Uribe criminalizza i sindacati con la scusa delle FARC.

11 commenti

Il gatto e la volpe

(e Teleamazonas con la stessa scusa discredita il governo Correa…).
Nonostante Uribe continui a pellegrinare negli Stati Uniti elemosinando dal Congresso statunitense la firma del Trattato di Libero Commercio, sembra che debba penare ancora parecchio per ottenerla.
Soprattutto dovrà fare miracoli nel convincere tutti che sotto la sua presidenza la situazione in Colombia è migliorata rispetto alla violenza e all’impunità dei gruppi paramilitari e agli omicidi dei sindacalisti, relativamente ai quali il presidente  colombiano continua a fornire dati ben diversi da quelli in possesso delle associazioni umanitarie del suo paese.
Anzi,  è riuscito perfino, in un parco di Queens, New York,  approfittando delle celebrazioni  per  il giorno dell’indipendenza colombiana, con alcune migliaia di  connazionali immigrati negli Stati Uniti, a far passare la sua “personale verità”. E cioè che secondo la giustizia del suo paese nessuno degli omicidi di sindacalisti è in relazione  al loro lavoro  ed ha incolpato per queste morti in misura uguale sia la guerriglia che i paramilitari. Cercando di elemosinare consensi per la firma del TCL, che non viene ratificato dal congresso proprio per gli scarsi progressi del governo colombiano in materia di diritti e sicurezza ai sindacalisti, Uribe ha accusato questi ultimi  di fare “apologia di terrorismo” e di appoggiare i gruppi rivoluzionari, provocando così la reazione violenta dei paramilitari da sempre in lotta contro la guerriglia.
Già prima della sua partenza, in un incontro pubblico in Colombia,  aveva accusato duramente i sindacalisti colombiani di appoggiare le FARC e la lotta armata, e a New York  ha colto l’occasione per  ritornare sull’argomento.
Il pretesto è stato quello della partecipazione di tre organizzazioni sindacali colombiane, la Sintraemcali, la Sintratélefonos e la Sintraunicol all’ XI  seminario pubblico internazionale organizzato a Quito (Ecuador) tra il 9 ed il 13 luglio  dal Movimento Popolare Democratico (MPD) sui “Problemi della Rivoluzione in America Latina”.
Motivo della violenta critica verso i sindacati colombiani da parte sia di Uribe  che  del vicepresidente Santos, tra l’altro accusato da Salvatore Mancuso di aver collaborato con i paramilitari,  sono le dichiarazioni finali del documento conclusivo del seminario nelle quali le organizzazioni partecipanti “esprimono la loro solidarietá a tutti i popoli del mondo che lottano per conquistare la loro libertá sociale e nazionale e per le loro rivendicazioni specifiche e i loro  diritti politici, con i processi democratici che si svolgono in Venezuela, Bolivia ed Ecuador, con la lotta dei movimenti insurrezionalisti in Colombia, Filippine e Nepal…”
Alle accuse strumentali di Santos e di Uribe, il presidente del Sindicato de Trabajadores y Empleados Universitarios de Colombia ha risposto  di non aver mai  posto la sua firma in un documento in cui si appoggia la guerriglia.
I tre rappresentanti dei sindacati colombiani tra l’altro hanno partecipato soltanto ad una delle giornate del seminario in cui sono state tenute due tavole rotonde dal titolo: “La lotta dei lavoratori e dei popoli contro il capitalismo e l’oligarchia e “Mezzi di comunicazione alternativi e processi di cambiamento”.
Gli organizzatori del seminario, tra i quali Ciro Guzmán, direttore del Movimento Popolare Democratico (MPD),  in un comunicato inoltre hanno fatto sapere che non sono state  richieste sottoscrizioni al documento conclusivo e che le FARC e l’ELN non hanno partecipato con loro delegati agli incontri, ma che hanno inviato soltanto delle loro note, come hanno fatto tanti altri movimenti di sinistra latinoamericani.
Uribe attaccando i sindacati e accusandoli di avere relazioni con la guerriglia, ha tentato maldestramente di incolpare le FARC  e gli stessi sindacati delle repressioni a cui sono sottoposti  i  loro rappresentanti. Ricordiamo che solo nel 2006 sono stati 73 i sindacalisti uccisi in Colombia e che dal 1991 ci sono stati  2245 omicidi, 3400 minacce e 138 scomparse. “Questo è quello che ha ottenuto la guerriglia in Colombia e questo è quello che ha scatenato l’atroce persecuzione contro i leader sindacali” facendo intendere che i paramilitari assassinano i sindacalisti perchè li considerano “simparizzanti” dei guerriglieri.
Il fatto è che,come già è stato accusato di fare in passato,  è egli stesso che indirettamente nei suoi discorsi presidenziali fornisce ai paramilitari direttive di azione.
Accusare pubblicamente i sindacalisti di far parte della guerriglia davanti a una platea formata da riservisti dell’esercito e della polizia equivale a condannarli a morte.
E vale la pena ricordare che Jorge Noguera, il “bravo ragazzo” e grande amico di Uribe, ex console colombiano in Italia ed ex direttore del DAS colombiano, accusato di aver consegnato i servizi segreti colombiani nelle mani dei paramilitari, tra le altre cose è accusato di aver fornito loro liste di sindacalisti, operai e attivisti sociali per la loro eliminazione.
La CUT (Central Unitaria de Trabajadores) ha fatto sapere tramite il suo presidente Carlos Rodriíguez, che le dichioarazioni di Uribe sono “temerarie e irresponsabili” ed equivalgono ad una condanna a morte
Contemporaneamente invece, in Ecuador,  anche il potente canale televisivo Teleamazonas, di proprietà del gruppo Pinchincha di Fidel Egas Grijalva, usando gli stessi argomenti, diffonde false notizie con lo scopo di gettare discredito sul governo Correa.
Fidel Egas Grijalva,  tra le altre cose,  è proprietario della Diners Club Colombia ed in passato è stato accusato a Panama  di operare attraverso il Banco Pinchincha  con narcotraffico e riciclaggio di danaro sporco.
Teleamazonas ha diffuso infatti, la notizia  priva di ogni fondamento che un “alto rappresentante delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) avrebbero partecipato alla riunione dei movimenti di sinistra tenuta a Quito”.
Secondo Teleamazonas si sarebbe trattato di Narciso Isa Conde, la cui presenza sarebbe stata segnalata in Ecuador  secondo il  registro migratorio di questo paese  tra il 7 e l’11 luglio scorso. “Il soggetto, nato a Cuba e nazionalizzato nella Repubblica Dominicana sarebbe entrato nel paese disarmato e non si esclude che sia lui la persona che avrebbe partecipato all’incontro a nome delle FARC”.
Narciso Isa Conde racconta quanto accaduto in questo suo articolo.
Egli è un attivista politico e saggista dominicano ed è stato in prigione e torturato sotto la dittatura di Trujillo, ha intervistato in più di una occasione rappresentanti delle FARC nella foresta colombiana diffondendo sui mezzi di comunicazione fin dal 2006 foto ed interviste relative, senza che come egli stesso ha detto,“abbiano causato alcuno scandalo”.
Come riferisce nel suo articolo (e come i giornalisti di Teleamazonas ben sanno), “ignoro di essere nato a Cuba, anche se non me ne vergognerei. Secondo il mio atto di nascita, sono nato nella città di San Francisco de Macorís, nella Repubblica Dominicana. In verità ignoro anche quando le FARC mi abbiano arruolato nelle loro fila e mi abbiano  nominato tra i loro alti dirigenti…” 
Isa Conde ammette di essere stato in Ecuador in quei giorni disarmato (“anche se il mio libro En el Siglo XXI: ¿Cuál Democracia? ¿Cuál Socialismo? in Perú è stato definito una vera bomba) , ma soltanto per partecipare al seminario organizzato dal MPD a Quito.
Quello che è più inquietante in tutto questo è la  sinergia di intenti tra le forze conservatrici latinoamericane che forse ora più che in passato si vedono costrette a condividere metodi, scopi e menzogne per fronteggiare le istanze di sinistra che si vanno affermando con sempre maggior vigore.
E ancora una volta lo fanno attraverso i mezzi di comunicazione che probabilmente rappresentano  il loro vero punto di forza.
 
 
 
 
 
 

Roma, 19 luglio rovinata la festa all’ambasciatore colombiano

0 commenti

In occasione della Festa per l’indipendenza, l’ambasciatore colombiano a
Roma, PRETELT de la VEGA, aveva organizzato presso la sua residenza un
brindisi con inviti al personale diplomatico a Roma.

Decine di persone in contemporanea hanno realizzato una manifestazione di
protesta per ricordare che la classe politica colombiana è da mesi
sotto accusa per aver sostenuto, finanziato, coperto, promosso le
attività dei gruppi paramilitari che si sono macchiati in questi anni
di atroci delitti con lo scopo di tutelare gli interessi delle
multinazionali e di sterminare l’opposizione politica e sociale.

Iniziative simili si sono svolte a Parigi e a Berna
4000 sindacalisti
uccisi dagli anni ’80 ad oggi, popolazioni indigene in via di
estinzione, 3,5 milioni di profughi interni sono alcune delle cifre di
questa barbarie.

I manifestanti hanno denunciato anche come in Italia
abbiano ricoperto incarichi diplomatici personaggi dal dubbio passato
come l’attuale AMBASCIATORE SABAS PRETELT DE LA VEGA  ideatore della
legge “di GIUSTIZIA e PACE” con la quale lo stato colombiano getta la
spugna su tutti i crimini commessi dai gruppi paramilitari e chi li ha
appoggiati, promettendo la non estradizione negli USA di alcuni dei
loro capi militari, di aver avuto relazioni con MANCUSO attuale numero
uno delle AUTODEFENSAS UNIDAS de COLOMBIA
Questa denuncia pubblica ha
evidentemente messo in difficoltà l’Ambasciatore il quale, davanti ai
suoi imbarazzati invitati, non ha esitato a sguinzagliare il personale
di servizio presso l’Ambasciata che si è esibito in più di una
provocazione ed ha anche preteso che le forze dell’ordine defiggessero
uno striscione che lo accusava di legami diretti con gli squadroni
della morte

Chiediamo alle Istituzioni Italiane, al Ministero degli
Esteri di rompere le relazioni diplomatiche con un paese governato da
un presidente, Alvaro Uribe Velez, che fu il maggiore sostenitore della
diffusione dei gruppi paramilitari in Colombia, e il cui personale
diplomatico in Italia e nel Mondo è sotto processo o accusato di
collusioni e responsabilità dirette con le attività degli squadroni
della morte.

 Roma 20 luglio 2007

Comitato Carlos Fonseca/REDHER
- Associazione ASUD – Rete Italiana Solidarietà “Colombia VIVE” -
Associazione Italia Nicaragua, Circolo Leonell Rugama – Confederazione
COBAS – Spazio Sociale Occupato EX-51,  REBOC, Rete Boicottaggio COCA
COLA – SINISTRA 19 – Claudio Ortale Cap. PRC-SE Municipio Roma19 –
Adriana Spera, Capogruppo PRC-SE al Comune di Roma — CUB Immigrazione

 


Colombia, il maestro e il paramilitare

7 commenti

di Gennaro Carotenuto

Gustavo Moncayo, maestro elementare colombiano e padre di un poliziotto da quasi dieci anni sequestrato dai guerriglieri delle FARC, è arrivato a piedi a Bogotà dopo un viaggio di 46 giorni e oltre 1.200 km, per esigere che si realizzi lo scambio umanitario di prigionieri tra governo e guerriglia. A sorpresa il presidente colombiano Alvaro Uribe ha tentato di cooptarlo ed a sorpresa il maestro ha replicato: “queste catene sono contro di lei, presidente Uribe, lei non è il padrone della vita di mio figlio”.

Il maestro Gustavo (nella foto), dopo un viaggio che ha attraversato tutto il paese, si è istallato in una tenda nella Piazza Bolívar della capitale colombiana. Da lì non andrà via che con suo figlio. Lì è piombato il presidente, Alvaro Uribe, che ha provato a trasformare l’evento in una manifestazione di propaganda a suo favore. Non gli è andata bene.

Immaginate un umile maestro elementare, Gustavo Moncayo, faccia a faccia con il Presidente, Alvaro Uribe. Moncayo portava con sé il mandato di due milioni di colombiani che durante il cammino avevano firmato il suo appello. Dopo il colloquio privato, Uribe ha voluto tenere un comizio in diretta radiotelevisiva. Almeno 2.000 persone lo hanno fischiato e gridato slogan “Uribe paramilitare, il popolo è infuriato”.

Uribe a quel punto ha dato ai manifestanti del “sabotatori” e “complici della guerriglia”. Era solo l’inizio per lui. Subito dopo è apparso sul palco Moncayo, abbracciato a sua moglie e in lacrime (nella foto). Uribe stesso gli ha dato allora la parola, pensando evidentemente di poterlo controllare. Ottenuta la parola, Moncayo ha invece accusato il presidente di essere stato lui a sabotare ripetutamente lo scambio umanitario, arrivando perfino ad organizzare un autoattentato, per evitare che si arrivasse all’accordo.

Moncayo portava una maglietta bianca con la foto del figlio ed era incatenato, così come incatenato era partito dal suo paese, 1.200 km prima. Con grande coraggio il maestro ha accusato il presidente di essere colpevole di aver causato la morte di numerosi ostaggi, usando la forza e non il dialogo con le FARC: “queste catene sono contro di lei, presidente Uribe, lei non è il padrone della vita di mio figlio”. Il mese scorso 11 deputati morirono in un drammatico tentativo di liberazione con la forza fallito.

Come se non fosse sufficiente, il maestro Moncayo ha insistito mentre Uribe protestava: “Presidente la sua è una guerra personale, lei vuole solo vendicarsi delle FARC, non vuole arrivare alla pace”. Uribe è infatti da più parti accusato di stare conducendo la politica colombiana rispetto alla guerriglia non in maniera razionale, ma animato da spirito di vendetta verso le FARC. Il presidente accusa il gruppo guerrigliero di aver ucciso suo padre negli anni ’80 del secolo scorso. Intanto, la piazza appoggiava il maestro e continuava a fischiare e contestare il presidente.

Il maestro Moncayo, dopo aver evitato il tentativo di strumentalizzazione da parte di Uribe, resterà nella piazza, fino ad ottenere il suo obbiettivo: lo scambio umanitario. Lì è già stato raggiunto da decine di parenti di sequestrati, in gran parte poliziotti e militari, ma anche parlamentari come la ex-candidata presidenziale Ingrid Betancourt.
La tenda del maestro, Uribe lo aveva capito bene, è da oggi il centro della vita politica colombiana.


Ingrid Storgen: Cuando el silencio es el peor asesino, la Iglesia Colombiana…

71 commenti
Por Ingrid Storgen
Julio 2007
Muchas cosas están sucediendo luego del desastre desatado en Colombia que costó la vida a 11 diputados, prisioneros políticos de la insurgencia, y que provocó un sacudón en las entrañas del mundo que se horroriza ante cualquier crimen.
Entre esas cosas podemos mencionar el pedido de siete militares y policías en poder de la guerrilla, quienes solicitan al gobierno que evite el rescate a sangre y fuego de los prisioneros.
 
Uno de los peticionantes es el cabo Moncayo, quien en un video público insta a Uribe para que busque una salida al terrible drama que está viviendo desde hace 10 años, e idéntico pedido realiza el capitán de policía, Edgar Yesid Duarte, quien asegura que intentar rescates militares en las condiciones en que ellos se encuentran, es lisa y llanamente una sentencia de muerte.
De la misma manera, pide el intercambio humanitario, la hermana de otro prisionero, el intendente jefe Luis Peña Bonilla, quien lleva nueve años en poder de la insurgencia.
 
Es lógica la preocupación de esta gente, sobre todo luego de la declaración de guerra emitida por el propio presidente Uribe, quien no pensó en las consecuencias que podría generar, a partir de su énfasis, al decir ante el mundo que: “procederemos al rescate de los prisioneros y lo haremos a sangre y fuego”.
Y cumplió su promesa, no importa quiénes pusieran el cuerpo para ingresar en la lista de los asesinados por el odio indiscriminado que bien podría haberse evitado.
 
A sangre y fuego, aunque en el medio de las balas hubiera seres humanos.
 
Con la simpleza con que habla un inconsciente que debería saber, a estas alturas, que no es improvisado el accionar de una organización que provocó el fracaso absoluto del Plan Colombia, la Iniciativa Andina, Plan Patriota y cuanto nombre se le haya dado a la millonada de dólares que Washington invirtió en Colombia, para exterminar a las organizaciones en armas hace ya tantos años.
 
Ahora y cuando parecía no existir en medio de tanta sangre vertida, aparece la voz de una Iglesia que se mantuvo muda cada vez que el paramilitarismo y su socio, el ejército colombiano, ejecutara masacres en las que centenares de niños, ancianos, jóvenes, mujeres, hombres, perdieran la vida por asesinato.
De la misma manera que enmudeció cuando el Ejército Nacional ametralló desde un helicóptero al equipo periodístico que siguieron la ruta de la columna guerrillera que había apresado a los 11 diputados hoy asesinados, en la Asamblea del Valle el 12 de abril de 2002.
 
Y es muy bueno que al menos ahora hable, la situación pasó ya de “castaño” oscuro y las papas queman demasiado. Quien rompió el silencio fue el presidente de la Conferencia Episcopal Colombiana y lo hizo diciendo que “el intercambio humanitario es un mecanismo para evitar más baños de sangre”, pero se equivoca cuando dice que la liberación de los prisioneros debe ser “un asunto humanitario y no político”.
Y se equivoca por segunda vez cuando puntualiza que la liberación debe ir más allá del despeje, cuando la exigencia de la insurgencia es precisamente el despeje.
¿Por qué tanto temor a que éste se lleve a cabo en momentos en que la vida de los detenidos pende de un hilo?
¿Por qué no simplificar las cosas y hacerlas como corresponde?
 
Vuelve a equivocarse cuando en un comunicado de prensa en el que exigen la entrega de los 11 cadáveres de los diputados, llama a participar en las marchas que se realizarán y que serán la continuación de la que ya se realizó, pero con tan mala fortuna que el presidente, el mismo que se niega hace años a realizar el intercambio humanitario, trató de capitalizar y salió mal parado.
Todos los colombianos, dijo monseñor Luis Castro, debemos superar el miedo de hablar, de protestar.
Pena grande que el prelado no haya dicho nada, ni siquiera haya intentado arengar para la pérdida de temor, cuando se reprimió brutalmente a los estudiantes que manifestaron en defensa de la educación pública.
Tampoco invitó a perder el miedo y salir a la calle hace pocos días, luego del brutal asesinato de Dairo Torres, coordinador de la zona humanitaria de Alto Bonito, precisamente el día 13 de julio, hecho cometido por paramilitares a escasos metros de un retén militar.
 
Continuó su histórico silencio cuando el asesinato de Carlos “Memo” Mario, o cuando fue detenida por el Ejército Nacional, el pasado 17 de julio, France Helena Navarro Toro, de 32 años y madre de siete menores.
Silencio sacrosanto cuando el asesinato de Mario Sereno Toscano, ocurrido el 14 de julio en la Asociación El Palmar, región con alta presencia de paramilitares, y el mismo silencio cuando el 17 de julio tropas de la Brigada Móvil 12 del Ejército, detuvieron la camioneta conducida por Ramiro Romero Bonilla a quien acompañaba Arnulfo Guerra, ambos cargados en un helicóptero militar y de quienes nada se supo hasta el momento.
 
Jamás habló la Iglesia, ni invitó a movilización alguna, cuando el 20 de julio Luis Carlos Angarita Rincón, de 25 años fue torturado hasta morir.
Y no levantó su voz tampoco cuando el ex vicepresidente de la República Bolivariana de Venezuela, José Vicente Rangel, alertó sobre las acciones ilegales de funcionarios de la seguridad colombiana que irrumpieron clandestinamente en la tierra vecina y a quienes se les encontraron datos de diputados, como sus teléfonos y direcciones, con el fin de desestabilizar la Revolución que hoy representa, para América del Sur, un fuerte muro de contención al más genocida de los imperios, y poniendo en peligro las relaciones fraternales entre las dos naciones.
 
No parecía existir la cúpula de la Iglesia cuando un grupo de militares y paramilitares llegaron a un pueblo cargando su botín: varios civiles atados, hasta que el comandante conocido como Maluco, tomó del pelo a uno de los ellos y en presencia de los otros prisioneros le clavó un cuchillo en la garganta.
Festejando su aberración y descomposició n mental, riendo, dio una lección del “arte de matar”, afirmando que eso se hace para que no puedan gritar, pero que había que tener cuidado con no cortar la yugular, porque la idea se centraba en ¡¡¡ qué sufran!!!
 
La Iglesia Católica Colombiana padece de una mudez parcial, que la convierte en cómplice desde el silencio, de la muerte por acciones violentas ejecutadas por los aparatos militar y paramilitar, que solamente durante el primer período presidencial de Álvaro Uribe Vélez, que abarcó los años 2002–2006, y en el cual fueron asesinados o desaparecidos por razones políticas más de 11084 personas.
Y no estamos mencionando a los desplazados, los perseguidos, los amenazados, quienes también merecían una palabra santificada que inste por el cese definitivo de las agresiones.
 
Es muy lamentable que para la alta jerarquía eclesiástica, el problema colombiano no esté claramente definido como problema político y se obvie la tortura que se produce de manera sistemática, organizada, con total impunidad.
Mientras los altos mandos mantengan su mutismo frente a hechos como los mencionados, éstos continuarán sucediendo y podrían ser, muchos 11 más, los que llore el pueblo colombiano.
 
Sin embargo no callaron, sino que actuaron en defensa, cuando el arzobispo católico Isaías Duarte, destapado por el “desmovilizado” jefe paramilitar Diego Murillo, se supo que fue uno de los seis ideólogos de los grupos de ultraderecha, relación entre cura y paramilitares que comenzó en 1988 en la región bananera de Urabá, donde tanta sangre inocente quedó abonando esa tierra que resistía los embates de las multinacionales.
 
Pero estaban distraídos cuando a un grupo de prisioneros de los paramilitares les colocaron hormigas en las orejas y en las fosas nasales, para luego continuar la perversidad colocándoles ají y sal en las brutales heridas. Tan distraídos como cuando encendieron hogueras con el fin de fatigar con humo al capturado, además de ejercer contra él, tortura psicológica.
 
Negar que en Colombia exista un terrible problema político es negar una realidad amarga, pretender tapar el sol con un dedo, omitir esta cuestión cotidiana es de alguna manera como manifestar una indolencia inaceptable y qué sólo asumiéndola como tal, puede llegarse a la solución que tanto anhela el pueblo.
 
La tortura que tantos pretenden minimizar, está asociada con la ejecución extrajudicial, no podemos, si somos concientes, evitar alzar la voz ante semejante atrocidad.
 
Y si lo hace la Iglesia,  está cometiendo una terrible herejía. Tengamos en cuenta que se puede ser asesino sin disparar balas, y el premio que obtendrá por los silencios malintencionados, será siempre el repudio de quienes sin ser religiosos, no blasfemaríamos jamás el 5to. Mandamiento: No matarás…
 
Ingrid Storgen
Julio 2007
 
Pido disculpas a los compañeros y compañeras por la descripción que se hace para denunciar una de las verdades más crueles que sufre un pueblo y que mañana podría ser el pueblo de cada uno de nosotros…

Colombia, gli undici martiri dello scambio umanitario

11 commenti
Gli undici deputati dell’Assemblea del Valle del Cauca che il Comando Congiunto d’Occidente delle FARC-EP, con un comunicato del 23 giugno scorso, informa che sono deceduti nel “mezzo del fuoco incrociato”, sono in ordine di tempo gli ultimi martiri del cosiddetto scambio umanitario.
Il comunicato delle FARC fa riferimento ad un “gruppo militare finora non identificato”, il quale avrebbe attaccato l’accampamento in cui si trovavano, addossando la responsabilità dell’accaduto alla “demenziale intransigenza” del presidente Uribe.
Uribe, dal canto suo, due giorni fa,  nella conferenza stampa ha dichiarato che “il governo accusa il gruppo terrorista delle FARC dell’omicidio dei deputati “.
Il Ministro della difesa Juan Manuel Santos appoggiando la versione del presidente, ha detto che in questo caso andrebbe applicato il buon senso per cui e’ impossibile che in uno scontro a fuoco siano morti solo gli ostaggi e nessun militare o nessun guerrigliero.
Il Ministro degli Interni Carlos Holguin Sardi non esclude invece la possibilità che ci sia stato uno scontro a fuoco con alcuni gruppi di paramilitari, probabilmente le  Aguilas Negras,  la nuova generazione di paramilitari che non hanno aderito alla smobilitazione.
Il comandante del ELN, Juan Carlos Cuellar si è sentito in dovere di assicurare che i suoi uomini ultimamente non hanno avuto scontri con le FARC e così fa sapere anche il capo dei paramilitari smobilitati Ernesto Baez  dal carcere di massima sicurezza di Itagui, scartando l’ipotesi del coinvolgimento delle Aguilas Negras  nella vicenda.
Fin qui  le versioni ufficiali  di tutte le parti in causa.
Secondo un’altra versione, invece, un po’ più “complottista” ma tuttavia non priva di riscontri,  un commando del Gaula (corpo speciale antisequestro dell’esercito colombiano)e paramilitari guidati da nordamericani hanno attaccato l’accampamento dove si trovavano le FARC, nella zona di confine tra il Valle e Nariño.
Secondo questa versione si sarebbe trattato di una delle operazioni segrete nell’ambito del Plan Patriota, utilizzando  tecniche già sperimentate con successo in Asia, Medio Oriente, nei  paesi arabi e quelli del centro America.
Questi corpi speciali sarebbero addestrati nelle basi americane di Manta e Aruba e in alcune basi  colombiane,tra cui la base di Castilletes sul Golfo del Venezuela con lo scopo di liberare gli ostaggi nelle mani della guerriglia e successivamente preparare attacchi al vicino Venezuela, dove   gruppi di Aguilas Negras, agenti del DAS (la sicurezza colombiana) e la SIJIN (un corpo della polizia giudiziaria)  già si sarebbero infiltrati  per provocare una guerra civile e giustificare così un intervento straniero.
Un interessante articolo su El Colombiano, quotidiano di Medellín, invece elenca questa  serie di ipotesi:
1)     alcuni analisti suppongono che un gruppo di Aguilas Negras, probabilmente patrocinati da un cartello del Nord del Valle, durante un’incursione nel territorio dove erano tenuti  nascosti gli 11 deputati abbiano causato la reazione delle FARC. Ciò nonostante risulta difficile credere, come ha fatto notare il Ministro della Difesa Santos,  che il fuoco incrociato abbia colpito solo gli ostaggi, è più probabile l’ipotesi secondo la quale il gruppo paramilitare abbia colto di sorpresa le FARC , le quali confondendoli con l’esercito abbiano attuato l’ordine ricevuto dai vertici  del gruppo armato di eliminare gli ostaggi, come già accaduto in passato in questi casi.
2)     L’accaduto potrebbe essere in relazione con la morte di Milton Sierra, alias JJ, noto come la mente dell’operazione che ha portato al sequestro dei deputati nell’aprile 2002. La morte di Sierra avrebbe lasciato il gruppo senza guida e alcuni dei suoi uomini per vendetta avrebbero deciso di eliminare gli ostaggi. JJ è stato ucciso approssimativamente il  15 giugno scorso in un’operazione congiunta di Esercito, Armata Nazionale e Forza Aerea, quindi appena pochi giorni prima del  comunicato delle FARC in cui la morte degli 11 deputati del Valle si fa risalire al 18 giugno. Anche in questa notizia, balletto di date, Juan Manuel Santos,   infatti  assicura che JJ fu ucciso il 6 giugno e quindi circa 12 o 13 giorni prima della morte dei deputati.
3)     Nonostante il governo abbia negato un’azione militare volta alla liberazione degli ostaggi non è detto che nelle immediate vicinanze non ci sia stato movimento di truppe, e che questo abbia provocato la tragica decisione di eliminare i deputati.
4)     Le FARC avrebbero deciso di eliminare gli ostaggi per provocare un’immediata reazione della comunità internazionale affinché faccia pressione  per una rapida soluzione dello scambio umanitario.
 
La situazione è intricata e  aperta ad ogni possibilità, se veramente fossero coinvolte le Aguilas Negras sarebbe anche più inquietante, come ha dichiarato infatti l’esperto dei servizi segreti Jairo Libreros “se questa ipotesi fosse reale, sarebbe preoccupante che le Aguilas Negras abbiano  un sistema di intelligence superiore a quello dell’ esercito , dal momento che avrebbero localizzato  le FARC e gli ostaggi prima dell’esercito, salvo il fatto che a loro non interessava salvare la loro vita”.
 
E’ grande il dolore e la rabbia dei familiari delle vittime che nonostante indicano come responsabile dell’accaduto la guerriglia, fanno sapere per tramite della portavoce Fabiola Perdomo, vedova di Juan Carlos Narvaéz, all’epoca del sequestro presidente dell’Assemblea Del Valle del Cauca, che   ritengono che il governo sia ugualmente colpevole nella tragedia  perché “ha avuto gli strumento politici e giuridici per lo scambio umanitario e non ha fatto nulla per realizzarlo”.
Altri familiari parlano di un “atteggiamento di intolleranza per cui non c’e’ stata volontà di raggiungere l’accordo umanitario”.
Tutti comunque manifestano la sensazione che il governo in questi cinque anni in cui è durato il sequestro, non abbia realmente mostrato la volontà politica per giungere ad uno scambio umanitario.
Tutti concordano sul fatto che il Governo dovrebbe accettare la smilitarizzazione dei municipi di Florida e Pratera come unica soluzione per riportare al paese gli altri ostaggi nelle mani della guerriglia ed avviare un processo di pace.
Le dichiarazioni di Uribe all’indomani della notizia della morte degli undici deputati non hanno effettivamente ottenuto pieno consenso, alcuni passaggi sono stati  criticati dai familiari delle vittime, come quello con il quale in cui il presidente apre  la conferenza stampa dichiarando che “per il Governo Nazionale la liberazione degli ostaggi è stata prioritaria” . Egli è stato inoltre smentito quando ha detto che le “FARC in modo sprezzante, hanno avvertito i familiari degli undici deputati telefonicamente”. Questi fanno sapere di non aver ricevuto nessuna telefonata dalle FARC e chiedono a Uribe  “molta delicatezza in questo momento di dolore”.
Álvaro Uribe ha distinto il suo governo per l’intransigenza e la politica militare con cui ha preteso di affrontare il delicato problema dell’accordo umanitario.
Ha considerato sempre il rifiuto alla smilitarizzazione dei territori di Florida e Pratera,  come una questione di principio o di onore militare e come più voci fanno notare, ha usato l’eventuale liberazione degli ostaggi come prova del suo successo politico. La famiglia di Ingrid Betancourt chiede ai paesi coinvolti nelle trattative, Francia, Spagna e Svizzera, (che nelle settimane scorse stavano conducendo trattative con il portavoce delle FARC Raùl Reyes) che si impegnino per ottenere con fermezza dal presidente colombiano la fine di qualsiasi operazione militare volta alla liberazione degli ostaggi e un impegno per il raggiungimento di un accordo umanitario.
Accordo umanitario che si profila ancora più lontano  dopo questa tragica notizia e dopo la reazione di Uribe, che in un intervento pubblico al nord del paese  ha tuonato che il Governo non lascerà che “in questo momento qualcuno si approfitti del dolore per esigere una zona di smilitarizzazione che permetta ai criminali delle FARC di sfuggire alla Forza Pubblica, che ha il compito di sconfiggerli”.
Opinione diffusa è che la stessa intransigenza governativa  non è stata dimostrata nello svolgimento delle trattative per la smobilitazione dei paramilitari.
In queste circostanze, nella ricerca affannosa del colpevole, tutte le parti chiamate in causa, sembrano dimenticare  che il sequestro degli 11 deputati si è protratto per ben 5 anni senza che si aprisse alcuno spiraglio di speranza nella loro liberazione, paradossalmente quando questa sembrava essere più vicina, il tragico epilogo.
Un attimo di paura delle FARC e quindi un segnale di debolezza? O una manifestazione di forza? L’esercito colombiano o le Aguilas Negras?
Probabilmente la verità come spesso accade in Colombia non si conoscerà mai, nel generale scaricabarile  che ne sta conseguendo.
L’anno scorso durante le trattative per la smilitarizzazione dei territori, scoppiò un’auto bomba nell’Università militare,   il Governo accusò le FARC e molti nutrirono dei dubbi, adesso nuovamente nel momento di trattative per la smilitarizzazione degli stessi territori, ci sono 11 deputati assassinati, non si sa bene da chi, le  FARC accusano il Governo e l’Esercito e molti nutrono dei dubbi.
Come ha scritto Antonio Caballero in un suo editoriale su  Semana, “la guerra non è la causa dei mali del paese, ma la sua conseguenza, per non essersi resi conto di questo, si è preteso risolvere questi mali con più guerra, come se la malattia fosse la cura. La dose più recente di questa cattiva medicina è stata quella somministrata dal governo ciarlatano di Uribe , la cui promessa è stata quella di vincere la guerra per poter poi arrivare alla pace: come se la guerra fosse il frutto della volontà malvagia di alcuni “cattivi colombiani” e non il prodotto (tra tanti altri) dell’ingiustizia essenziale che ha preteso mantenere tramite la stessa guerra, un forma estrema di repressione sociale”.
 
Questa ovviamente non vuole essere una giustificazione alla barbarie che sicuramente viene con la stessa violenza da ambo le parti (e il detenere per anni persone lontano dalle proprie famiglie sicuramente ne rappresenta un aspetto tragico) ma un invito alla riflessione sul fatto che rispondere alla violenza con la violenza non può che generare altra violenza e che il governo attuale nonostante tutto si è dimostrato incapace di condurre delle trattative,   prova ne è il fatto che probabilmente se un attore importante ci sarà in questo scenario, si tratterà sicuramente della comunità internazionale, a dispetto dei fondi e della demagogia spesi per la campagna di sicurezza del paese.

Segnalo inoltre:

Cómo nos duele su Semana

Y los que quedan? su Semana

Lo humanitario y lo político di Antonio Caballero

Uccisi 11 deputati sequestrati da cinque anni di Bogotalia

Vero e profondo dolore di Bogotalia  

 
  
 
 
 

Farc delegano Rogrigo Granda

3 commenti

Rodrigo Granda

Le FARC hanno dichiarato giovedì che sono disposte a delegare a Rodrigo Granda il compito di verificare che si compia la smilitarizzazione da parte del governo colombiano dei municipi  di Florida e Pratera, condizione necessaria per lo scambio umanitario.
 


A Santa Fé de Ralito, in Colombia…strani francesi e capi paramilitari.

3 commenti

Salvatore Mancuso y Jorge 40

Salvatore Mancuso e Jorge 40

A  Santa Fé de Ralito, in Colombia nel luglio del 2001 è stato firmato un documento inquietante con il quale 32 persone tra capi paramilitari (tra i quali i tristemente noti Salvatore Mancuso e Jorge 40), rappresentanti del Congresso, sindaci, governatori, funzionari locali e anche un giornalista hanno sugellato la nascita di un “nuovo patto sociale”.
Questo patto fu  ratificato con il nome di  “accordi segreti di Ralito”.
Praticamente un’associazione a delinquere tra paramilitari e politici. La così detta parapolitica colombiana messa nero su bianco.
Questa è una delle rivelazioni che ha fatto nel mese di gennaio 2007 Salvatore Mancuso (sono passati 5 mesi e lui  non ha ancora finito di parlare…)  davanti alla Fiscalía accettando così i benefici della legge di Giustizia e Pace (o “legge del colpo di spugna”  a seconda di come la si veda…)  per la quale se confessa i suoi crimini e partecipa al processo di pace verrà condannato ad una pena non superiore agli otto anni.
Ma al tavolo di  Ralito non erano seduti  solo colombiani, vi erano anche due ospiti internazionali e per la precisione un francese e un argentino, di tutto rispetto: “due professori della Sorbona” che avrebbero partecipato alla riunione come consiglieri politici dei capi delle Autodifese Unite della Colombia (e cioè Salvatore Mancuso e Jorge 40) .
Si tratterebbe di Mario Sandoval e di Juan Antonio Rubbini Melato, i quali “avrebbero proposto la creazione di un movimento comunitario e politico a sostegno delle idee delle Autodifese e in favore di un processo di pace”. ( El Tiempo 26 novembre 2006)
La rivelazione è stata fatta da due funzionari colombiani che erano presenti a Ralito, il senatore Miguel de la Espriella e il direttore dell’Istituto Nazionale delle Concessioni (INCO) Carlos Ordosgoitia.
Juan Antonio Rubbini Melato è un argentino,  più noto con lo pseudonimo di “il Che delle AUC” per le sue simpatie di gioventù per la figura di Ernesto Che Guevara (sic!). E questo la dice lunga sulla complessità del personaggio che pur non essendo un professore universitario della Sorbona,  ma un disoccupato mantenuto dalla moglie (come egli stesso ha dichiarato in una recente intervista al settimanale El Espectador) alla riunione di Ralito veniva chiamato come “El professor”.
E lo fu infatti “professor”, fu consulente politico prima di Carlos Castaño e poi di tutto il gruppo paramilitare a lui legato.
Il Machiavelli della parapolitica intanto dal suo blog, La Paz en Colombia, in cui riporta con nonchalance tra i link il sito di Salvatore Mancuso e quello di CataholicNet, fa un’apologia del significato  e del fine ultimo del paramilitarismo e di come questo debba trovare il sistema di inserirsi come soggetto politico nell’attuale conflitto in corso in Colombia. Certo è che a ben vedere gli ultimi avvenimenti della politica colombiana quello che salta agli occhi è che i paramilitari di fatto “soggetto politico” già lo sono diventati.
Mario Sandoval invece, l’altro “professore della Sorbona” sarebbe stato legato all’epoca all’Istituto di Alti Studi dell’America Latina (Iheal di Parigi), alla nuova Sorbona e all’Università di Marne-la-Vallée.
Bisogna precisare tuttavia che l’Iheal ha chiarito che Sandoval all’epoca era solo  un loro assistente  e non un professore ordinario.
Sandoval lo ritroviamo in Cile a novembre 2006 insieme a Alain Juillet, francese, direttore della Direzione generale della sicurezza esterna (Dsge) in Francia  e direttore dell’intelligence economica ad un importante convegno tenuto presso il museo militare di Santiago sull’ “Intelligenza economica, difesa e sicurezza” organizzato dall’Università Bernardo O’ Higgins di cui Sandoval tra l’altro  è professore associato. In quell’occasione Sandoval era presente come responsabile della direzione dell’Intelligencia Economica dell’Assemblea delle Camere Francesi e di Commercio e Industria (ACFCI).
Ma le sorprese non finiscono qui. Infatti in rappresentanza della società civile colombiana al congresso al museo militare di Santiago era presente una ONG (organizzazione non governativa) chiamata  Verdad Colombia.
Viene a questo punto da chiedersi: cosa ci fa una ONG colombiana, che dal suo sito predica di avere come proposito “la difesa della democrazia, dei valori di libertà, dei diritti umani”,  in un congresso organizzato da oscuri personaggi legati ai capi delle AUC come Sandoval, per conto dell’Università Bernanrdo O’Higgins, fondata nel 1990 da Pinochet?
In realtà Verdad Colombia non è una ONG qualsiasi.
E’una para-ong che ha legami forti e riceve sovvenzioni da molti think tank di estrema destra sia europei che statunitensi. Il suo sito web sembra costruito appositamente per infangare il nome di associazioni come Human Right Watch e Amnesty International  e gettare discredito sul loro lavoro.
E’ interessante a questo punto aggiungere a queste notizie tratte ed ampliate dall’articolo di Laurence Mazure “Imprudenze o connivenze” apparso su Le Monde diplomatique di maggio, quelle aggiunte da Hernando Calvo Ospina, giornalista e scrittore colombiano residente in Francia, nel suo articolo dal titolo “Il lungo braccio del narco– paramilitarismo in Colombia” .
Egli aggiunge che “è per lo meno da dieci anni che proprio i paramilitari e specialmente i presunti scomparsi  capi Fidel e Carlos Castaño dicevano di essere stati appoggiati e sostenuti da personaggi di strutture accademiche in Europa, specialmente in Spagna e Francia”.
Ma queste dichiarazioni non sono mai state tenute nella giusta considerazione.
Come aggiunge, non  sono mai stati fatti controlli sulle proprietà immobiliari dei Castaño a Parigi e su chi o quale istituzione statale abbia di fatto permesso a Sandoval di avere accesso negli ambienti universitari francesi.
Prossimamente:
approfondimenti sulla ong Verdad Colombia.
 

Comunità di Pace San José de Apartadó – violencia sin fin

0 commenti
Francisco Puerta, leader contadino e coordinatore della Comunità di Pace è stato assassinato a colpi di arma da fuoco da tre paramilitari il 14  maggio scorso. L’episodio è avvenuto nel terminal dei trasporti di Apartadó e i sicari si sono allontanati poi indisturbati tra la folla.
I paramilitari appartenenti al gruppo della Aguilas Negras si aggirano indisturbati per la Comunità promettendo futuri massacri, minacciando i suoi appartenenti, spaventando le donne e tutto ciò sotto gli occhi delle forze di polizia e militari che dovrebbero vigilare sulla Comunità di Pace.
I paramilitari accusano i membri della Comunità di essere collaboratori della guerriglia e che per questo polizia e militari avrebbero consegnato loro i nomi dei contadini e dei leader da eliminare.

Fosse comuni in Putumayo, Colombia

0 commenti

Almeno 200 cadaveri sono stati trovati nei giorni scorsi in alcune fosse comuni nel dipartimento colombiano di Putumayo, al confine con l’Ecuador.
Gli scavi non sono stati ancora conclusi ma il Fiscal General Mario Iguarán fa sapere che per lo meno altri 3.000 cadaveri si trovano ancora nelle fosse comuni.
Probabilmente si tratta di cittadini ecuadoregni  che loro malgrado si sono trovati coinvolti nel conflitto tra forze paramilitari e guerriglieri delle FARC.
Edmundo Vargas, sindaco di Cascales, in Ecuador, al confine tra Colombia e Perù, aveva parlato proprio di questo problema nel suo recente viaggio in Italia in occasione della partecipazione al convegno tenutosi a Roma,  Governo e Autogoverno. Come cambia l’America Latina.
Le vittime sarebbero state assassinate da gruppi di paramilitari tra il 1999 e il 2000.
 
 

San José de Apartadó, a due anni dal massacro.

1 commento

I morti di San José de Apartado

“Oggi stiamo parlando, domani potremmo essere morti”

Luis Eduardo Guerra 15 gennaio 2005

Lo scorso mese di febbraio, a Roma, si sono tenute varie iniziative volte a ricordare i due anni del massacro di San José de Apartadó in Colombia avvenuto il 21 febbraio 2005. Una di queste iniziative,  ha previsto un sit-in davanti all’Ambasciata colombiana, proprio il 21 febbraio,  per chiedere la fine dell’impunità e il rispetto del “diritto di distinzione” della popolazione civile dagli attori armati. Durante questa manifestazione è stata consegnata all’ambasciatore colombiano una lettera indirizzata al Presidente della Colombia Alvaro Uribe.
Il 23 febbraio invece, nella Sede del Parlamento Europeo si è tenuta la tavola rotonda dal titolo “El día en que lo iban a matar!” (Il giorno che lo avrebbero ammazzato) in cui è stato presentato il rapporto dei magistrati di MEDEL (Magistrati Europei per la Democrazia e le Libertà) sui fatti del massacro del 21 febbraio 2005.
Presenti: Luis Fernando Martinez Zapater, magistrato MEDEL,(autore del documento), On. Vittorio Agnoletto, Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!, ha coordinato l’incontro Guido Piccoli, scrittore e giornalista.
Questa ne è una breve relazione:
 
Intervento di Andrea Proietti Presidente di Colombia Vive!
Colombia Vive! è un’associazione nata a Narni (Tr) il 16 giugno 2006, con lo scopo di rafforzare l’impegno della Rete Italiana di Solidarietà con le Comunità di Pace colombiane, costituitasi, sempre nella città di Narni il 13 maggio 2003 per iniziativa di vari enti locali ed associazioni italiane che da tempo stavano realizzando attività di solidarietà con alcuni processi di resistenza civile non violenta alla guerra e allo sfollamento forzato realizzati nella Regione di Urabá e nel Dipartimento del Chocó (Colombia).
Andrea Proietti ha ricordato durante questa tavola rotonda il lavoro svolto in questi due anni dai giudici spagnoli per la Comunità di Pace di San José di Apartadó.
È stato un lavoro importante soprattutto perché a un certo momento i membri della Comunità di Pace si sono rifiutati di collaborare con le autorità giudiziarie colombiane. Questa sotto un certo punto di vista è stata una scelta che ha complicato non poco sia la situazione generale sia il lavoro degli stessi magistrati di MEDEL, ma è stata anche una scelta obbligata in quanto in Colombia è noto che i testimoni diventano spesso delle vittime.
Proprio lo stesso giorno in cui si è tenuta la tavola rotonda tra l’altro, è giunta la notizia che la Fiscalía colombiana sta indagando su 56 militari della Brigata XVII  la quale è direttamente coinvolta nel massacro degli otto membri della Comunitá (tra i quali tre minori) di cui, ricordiamolo, inizialmente furono accusate le FARC. I militari dovranno rispondere in giudizio per i delitti di omicidio e di terrorismo.
Ricorda Andrea Proietti di come rimase colpito e impressionato dal Generale Zapata della XVII Brigata,  che fu quella direttamente implicata nel massacro, alla quale non a caso gli Stati Uniti hanno tolto i finanziamenti a causa delle violazioni dei diritti umani commesse e per al loro responsabilità nella strage di Apartadó. Il generale fu scortese e aggressivo con la delegazione italiana di cui faceva parte tra gli altri anche l’Onorevole  Vittorio Agnoletto. Cercò di screditare il loro lavoro  e cercò di convincerli che la Comunità di Pace in realtà era una comunità di guerriglieri e che Luis Eduardo Guerra fu ucciso dalle FARC in quanto avevano scoperto che collaborava con l’esercito regolare.
 
Intervento di Guido Piccoli – scrittore e giornalista
La Colombia attualmente sta vivendo un momento politico molto particolare.
Una parte del potere colombiano si sta rendendo conto che al suo interno è cresciuto di pari passo un potere mafioso e paramilitare che in parte trova rappresentanza nella figura del  Presidente della Repubblica.
Si sta verificando  in Colombia uno scontro tra il potere oligarchico tradizionale e quello  paramilitare.
Questo momento potrebbe preludere ad un nuovo e cruento bagno di sangue. Il paramilitarismo infatti, probabilmente non si farà mettere da parte tanto facilmente, ma rispetto al  passato  sono emerse forze politiche diverse in grado di rappresentare una speranza per il Paese, tra le quali  il Polo Democratico, i cui senatori però rischiano quotidianamente la loro sicurezza  per il loro impegno politico.
Il cerchio intorno a Uribe sembrerebbe chiudersi lentamente e il Presidente appare sempre più isolato, tutte le figure dietro alle quali si è nascosto  di volta in volta, stanno cadendo infatti nelle maglie della Fiscalía.
 
Intervento di Luis Fernando Martinez Zapater magistrato MEDEL.
Il giudice Zapater presenterà in questa occasione il rapporto che è stato realizzato circa un anno fa.
Innanzitutto fa presente che è la prima volta che MEDEL (organizzazione di magistrati progressisti dell’UE) in circa 20 anni di attività realizza un lavoro di questa portata. L’obiettivo del rapporto consisteva nel raccogliere le testimonianze relative ai fatti del 25 febbraio 2005 e a confrontarsi con le autorità colombiane che stavano indagando su quegli avvenimenti.
I primi giorni trascorsi in Colombia servirono per raccogliere le testimonianze direttamente sul luogo,  successivamente ci fu un incontro con le autorità di polizia sia della zona di San José de Apartadó che di Bogotà.
Non fu possibile proporre una azione giudiziaria in Spagna o nell’ambito dell’ Unione Europea ma comunque fu possibile,  questo sì, far conoscere all’opinione pubblica quanto accaduto il 25 febbraio del 2005.
Furono raccolte testimonianze dei fatti accaduti quel giorno e anche dei giorni successivi da circa 10/12 persone appartenenti alla Comunità di Pace. Il 1 aprile 2005 la polizia entrò a San José de Apartadó ma il 17 novembre 2005 fu ucciso Arlen Salas David leader della Comunità, il 12 gennaio 2006 Ediberto Vasquez e il 4 marzo 2006 Nelly Johanna Durango tutti omicidi compiuti da alcuni militari della Brigata XVII.
I membri della Comunità di Pace in seguito ad un nuovo sfollamento hanno fondato un nuovo villaggio, San Joselito Lugar de Dignidad. La delegazione italiana durante la sua missione a San Josè de Apartadò affrontò anche questi nuovi episodi con il capo della polizia, il quale espresse la versione del governo colombiano e cioè che la Comunità di Pace era relazionata alla guerrilla o per lo meno lo erano  i suoi leader.
La delegazione italiana cercò anche di ottenere  un colloquio con il capo della Brigata XVII ma al momento stabilito dell’incontro egli non si fece trovare, il suo sostituto fornì un indirizzo mail al quale contattarlo che  in seguito si scoprì che essere inesistente.
Fino ad un anno dopo del massacro, la versione ufficiale dell’esercito, riportata anche nel sito web era che in zona il 25 febbraio non si trovavano truppe e che Luis Guerra era stato assassinato dalle FARC in quanto era un guerrigliero che collaborava con il governo.
Tutte le testimonianze raccolte risultarono fondate e non contraddittorie ed emerse  anche il senso di sfiducia che la Comunità aveva nei confronti delle autorità.
Questa sfiducia ha fatto in modo che la Comunità si rifiutasse di collaborare con la Fiscalía, fu contattata allora l’Unità per i Diritti Umani della Fiscalía nella persona del Sig. Carlos Franco, direttore del programma presidenziale dei diritti umani e l’alto commissariato dei Diritti Umani in Colombia e fu riconosciuto che a nessuna delle violazioni dei Diritti Umani precedentemente denunciate era seguita una condanna. La Comunità dall’anno 2000 (come riscontrabile anche dal sito della Corte Interamericana del Diritti Umani) aveva richiesto e ottenuto l’adozione di misure cautelari per proteggere la loro incolumità.
Lo Stato colombiano, facendo parte della Corte Interamericana dei Diritti Umani era tenuto a prendere atto di questo e e farne partecipe ai membri della  Comunità, ma così non fu.
Tra il Governo,  nella persona del Sig,. Carlos Franco e i membri della Comunità erano avvenuti solo degli incontri per stabilire l’eventuale adozione di qualche misura di sicurezza e si era giunti ad un accordo per stabilire un posto di controllo della polizia fuori dal centro urbano di Apartadò.
Uno dei relatori di questi incontri era Luis Eduardo Guerra. L’ultima riunione si tenne nel gennaio del 2005, circa un mese prima del massacro.
Il 1 aprile del 2005, per ordine diretto del presidente Uribe, la polizia si stabilì nel centro di Apartadò, costringendo circa 300 persone a “desplazarse” in un centro vicino alla comunità a cui fu dato il nome di San Joselito.
Tutto ciò nonostante la  Corte Costituzionale colombiana, (a seguito delle pressioni e delle misure previste dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani), con una sentenza del 2004 con la quale aveva riconosciuto i diritti alla protezione della Comunità, aveva stabilito degli obblighi per al Brigata XVII, e aveva riconosciuto altresì il diritto dei membri della Comunità di partecipare con lo Stato nelle decisioni adatte al perfezionamento delle misure di sicurezza.
Il rispetto dei diritti fondamentali dei membri di Apartadò fu affidato alla responsabilità del Comandate della Brigata XVII la quale era responsabile anche di eventuali violazioni commesse da estranei. Questa sentenza fu resa pubblica 10 mesi prima del massacro e adesso è sulla base di questa che la Fiscalía sta indagando sull’operato della Brigata XVII.
La Comunità di Pace negli anni addietro aveva portato avanti azioni internazionali e davanti alle autorità colombiane, aveva stabilito rapporti con l’ufficio dell’Osservatorio per i Diritti Umani in Colombia e con la Difensoría del Pueblo, alla quale ripetutamente aveva chiesto che inviasse un suo delegato ad Apartadò ma questa presenza fu concessa solamente un mese dopo il massacro e divenne in seguito l’unica persona rappresentante dello Stato colombiano con la quel i membri di Apartadò mantennero contatti.
L’indagine a un certo punto si bloccò a causa della mancanza di collaborazione della Comunità e a causa della scomparsa del testimone che nel momento del massacro accompagnava Luis Eduardo Guerra.
I giudici spagnoli allora si confrontarono con la difficoltà che esite in Colombia sulla protezione dei testimoni e  riconobbero che effettivamente corrispondeva  al vero il fatto che molti testimoni in quel paese  hanno pagato con la vita il loro coraggio.
 
Intervento di Beatrice Gnassi – Ufficio Comunicazione di Amnesty International – Italia
Purtroppo il caso di San José de Apartadò non è un caso isolato.
I difensori dei Diritti Umani sono una spina nel fianco dei governi e il loro lavoro generalmente non è riconosciuto da questi.
Il sostegno alle popolazioni colombiane da parte di Amnesty International fa in modo che le situazioni denunciate abbiano un più ampio respiro internazionale.
La “colpa” della Comunità di Apartadò è stata quella di rivendicare la sua neutralità in un conflitto che va avanti da anni e questo ha causato il suo isolamento.
Le minacce e le violenze hanno generalmente un duplice obiettivo: da una parte far tacere voci scomode e dall’altra inviare un chiaro segnale a chi invece ha intenzione di trattare per la pace.
Questo è il clima con cui i difensori dei Diritti Umani lavorano in Colombia e il loro lavoro viene ostacolato sia screditandolo con dichiarazioni pubbliche e procedimenti giudiziari (con accuse di fiancheggiare la guerriglia) sia dando un imput ai paramilitari in modo che sappiano su chi usare violenza.
Questi procedimenti giudiziari hanno anche l’obiettivo di isolare socialmente gli attivisti e i  difensori per i  Diritti Umani.
L’impunità invece di cui hanno ampiamente  goduto i paramilitari gli ha permesso di continuare ad agire indisturbati, oltre che ha trasmesso indirettamente un messaggio negativo alla popolazione, nel senso che è inutile che chieda giustizia in quanto i colpevoli non verranno mai condannati.
 
Intervento dell’On. Vittorio Agnoletto – Parlamentare Europeo
San Josè de Apartadò è diventato un simbolo e ormai a questo punto si tratta solo di capire se sia possibile, nella situazione di conflitto come quella che vive la Colombia, tirarsene fuori senza usare le armi.
Nei prossimi giorni a Bruxelles si terrà un convegno internazionale sulla questione dei diritti umani della Colombia ed è importante che ciò avvenga anche nell’ambito del Parlamento Europeo con il sostegno di gruppi politici per dare maggior visibilità alle problematiche e far sì che vengano assunte delle precise responsabilità dalle forze politiche, anche per la questione dei fondi che l’Unione Europea mette a disposizione della Colombia e che dovrebbero servire al reinserimento nella vita civile degli ex-paramilitari in virtù del piano di smobilitazione, ma che tutti ormai sanno si tratti di una farsa.
Con questo invio di fondi alla Colombia di fatto il Parlamento Europeo ha ratificato uno strumento che dovrebbe esser usato a favore della democrazia nel mondo quando  in realtà l’uso che ne viene fatto è un altro.
 
 
Alla notizia che 56 militari della Brigata XVII sono sotto inchiesta per il massacro di Apartadò, accusati dalla Fiscalía colombiana, di essere gli autori dell’omicidio di otto contadini, tra i quali tre bambini, le dichiarazioni pubbliche del Presidente Uribe, in cui calunniava la Comunità di Pace accusandola di avere legami con le FARC e nelle quali ordinava la militarizzazione della stessa, suonano più che mai inquietanti!!
 

Pagina 20 di 22« Prima...10...1819202122