche da sempre vivono nel sud Cileno e Argentino); a
Figueroa è stata rivolta una richiesta di lasciare la Concertación,
(l’alleanza dei Partiti che governa il Cile) per aver violato i Diritti
Umani dei Mapuche attraverso l’impiego contro di loro della Ley
antiterrorista (Legge antiterrorista).
Il deputato socialista Alejandro Navarro Brain è autore di una durissima
Lettera aperta a Juan Agustín Figueroa in cui spiega quali retroscena
utilizzò la dittatura di Pinochet per far nascere la cosiddetta Ley
Antiterrorista.
Quanto all’altro membro del duo Figueroa-Claro, sul padrone di Cristalerías
Cile la rivista Rocinante, nel Novembre 2000, pubblicò la funa
(manifestazione contro i collaboratori di Pinochet) compiuta contro Ricardo
Claro: “Un migliaio di persone parteciparono il 14 Ottobre alla funa
(denuncia pubblica) dell’impresario Ricardo Claro, padrone di Megavisión,
delle imprese Cristalerías di Cile, ed altre ancora. I manifestanti
denunciarono di fronte alle sedi di Megavisión e Elecmetal la molteplice
complicità di Claro con la dittatura di Pinochet. Affermarono che il vertice
dell’impresa Elecmetal, presieduto da Ricardo Claro, consegnò a membri dei
carabineros (polizia) e dell’esercito i lavoratori José Devia, José
Maldonado, Augusto Alcaya, Miguel e Juan Fernández Cuevas e Guillermo
Flores. I sei furono assassinati brutalmente e i loro corpi fatti ritrovare
in varie vie di Santiago. I loro corpi presentavano segni di tortura e
numerosi colpi d’arma da fuoco”. Da parte sua, Ricardo Claro nega qualsiasi
tipo di collaborazione con la dittatura di Pinochet: “Il proprietario di la
Compañía Sudamericana di Vapores, Ricardo Claro, affermò con fastidio che è
una ‘stupidaggine’ credere che le navi della sua impresa furono utilizzate
come centri di tortura durante il regime di Augusto Pinochet, come viene
invece sostenuto da organizzazioni di difesa dei Diritti Umani” informò
Radio Cooperativa (notizia del 2 Dicembre 2004 sul loro sito web
www.cooperativa.cl).
Ora i ruoli s’invertono e si rendono i favori: se a Juan Agustín Figueroa
viene dato modo di far parte del Consiglio direttivo di Cristalerías Cile
(proprietà di Ricardo Claro) ora la Fondazione Neruda investire gran parte
del suo capitale a favore proprio della stessa Cristalería Cile, (è l’ultima
decisione del direttivo della Fondazione Neruda, decisione fino ad ora non
venuta pienamente a galla né sulla stampa nazionale né internazionale a
causa della enorme influenza di Ricardo Claro e della buona reputazione
ufficiale di cui la Fondazione Neruda gode). Si tratta di un investimento
iniziale di mille e 300 milioni di pesos Cileni (2.315.227,25 dollari USA) e
se calcoliamo che ogni anno visitano le case di Neruda all’incirca centomila
persone — cifre ufficiali — (x 2.500 pesos Cileni) Cristalerías Cile si vede
garantiti 250 milioni di pesos Cileni l’anno (445.236 dollari) senza far
cenno alle entrate derivanti dalle vendite di ogni libro di Neruda che si
venda in qualunque parte della Terra e in qualsivoglia traduzione.
Alla vigilia del Centenario di Neruda (2004) la Fondazione commise un grave
atto contro uno dei suoi impiegati, Luis Alberto Ocampo, accusandolo di
“appropriazione indebita” di 25 milioni di pesos Cileni, cosa incredibile se
consideriamo che Luis Alberto Ocampo era un modesto impiegato con l’unica
responsabilità di prestare il suo servizio presso l’emporio del museo. Una
fonte interna alla Fondazione mi ha confidato una versione diversa da quella
ufficiale: “La Fondazione Neruda incaricò degli investigatori interni, due
contadores capeggiati da Emilio Rojas, i quali stabilirono tramite perizia
contabile che la somma sottratta alla Fondazione Neruda è del tutto
dissimile da quella accertata dal procedimento giudiziario, dato che non si
trattava affatto di soli 25 milioni di pesos, (come pubblicato da La Tercera
del 10 Giugno 2004) bensì di perdite, tra il 2002 e il 2003, per 90 milioni
di pesos e nel 2004 (in sei mesi) per 50 milioni di pesos Cileni”. La stessa
fonte mi anticipò che Francisco Torres (Direttore Esecutivo della
Fondazione) si sarebbe dimesso “prima che la nave vada a fondo”, adducendo
come scusa la ricerca di “migliori prospettive di lavoro”. Inoltre, la fonte
mi spiegò: “Il meccanismo utilizzato per la sottrazione di 140 milioni di
pesos Cileni (249.309,95 dollari) avvenuta dentro la Fondazione Neruda è
stato quello di emettere fatture di onorari false, alcune delle quali
nemmeno furono dichiarate nel pagamento delle imposte da versare all’erario,
e se facciamo un confronto con la cifra contestata a Luis Alberto Ocampo, è
davvero impossibile che abbia sottratto tutti quei soldi, visto il suo
incarico presso l’emporio di una delle case-museo di Neruda”. La mia fonte è
totalmente attendibile, le indagini condotte dal controllo tributario lo
dimostreranno. “Fare di Luis Alberto Ocampo un capro espiatorio mettendolo
in prigione è una mossa molto arbitraria”, dice telefonicamente il suo
avvocato, Alicia Meyer, che lo difende nella causa 1997–3 (anno 2004),
“Quando vuole può venire e visionare le mie carte” dichiara concludendo la
lunga chiacchierata telefonica che ho avuto con lei.
In definitiva:
La Fondazione Neruda non sta facendo assolutamente nulla per recuperare la
Antología Popular 1972 (progetto di Neruda e Unidad Popular per stampare un
milione di esemplari e distribuirlo gratuitamente a biblioteche pubbliche,
scuole e sindacati del Cile), anzi, avvalla il contratto della casa editrice
Spagnola EDAF con la Agencia Balcells per pubblicare una falsificazione del
libro, che ha ora per titolo Antología Póstuma con una presentazione zeppa
di bugie, scritta da Manuel Márque
z de la Plata. Il libro venne pubblicato
nella sua prima (ed unica) edizione in un totale di 150.000 esemplari.
Neruda desiderava una tiratura finale di un milione di copie ed impegnò
legalmente il suo editore Gonzalo Losada (e proprietario del Copyright) a
cedere tutti i diritti d’autore, con la clausola che il libro non avrebbe
potuto essere venduto. Tutto questo è stato volutamente omesso da Edaf,
Márquez de la Plata e Melquíades Prieto (direttore di Biblioteca Edaf): si
tratta di un furto compiuto ai danni del popolo del Cile, iniziato con la
dittatura di Pinochet e portato a conclusione (“legalmente”) da Edaf e dalle
omissioni della Fondazione Neruda.
Alla Fondazione Neruda non interessa cercare il prologo di Neruda al libro
Canción de gesta (stampato da Quimantú nel1973), inedito perché tutta la
tiratura venne distrutta dalla instauratasi dittatura di Pinochet, pur
sapendo che un unico esemplare sopravvissuto esiste, disperso in qualche
stanza della Biblioteca di Letteratura Straniera di Mosca (come da mia
inchiesta sulla rivista Rocinante dell’Agosto 2004), così come ugualmente la
Fondazione Neruda negò il proprio appoggio allo scrittore e architetto
Ramiro Insunza, per pubblicare il libro inedito Oda a las flores de Datitla,
che Neruda scrisse durante la propria permanenza in Uruguay, durante gli
anni 50, e che rimase impubblicato fino al 2003, data del trentennale della
morte del poeta.
La Fondazione Neruda mise fine al Tren de la poesia (evento culturale di
carattere gratuito che riuniva scrittori di tutto il Mondo ogni 23 di
Settembre, data della morte di Neruda, a Temuco) espellendo il poeta
Bernardo Reyes (nipote di Neruda) non solo dall’organizzazione dell’evento
ma dalla stessa Fondazione. Inoltre, continua a negargli la paternità della
scoperta dei leggendari Cuadernos di Temuco (poesie inedite di Neruda
scritte in gioventù) incaricando della loro presentazione Víctor Farías, un
completo neofito della poesia nerudiana.
La Fondazione non solo nega un posto al suo interno agli stessi familiari di
Neruda, ma fa anche omissione completa della militanza politica del poeta.
Ecco alcuni esempi: “Ha impedito, tramite ricorso al tribunale, la
pubblicazione di un libro, di Leonidas Aguirre, che raccoglieva i discorsi
parlamentari di Pablo Neruda, che tra il 1945 ed il 1948 era stato senatore
del Partito Comunista, adducendo una presunta violazione dei ‘diritti
d’autore’ che possiedono in esclusiva; e questo sebbene più tardi la Corte
d’Appello di Santiago abbia autorizzato la pubblicazione dell’opera,
evidenziando che gli atti delle sessioni del Senato non sottostanno alla
disciplina della Legge 17.336 riguardante la ‘proprietà intellettuale’,
(periodico Azkintuwe, numero 1, Ottobre 2003); poi censurò il saggio di
Julio Gálvolta (specializzato sul periodo che Neruda trascorse in Spagna),
intitolato Testigo ardiente di una época; lo scrittore Jaime Valdivieso si
dimise dal suo incarico all’interno del direttivo della rivista Cuadernos
della Fondazione Neruda, quando il suo saggio sulla poesia Mapuche,
approvato para dall’intero Consiglio Editoriale, venne successivamente
bloccato da Aída Figueroa perché i Mapuche, disse, erano quelli che aveva
incendiato uno dei fondi che il fratello possiede nel sud del Paese.
Inoltre, esistono non pochi intellettuali di fama internazionale in
disaccordo con i metodi dell’attuale amministrazione della Fondazione
Neruda; Jorge Edwards (Premio Cervantes 1999) fu il primo dissidente,
rinunciando a far parte del direttivo della Fondazione Neruda; Bernardo
Reyes (espulso dalla Fondazione) e due scrittori che non hanno bisogno di
presentazioni in Messico, dati i loro conosciuti trascorsi letterari: Poli
Délano e Gonzalo Rojas che solidarizzarono con Bernardo Reyes allorquando
questi subì l’ingiusto allontanamento. Ma la Fondazione non si preoccupa di
dar conto a nessuno, esclude dalle riunioni del suo direttivo i comités
asesores di Santiago e Valparaíso (si tratta di due comitati, composti da
artisti e intellettuali di valore), non fa nulla per chiarire che fine
abbiano fatto i 140 milioni di pesos Cileni scomparsi (249.309,95 dollari).
E la più grande incongruenza è che la Fondazione Neruda sta investendo le
proprie fortune (diritti d’autore e biglietti d’ingresso alle case-museo) a
favore dell’impresario Ricardo Claro (ex collaboratore di Pinochet), cosa
che se da un lato non è illegale è però totalmente immorale. Ricardo Claro
(proprietario della Compañía Sudamericana de Vapores) impresa che — è stato
segnalato da Organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani — permise che le
sue navi venissero utilizzate come centri di tortura durante la dittatura di
Augusto Pinochet. Preservare il patrimonio di Neruda (case, libri e archivi
personali) investendo in nuovi progetti in cui sono coinvolte le imprese di
Ricardo Claro — la memoria del nostro poeta lo grida -, semplicemente non
può e non deve accadere.
Nota Finale:
Ho inviato per lo meno cinque questionari al sito web della Fondazione
Neruda e all’indirizzo personale di Francisco Torres (Direttor Esecutivo
della Fondazione), perché volevo, prima di andare in stampa, dare una
possibilità alla Fondazione di una risposta ufficiale a quanto sostengo nel
presente saggio, ma tutto quello che ho ottenuto è stato: “Il suo messaggio
è stato ricevuto senza problemi. La Fondazione si riserva il diritto di
rispondere. Le ringraziamo per averci scritto. Fondazione Pablo Neruda”.
.…
Scioperare e morire per 100 dollari al mese in un governo “di sinistra”.
Un lavoratore cileno del settore del legname, Rodrigo Cisternas Fernández di 26 anni è stato ucciso durante la repressione di una grande manifestazione operaia contro l’azienda italo-cilena Celulosa Arauco y Constitución S.A. (Celco) di proprietà del Gruppo Angelini.
E’ accaduto il 3 maggio scorso, durante un blocco stradale organizzato da 2500 operai della Celulosa Arauco che da tempo erano in sciopero per ottenere migliorie salariali e condizioni lavorative più degne.
Negli scontri, oltre all’operaio ucciso, si sono registrati 6 feriti di cui almeno 4 carabinieri e inoltre 6 persone sono state arrestate. Già dal mese di marzo erano state avviate delle negoziazioni con la multinazionale italo-cilena che però non avevano dato i risultati sperati. Tra le richieste avanzate c’era quella di garantire maggior sicurezza sul lavoro e quella più importante, un aumento del salario del 40% (un salario mensile si aggira tra i 60.000 e 40.000 pesos, circa 100 US). Purtroppo la Celulosa Arauco nella sua offerta non era andata oltre un misero 4% e così gli operai, quasi tutti con contratti di lavoro in subappalto, sostenuti dal sindacato, avevano deciso di ripristinare il blocco stradale.
La morte di Rodrigo Cisternas è avvenuta dopo tre giorni di blocco stradale portato avanti in modo pacifico e interrotto dall’intervento violento e armato delle forze di polizia, che hanno distrutto le autovetture dei dimostranti nel tentativo di ripristinare la viabilità stradale. Immagini violente che sono state trasmesse sia in internet che sulle reti locali mostrano gli automezzi privati che gli operai avevano utilizzato per il blocco stradale, violentemente distrutti dai carabinieri.
Il giovane Rodrigo, cercando di respingere l’assalto della polizia e difendendo gli automezzi dei suoi compagni, alla guida di una ruspa ha tentato di forzare il posto di blocco della polizia ed è stato fermato a colpi di arma da fuoco.
Nei giorni seguenti gli operai hanno organizzato numerose manifestazioni e veglie in memoria di Rodrigo Cisternas per commemorare la sua morte e per protestare contro la repressione violenta della polizia. Anche queste manifestazioni purtroppo si sono concluse con decine di arresti.
La morte del giovane operaio ha scosso il paese e lo ha ulteriormente diviso in un momento in cui le forze di sinistra sindacali, operaie e politiche si interrogano sia sul loro futuro, sia sulla situazione politica attuale.
Michelle Bachelet, dopo giorni di imbarazzante silenzio, ha dichiarato che “la morte di Rodrigo rappresenta la sconfitta di tutti” ed è evidente invece che purtroppo i motivi per i quali egli scioperava ed è morto rappresentano la sconfitta delle promesse della Concertación agli occhi del popolo.
Popolo che si organizza e scende in piazza per migliorare le proprie condizioni lavorative contro il gigante Angelini e che si trova davanti le forze di polizia che invece di tutelare sull’ordine pubblico si attivano con violenza per ristabilire l’ordine privato e gli interessi economici dell’imprenditore italiano Anacleto Angelini (nominato Cavaliere del lavoro da Carlo Azeglio Ciampi due anni fa), “Don Cleto” o “l’imperatore del Cile” emigrato dall’Italia nel 1948 e che secondo Forbes è al 203° posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo.
La famiglia Angelini è una delle famiglie più potenti del Cile, protetta e coccolata dall’oligarchia pinochettista, oltre al settore del legname detiene la concessione per lo sfruttamento di importanti giacimenti di oro, argento e rame, opera nel settore energetico, in quello assicurativo, in quello della pesca e inoltre controlla per il 60% la Compañia de Petróleos de Chile (Copec). La sua Bosques Arauco è la multinazionale del legname e della cellulosa più grande del paese, comprende un patrimonio forestale di 800.000 ettari e si è trovata spesso in lotta con il Popolo Mapuche a causa del disboscamento selvaggio e dei i danni causati alle foreste per l’uso massiccio di pesticidi. Inoltre mesi fa è stata messa sotto accusa per l’inquinamento del Río Cruces e la conseguente morte della rara specie di cigno dal collo nero.
A difesa del patrimonio dell’ ”emperador de Chile” si è attivata, dietro precisa disposizione del Ministero dell’Interno, la forza di polizia, la quale invece di presidiare sull’ordine pubblico, vigilando esclusivamente sulla sicurezza, è intervenuta, a mano armata, con l’intento di smobilitare il blocco stradale.
Jorge Gonzales, vicepresidente della Confederazione Nazionale dei lavoratori forestali, ha denunciato che il capo dei Carabinieri poco prima di iniziare la repressione dello sciopero avrebbe detto: “Tengo órdenes de dar a cagar”, (ho ordine di fargliela fare sotto)…
La CUT (Central Unitaria de Trabajadores), per voce del suo Presidente, Arturo Martinez, ha condannato duramente in nome di tutti i lavoratori cileni, la violenza e brutalità con la quale è intervenuta la polizia : “Hanno usato armi da fuoco come se si trovassero in guerra o in uno scontro armato” ha detto, e chiedendo la rimozione dal suo incarico del generale dei Carabinieri responsabile della zona, ha aggiunto che “la polizia non può attuare come i guardiani del capitale o dei proprietari delle imprese , la sua funzione è quella di vigilare sull’ordine pubblico e pertanto invitiamo il Governo a proporre un progetto di legge che regoli l’operato dei Carabinieri nei conflitti di questo tipo”.
Intanto gli ufficiali che erano a capo dell’operazione di polizia sono stati destituiti e la Fiscalía militare si preoccuperà di fare chiarezza sulla vicenda. Il CODEPU (la corporazione di promozione e difesa dei diritti del popolo) chiede a gran voce però che l’indagine venga portata avanti dalla giustizia ordinaria e non da quella militare, temendo, come è già avvenuto in passato per casi analoghi, che quest’ultima non garantisca imparzialità e indipendenza nel fare luce sulla vicenda e nel definire le responsabilità sull’accaduto.
Jorge Gonzales, invece, assicura che la lotta continuerà fino al momento in cui si raggiungerà un accordo completo con la Bosques Arauco: “la morte del nostro compagno ci ha dato maggior forza per continuare a trattare con la multinazionale. Le nostre proteste sono giuste e sappiamo di non essere soli. La nostra lotta non si è conclusa ed è ora che il governo crei delle leggi per migliorare le condizioni lavorative degli operai cileni.
Il governo di Michelle Bachelet è ultimamente messo sotto accusa dai settori popolari del Cile e dalle comunità indigene per essere al servizio dell’oligarchia e delle multinazionali dello sfruttamento delle risorse forestali e minerarie. I Mapuche non vedono ancora rispettati i loro diritti, molti di essi vengono arrestati ingiustamente o sono vittima di abusi da parte delle forze di polizia, vengono sottoposti a detenzioni arbitrarie e spesso sono giudicati da tribunali militari per semplici reati civili, quando il governo cileno ancora non attua la separazione della competenza dei due tribunali come più volte osservato dal Comitato dei Diritti Umani per le Nazioni Unite. Accade sempre più spesso che le proteste popolari vengano represse violentemente con l’uso della forza, come è avvenuto settimane fa durante la commemorazione della giornata in memoria del Giovane Combattente (vedi qui), come è accaduto ai funerali di Rodrigo Cisternas, come è accaduto due giorni fa in occasione delle proteste dei cittadini per il blocco nella metropolitana, che unito ai disservizi del Transantiago ha messo fuori uso la viabilità nella capitale. La risposta del governo, scontata, è stata quella di reprimere con i soliti gas lacrimogeni la spontanea manifestazione di protesta dei cittadini stanchi di promesse che non vengono mantenute.
Il popolo, gli studenti, i Mapuche, i contadini e gli operai vengono schedati, identificati e detenuti arbitrariamente dai servizi di polizia, spesso senza motivo, nel corso delle sempre più numerose manifestazioni popolari contro un governo che se agli occhi del resto del mondo si presenta come progressista e di sinistra, in realtà non fa altro che cedere alle pressioni della destra conservatrice e che si avvale di un sistema militare e di polizia che altro non è che un tetro retaggio del sistema repressivo in uso da Pinochet.
Aveva detto Michelle Bachelet meno di un anno fa in un intervista concessa ad una emozionata Giuliana Sgrena nel Palazzo de La Moneda: “Pertanto di fronte a quasiasi situazione che si presenti nel futuro dobbiamo imparare a convivere, a sviluppare quella che si chiama amicizia civica, per affrontare e risolvere nel modo migliore, che non vuol dire perfetto, i conflitti di interesse che sempre ci sono all’interno della società.”
Del concetto di “amicizia civica” se mai si è avuto veramente l’intenzione di applicarla ai conflitti sociali, rimangono queste parole. E’ difficile capire se la Presidenta sia incapace di sottrarsi alle pressioni politiche ed economiche che ancora di fatto governano il paese o se abbia prestato la sua facciata progressista da vittima della dittatura ad un gioco politico che ne applica purtroppo ancora i metodi di controllo e repressione sociale.
Di fatto, ad un anno e qualche mese di distanza dalla sua elezione, si contano in Cile, 8.000 detenutii nel corso di manifestazioni sociali o di protesta, diversi prigionieri politici, come i Mapuche e solo nel corso del 2006 circa 209 membri delle forze di polizia sono stati sospesi dal servizio per corruzione o per comportamento disonorevole.
Intanto i cileni si domandano come sia possibile che sotto il governo di una “socialista” un operaio venga ucciso durante uno sciopero e come sia possibile soprattutto che ciò avvenga con un presidente che in prima persona ha vissuto sulla sua pelle gli orrori di una dittatura.
La protesta più violenta negli ultimi 17 anni di Concertazione.
Il 29 marzo si celebra in Cile il Giorno del Giovane Combattente in memoria di Eduardo e Rafael Vergara Toledo uccisi dalla dittatura di Pinochet quello stesso giorno dell’anno 1985, avevano rispettivamente 20 e 18 anni.
La famiglia Vergara Toledo, di umili origini era formata da quattro figli e Pablo il maggiore, già appartenente al MIR era stato di esempio di impegno sociale e militanza per gli altri fratelli. Morirà anch’egli nel 1988 insieme ad Aracely Romo giovane donna militante del MIR.
Solo nel 2005 si è stabilito che l’assassinio di Eduardo e Rafael Vergara Toledo fu commesso da funzionari di polizia nel clima di “repressione politica dell’epoca”.
Recentemente sono stati accusati come autori materiali dell’omicidio i poliziotti Francisco Toledo Puente, Marcelo Muñoz Cifuentes, Álex Ambler Hinojosa e Jorge Martin Jiménez. Il giudice Gajardo ha tenuto a precisare che “nel modo in cui sono avvenuti i fatti si è evidenziato che si è trattato non solo di una azione di polizia tendente a controllare e reprimere episodi di delinquenza comune ma una azione concentrata e diretta contro i fratelli Vergara Toledo che si è conclusa con la loro morte”.
Tuttavia all’accusa non è seguita ancora condanna, perché secondo quanto hanno scritto recentemente gli anziani genitori di Eduardo e Rafael in una lettera alle autorità chiedendo giustizia, si “cancella il ricordo e si sostiene l’impunità come base per la governabilità e la stabilità politica”.
Eduardo e Rafael furono uccisi mentre insieme ad altri quattro giovani cercavano di rapinare una panetteria con l’intento di procurare liquidità per la causa rivoluzionaria del MIR. Secondo le versioni della stampa dell’epoca e della polizia locale ci furono scontri a fuoco nel quale per legittima difesa i poliziotti uccisero i due giovani. Successivamente una perizia balistica sui due corpi dimostrò invece che i ragazzi furono colpiti alle spalle e che quindi non c’era stato uno scontro a fuoco con essi e venne inoltre ricostruita sulla base di numerosissime testimonianze, tutta la realtà sociale locale in riferimento al periodo storico, dimostrando che il paese dove avvenne l’episodio in quel giorno era in stato di allerta e che nella stessa giornata fu uccisa una giovane militante del MIR ed altri quattro giovani furono trovati massacrati.
Come ogni anno, da quel giorno, si ripetono le manifestazioni a Santiago e in tutto il Cile per ricordare la tragica morte di quei due ragazzi che hanno dato la vita per la libertà del loro paese, chi li ricorda oggi come rivoluzionari “lo fa più per la forma in cui sono vissuti che non per il modo in cui sono morti”.
Quest’anno la manifestazione a Santiago è stata particolarmente violenta e ad oggi si contano più di 800 giovani arrestati molti dei quali minorenni.
La protesta però si inserisce e viene amplificata dal clima di crescente insoddisfazione per la politica dell’attuale presidente del Cile, Michelle Bachelet , il cui gradimento tra la popolazione sta calando dal 55 al 42% odierno.
Dopo l’iniziale euforia per la vittoria della “presidenta” circa un anno fa, crescenti proteste hanno scosso la società cilena. Iniziando dalla “rivolta dei pinguni” nel maggio dello scorso anno, duramente repressa dalle forze di polizia, che ha visto studenti scendere in piazza e far sentire la loro voce contro una scuola settaria e di bassa qualità retaggio della dittatura di Pinochet. Una rivolta che se inizialmente ha interessato direttamente i giovani studenti, successivamente ha poi coinvolto i loro genitori e ampi settori della società civile.
Da nord a sud il paese è scosso alle radici. La morte di Augusto Pinochet, probabilmente nello stesso istante in cui è stata accolta con gioia da tutti i cileni che hanno subito perdite, lutti e privazioni della libertà durante la dittatura, ha riaperto vecchie ferite e ha reso evidente nei giorni precedenti e successivi alla morte del vecchio tiranno, come l’esercito cileno sia ancora pesantemente compromesso con il pinochettismo e che sia ben lontano dall’essere l’istituzione al servizio della società che la Concertazione di Bachelet ipocritamente vuole far credere.
Ci sono importanti settori dell’oligarchia, militari ed ecclesiastici che di fatto muovono ancora i fili del potere e della politica istituzionale.
In questo anno di governo di Bachelet la protesta in Cile, dal movimento degli studenti si è estesa alla base popolare, al movimento mapuche, ai lavoratori del settore sanitario e a quello dei trasporti.
Su questo substrato di profonda insoddisfazione e di rivendicazioni portate avanti con determinazione si è aggiunta ultimamente infatti la protesta per il Transantiago , il nuovo sistema di trasporto pubblico urbano, annunciato come una rivoluzione innovativa e foriera di progresso e che si è dimostrato di fatto del tutto inefficace a risolvere i problemi della città e che ha causato numerosi disagi alla popolazione, tanto che Michelle Bachelet nei giorni scorsi si è vista costretta a sostituire quattro suoi ministri per le montanti proteste.
Una miscela esplosiva di insoddisfazione, disillusione e rabbia che ha provocato gravissimi incidenti a Santiago e in tutto il Cile questo giovedì 29 marzo per la commemorazione del Giorno del Giovane Combattente.
Il sottosegretario agli interni, Felipe Harboe ha informato che 819 persone sono state arrestate, di cui 747 appartengono alla regione metropolitana, 38 poliziotti sono feriti di cui alcuni in modo grave e numerosi danni sono stati causati alle strutture pubbliche.
Più della metà degli arrestati sono minori di età.
La giornata era iniziata con il dispiegamento di 4000 carabinieri e in un clima di repressione generale.
Alcuni Avvocati di Diritti Umani hanno accusato le Autorità e i mezzi di comunicazione di aver esaltato gli animi e provocato i cittadini già esasperati da situazioni difficili.
All’alba della giornata di giovedì carabinieri avevano fatto irruzione nell’Università di Santiago dove in una tesi sostenuta anche dai media si trovavano sostanze chimiche per la fabbricazione di bombe molotov e alcuni machetes che dovevano essere usati durante le manifestazioni.
Pronta la smentita dell’Università, le cui autorità hanno espresso risentimento con il governo per la criminalizzazione che è stata fatta degli studenti e della stassa Università. La professoressa del corso di danza africana, Sig.ra Muunzenmeyr ha confermato che le spade erano a disposizione del corso per uno spettacolo e che erano senza affilatura della lama, mente i professori dei corsi di Chimica e Biologia hanno comunicato che le sostanze chimiche erano residui di laboratorio in attesa di essere raccolti da una ditta specializzata in smaltimento di rifiuti speciali.
Già dall’alba del 28 marzo inoltre, un grande dispiegamento di forze di polizia si trovava a Villa Francia, uno dei quartieri più poveri alla periferia di Santiago, luogo dove sempre maggiori sono stati gli scontri in passato. Posti di blocco di polizia si sono formati anche nelle vicinanze delle abitazioni dei dirigenti sociali più conosciuti, come negli anni più bui della dittatura.
Nel corso degli scontri alcuni bus della linea del Transantiago sono stati dati alle fiamme, così come si sono registrati casi di sospensione dell’energia elettrica dovuti probabilmente ad alcune esplosioni. La polizia ha risposto ai manifestanti con l’uso massiccio di gas lacrimogeni e idranti.
Senza dubbio questa è stata una delle giornate commemorative del Giorno del Giovane Combattente più violenta degli ultimi anni e dovrebbe far riflettere il fatto di come a distanza di un anno emergano tutte le ombre in un governo che pure era stato salutato come “di sinistra” nella nuova primavera latinoamericana.
La sfida vera che Michelle Bachelet a questo punto si trova a dover affrontare sta sia nel riuscire a recuperare fiducia e consenso del suo elettorato ma più ancora nel conquistare i sentimenti dei ceti più poveri del suo paese, degli emarginati di sempre, dei giovani e degli studenti, dei mapuche, degli operai e dei contadini e questo, a suon di arresti e dure repressioni pare oltremodo difficile.
Dal sito di Gennaro Carotenuto, un articolo su Pinochet che mi è particolarmente piaciuto:
PINOCHET, IL SADICO CHE SPENSE LA PRIMAVERA EN ESPAÑOL
Oggi è un giorno triste per la storia del Cile e soprattutto per la giustizia cilena. Il più grande criminale nella storia di quel paese e forse dell’intera America Latina, Augusto Pinochet Ugarte, è morto nel suo letto. Per i 3.500 desaparecidos, per le decine di migliaia di torturati e prigionieri politici, per il mezzo milione di esiliati non ci sarà mai giustizia.
In un conato di dignità il governo concertazionista, che pure ne ha discusso per tempo spaccandosi, ha annunciato che non ci sarà né lutto nazionale né funerale di stato. Con quello che passa il convento nel Cile del 2006, tiriamo un sospiro di sollievo e restiamo quasi stupiti per la buona novella.
Pinochet il sadico, quello che ordinava di torturare infilando topi nelle vagine delle prigioniere politiche, è morto nel suo letto senza essere mai stato neanche per un’ora in carcere.
Pinochet il traditore, che si finse fedele al Presidente Salvador Allende fino all’ultimo istante, è morto con qualche vescovone che gli impartiva i sacramenti.
Pinochet il ladro, forse solo Francisco Franco e Ferdinando Marcos rubarono come lui, che faceva girare su oltre cento conti correnti statunitensi le centinaia di milioni che sottraeva all’erario pubblico, è morto nel lusso.
Pinochet il sepolcro imbiancato, che aveva riportato il Cile al medioevo, è morto con le sue tre figlie al capezzale, quelle che già madri e nonne ottennero ben sei annullamenti dalla compiacente Sacra rota.
Pinochet il burattino, manovrato da Henry Kissinger (degno compare anche lui morirà nel suo letto), dalla CIA, dall’Anaconda e dall’ITT (oggi AT&T) come un pupazzo, per evitare la giustizia, è morto facendosi passare da demente.
Anche il più ignobile dei dittatori, anche Adolf Hitler aveva un progetto propositivo, per quanto aberrante fosse. Pinochet no. Pinochet solo voleva spegnere la primavera. Odiava il fiorire del Cile dell’Unidad Popular e si considerava il tutore dell’ordine per conto di quelle 50 famiglie che tutt’ora si considerano e sono padrone del paese più classista del mondo.
E la soffocò, la primavera. Pinochet, Pin8, muore da trionfatore, nessuno si illuda. Ha svolto bene il suo compito di burattino. Il Cile è oggi un’isola remota circondata dalle Ande, il Polo Sud, il Pacifico e il deserto, l’unico angolo del continente impermeabile alla nuova primavera latinoamericana. Un esercito ipertrofico, modernissimo, aggressivo, continua a fare da tutore dell’ordine per le stesse aristocrazie di sempre, da Portales a Manuel Montt a Pinochet. Nessun parlamentare a sinistra della Concertazione sarà mai eletto con la legge elettorale fatta dal dittatore per la democrazia autoritaria che gli successe e che il governo si guarda bene dal cambiare. Il centrosinistra più “moderno” al mondo ha completato in questi 17 anni e reso eterna l’imposizione del modello per la quale Pinochet aveva chiamato all’opera i Chicago Boys, i tecnocrati neoliberali. Questi, come nel libro di Primo Levi, hanno scelto uno a uno “i sommersi e i salvati”. Da quel campo di concentramento che era il Cile di Pinochet, la metà della popolazione (quella che credeva nella primavera) fu sommersa nella precarietà perché l’altra metà, quella che oggi piange Pinochet, potesse continuare a vivere nel lusso.
E’ morto Pinochet, il sadico che spense la primavera. Che l’inferno non gli sia lieve.
ORE 18.15
Brevemente, non ne sono felice primo perchè non è bello gioire per la morte di una persona anche se si chiamava Augusto Pinochet, secondo perchè è morto da uomo libero, c’è stata una parte della società cilena che lo ha sostenuto fino in fondo, che ha permesso che la condanna tanto attesa non arrivasse, che ha difeso la sua impunità per anni. Quando questa parte della società cilena lascerà la scena, forse solo allora le vittime della dittatura avranno pace.
ORE 00.19
C’è la voce di Pablo in sottofondo, che, come per volermi tranquillizzare, mi dice che percorrerà ancora le strade di Santiago…, non ci riesco, non riesco a gioire di questa morte, anche se il colore del post lascia trasparire un’emozione sottile, non è forse il rosso il colore delle feste?Las calles de Santiago no serán más las mismas, todavía huelen a sangre. Per qualche oscura ragione quando il mio cuore si avvicina idealmente al Cile, pur non essendoci mai stata, sento come un macigno sull’anima e una canzone basta a …Non è stato solo Augusto Pinochet, non è stato lui da solo, cè stato un pianeta intero che per lunghi 20 anni ha permesso che accadesse la barbarie, (per molto meno l’Iraq è stato invaso per insegnargli la democrazia e Saddam Hussein condannato a morte), Pinochet si è prestato al gioco di chi adesso sta perpetrando la barbarie in altri modi e in altri luoghi, certo quel gioco gli è piaciuto e lo ha giocato fino in fondo, ma non lo ha giocato da solo, ci sono poteri che lo hanno appoggiato e sostenuto fino a poche ore fa, ci sono stati medici che hanno stilato certificati fasulli, banche che hanno accettato i suoi soldi insanguinati, ci sono uomini e donne che adesso per le strade di Santiago piangono la morte del loro generale, su tutte queste persone pesa la colpa. La barbarie sin olvido non ha fine, non finirà con la morte di Pinochet perchè troppo grande è stato il dolore, perchè grandi e indimenticabili i suoi martiri, Don Salvador, Victor, Pablo, uomini, donne e bambini, la musica que se calló e i versi mai più recitati, i libri bruciati e i sogni di unità popolare distrutti, è troppo, è stato veramente troppo perchè la morte di un uomo solo possa cancellare tutto. La storia deve insegnare, la memoria deve vivere per poter riconsegnare la storia ai posteri. Non dimentichiamo. Que descanses, Augusto, en el cielo (si existe el cileo) en 3000 te esperaban, muerto más, muerto meno no Augusto?
E intanto penso a Oaxaca.… La storia deve insegnare? Lo stesso silenzio, lo stesso pianeta, gli stessi poteri.…
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