I demoni del cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga: Chávez, Fidel e il Foro di San Paolo
Carl Marx muore e per le sue idee si ritrova all’inferno. Tre mesi dopo il diavolo chiama San Pietro: San Pietro? Sì? Parla il diavolo in persona (o in demonio), abbiamo qui un peccatore abbastanza noioso. I miei demoni iniziano a sindacalizzarsi e a chiedere la settimana di 40 ore, credi che puoi redimerlo? Io ci ho provato in tutti i modi e niente… Te lo mando quindi.
Dopo un certo periodo di tempo e ritornata la normalità all’inferno, il diavolo si domanda che fine abbia fatto quel tal Marx e telefona all’ attico, cioè al cielo ancora una volta. Sì, pronto? Parla il diavolo… posso parlare con Dio? Dio? Quale Dio? qui siamo tutti uguali…
di Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
In questa pagina é possibile leggere il testo integrale delle dichiarazioni del cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) a Eduardo Stein Barillas, coordinatore della Commissione della Verità e della Riconciliazione (CVR) installata dall’attuale governo di Porfirio Lobo per indagare sui fatti avvenuti “prima e dopo” il colpo di Stato del 28 giugno 2009.
E’ strano che una CVR chiamata a svolgere indagini su un colpo di Stato lo faccia soltanto rispetto al prima e al dopo. Sembra strano, ma non lo é. (altro…)
El cardenal Oscar Rodríguez Maradiaga y sus demonios: Fidel, Chávez y el Foro de Sao Paulo
Carl Marx se muere y por sus pensamientos va a dar al infierno. Tres meses después el diablo llama San Pedro: -¿San Pedro? — Sí.- Habla el diablo en persona (o en demonio). Resulta que tengo un pecador demasiado latoso. Mis demonios comienzan a sindicalizarse y a pedir una semana de 40 horas. ¿Crees que puedas corregirlo?, yo ya hice de todo, y nada. Te lo envío pues. Después de un tiempo y devuelta la normalidad al infierno, el diablo se pregunta qué habrá pasado con el Marx ese y decide hablar al penthouse, o sea al cielo otra vez: -¿Sí, bueno? Habla el diablo… ¿puedo hablar con Dios?”
-¿Dios? ¡Cuál Dios, aquí todos somos iguales!
escrito por Annalisa Melandri - www.annalisamelandri.it
En esta página es posible leer el texto integral de las declaraciones hechas por el cardenal Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arzobispo de Tegucigalpa (Honduras) a Eduardo Stein Barillas, coordinador de la Comisión de la Verdad y la Reconciliación (CVR) instalada por el actual gobierno de Porfirio Lobo para investigar los hechos ocurridos “antes y después” del golpe de Estado del 28 de junio de 2009.
Parece extraño que una CVR llamada a investigar sobre un golpe de Estado lo haga solamente respecto al “antes y después” de los hechos. Parece extraño pero no lo es.
La CVR ha sido designada por el gobierno Lobo, el mismo gobierno que se ha generado desde el golpe de Estado, un gobierno salido de elecciones desarrolladas en un país fuertemente militarizado, entre hostigamientos, amenazas u homicidios selectivos, en un clima social de terror y violencia generalizada y sin la presencia de observadores internacionales. Elecciones que al principio han sido reconocidas solamente por un puñado de países encabezados por Estados Unidos. La comunidad internacional sin embargo, en el transcurso de estos dos años, ha reconocido en varias formas el actual gobierno de Porfirio Lobo (y por ende las elecciones) y por lo tanto se ha vuelto cómplice de las graves y multíplices violaciones de los derechos humanos que ocurrieron en Honduras durante los días del golpe de Estado y que siguen hasta hoy como demuestran las noticias que llegan a diario desde el país. (altro…)
Padre Andrés Tamayo: un sacerdote sulle barricate
Un sacerdote sulle barricate
Di: Geraldina Colotti
Fonte: il manifesto
Leader ambientalista e portavoce del «Fronte di resistenza popolare al colpo di stato» del 2009, Teologo della liberazione, il religioso salvadoregno ha messo la sua vita al servizio degli ultimi.
L’Honduras è piccolo, ma è un paradiso su cui le multinazionali hanno allungato le mani facendo grandi profitti senza dare nulla alle popolazioni locali. L’Italia lo conosce solo per “L’Isola dei famosi”, ma gira la testa di fronte alle violazioni dei diritti umani perpetrati da un golpista di origine bergamasca come Micheletti e alle responsabilità di un magnate dei media comeRafael Ferrari». Non usa mezzi termini padre Andrés Tamayo, quando si tratta di difendere gli ultimi: in questo caso quell’oltre 63% di honduregni che, nel paese centroamericano grande come un terzo dell’Italia, vive sotto la soglia di povertà. «Ho scelto di abbracciare la causa del popolo — dice al manifesto -, con mezzi pacifici ma senza risparmio». Al punto di diventare un dirigente del Frente di resistencia popular in Honduras: «Mi occupo – spiega – del settore Orientamento, di far crescere la coscienza nella base». Il Vangelo di Tamayo è quello della Teologia della Liberazione. Nato in Salvador, è stato chierichetto di Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 Marzo 1980 da un sicario del governo mentre celebrava la messa. Una fine a cui è scampato di misura anche lui, sopravvissuto in Honduras a cinque attentati. Quattro dei suoi più stretti collaboratori sono stati uccisi da sicari mai identificati. Gli ultimi due tentativi di eliminarlo si sono verificati dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009, che ha costretto all’esilio il presidente Manuel Zelaya. Da allora, Tamayo è obbligato a nascondersi: «Sono stato espulso – precisa — dal paese e da quella Chiesa che non ha alzato la voce insieme al popolo, ma a favore del potere; che ha chiuso i suoi spazi alla protesta e, a differenza della chiesa di base, ha perso l’opportunità di agire da profeta del futuro: e non ha più fra la popolazione che lotta per una causa giusta». In quanto leader del Movimento ambientalista dell’Olancho (Mao), nel 2004 Tamayo ha ricevuto il prestigioso Goldman Prize, il Nobel alternativo per l’ambiente. In questi giorni, è in Italia per un giro di conferenze, ospite del centro Balducci di Zugliano (Udine) e dei missionari comboniani e ha parlato con il manifesto della situazione in Honduras e del suo impegno per la giustizia sociale.
Un sacerdote in politica e con un ruolo preminente. Com’è cominciata?
Ho sempre avuto un’inclinazione sociale per la giustizia e per il bene comune della popolazione e sempre in questa chiave ho inteso il processo pastorale. Negli anni ’90, quand’ero parroco nel municipio di Salamà ho partecipato ai movimenti per la difesa della foresta, contro lo sfruttamento selvaggio delle miniere d’oro, che inquinano i corsi d’acqua, e per il governo delle risorse naturali. L’Honduras è sempre stato depredato delle sue risorse, soprattutto del legname. Nel 2000 ci siamo resi conto che, in dieci anni, il paese aveva già perso più del 10% delle proprie foreste. Gran parte del legname veniva tagliato illegalmente, venduto soprattutto negli Stati uniti e in Europa: un volume d’affari che avrebbe consentito alla popolazione di vivere in modo dignitoso, invece vedevamo gli alberi scomparire, la pioggia diminuire, le falde acquifere inaridirsi, i contadini impoveriti spinti alla deforestazione selvaggia. Quattro multinazionali — una delle quali, la Sansoni, è italiana mentre la più importante è cubanoamericana, la Aljoma Lumber — si sono impadronite di queste risorse, hanno il monopolio dell’esportazione. Nella parte nordorientale del paese, dove si trova l’Olancho, il dipartimento più grande, riserve della biosfera come quella del Rio Platano sono state devastate. Nel 2000, la popolazione ha cominciato a protestare, a chiedere una moratoria al taglio del legname. Nel 2002, ho partecipato a uno sciopero della fame di 30 giorni, e si è messo in moto il processo che ha portato a due marce per la vita: la prima, nel 2003, di 190 km, e quella del 2004 a cui hanno partecipato oltre 50.000 persone provenienti da tutto il paese. Cercavamo di ottenere un tavolo di trattativa, ma il colpo di stato contro il presidente Manuel Zelaya, il 28 giugno 2009, ha chiuso ogni via d’uscita. Anche allora mi sono messo a fianco del popolo, per infondere coraggio a chi manifestava per i propri diritti. L’attuale governo di Porfirio Lobo è lì per garantire mano libera allo sfruttamento delle risorse da parte delle grandi famiglie e delle multinazionali che controllano l’80% della ricchezza. Ogni cinque minuti si distrugge un ettaro di bosco.
Gli indigeni garifuna, gli afro-discendenti che vivono lungo la costa Atlantica e che sono i più colpiti dalla devastazione di propri territori, a febbraio hanno organizzato l’Asamblea Constituente de los pueblos indiegenas y negros de Honduras e il 1 di aprile hanno dato vita a una marcia contro la repressione. Qual è il loro peso politico nel movimento di resistenza?
Molto forte. I garifunas vivono in Honduras da oltre 200 anni. I loro territori sono quasi un paradiso e per questo gli indigeni vengono deportati. Il pretesto è il turismo. A Roatan, dove si sta girando il reality «L’isola dei famosi», vi sono villaggi turistici e commerci gestiti da grandi imprese occidentali, che cercano di corromperli offrendo loro briciole. Gli afrodiscendenti, però, si sono organizzati e partecipano con le loro rappresentanze al Frente. In molti hanno pagato con la vita. Anche se l’elezione di Porfirio Lobo è stata una farsa a cui oltre il 65% dei cittadini non ha partecipato, in questo momento il potere ha in mano tutte le leve, chiunque cerca di opporsi viene ssassinato. La Cia, insieme all’esercito colombiano e ai servizi segreti israeliani, addestra imilitari agli assassinii mirati degli oppositori, e poi fa credere che si tratti di delitti comuni. Il governo ha cercato di sbiancare il colpo di stato con una Commissione di verità costituita unilateralmente, mentre noi chiediamo che ne venga formata una vera per far luce sugli omicidi di maestre, giornalisti, sindacalisti… Le organizzazioni indigene e ambientaliste continuano a presidiare le sorgenti, organizzano momenti di resistenza contro la deforestazione, sperando in un cambiamento politico e nel ritorno alla democrazia.
Su cosa si basa questa speranza?
Il Frente di resistencia popular è una forza alternativa a cui partecipano gruppi di donne — che sono molto importanti-, organizzazioni contadine, intellettuali, indigeni. È nato dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009 e si è rafforzato nel corso di quasi due anni in termini di rappresentanza e credibilità: in difesa della libertà del popolo e per la costruzione di un vero cambiamento sociale e politico in Honduras. I nostri principali obiettivi sono quattro: il ritorno in sicurezza di tutti gli esiliati come me, a partire dal presidente Manuel Zelaya, oordinatore del Frente. Il rispetto dei diritti umani e la punizione dei golpisti. La realizzazione di un’Assemblea nazionale costituente, partecipativa, inclusiva e democratica. Il riconoscimento del Frente come organizzazione politica e sociale belligerante in Honduras: una vera organizzazione politica, indipendente ed estesa su scala nazionale qual è, e non un’organizzazione di quartiere come vorrebbe far credere il governo Lobo. Per questo, contiamo sulle nostre forze ma anche sulla mediazione internazionale intrapresa dal presidente venezuelano Hugo Chavez e da quei paesi dell’America latina i quali, all’interno dell’Alba o di Unasur, sostengono un cambiamento progressista dell’Honduras.
Uno dei principali mediatori è Manuel Santos, il presidente della Colombia, un paese non proprio campione dei diritti umani.
Anche se la politica dei governi non sempre parla la lingua del popolo (che esprime forte e chiaro i propri obiettivi), per noi questa mediazione costituisce un passo avanti. Prima eravamo costretti a cercare un dialogo impari e senza giustizia con un potere che ha tutto il potere, ora invece ci sarà qualcuno che potrà sostenere la nostra proposta in quattro punti. L’ostacolo più serio, però, è la pressione della destra Usa perché l’Honduras entri nell’Osa, in modo che i finanziamenti internazionali possano finire nelle solite tasche. Comunque vadano le cose, però, è nostra ferma intenzione procedere all’autoconvocazione dell’Assemblea costituente che porterà a una nuova costituzione a cui il popolo ha diritto: entro il 28 giugno, a due anni dal colpo di stato
Honduras: El Parlatino abre las puertas a los golpistas
Con 135 votos a favor y 53 en contra y a pesar de la oposición fuerte y firme de Venezuela y de todos los países del ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) a un ingreso incondicional, Honduras ha sido readmitido aunque con reservas, en el seno del Parlatino, el Parlamento Latinoamericano con sede en Panamá. Y eso no obstante las graves y reiteradas denuncias de violaciones de los derechos humanos que se siguen cometiendo en el país desde junio de 2009 cuando un golpe de Estado derrocó el gobierno legítimo del presidente Manuel Zelaya.
La decisión fue tomada durante la XXVI Asamblea Ordinaria de la organización regional y demuestra la prevalencia de posturas conservadoras y pro-imperialistas dentro de ella.
Aunque entre los principales objetivos del Parlatino está el de “defender la democracia” y entre sus fines el repudio de las violaciones de los derechos humanos, la condena de la acción imperialista en América Latina (el golpe de Estado en Honduras se ha dado con el apoyo incondicional de los Estados Unidos) y la defensa de la democracia participativa, la presente resolución de hecho es una legitimación del gobierno de Porfirio Lobo, el mandatario hondureño elegido con elecciones farsa en el mes de noviembre de 2009 en un contexto social caracterizado por violencia y fuerte militarización del país.
Porfirio Lobo no es nada más que la cara “democratizada” de su predecesor Roberto Micheletti, el golpista de la primera hora, el que dio disposición al ejército de Honduras de sacar del país en pijama en la madrugada su presidente Manuel Zelaya y de meterlo en un avión con destino Costa Rica.
Un gran acto de pragmatismo el que se ha llevado a cabo en Panamá. Lo ocurrido en junio de 2009 en Honduras, pero sobre todo las violaciones de los derechos humanos que varias asociaciones y periodistas independientes siguen denunciando no obstante el silencio de la comunidad internacional, ha testimoniado las debilidades de la llamada integración de los gobiernos de izquierda latinoamericanos en las situaciones de crisis.
A pesar de las voces de condena y las amenazas que el Venezuela de Chávez y toda el área del ALBA levantan desde hace meses, a pesar de la condena de la UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas) que de hecho está bastante dividida sobre la posición respecto a Honduras, el enésimo golpe de Estado en América latina sazonado con estrellas y rayas ha sido encajado bastante pasivamente.
Si bien es cierto que la región vive fermentos nuevos y que su economía está marchando en carriles diametralmente opuestos (sobre todo en sentido geográfico) a los recorridos apenas hace unas décadas con la entrada en la escena de nuevos partners comerciales como China y algunos países de Oriente Medio, también es cierto que este cambio de paradigma tiene demasiadas connotaciones ideológicas y se mueve por ahora solamente y sin embargo no completamente, en un plano comercial y económico pero aún no en lo político y militar.
El imperio sigue lanzando sus tiros y creando sus baluartes. Honduras es solamente el último en orden cronológico. Obtenido en el tiempo muy breve de una noche. Manuel Zelaya, el presidente legítimamente electo del país, Mel como le llamaban cariñosamente sus seguidores, se había desviado peligrosamente y repentinamente hacia izquierda. Su decisión de llevar el país al área del ALBA no podía ser aceptada por Washington.
Hablando en el idioma “de la guerra fría”, se podría decir que los Estados Unidos no iban a permitir ulteriores infiltraciones comunistas en el área del Caribe.
Sólo que estamos en 2010 y no en 1960 o en los años de las dictaduras militares y de las guerras sucias y de Manuel Zelaya todo se puede decir menos que sea un comunista.
En el caso del golpe de Estado en Honduras, los Estados Unidos han actuado con casi las mismas estrategias políticas y militares de esas épocas.
Incluso algunos de los hombres usados en esta ocasión han sido los mismos. John Dimitri Negroponte, para citar uno. Un hombre de la estrategia de la lucha anticomunista de Estados Unidos en América Central, ex jefe de la CIA en Vietnam y ex embajador en Honduras entre 1981 y 1985, fundador de los escuadrones de la muerte Contra nicaragüenses y líder del Batallón 3–16 en Honduras junto con el militar hondureño Billy Joya.
El mismo Billy Joya, que está acusado de haber cometido delitos de lesa humanidad en su país contra los estudiantes y la población civil, nombrado por Micheletti como su asesor personal inmediatamente después del golpe.
En la América Latina rebelde e indómita aparece cada vez más aislada políticamente la Colombia (y en otra medida Chile y Perú) y entre los subversivos del Sur y los “halcones del Norte”, Caribe y Centro América aparecen como un baluarte extremamente militarizado y controlado. Empezando desde México, donde llegan en abundancia a través de desde Estados Unidos armas y dólares como respuesta a las emergencias del narcotráfico y de las migraciones. Y las emergencias siempre sirven para otras cosas. Ya lo saben.
Países como Costa Rica, Puerto Rico, Panamá, República Dominicana, y muchas islas e islotes del Caribe y en un futuro próximo Haití, (apenas a 90 km de las costas de Cuba) tan pronto el cólera habrá cumplido su tarea y la división de su territorio entre las potencias se habrá terminado, le permiten a Estados Unidos mantener los ojos bien abiertos hacia el Sur rebelde. Otro país de esta área en el ALBA, además de Nicaragua, no podía ser aceptado.
Es por eso que el haber dejado correr y sobre todo haber legitimado ahora el golpe de Estado con la readmisión de Honduras en el Parlatino, aunque con reserva (una delegación viajará al país en enero para evaluar la situación de los derechos humanos), representa una debilidad para no decir un fracaso de la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América.
Lejos de ideologías y sentimentalismos sobre la integración latinoamericana promovida por el ALBA, está un pueblo, el de Honduras, oprimido, que sigue luchando contra una dictadura che solamente pocos siguen llamando así.
Nadie en América latina, no hay que tener temores en decirlo, ha tenido la fuerza y el peso político y militar para oponerse a ella.
Es optimista al respecto Carolus Wimmer, diputado al Parlatino del Partido Comunista de Venezuela (PCV) : “es obvio que en el Parlatino se desarrolla una fuerte lucha política e ideológica, entre las viejas tendencias de derecha y las nuevas posiciones progresistas y antiimperialistas que poco a poco se abren espacio. Debemos en el Parlatino introducir una cláusula democrática similar a la aprobada este sábado en la XX Cumbre Iberoamericana. Nunca debemos aceptar ninguna forma de golpe. Con un mayor trabajo coordinado, más allá de las representaciones del ALBA, hay que ganar ese espacio internacional, pero eso lo lograremos sin duda en el futuro”.
Más cuidadoso aparece el diputado Gustavo Hernández, del Partido Patria Para Todos, che afirma contundente que con esa resolución “no perdió el ALBA, sino la democracia en el continente”.
Respecto a la XX Cumbre Iberoamericana, a la que se refiere Carolus Wimmer, hay que decir que Ricardo Martinelli, el presidente de Panamá ha propuesto en esta sede también la reintegración de Honduras en el seno de la OEA (Organización de Estados Americanos) de donde el país había sido expulsado después del golpe de Estado.
Los Estados Unidos que de esta organización hacen parte, por medio de su representante por la diplomacia en América latina Arturo Valenzuela, informan que consideran aceptable la reintegración de Honduras en la OEA solamente después del regreso de Manuel Zelaya en el país.
Manuel Zelaya actualmente es Coordinador General del FNRP, el heterogéneo Frente Nacional de Resistencia Popular, que a precio de uno estilicidio continuo de muertos (militantes, campesinos, indígenas y periodistas) está lentamente buscando la vía de la democracia representativa en la vida política del país.
Probablemente Zelaya tarde o temprano logrará regresar a Honduras (donde por orden del gobierno golpista de Micheletti ha sido emitida contra de él una orden de detención por abuso de poder, fraude y falsificación de documentos públicos) y probablemente se recortará un espacio político en oposición a los mismos poderes que lo han sacado del país tan poco elegantemente hace un año y medio. Los mismos poderes que mientras tanto han sido reintegrados en todos los circuitos económicos y políticos de donde habían sido excluidos solo parcialmente y por un corto plazo de tiempo.
Si eso sucederá sería un juego bastante triste y patético. La vida política de la nación en lugar de ser como un “espejismo que deforme la conciencia del pueblo” hondureño debería transformarse en una “trinchera de lucha” como se afirma en los comunicados de prensa del FNRP.
Solo entonces se podría decir que la democracia haya triunfado.
Por Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
L’ Honduras dei golpisti riammesso nel Parlamento Latinoamericano
Con 135 voti a favore e 53 contrari e nonostante la forte e ferma opposizione del Venezuela e di tutti i paesi dell’ ALBA, (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America), ma soprattutto nonostante le continue violazioni dei diritti umani che avvengono ancora in Honduras dopo il colpo di Stato del giugno del 2009 contro il governo di Manuel Zelaya, (legittimato dalle elezioni farsa del novembre dello stesso anno) il paese centroamericano viene riammesso, sebbene con riserva, nel Parlatino, il Parlamento Latinoamericano che ha sede a Panamá.
La decisione è avvenuta durante la XXVI Assemblea Ordinaria dell’ organismo regionale e dimostra la prevalenza di istanze conservatrici e filo-imperialiste all’ interno del medesimo.
Sebbene tra gli obiettivi principali del Parlatino ci sia “la difesa della democrazia” e tra i suoi propositi il ripudio delle violazioni dei diritti umani, la condanna di ogni azione imperialista in America latina (il colpo di Stato in Honduras é avvenuto con il sostegno e l’ avallo degli Stati Uniti) e l’ appoggio incondizionato alla democrazia partecipativa, questa risoluzione legittima di fatto il governo di Porfirio Lobo, e cioè il volto “democratizzato” del suo predecessore Roberto Micheletti, il golpista della prima ora, quello che per intendersi, il 28 giugno 2009 dette disposizione all’ esercito di prelevare il suo presidente Manuel Zelaya, all’ alba e in pigiama e di metterlo su di un volo diretto in Costa Rica, cacciandolo dal paese.
Un atto di pragmatismo notevole quello che si è svolto in questi giorni a Panamá. Quanto accaduto in Honduras nel giugno 2009, ma soprattutto quanto continua ad accadere giorno dopo giorno nel silenzio più totale della comunità internazionale, ha testimoniato in maniera contundente l’ incapacità dei governi latinoamericani di sinistra di fronteggiare situazioni di crisi. Nonostante le voci di condanna, le minacce e gli anatemi che il Venezuela di Chávez e tutta l’ area ALBA hanno lanciato per mesi, nonostante la condanna dell’ UNASUR (Unione Nazioni Sudamericane) che di fatto resta divisa al suo interno sulla posizione da prendere rispetto all’ Honduras, l’ ennesimo golpe latinoamericano condito con stelle e strisce è stato accettato abbastanza passivamente.
A dimostrazione che, se indubbiamente è vero che la regione vive nuovi fermenti e che la sua economia si sta spingendo su binari diametralmente opposti (soprattutto in senso geografico) a quelli percorsi a ritmo serrato appena qualche decennio fa, con l’ entrata in scena di nuovi partner commerciali quali la Cina e alcuni paesi del Medio Oriente, è anche vero che a volte tale inversione di paradigma ha connotazioni fin troppo ideologiche e che si muove esclusivamente su di un piano economico ma non ancora sufficientemente efficace su quello politico-militare.
L’ impero riesce ancora a sferrare i suoi colpi e a creare i suoi baluardi. L’ Honduras è soltanto l’ ultimo in ordine di tempo. Ottenuto nel giro di una nottata. Manuel Zelaya, il presidente legittimamente eletto dal popolo honduregno, “Mel” come era affettuosamente chiamato dai suoi sostenitori, aveva pericolosamente virato a sinistra. La sua decisione di condurre il paese in area ALBA non poteva essere accettata da Washington.
Parlando con un linguaggio da guerra fredda potremmo dire che gli Stati Uniti non potevano permettere ulteriori infiltrazioni comuniste in area caraibica. Soltanto che siamo nel 2010 e non nel 1960 o negli anni delle dittature militari e della guerra sucia e che di Manuel Zelaya tutto può dirsi tranne che sia comunista. Nel caso del colpo di Stato in Honduras, gli Stati Uniti hanno agito quasi con le stesse strategie politiche e militari di allora. Perfino alcuni degli uomini utilizzati in questa circostanza sono stati gli stessi. John Dimitri Negroponte, tanto per fare un nome, uomo chiave della strategia anticomunista degli Stati Uniti in America centrale, ex capo della CIA in Vietnam e già ambasciatore in Honduras tra il 1981 e il 1985, fondatore dei Contras nicaraguensi e a capo degli squadroni della morte del Battaglione 3–16 in Honduras insieme al militare honduregno Billy Joya. Lo stesso Billy Joya, accusato di aver commesso diversi crimini in quegli anni nel suo paese contro studenti e civili, nominato poi da Micheletti suo consigliere personale subito dopo il colpo di Stato.
Tra l’America latina indomita e ribelle dove appare sempre più isolata e supina la base filo-statunitense della Colombia (alla quale fanno in parte compagnia il Cile e il Perú) e quella del Nord è fondamentale mantenere la fascia caraibica e centrale come una zona che funzioni da avamposto, estremamente militarizzata e controllata, a partire dal Messico, ben oliato da parte degli Stati Uniti ad armi, dollari e militari in risposta alle emergenze del narcotraffico e dei migranti. Le emergenze servono sempre a qualcosa, si sa.
Costa Rica, Puerto Rico, Panamá, Repubblica Dominicana, isole e isolette sparse nei Caraibi e prossimamente Haití, guarda caso ad appena 90 chilometri da CUBA, (pronta non appena il colera avrà fatto il suo dovere e la spartizione tra le potenze sarà conclusa), permettono di tenere gli occhi bene aperti verso il Sud indisciplinato. Un altro paese ALBA, oltre al Nicaragua che già ne fa parte, non poteva essere accettato.
Ecco perché l’ aver lasciato correre e soprattutto l’aver legittimato adesso il colpo di Stato con la riammissione dell’ Honduras nel Parlatino anche se con riserva (una delegazione si recherà nel paese a gennaio a verificare la situazione dei diritti umani), rappresenta un fallimento dell’ Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America.
Lontano da ideologie e sentimentalismi sull’ integrazione latinoamericana promossa dall’ ALBA, c’ è un popolo, quello honduregno, oppresso, che lotta contro una dittatura che ormai in pochi continuano a chiamare tale. Nessuno, di fatto, ha avuto la forza e il peso politico e militare in America latina di opporvisi.
É ottimista al riguardo Carolus Wimmer, deputato al Parlatino del Partito Comunista del Venezuela: “è ovvio che nel Parlatino è in corso uno scontro politico e ideologico tra le vecchie tendenze di destra e le nuove posizioni progressiste e antimperialiste che poco a poco conquistano spazi. Dobbiamo introdurvi una clausola democratica simile a quella approvata questo sabato nel XX Vertice Iberoamericano. Non dobbiamo mai accattare nessuna forma di golpe. Con un lavoro di coordinazione, oltre alla rappresentazione dell’ ALBA dobbiamo acquistare anche spazi internazionali, e questo lo otterremo senza dubbio in futuro” afferma fiducioso. Più cauto appare invece il deputato Gustavo Hernández, del Partito Patria Para Todos, che afferma senza mezzi termini che con questa risoluzione “non solo ha perso l’ALBA ma la democrazia nel continente”.
Rispetto al XX Vertice Iberoamericano al quale Carolus Wimmer fa riferimento, va detto che Ricardo Martinelli il presidente di Panamá ha proposto il reintegro dell’ Honduras nell’ OEA (Organizzazione degli Stati Americani) dalla quale il paese era stato espulso subito dopo il colpo di Stato. Gli Stati Uniti, che di tale organizzazione fanno parte, per mezzo del loro rappresentante per la diplomazia in America latina Arturo Valenzuela, fanno sapere che considerano il reintegro dell’ Honduras in sede OEA accettabile soltanto dopo il ritorno di Manuel Zelaya nel paese.
Manuel Zelaya è attualmente Coordinatore Generale del FNRP, l’eterogeneo fronte Nazionale di Resistenza Popolare che a prezzo di uno stillicidio continuo di vite di militanti, contadini, indigeni e giornalisti sta lentamente cercando la strada della democrazia rappresentativa nella vita politica del paese.
Forse Zelaya prima o poi riuscirà a ritornare in Honduras (per ordine del governo golpista di Micheletti pende sul suo capo un mandato di arresto per abuso di potere, frode e falsificazione di documenti pubblici) e probabilmente si ritaglierà uno spazio politico in opposizione agli stessi poteri che lo hanno cacciato poco elegantemente dal paese quasi un anno e mezzo fa, poteri che nel frattempo hanno ottenuto il reinserimento in tutti i circuiti economici e politici dai quali sono stati esclusi soltanto in parte e per breve tempo.
Se così dovesse accadere sarebbe un gioco delle parti abbastanza triste e dal risultato scontato. La partecipazione alla vita politica della nazione piuttosto che “in un miraggio che deformi la coscienza del popolo” honduregno, dovrebbe invece “trasformarsi in una trincea di lotta”, come si legge nei comunicati del FNRP.
E solo allora si potrebbe dire davvero che la democrazia ha vinto.
Honduras, la famiglia del Cardinale Maradiaga da sempre vicina ai golpisti, di ieri e di oggi.
Sono gli uomini di Chiesa come padre Andrés Tamayo che in Honduras danno la vita per il loro popolo
padre Andrès Tamayo
Questa è la risposta che mi ha inviato il Dr. Romeo Enzo, capo redattore esteri del TG 2 alla mia mail in cui comunicavo la mia (e vostra) indignazione per l’organizzazione dell’evento in cui era ospite il Mons. Maradiaga:
Cara Signora,
Non ci conosciamo ma mi permetta di dirLe che Lei sta gratuitamente rovesciando un cumulo di fango su una persona che da’ la vita per il suo popolo, specie per i più poveri. Il cardinale Rodriguez Maradiaga e’ un globe trotter della carita’, uno che si e’ impegnato come pochi per ottenere la cancellazione del debito che pesa sui cosiddetti paesi in via di sviluppo, a cominciare dall’Honduras. Evidentemente, gentile Signora, le sue informazioni sono del tutto inesatte e farebbe bene a spegnere la sua (incomprensibile) acredine verso una personalita’ di cui tutta l’America Latina dovrebbe andare orgogliosa.
Saluti.
Enzo Romeo
Ora è ovvio che il Dr. Romeo è libero di presenziare a tutti gli eventi nel modo che ritiene più opportuno, è anche ovvio però che i cittadini si domandino se è compatibile o meno la sua presenza in qualità di giornalista della RAI (servizio pubblico) in un incontro , dove non si parla tra l’altro nemmeno di politica e nemmeno di temi legati alla sua professione, e dove è prevista la presenza di un cardinale considerato dall’opinione pubblica di mezzo mondo come sostenitore di un colpo di Stato.
Piaccia a Romeo (e a Maradiaga) o meno, non sono soltanto io a pensarla così. Ricordo che per esempio anche il presidente del Brasile (quarta potenza mondiale) Lula da Silva, considera quello avvenuto il 28 giugno del 2009 un colpo di Stato e ricordo che fu proprio il Cardinale Maradiaga ad averlo sostenuto pubblicamente in più di un’occasione, invitando anche il presidente legittimo Manuel Zelaya a non far ritorno nel paese. Come è andata a finire lo sappiamo tutti. Sicuramente lo sa anche Enzo Romeo. Maradiaga fino a quel momento era considerato da molti un cardinale progressista e la sua possibile nomina a papa fu salutata con speranza da numerosi fedeli latinoamericani. E’ incompatibile sicuramente tutto questo con la sua presunta appartenenza all’Opus Dei, struttura da sempre criticata anche da alcuni settori del mondo cattolico per le sue posizioni estremamente conservatrivci e per essere lontana dalle aspirazioni e dal mondo dei più umili.
La sua posizione rispetto al colpo di Stato in Honduras ha deluso molti, moltissimi fedeli ma soprattutto ha deluso il fatto che lui non si sia mai pronunciato per le morti che quel colpo di Stato ha provocato e per quelle che continuano ad avvenire nel silenzio dei mezzi di comunicazione internazionali, TG2 compreso, del quale il nostro Romeo è capo redattore esteri. Ha deluso il fatto che lui non si sia mai pronunciato per uomini di chiesa come padre Andrés Tamayo costretto ad abbandonare l’Honduras in seguito a minacce avute per il sostegno offerto al popolo honduregno nella lotta contro il colpo di Stato. A padre Tamayo è stata cancellata la nazionalità honduregna e gli è stata tolta la parrocchia nella quale lavorava con dedizione da oltre dodici anni. Siamo sicuri che di tutto ciò il TG2 non ne racconterà mai nulla. Sono gli uomini di Chiesa come Padre Tamayo, egregio Dr. Romeo, che in Honduras “danno la vita” per il loro popolo e non il Cardinale Maradiaga. Noi di questo ne siamo sicuri.
Nuovo appuntamento con il Cardinale Maradiaga, sostenitore del colpo di Stato in Honduras
President, Prof. Dr. Eugenio Fizzotti
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PALAZZO PIO
PIAZZA PIA 3
00120 CITTA’ DEL VATICANO
Redazione del Radiogiornale ore 14.00 : href=“http://itmc290mailyahoocom/mc/compose?to=sicsegrevatiradiova“>sicsegrevatiradiova
Redazione del Radiogiornale ore 19.30 : href=“http://itmc290mailyahoocom/mc/compose?to=sic21vatiradiova“>sic21vatiradiova
Honduras: Se desató la protesta contra la presencia del cardenal Rodríguez en Italia
Una avalancha de mensajes y la lectura de una carta incómoda le arruinaron la “fiesta” al religioso
por Giorgio Trucchi
La presencia del cardenal Oscar Rodríguez en Roma, el pasado 20 de mayo, no pasó desapercibida.
Era justamente ese el objetivo de las diferentes organizaciones y movimientos sociales, asociaciones y partidos políticos que promovieron el envío de un documento de rechazo a la presencia del cardenal hondureño en Italia, por considerarlo coautor y participe del golpe cívico-militar que ha ensangrentado el suelo hondureño.
“NO GRATO” fue el escueto pero significativo mensaje que apareció en el “objeto” de la avalancha de e-mail, que fueron reenviados a la Comunidad San Egidio y al Instituto Italo-LatinoAmericano (IILA), organizaciones que invitaron a Mons. Oscar Rodríguez Maradiaga para hablar de “los cambios en América Latina”.
Sin embargo, su presencia no solo no pasó desapercibida, lanzando de esa manera una clara advertencia de que en cualquier parte del mundo vayan, los responsables y co-responsables del golpe en Honduras serán señalados por los delitos cometidos, sino que se levantaron voces en medio del propio acto, recordando a los presentes lo absurdo de esta incómoda presencia en Italia.
La periodista y defensora de los derechos humanos Annalisa Melandri, quien en los días pasados había denunciado la presencia del Cardenal en Italia (www.annalisamelandri.it), se hizo presente en la actividad y dio lectura a una carta en la que volvió a expresar el sentir de millones de personas que en el mundo se han solidarizado con el pueblo hondureño en resistencia.
“Usted habló aquí de derechos humanos y de pobreza, y quiero compartir con ustedes una reflexión”, dijo Melandri al terminar la intervención del cardenal Rodríguez.
“Por cuánto concierne los derechos humanos, creo que hay que tomar en cuenta que siempre existen dos actores: quien comete la violación y quien es violado. Generalmente cometen violaciones el Estado y sus aparatos. Si yo secuestro a una persona y la torturo, seré incriminada y presumiblemente condenada por secuestro de persona, violencia privada o intento de homicidio.
Un Estado que secuestra, tortura o asesina a personas – continuó la periodista italiana – posiblemente sea condenado por organismos internacionales por tortura, desaparición forzada o por ejecuciones extrajudiciales, que son crímenes de lesa humanidad permanentes e imprescriptibles”.
Para Melandri hay también otro elemento, otros actores en esta tragedia, es decir quiénes legitiman las violaciones a los derechos humanos, quiénes las bendicen y, de esa manera, se vuelven cómplices de la impunidad de los criminales.
“Hablando de violaciones a los derechos humanos y pobreza, es evidente que los Estados cometen violaciones a los derechos humanos cuando quieren garantizar privilegios en detrimento de las masas populares (pobres) y, por lo tanto, nos parece muy extraño y paradójico la invitación que se le hizo al cardenal (Rodríguez) Maradiaga, quien desde el primer momento bendijo el golpe de Estado en Honduras”.
Las primeras señales de nerviosismo de los presentes no detuvieron la lectura de la carta.
“Estoy aquí y hablo también en nombre de algunos sectores de la sociedad civil italiana, informados sobre los hechos que ocurren y han ocurrido en Honduras. En nombre también de muchos amigos que están indignados por esta invitación.
El golpe de Estado en Honduras – continuó Melandri – fue ejecutado para poder seguir garantizando los privilegios económicos de esa oligarquía, la cual temía perder su poder a raíz de las propuestas progresistas del presidente legítimo Manuel Zelaya”.
Para la defensora de derechos humanos, la propuesta de la Cuarta Urna y de instalar una Asamblea Constituyente estaba tratando de “devolver un poco de dignidad a uno de los pueblos más pobres del mundo”.
“Usted, monseñor, habló del 20 por ciento de la población que en el mundo controla el 80 por ciento del PIB mundial. En Honduras – aseveró Melandri – rige un sistema en el que 10 familias poseen la casi totalidad de la riqueza y del poder del país, controlan las instituciones y junto con las jerarquías católicas y eclesiásticas, administran cada aspecto de la vida social y económica.
El golpe se dio para defender este sistema social y el cardenal (Rodríguez) Maradiaga lo bendijo, así como bendijo todas las violaciones a los derechos humanos que se perpetraron para respaldarlo (el golpe).
El presidente dell’Instituto Italo-LatinoAmericano pidió a Melandri que hiciera su pregunta. “No tengo preguntas, solo quería leer un comunicado”, fue la tajante respuesta.
“En los días sucesivos a la expulsión de Zelaya se registraron 50 muertos, 500 heridos y un millar de detenciones arbitrarias, mientras hoy siguen los asesinatos de líderes comunitarios, miembros del Frente de Resistencia (FNRP), militantes y activistas.
Por lo tanto – concluyó Melandri entre la confusión general que se originó en la sala donde se realizaba el evento – consideramos que Usted es cómplice de los crímenes cometidos durante y después del golpe de Estado y la declaramos persona NO GRATA en nuestro país”.
Contestato il cardinale che ha appoggiato il golpe in Honduras
«Persona non grata». Con una lettera letta ieri dalla mediattivista Annalisa Melandri, un gruppo di associazioni e forze politiche ha accolto così il cardinale honduregno Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, invitato dalla Comunità di Sant’Egidio a tenere una conferenza all’Istituto italo-latinoamericano di Roma. Oscar Maradiaga — dicono le associazioni — in Honduras è soprannominato il «cardimale», per aver dato il suo appoggio ai golpisti che, il 28 giugno del 2009, hanno rovesciato il governo legittimo di Manuel Zelaya, espellendolo in pigiama in Costa Rica.
Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Caritas internazionale, ha ribattuto che quella espressa in Honduras non è stata una sua posizione personale, ma quella di tutti i vescovi honduregni, sollecitati dalle parrocchie che chiedevano un pronunciamento: «Oltretutto — ha affermato — in quel momento io non ero nemmeno in Honduras, ma in Italia, eppure sono stato definito ‘cardinale golpista’». La repressione, le torture, le sparizioni di oppositori documentate dalle organizzazioni per i diritti umani?
«La Chiesa ha preso posizione — ha aggiuntoMaradiaga, ha sostenuto il dialogo fra le due parti e oggi appoggia un processo di riconciliazione in cui venga anche fatta chiarezza delle violenze compiute». Un processo di riconciliazione con il «governo fantoccio di Porfirio Lobo» (come lo definiscono i movimenti popolari) eletto dopo votazioni farsa, che il cardinale considera però un’ eccellente prova di democrazia.
Zelaya, invece voleva «forzare la costituzione, imporre un altro mandato» ed è stato «rimosso dal suo incarico con il sostegno del Parlamento e della Corte suprema»: quella stessa Corte che, in un paese in cui gli spazi di rappresentanza e di agibilità politica per le associazioni popolari restano una chimera, ha assolto i vertici militari golpisti e avallato il colpo di stato.
Maradiaga ha tenuto una conferenza dal titolo «Oltre la violenza e la povertà. Proposte di cambiamento per l’America latina». Ha parlato di equità e giustizia sociale. Ha puntato il dito contro «quel 20% che si appropria del’80% del Pil mondiale». Ha tuonato contro la globalizzazione feroce che protegge le merci e stritola le persone. Ha condannato barriere ed esclusioni, citando l’economista francese Jacques Attali (eminenza grigia di Francois Mitterrand) e l’ultimo libro di Alain Touraine sulla globalizzazione e la fine del sociale.
Un discorso a tutto campo sui mali del secolo e sul ruolo della chiesa in America latina, argine contro «il fallimento del marxismo e quello del neoliberismo». Una preoccupazione — quella di arginare il socialismo — che ha certo turbato il sonno delle gerarchie ecclesiastiche honduregne: pronte a far barriera contro la presenza dell’Alba (l’alternativa bolivariana per i popoli della nostra America) di Cuba e Venezuela, entro il cui ambito Zelaya aveva intrapreso qualche timida riforma sociale. E a soprassedere ai tanto decantati ideali di giustizia sociale.