Lo scorso 7 luglio si è tenuta a San José di Costa Rica presso la Corte Interamericana di Difesa dei Dirtti Umani un’udienza che per il Messico può essere considerata storica. Per la prima volta nella storia dell’Esercito e del paese, lo Stato messicano si trova al banco degli imputati per la politica repressiva applicata dal governo e dalle Forze Armate durante la così detta guerra sucia.
Il caso preso in esame, della sparizione forzata di Rosendo Radilla Pacheco, avvenuta il 25 agosto del 1974 ad Atoyac de Álvarez, stato del Guerrero, e del quale quella del 7 luglio è stata soltanto l’udienza preliminare, è considerato infatti emblematico di centinaia di altri avvenuti in quegli stessi anni, nel decennio compreso tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70, quando la sparizione forzata era una modalità repressiva applicata sistematicamente in Messico con lo scopo di rompere l’unità del tessuto sociale organizzato e di annientare fisicamente qualsiasi forma di protesta e di dissidenza.
Di Rosendo Padilla, arrestato ad un posto di blocco militare mentre viaggiava su un bus insieme a suo figlio di appena 11 anni (successivamente liberato) ad oggi non se ne sa più nulla e si teme sia stato gettato in mare insieme ad altre 122 persone in uno dei tanti “voli della morte” con cui si facevano sparire anche in Messico, come nel resto dell’America latina, i corpi degli oppositori politici.
La guerra sucia fu particolarmete intensa e violenta proprio nello stato del Guerrero, che divenne in quegli anni uno dei più militarizzati dell’intero paese. Degli oltre 1200 casi di sparizioni di persone avvenuti allora in Messico, la metà avvenne in Guerrero e di queste, più di 400 soltanto ad Atoyac de Álvarez.
Verso la fine degli anni’60, in quella regione, i movimenti di Lucio Cabañas e di Genaro Vázquez , passarono alla clandestinità e alla lotta armata dopo anni di lotte civili pacifiche e organizzate, duramente e violentemente represse nel sangue, con le quali chiedevano alle autorità l’adozione di misure politiche e sociali più giuste rispetto alla distribuzione delle terre, al credito agrario, ai prezzi dei prodotti agricoli in particolar modo del caffè, e soprattutto contro la violenza strutturale della società di allora e il potere dei caciques, i signorotti locali.
L’evento detonante fu il massacro compiuto dalla polizia il 18 maggio 1967 nella piazza centrale di Atoyac, in occasione di una protesta organizzata da genitori e insegnanti contro la scuola Juan Alvarez. “Niente fu più come prima dopo di allora ad Atoyac”, hanno raccontato in varie occasioni i dodici figli di Rosendo Radilla durante gli incontri avuti con la Commissione Messicana di Difesa e Promozione dei Diritti Umani che, insieme all’ Associazione dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi e Vittime delle Violazioni dei Diritti Umani in Messico (AFADEM) ha portato il caso davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani.
Si installò nel paese un quartier generale dell’Esercito, proprio vicino alla casa dei Radilla. I soldati erano dappertutto e cominciarono a circolare voci, di lì a breve confermate dai fatti, di arresti di massa, di donne violentate, di casi di tortura e di persone uccise, di deportazioni di intere comunità accusate di simpatizzare con la guerriglia. Rosendo sapeva benissimo di essere in pericolo. Una delle sorelle maggiori racconta che l’ultima volta che vide suo padre questi le disse: “ti dico una cosa, la situazione è molto brutta là, ho paura che non ci vedremo mai più, stanno prendendo persone, le fanno sparire anche se non hanno fatto niente […] Se non torno vuol dire che mi hanno già ammazzato, perchè io non ho niente da nascondere e non ho fatto nulla. Le uniche cose che so io le canto e sono i miei corridos, e questo so che non è un delitto perchè la Costituzione mi garantisce la libertà d’espressione”.
Scriveva e musicava corridos Rosendo Radilla, quella particolare forma di canzone popolare improvvisata, con la quale cantare la quotidianitá del popolo e questa fu la sua colpa, come gli confermò anche un soldato al momento del suo arresto, secondo la testimonianza del figlio Rosendo. Accompagnato dalla sua chitarra solidarizzava con la guerriglia, con Genaro Vázquez, suo grande amico e con Lucio Cabañas senza tuttavia aver mai impugnato un’arma.
Era piuttosto un leader contadino stimato e rispettato per il suo impegno e per la sua dedizione per gli altri da tutta la comunitá di Atoyac de Álvarez di cui fu sindaco dal 1955 al 1956. Terminó il suo mandato più povero di quando aveva iniziato. La sua casa era sempre piena di gente: “per una fidanzata rapita o fuggita, per le spese di un matrimonio, per tirar fuori qualcuno dal carcere o per pagare una multa, per un malato che non aveva denaro, per registrare un bambino o per sotterrare un defunto al quale i familiari non potevamno pagare un funerale”.
Questa era la vita di Rosendo Radilla fino a quel 25 agosto del 1974. Fu arrestato insieme a suo figlio di appena 11 anni, ma ottenne e chiese la liberazione del bambino, che porta il suo stesso nome e che è stato uno dei principali testimoni, insieme alla sorella Tita Radilla nell’udienza preliminare di San Josè di Costa Rica. Il 7 luglio dinanzi alla Corte Interamericana, in difesa del governo messicano era presente il Ministro degli Interni Fernando Gómez Mont, che accettando “senza riserve la privazione della libertà e la morte di don Rosendo Radilla” 35 anni fa, e considerandola come “una violazione ai suoi diritti umani e a quelli della sua famiglia” ha espresso però il rifiuto ufficiale da parte del governo della competenza della Corte Interamericana, adducendo il presunto principio secondo il quale i trattati internazionali non si possono considerare retroattivi (il Messico ha accettato la competenza della Corte Interamericana soltanto nel 1998). Il delitto di sparizione forzata tuttavia, essendo un crimine contro l’umanità è un delitto continuativo e imprescrittibile, sebbene il Messico favorisca l’impunità per i militari che si macchiano di tali crimini e sebbene sia carente nel paese una legislazione che tuteli le vittime e i loro familiari da tali gravi violazioni dei diritti umani.
E’ stata quindi una debole e vana difesa quella dello Stato messicano. Non è servito al ministro Gómez Mont aver esposto i progressi compiuti dall’Esercito nella lotta contro il narcotraffico, non è servito aver comunicato l’impegno formale da parte delle Forze Armate al rispetto dei Diritti Umani e delle convenzioni internazionali in materia. Quello che è stato maggiormente contestato al governo da parte del Presidente della Corte Interamericana Cecilia Medina Quiroga , ma che da tempo fanno anche numerose associazioni internazionali, è l’applicazione della giurisdizione penale militare ai casi di giustizia ordinaria e al contrario, lasua disattenzione nelle indagini che riguardano militari implicati in gravi violazioni dei Diritti Umani, creando uno stato di immunità permanente e favorendo l’uso del Tribunale Militare come potere politico. Il ministro Gómez Mont ha parlato di Messico “riformato” e ha detto che non è possibile “giudicare il passato con gli occhi del presente”.
Queste dichiarazioni hanno provocato grande indignazione in alcuni presenti all’udienza tra i quali Cristina Paredes, la figlia di Francisco Paredes scomparso nella città di Morelia il 26 settembre del 2007. La incontriamo a Città del Messico appena di ritorno dal Costa Rica.
Nutre speranze rispetto al fatto che l’aver portato il caso di Rosendo Radilla davanti alla Corte Interamericana possa contribuire ad accendere i riflettori sugli altri casi di sparizioni forzate avvenute recentemente in Messico, quali per esempio quello di Lauro Juàrez, attivista scomparso da Oaxaca il 10 dicembre 2007 e quello dei due militanti dell’Esercito Popolare Rivoluzionario, Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sànchez, arrestati e poi scomparsi sempre in Oaxaca il 25 maggio 2007, oltre ovviamente a quello di suo padre. E’ evidente la mancanza di volontà politica da parte del governo di rendere giustizia ai familiari di Rosendo Radilla e soprattutto il tentativo di lasciare nell’impunità gli autori materiali e intellettuali di tale crimine. Il governo dovrebbe accettare oltre alla sparizione forzata di Rosendo Radilla anche la responsabilità del crimine, essendo questo un crimine continuativo e imprescrittibile.
Accettando la morte di Rosendo Radilla dovrebbe dare notizie certe rispetto al suo arresto, rispetto alla sua detenzione o alla data della sua morte nel caso il corpo non fosse più recuperabile in quanto gettato in mare. Dovrebbe rendere noti nomi e cognomi degli ufficiali e dei militari responsabili in quel periodo degli operativi dell’Esercito nella zona. La giustizia passa per la lotta contro l’impunità e come sottolinea Adrián Ramírez, presidente della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) “il rifiuto da parte di tutti i vari governi che si sono succeduti in Messico dall’epoca della sparizione di Rosendo Radilla fino all’attuale posizione del ministro degli Interni Gómez Mont di rendere noti i nomi e i cognomi dei militari (dai vertici ai soldati semplici), responsabili di tale crimine e della sparizione di tanti altri cittadini messicani e quindi la loro protezione, rileva la sua complicità in tali crimini di Stato e quindi andrebbe perseguito penalmente”. “Se qualcosa va stabilito – continua – è la catena di comando, agli autori materiali della sparizione forzata di Rosendo Radilla va dato un nome e un cognome”.
Questo dimostrerebbe il reale impegno dello Stato messicano nella lotta contro l’impunità. Tuttavia, tutto lascia supporre che la battaglia che in tal senso stanno portando avanti i familiari delle persone scomparse e le associazioni civili di difesa dei Diritti Umani che li sostengono, sia ancora molto lunga.
L’Interpol, su richiesta del governo colombiano, ha emesso nei giorni scorsi una così detta ficha roja, un mandato di cattura internazionale contro Lucía Morett, la giovane messicana sopravvissuta ma rimasta gravemente ferita, nel bombardamento effettuato dall’Esercito colombiano contro un accampamento delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, avvenuto il 1 marzo 2008 a Sucumbíos, in territorio ecuadoriano, dove oltre al numero due delle FARC, Raúl Reyes e altri 25 guerriglieri, hanno perso la vita quattro suoi connazionali, gli studenti Verónica Velázquez Ramírez, Juan Gonzáles del Castillo, Fernando Franco Delgado e Soren Ulise Avilés Angeles.
Alla Procura Generale della Repubblica del Messico tuttavia ad oggi non è stata notificata nessuna richiesta ufficiale di arresto contro la giovane, volta ad una sua eventuale estradizione in Colombia.
I legali di Lucía Morett stanno preparando due ricorsi, uno da presentare in Colombia e uno in Messico, mentre verrà anche chiesto l’intervento della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) affinchè consideri Lucía Morett come perseguitata politica del governo di Álvaro Uribe e possa pertanto offrirle protezione adeguata.
Con l’apertura della ficha roja n. A – 1873/7–2009, con data 3 luglio, da parte dell’Interpol, Lucía Morett che viene segnalata come “persona armata, pericolosa e violenta” potrebbe essere arrestata in almeno 186 paesi diversi e consegnata alle autorità colombiane che già hanno avviato un procedimento penale contro di lei per terrorismo, accusandola di far parte delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).
L’avvocato di Lucía Morett, Hugo Rosas, ha spiegato che l’Interpol ha commesso una evidente violazione al suo statuto, e in particolare all’articolo tre, accettando di emettere un ordine di cattura per una persona che è palesemente vittima di persecuzione politica da parte di un governo, in questo caso quello colombiano. Due pesi e due misure nell’agire dell’Interpol se si pensa che appena poche settimane fa, l’ente internazionale ha respinto la richiesta del governo dell’Ecuador di emettere ficha roja contro Juan Manuel Santos, ex ministro della Difesa colombiano, ritenuto responsabile della morte di 25 persone da un giudice di Sucumbíos in quanto coordinatore dell’operazione militare del 1 marzo 2008, conosciuta come operazione Angostura, commessa in aperta violazione del diritto internazionale avendo violato la sovranità territoriale dell’Ecuador. In questo caso la direzione generale dell’Interpol in Francia ha fatto saper di aver respinto la richiesta in quanto secondo il proprio statuto non si puó utilizzare questo meccanismo per motivi politici, militari, razziali o religiosi.
In Ecuador, tuttavia, da tempo è stato aperto un altro procedimento contro Lucía Morett, accusata di aver “attentato contro la sicurezza dello Stato” e una richiesta di estradizione è pronta per il Messico.
I genitori di Lucía Morett, Jorge Morett e María de Jesús Álvarez, in una conferenza stampa hanno confermato l’estraneità della figlia alle accuse mosse da parte del governo colombiano e hanno denunciato i ripetuti tentativi di criminalizzare la figlia in quanto testimone scomoda delle gravi violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito colombiano a Sucumbíos. La stessa Lucía Morett raccontó dopo il bombardamento di come i soldati colombiani avessero sparato ad alcuni feriti che stavano chiedendo aiuto e di come, sebbene gravemente ferita, fosse stata lasciata sola per terra priva delle cure necessarie.
Come estremo tentativo di proteggerla da un mandato di cattura o da una richiesta di estradizione, il Partito del Lavoro aveva offerto a Lucía Morett la possibilità di presentarsi come candidata, e quindi ottenere l’immunità parlamentare, alle recenti elezioni del 5 luglio che si sono svolte in Messico. Purtroppo non ha raggiunto i voti necessari.
Una parte importante della società civile e politica messicana, l’Università Autonoma del Messico che le è sempre stata vicina e la ha sostenuta, gli amici, i familiari, le associazioni di difesa dei diritti umani, stanno chiedendo in questi giorni vivamente al presidente Felipe Calderón che respinga ogni richiesta di estradizione di Lucía Morett in Colombia, in quanto vittima di persecuzione politica da parte del governo colombiano.
Domani, 27 aprile alle ore 12 ne parlerà in diretta dal Messico Matteo Dean su Rai News24 (video)
La situazione in Messico rispetto al dilagare della febbre suina sembra aggravarsi con il passare delle ore.
Come riporta il quotidiano La Jornada il numero dei morti in un solo giorno è passato da 62 a 81 e i casi di persone che hanno contratto il virus da 1000 a 1324. Negli Stati Uniti sono già 11 quelli accertati, ma alcuni casi sospetti si registrano in Nuova Zelanda e probabilmente in Spagna.
In Messico l’epidemia sembra al momento concentrata nella zona del Distretto Federale, nello Stato delMessico e a San Luis Potrosí e la popolazione è invitata a non effettuare spostamenti all’interno del paese se non strettamente necessari.
Il presidente Felipe Calderón ha già predisposto misure straordinarie, quali la chiusura delle scuole fino al 6 maggio prossimo, il divieto di celebrare messe e qualsiasi altra iniziativa pubblica dove si possa avere grande concentrazione di persone, la chiusura di bar e locali pubblici, l’orario di lavoro sarà ridotto di 4 ore e la gente è invitata a restare nelle proprie abitazioni senza uscire per evitare il rischio di contagio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che in settimana terrà una riunione per fronteggiare lo sviluppo della febbre porcina ha dichiarato che la malattia ha il potenziale per trasformarsi in una pandemia.
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Foto: H.I.J.O.S. México
L’oscurità genera la violenza
e la violenza ha bisogno di oscurità
per diventare crimine.
Per questo il due di ottobre attese la sera
perchè nessuno vedesse la mano che impugnava
l’arma, ma solo i colpi che sparò.
(Da Memorial de Tlatelolco di Rosario Castellanos)
Da genocida a “innocente con riserva di legge”. Questa potrebbe essere la formula magica con la quale la giustizia messicana ha salvato il 27 marzo scorso, l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez, 87 anni, dall’accusa di genocidio, come richiesto già dal Tribunale Speciale per i Movimenti Sociali e Politici del Passato (Femospp). Il massacro di Tlatelolco (o della Piazza delle Tre Culture) fu chiamata quella strage, compiuta dallo stato per distruggere nel giro di poche ore il movimento studentesco messicano.
E di genocidio si trattò, compiuto contro un “gruppo nazionale” (quello degli studenti) come ha dichiarato una perizia sociologica.
Correva l’anno 1968. Il magnifico 1968. Fu magnifico ed organizzato non solo negli Stati Uniti e in Europa. In Messico non si erano mai viste manifestazioni spontanee di quella portata, il momento d’oro del movimento studentesco si sviluppò proprio tra l’agosto e il settembre del 1968.
Il 2 ottobre di quello stesso anno, alle cinque e mezza del pomeriggio, nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico, c’erano diecimila persone. Quasi tutti giovani studenti universitari, ma anche bambini, casalinghe, lavoratori, abitanti delle palazzine circostanti scesi a curiosare, anziani, migliaia di persone che si erano date appuntamento per ascoltare il comizio dei promotori del Consejo Nacional de Huelga (Comitato Nazionale dello Sciopero) che parlava dal terzo piano dell’edificio Chihuahua.
All’improvviso un bagliore alto in cielo, le luci di alcuni bengala. Un segnale. Lo si capì dopo, soltanto dopo. E fu una pioggia di proiettili, infinita, implacabile. 29 minuti di orrore. 5mila soldati armati di mitragliatrici per 29 minuti contro 10mila persone inermi chiuse in una piazza che sembra un’arena.
Dopo 40 anni ancora non si conosce con esattezza il numero dei morti né quello delle persone scomparse quel giorno.
La sentenza del tribunale ha accertato che nonostante sia vero che il 2 ottobre 1968 fu compiuto un genocidio e che tale delitto non è prescrivibile essendo un crimine contro l’umanità, ha però confermato un verdetto del 2007 con il quale di fatto viene sollevato dalle sue responsabilità l’ex presidente Luis Echeverría Álvarez che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di segretario del governo del presidente Gustavo Díaz Ordaz.
Luis Echeverría che si trovava agli arresti domiciliari dal 2006, in seguito a tale sentenza è adesso un uomo libero e innocente, nonostante in Messico pochi siano convinti della sua estraneità al massacro.
Quella di Tlatelolco non è la prima accusa di genocidio per l’ex presidente. E non è la prima dalla quale viene prosciolto. Era già accaduto con la strage detta del Corpus Domini o del halconhazo dal nome degli halcones, (falchi), gli agenti speciali della polizia al suo servizio quando ricopriva la carica di presidente della Repubblica (dal 1970 al 1976), che massacrarono decine di studenti mentre manifestavano il 10 giugno del 1971.
Alcune associazioni tra le quali il Comité 68, Eureka, e H.I.J.O.S. México, che raggruppano i familiari dei desaparecidos del movimento studentesco e della guerra sucia degli anni ’70 hanno organizzato qualche giorno dopo la sentenza, il 1 aprile scorso, un escrache, (lett. uno sputtanamento) come si definisce in Messico (ma anche in Argentina) la protesta pubblica solitamente agita sotto l’abitazione o il luogo di lavoro della persona che si vuole denunciare.
Hanno circondato la casa dell’ ex presidente Echeverría con cartelli recanti le scritte “Genocida libero” e “Luis Echeverría il popolo ti condanna” e lanciato uova e pomodori contro il suo portone. Nelle vie circostanti altri cartelli con la fotografia di Echeverría avvisavano i passanti e i residenti che in quella zona risiede un genocida.
Era presente all’iniziativa anche Lucía Morett, l’unica sopravvissuta al massacro compiuto a Sucumbíos (Ecuador) dall’esercito colombiano, dove sono morti 4 suoi connazionali oltre a una ventina di guerriglieri e al numero due delle FARC Raúl Reyes. Ha ricordato che, come Echeverría, anche Álvaro Uribe è un genocida e un terrorista di stato.
Le associazioni che hanno organizzato la protesta hanno anche annunciato che nei prossimi giorni presenteranno ricorso ai tribunali internazionali.
I fratelli Cerezo, detenuti nel Centro di Rieducazione Sociale di Atlacholoaya, Morelos, in Messico, sono stati liberati ieri, 16 febbraio 2009, dopo aver scontato una condanna a sette anni e mezzo di reclusione con le false accuse di terrorismo, associazione a delinquere, possesso di armi ed esplosivi e criminalità organizzata.
La loro storia ha quasi dell’incredibile ed è emblematica dei metodi di giustizia sommaria tutt’ora vigenti in Messico. Antonio, Héctor e Alejandro Cerezo, insieme a Sergio Galicia, un indigeno nahuatl (liberato pochi mesi dopo l’arresto) e a Pablo Alvarado, furono arrestati il 13 agosto del 2001 e accusati di essere i responsabili delle esplosioni avvenute l’8 agosto dello stesso anno in tre banche Banamex a Città del Messico.
Alejandro fu rimesso in libertà, con piena assoluzione, dopo tre anni e mezzo di detenzione, il 1 marzo del 2004.
Il 13 agosto del 2006 viene rimesso in libertà invece Pablo Alvarado, dopo 5 anni di carcere ingiusto, il quale in una conferenza stampa rilasciata dopo la sua scarcerazione ha denunciato pubblicamente di essere stato costantemente oggetto di torture e maltrattamenti durante tutto il periodo di detenzione.
Agli altri due fratelli Cerezo, Héctor e Antonio, fu confermata invece la condanna a sette anni e sei mesi di reclusione, sebbene ci fossero state fin dal primo momento prove evidenti della loro innocenza e sebbene le accuse fossero le stesse anche per gli altri indagati successivamente rilasciati. Va rilevato inoltre che gli attentati del 2001 furono rivendicati dalle Forze Armate Rivoluzionarie del Popolo (FARP) attraverso un comunicato trasmesso ai media.
Al momento del loro arresto, i fratelli Cerezo, erano poco più che ventenni, tutti studenti dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Dal carcere hanno continuato a seguire i loro studi, mentre da più parti della società civile messicana si sono levati in questi anni appelli e proteste per la loro liberazione in quanto il loro arresto si sospetta sia stato un atto di intimidazione e di ricatto rivolto ai veri obiettivi delle forze di Pubblica Sicurezza e cioè i loro genitori: Emilia Contreras Rodríguez y Francisco Cerezo Quiroz, membri dell’ Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR), latitanti da anni e che almeno dal 1990 non hanno più nessun contatto con i loro figli, se non epistolare, essendo partiti un bel giorno, “per non si sa dove” dice Alejandro.
Secondo il CISEN (Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale) Francisco Cerezo Quiroz sarebbe uno dei massimi dirigenti del EPR ed è proprio per questo che i suoi figli sono stati sempre tenuti sotto stretto controllo dai servizi di sicurezza messicani anche precedentemente al loro arresto.
Alejandro nel 2002 scrisse una lettera ai suoi genitori, pubblicandola in internet. Qualche mese dopo, “da un luogo qualsiasi della Repubblica Messicana” essi risposero: “Toño, … ci dici che non dobbiamo sentirci responsabili per il vostro sequestro, ed hai ragione figlio mio, nonostante tutto lo siamo perchè lo Stato, mantenendovi come prigionieri vi sta giudicando perchè noi, mamma e papà, abbiamo trascorso circa metà delle nostre vite solidarizzando con molte delle cause legittime e nobili del nostro popolo e per questo siamo perseguitati, al fianco dei più deboli, degli indigeni, degli operai e dei contadini”.
Emilia nella lettera, chiede “resistenza” ai suoi figli, specialmente ad Antonio ed Héctor che hanno pagato più duramente degli altri l’impegno politico dei loro genitori. In carcere sono stati torturati fisicamente e psicologicamente come è stato più volte denunciato da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dall’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura che, rallegrandosi oggi per la loro liberazione, esprime tuttavia profonda preoccupazione per la situazione legale e per la sicurezza e l’integrità personale delle altre persone che si trovano ingiustamente detenute nelle prigioni messicane.
El 24 de abril 2008, el Partido Democrático Revolucionario-Ejército Popular Revolucionario, a través de un comunicado propuso un diálogo con el gobierno mexicano pidiendo la reaparición con vida de Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, dos militantes desaprecidos en Oaxaca en mayo de 2007. Fueron designados como intermediarios, respectables personalidades de la sociedad civil mexicana que formaron entonces una Comisión de Mediación.
Hemos hablado del avance de ese proceso con Pablo Romo, coordinador del Observatorio de la Conflictividad Social y miembro de Servicios y Asesoría Para la Paz (Serapaz) el pasado mes de agosto en Ciudad de México, cuando los diálogos estaban en un momento de pausa por la escasa voluntad del gobierno de avanzar en las negociaciones. Lamentablemente, aunque el gobierno haya por fin admitido que se trata de un caso de desapareción forzada, no se han logrados hasta la fecha “avances serios en la ruta de la presentación de los desaparecidos” y como expresado por la Comisión de Mediación en su último comunicado del 22 de enero “la falta de voluntad política por parte del Estado mexicano constituye un serio motivo de preocupación”. Recordamos que la desaparición forzada es un crimen de lesa humanidas cometido por las autoridades del Estado y que por ningún motivo debe quedar impune.
Annalisa Melandri - La mediación entre el Gobierno Federal y el EPR empezó el 24 de ese año (la entrevista ha sido realizada en el DF EN gosto de 2008 n.d.a.) cuando el grupo insurgente hizo a través de un comunicado la propuesta de formar una Comisión de Mediación para la presentación con vida de sus dos militantes desaparecidos en Oaxaca el 25 de mayo de 2007. ¿Qué se ha logrado obtener desde entonces?
Pablo Romo — Podemos reconocer una gran evolución en este período en lo que se ha generado la Comisión de Mediación.
Hay varios momentos. Un primer momento es cuando nace la mediación, cuando el grupo constituido de los cuatro más tres aceptan. Son cuatro invitados directos y un movimiento social que es el Frente Nacional contra la Represión.
Es importante reconocer cuáles son los tre miembros del Frente: Enrique Gonzales Ruiz, Juan de Dios Hernández Monge, Rosario Ibarra de Piedra. Los demás invitados son: el obispo Samuel Ruiz García, Carlos Montemayor que se convirtió después en vocero y Gilberto Lopez y Rivas que es un antropólogo muy reconocido, el cuarto es un periodista que se llama Miguel Ánguel Granado Chapa. Éstos siete se constituyen en un grupo de trabajo y la reacción por parte del Gobierno Federal entonces va evolucionando.
En un primer momento llamandolos “testigos sociales” y bloqueando la presencia de Rosario Ibarra porqué no querían alguien del PRD. Decián que se iba a politicizar, como si no fuera esto político… Eso no lo comunicaron nunca directamente pero siempre por medio de la prensa. Inmediatamente el grupo de trabajo pide al gobierno que aclare porqué son llamados “testigos sociales”. Ellos no querían ser “testigos sociales” porqué esa expresión fundamentalmente la utiliza el gobierno cuando indica grupos civiles para dar fe en las licitaciones públicas y en las privatizaciones de las empresas para que sean legales o transparentes, es una utilización de la sociedad civil para sus propios beneficios.
A.M. — Pero después los llaman “ciudadanos en pleno ejercicio de sus derechos civiles”…
P.R. — Después los llaman “ciudadanos en pleno ejercicio de sus derechos”; eso es en un segundo momento. Cambia entonces la figura de ser “testigo social” a “ciudadano”. Es muy importante ver que gobernación no quiere una mediación delante de “ciudadanos” porqué eso quisiera reconocer al otro actor un estatus de beligerancia.
A.M. — En el documento del 14 de agosto, parece que por primera vez la la Gobernación reconoce la desaparición forzada. ¿Cómo se explica eso?
P.R. — El documento del jueves tiene tres errores fundamentales. Uno de ellos es de carácter tipográfico, repite el párrafo primero en el segundo. El segundo error representa un problema para ellos, o sea reconocen la existencia de la Comisión de Mediación. Nunca lo habían hecho antes, a menos que no sea deliberado.
Es la primera vez en todo este proceso que se reconoce cómo instancia mediadora la Comisión de Mediación. Entonces el proceso pasa por tres etapas, primera etapa “testigos sociales”, luego “ciudadanos en pleno ejercicio de sus derechos civiles” y luego Comisión de Mediación. Esto puede tener una razón porquè el lunes anterior, hace nueve dias, el EPR sacó un comunicado en el que exije que Gobernación reconozca a los siete no cómo “testigos sociales” sino cómo Comisión de Mediación .
El tercer error, que creo es un error de la Secretaría de Gobernación es muy bueno, porqué finalmente el Estado reconoce por primera vez la desapareción forzada, es decir el gobierno nunca había reconocido a lo largo de todo este proceso y antes tampoco, que había cometido el Estado cómo tal, desapareción forzada.
A.M. — ¿Y porqué Usted lo llama error?
P.R. — Porqué siempre la Gobernación había hablado de secuestro, entonces en la prisa recuperan las palabras y dicen : es desaparición forzada. Los que están redactando digamos que cometen el error. Este comunicado se realiza en muy poco tiempo. Nosotros, la Comisión, elaboramos el documento el jueves, antes de la conferencia de prensa y fue entregado a las 11 de la mañana a las oficinas de Gobernación. Ellos tienen muy poco tiempo para leerlo, ( porqué es un documento muy largo), y elaborar una respuesta, porqué más que leerlo les interesa ganar mediáticamente. Entonces tuvieron que sacar un documento antes de la conferencia de prensa del grupo de mediación para ganar la atención mediática. Nosotros estábamos en la conferencia de prensa cuando llegó el comunicado de ellos, hubo un periodista de Reuters que lo tenía en la mano, no sabíamos de su existencia y nos quedamos sorprendidos.
Eso demuestra mucho de lo que es el Gobierno actual, es propaganda, no es una meditación profunda que de una respuesta pertinente y adecuada.
A.M. — ¿Cómo evaluaron entonces ustedes lo de la desaparición forzada?
P.R. - Es estupendo, nosotros creemos que finalmente el gobierno mexicano acepta que hay desaparición forzada. Un particular no realiza desaparición forzada, en este caso sería un homicidio o secuestro, la desapareción forzada la realiza solamente el Estado. Es un crimen perpretado por el Estado.
Tenemos nosostros entonces, primero el crimen cometido o sea la desaparición forzada, segundo el reconocimiento de la Comisión de Mediación y tercero tenemos también que hay un documento que está pendiente al que el gobierno no ha respondido, por eso estamos en este momento cómo en pausa, porqué no se avanza hacia lo que significaría realmente una expresión de voluntad política. La Comisión de Mediación está solicitando entonces una voluntad política para la aparición con vida de los dos desaparecidos.
A.M. — ¿Cómo han evaluado en estos meses la posición del Gobierno Federal?
P.R. - Yo creo que es una posición que evoluciona en los papeles, y hasta ahora ha evolucionado en los papeles, positivamente hay que decirlo, pero por la otra parte no evoluciona en lo sustancial. No está avanzando tanto en una voluntad política para aparecer con vida los desaparecidos, cómo para demostar su intención de perseguir y acusar e incriminar los responsables.
Asì es la cosa que por los detenidos que tenía la Policía Federal como presuntos sospechosos, no pudo sustentar las averiguaciones previas, es decir la investigación y los tuvo que liberar noventa días después del arraigo, un arraigo que para cualquier persona , no solamente para ellos, es absolutamente ilegal, contra los derechos humanos. Estas personas que estubieron en el arraigo fueron torturadas por la Policía Federal y a pesar de esto no pudo sustanciar la responsabilidad, es decir que detienen personas para generar publicidad, nuevamente propaganda, para decir que están investigando, sin embargo cuando llega el momento de presentarlos ante un juez no tienen capacidad para hacerlo.
Es decir demuestran incompetencia, falta de voluntad politíca, y sobre todo un nivel muy bajo en el interés, en la interlocución para que aparezcan con vida esas personas.
A.M. - ¿No se puede entonces hablar todavía de un reconocimiento politico del EPR e de su reconocimiento de estado de beligerancia?
P.R. — No, por supuesto que no. En un primer momento que responde en abril, la Gobernación plantea un diálogo en donde se sientan en una mesa, de un lado el EPR y por el otro lado la Gobernación, y ellos habiendo entregado las armas.
En todo tipo de conflicto bélico de cualquier naturaleza, el estado tiene que exigir la rendición del movimiento armado, para poder entrar en un proceso de negociación y de diálogo. Realmente tiene que mostrar mucha fuerza, pero nunca ha demostrado voluntad de reconocimiento oficial. Sin embargo hay que decirlo y el documento de la Comisión de Mediación lo dice, ha habido búsqueda de acercamiento, con este movimiento armado, en varios momentos de su historia, ha habido un interés de establecer contactos, no para destruirlo, sino para almenos construir pactos de no agresión, cómo en todos los movimientos de guerra, que existen en el mundo, siempre hay una parte visibile y las partes invisibles que tienen relación, contactos. Hasta la rendición de Hitler se estaba pactando mientras que había bombardeos visibles, había mensajeros de un lado y del otro lado, buscando pactos. Yo creo que oficialmente no hay un reconocimiento de facto del movimiento armado, y hay búsquedas para establecer contactos dentro de esta guerra que existe.
Es una guerra silenciada, silenciosa, y en este momento en pausa, porqué hay que decirlo, la Comisión de Mediación logró por su propia insistencia, cómo primer punto pidió a las partes acciones de buena voluntad, al EPR que mantuviera una tregua unilateral y por el otro lado, al Gobierno Federal también que dejara los hostigamientos que pero no ha cumplido, que se manitienen cómo en el caso de los hermanos Cerezo etc.
A.M. - En México esiste un marco de impunidad histórico. ¿Cómo se mueve y entre qué dificultades la Comisión de Mediación respecto a ese tema?
P.R. - La impunidad es prevaleciente, es permanente, es constante, es desgraciadamente parte de la desconfianza a las autoridades y parte de la corrupción y de los intereses que se han creado dentro de los crimenes, dentro de cualquier tipo de crimen, en ese caso de los políticos. Con mucha mayor razón, en los casos de lo crimenes normales, que se dan todos los dias es impresionanate como la ineptitud, la corrupción, la incapacidad generan impunidad. Yo creo que es uno de los paises con más niveles de corrupción y con los más altos niveles de impunidad, comparados seguramente con Congo o con Burundi.
La realidad es que México colinda con la potencia más grande del mundo, en busqueda de seguridad y presume de tener tratados comerciales con este país, con esa potencia, en el mismo tiempo no es capaz de hacer una investigación seria y responsable de cualquier tipo de crimen. .
A.M. — ¿Se puede decir qué esa es la primera vez que el EPR actúa de manera política?
P.R. — Siempre ellos han generado espacios de expresión política a través de sus comunicados, de sus volanteos. Todo ese conjunto de acciones que realizan permanentemente sóno expresiones políticas. La mayor parte de estos 44 años de presencia del EPR son expresiones políticas, pacíficas, de presión, y rara vez, muy rara vez, a lo largo de estos 44 años, han habido expresiones de confrontación armada o militar, bombas cómo por ejemplo el año pasado, confrontaciones a policías, ataques a cuarteles. Pequeñas acciones militares, exporadicas.
Esta es la primera vez en la historia del EPR que tiene, para empezar simpatias por parte de una gran parte de la población de México, porqué les desaparecen a sus gentes, eso es importantisímo. No solamente simpatia, tienen primeras planas en los periodicos de circulación nacional y editoriales a favor. Nunca en la historia del EPR los periodistas en los editoriales, sea de derecha que de centro izquierda, han sido realmente simpaticos con el movimiento del EPR. El lenguaje del EPR es un lenguaje muy rudo, muy old fashion, es una guerrilla clásica, no es una guerrilla como la del EZLN, con un lenguaje mucho más post moderno, mucho más contemporaneo, mucho más joven.
Tampoco es la primera vez que desaparece gente del EPR. A lo largo de sus 44 años muchas veces han desaparecidos miembros del EPR, pero esta es la primera vez que ellos los revindican cómo miembros del EPR. Es un cambio de actitud dentro del EPR. Cuando desaparecián nunca decía el EPR que eran militantes para no generarles problemas si estaban vivos todavía. Esta es la primera vez que revindican sus militantes.
A.M. — Una de las condiciones por la mediación es el cese de la violencia de parte del EPR pero por otro lado no ha cesado el hostigamiento del Estado hacia los familiares y las asociaciones solidarias con ellos. ¿Cómo Comisión cómo ven eso?
P.R. — Lo vemos muy mal y lo denunciamos en una conferencia de prensa. Vemos con mucha preocupación qué continúan los hostigamientos y las amenazas en contra de los familiares. Es algo realmente preocupante y es algo realmente que demuestra muy bien una esquizofrenia del gobierno cuando promete por un lado que no habrà y por el otro lado actúa de esa manera.
A.M. – ¿Y cómo piensas que están actúando los medios de comunicación?
P.R. – Yo creo que en estos ultimos cien días desde abril a la fecha hayan respondido con muy buen nivel y se han comportado con mucha responsabilidad. El EPR tiene que posicionarse por su parte, posicionarse adecuadamente a la prensa para que el público que la recibe tenga un cierto conocimiento adecuado. Hay mucha fantasía en ciertas expresiones de la prensa, relacionan por ejemploel EPR con Al Qaeda, con las FARC, los San Papier, las Brigadas Rojas, con todo lo leninismo. Esta es verdaderamente ignorancia , mala voluntad por generar confusión.
Hay una prensa que se dedica fundamentalmente a la desinformación, que siempre es existida. Y yo creo que es parte de lo que siempre se ha hecho en todas las guerras, para generar terror. También tiene mucho la culpa el EPR de no mostrarse más claramente y no me refiero a la clandestinidad, me refiero al posicionamiento hacia otros movimientos. Quizás porqué la misma clandestinidad en la que viven no les permite tener discusiones más abiertas y tener un posicionamiento más claro.
A.M. — ¿ La Comisión alcanza a tener objetividad entre el Gobierno y el EPR?
P.R. — Yo creo que nunca se ha pretendido ser como la Cruz Roja. Es una fantasía de ideologías extrañas que vienen de Occidente, en Europa en el siglo XIX. No existen las comisiones de mediación asépticas, neutrales y angelicales. Yo creo que la Comisión se establece de todas maneras entre personas de izquierda, de una izquierda reconocida, de una izquierda con reputación, entre una izquierda serena, clara y fuerte y lo más plural o amplio dentro del espectro que hay.
Tu corazón está a la izquierda por supuesto y no está a favor de un gobierno panista neoliberal, pero tampoco es una Comisión que va armada o atacando al Gobierno. Yo creo que es una Comisión clara en sus posiciones políticas, clara en sus tareas.
Annalisa Melandri
Ciudad de México, agosto 2008
alcuni ci tengono particolarmente a che siano ben lucide…
Foto: Annalisa Melandri
Foto: Annalisa Melandri
(Uribe y Vicente Fox)
Sin dudas la reciente visita en México del presidente de Colombia Álvaro Uribe, ha sido algo más de lo que ha salido en la prensa del país y de toda América latina.
Formalmente Uribe parece que haya viajado al país centroamericano para pedir a su homólogo Felipe Calderón que solicite a los Estados Unidos la firma del TLC (Tratado de Libre Comercio) con Colombia que está congelada desde meses en el Congreso.
“Todo lo que diga el Presidente Calderón al oído de las autoridades, de los medios de comunicación y del pueblo norteamericano le ayuda mucho a Colombia… le pedí esa ayuda al presidente Calderón” explicó Álvaro Uribe el lunes 10 de noviembre, en su tercer y último día de visitas en el país.
Los dos presidentes hablaron también de algunos aspectos relacionados con el Tratado de Libre Comercio entre los dos paises, concordando sobre el hecho de que algunos sectores comerciales excluidos hasta ahora en el tratado deberían ser tenidos en mayor consideración.
Uribe ha expresado también su solidaridad al Gobierno de Calderón y al país por el “gran esfuerzo” en la lucha contra el narcotráfico y la criminalidad, declarando en una rueda de prensa que Colombia y México cooperarán más en ese sentido, pero declarándose profundamente en contra a la depenalización de algunas drogas, contrariamente a la recién propuesta de los presidentes de Honduras, Manuel Zelaya y del mismo Felipe Calderón.
El encuentro con la derecha latinoamericana – La cumbre al Centro Fox…
Seguramente no han sido estas las verdaderas razones del viaje de Álvaro Uribe. En los días inmediatamente precedentes la visita oficial a Los Pinos, residencia de Felipe Calderón, en el estado de Guanajuato, a San Cristóbal, Álvaro Uribe tuvo un discurso público sobre el tema de la “Seguridad democrática” en el Centro Fox, ambigua estructura creada y dirigida por el ex presidente mexicano Vicente Fox, donde se desarrollaba la cumbre San Cristóbal “Humanismo Eficaz”, organizado por la Internacional Demócrata del Centro (IDC). Estaban presentes además de los representantes de los 110 partidos políticos de derecha de 88 paises diferentes que aderieron, también el director de la Policía colombiana y el gobernador de Guanajuato, el ultra conservador Manuel Oliva.
Estaba también Eduardo Fernández, vicepresidente de la Organización Demócrata Cristiana de América (ODCA), que tiene como afiliada la misma IDC y qué reune los partidos de tendencia demócrata cristiana en América latina, ya acusada de representar las intenciones golpistas de Washington en la región y de haber participado al golpe de Estado en Chile en 1973 y en Venezuela en 2002.
Un ex presidente de la ODCA, el político católico Eduardo Fernández del COPEI (integrante de IDC) hizo el trámite entre España y Venezuela en la organización del golpe contra Chávez. Unos dias antes del 11 de abril 2002 estaba en Madrid y luego en Washington donde participó a una reunión de la ODCA.
También no hubiera podido faltar a la cumbre a Guanjuato, Yon Goicoechea, leader del movimiento estudiantil venezolano, ganador del premio Milton Friedman por sus méritos en la lucha en el avance por la libertad en el mundo. En realidad el premio Friedman entregado a Goicoechea, que consiste en 500 mil dólares, es solamente una de las diferentes maneras que los Estados Unidos han inventado para financiar en Venezuela la oposición interna a Hugo Chávez. Goicoechea en su intervención en la cumbre de San Cristóbal ha denunciado que el crimen y el narcotráfico están prácticamente dominando todo el país y que el presidente Chávez es totalmente incapaz de garantizar la seguridad de la población. Ha además denunciado que el país está invirtiendo 80 veces más en armamento de guerra que en la seguridad interna. “A esto se suma un escenario de violencia política en el que se organizan grupos irregularmente armados desde el Estado para reprimir”, sostuvo finalmente el joven opositor en la Cumbre.
Parece previsto su discurso (si pensamos al premio recibido) y también paradójico si se tiene en cuenta que estaba presente el huésped de honor Álvaro Uribe, qué notoriamente es un óptimo conocedor de corrupción, grupos armados irregulares y narcotraficantes.
… y el con la extrema derecha mexicana – El Yunque y el caso Sucumbíos
Muchos han sido los encuentros que tuvo Uribe con varios representantes de la asociación mexicana de ultra derecha El Yunque.
Además del gobernador del Estado de Guanjuato, Manuel Oliva, miembro del Yunque, Álvaro Uribe se encontró privatamente con algunas asociaciones civiles entre las cuales “Mejor Sociedad, Mejor Gobierno” y “Consejo Ciudadano por la Seguridad Pública y la Justicia Penal A.C.”
Y propio mientras en esos días en México, Uribe era declarado persona non grata por varias asociaciones en defensa de los derechos humanos entre las cuales la LIMEDDH, (Liga Méxicana Por la Defensa de los Derechos Humanos) y la Asociación de Padres y Familiares de las Víctimas de la masacre de Sucumbiós, se desvelan detalles de una conversación con José Antonio Ortega, presidente del Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Hjusticia Penal A.C. y además dirigente del Yunque.
Coloquio expresamente solicitado para entregar personalmente al presidente colombiano copia de la demanda penal que él mismo y el presidente de “Mejor Sociedad, Mejor Gobierno”, Guillermo Velazco Arzac (él también vinculado con el Yunque) presentaron a la Fiscalía un mes después de la masacre de los cuatro jóvenes mexicanos en Ecuador, en contra de Lucía Morett la unica sobreviviente que actualmente vive en Nicaragua y en contra de otros 15 jovenes entre los cuales están los nombres de los cuatro fallecidos, por el crimen de terrorismo .
El Yunque, desde los primeros dias en que se reveló la noticia que en Ecuador estaban jovenes mexicanos, buscó con una difamatoria campaña de denigración conducida por los más importantes medios de comunicación del país de acusarlos de estar proyectando “actos de terrorismo” en suelo mexicano y los acusó de ser integrantes sea de las FARC que del EPR (Ejército Popular Revolucionario) el más importante movimiento armado del país.
José Antonio Ortega durante su coloquio con Álvaro Uribe ha abordado el tema de la presencia en México del EPR y no se ha dejado escapar la ocasión de criminalizar la actividad politíca de Antonio Pavel, otro sobreviviemte de Sucumbiós, miembro de la Direccíón Colectiva del Comité Central del Partido Comunista, activista en la reciente huelga de los maestros en el Estado de Morelos, señalando su nombre al presidente colombiano que ha agradecido la “sociedad civil” presente a ese encuentro por la colaboración y ha pedido explícitamente al embajador colombiano en México, Luis Camilo Osorio, de ofrecer toda la ayuda necesaria y de dar seguimiento constante a los procedimentos penales contra los jovenes .
No es un caso que Luis Camilo Osorio haya precenciado al encuentro.
La LIMEDDH y la Asociación de Padres y Familiares de las Víctimas de Sucumbíos cada mes organizan varias actividaes públicas frente a la embajada de Colombia en México. Cada primero del mes entregan a la representancia diplomática un boletín en donde se abordan los temas de las violaciones de los derechos humanos en Colombia y se dibuja un perfil detallado de la persona del mismo embajador, acusado varias veces de haber ocultado las denuncias contra los paramilitares y narcotraficantes y de haber manipulado y subtraido a la acción penal graves actos de violacciones de derechos humanos cuando ocupaba el cargo de Fiscal General en su país.
Los boletines quieren ser tambíen un momento dedicado al rescate de la memoria de Verónica, Sorel, Juan Gonzales y Fernando y por eso un más extenso espacio es dedicado a su vida, a sus sueños y a lo que eran y lo que deseaban ser.
La senadora Rosario Ibarra de Piedra ha entregado a la Procura General de la República más de 12 mil firmas recogidas pidiendo garantías por la seguridad y libertad de Lucía Morett en vista de un probable regreso de la joven en el país y el ritiro de la demandas contra los demás 15 jovenes pidiendo el fin de la criminalización de la protesta social y de las ideas.
Probablemente Uribe y Calderón han hablado también del caso Morett, pero parece siempre más evidente que a la luz de esos acontecimientos, un regreso a México de la joven mexicana no es al momento deseable para ella.
Ante la más reciente vista del presidente de Colombia Alvaro Uribe Vélez a México (del 7 al 11 de noviembre de 2008), los Padres y Familiares de los jóvenes mexicanos asesinados en Sucumbíos, Ecuador, manifestamos nuestro repudio a su vista y exigimos no sólo se le declare persona non grata, sino que se le juzgue por el asesinato confeso de Verónica Velásquez Ramírez, Fernando Franco Delgado, Soren Aviles Angeles y Juan González del Castillo, así como por las heridas y el daño causado a Lucía Morett Alvarez.
Con preocupación vemos como esta visita es la tercera que Uribe Vélez realiza a nuestro país en el 2008, quedando clara la cercanía y complicidad que ha mantenido el gobierno mexicano con el colombiano, al no condenar el asesinato de cuatro connacionales y no proceder jurídicamente como corresponde contra Uribe, quién reconoció abiertamente desde un inicio la autoría de la masacre de Sucumbíos y el asesinato de nuestros hijos.
Uribe no sólo cuenta con el respaldo del gobierno de Felipe Calderón, también se ha aliado con grupos ultraderechistas para intentar limpiar su imagen y evitar inútilmente la condena social del pueblo de México, muestra de ello fue la reunión que sostuvo con Vicente Fox ex-presidente de México); José Antonio Ortega Sánchez (Presidente del Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Justicia Penal A.C.) y varios miembros de Mejor Sociedad Mejor Gobierno, todos ellos vinculados directamente a “El Yunque” (organización clandestina de ultraderecha en México).
En dicho encuentro estos personajes no repararon en lanzar halagos a Uribe y solicitarle más información para “convencer” a la opinión pública de que actuó bien asesinando a más de 20 personas, a cambio de ello, Alvaro Uribe los nombra sus “socios antiterrorismo”, ante este hecho pedimos sea investigada esa relación de “socios” ya que públicamente se han denunciado los vínculos del presidente colombiano con el narcotráfico y el paramilitarismo.
De este modo los Padres y Familiares de las Víctimas de Sucumbíos, Ecuador, junto con organizaciones sociales, políticas y grupos estudiantiles hicimos patente nuestro rechazo a su visita por medio de dos manifestaciones pacíficas en las afueras de los recintos en donde se encontraba Alvaro Uribe Vélez, el día 7 de noviembre a las 16:00 hrs., arribamos a la sede de un hotel en la Ciudad de México en donde sostenía una reunión, nos mantuvimos durante 2 horas portando pancartas y mantas que denuncian el asesinato de nuestros hijos y la culpabilidad de Uribe.
El día 10 de noviembre acudimos a la residencia oficial de Los Pinos en donde Uribe Vélez era recibido oficialmente, ahí nos manifestamos a los afueras de dicho recinto exigiendo se le declarara persona non grata y se le juzgue por los crímenes cometidos. Cabe señala que nos fue impedido el paso hacía la residencia oficial de Los Pinos por un grupo de granaderos y durante nuestra protesta tuvimos una constante vigilancia por parte del Estado Mayor Presidencial (cuerpo de seguridad del Estado mexicano), quienes estuvieron fotografiando insistentemente a todas las personas que acudieron solidariamente a la manifestación.
Por último queremos manifestar con inquietud como México sigue los pasos de Colombia buscando implementar toda una política de violencia y criminalizaciòn de la protesta social y política, de los jóvenes y en general de aquella persona que no comparta la visión degradante del poder actual, todo ello bajo la supuesta lucha contra el narcotráfico y el terrorismo, que como es públicamente sabido esta inserto en las altas esferas políticas, y en donde estados como el colombiano son quienes ejercen el verdadero terrorismo.
México, D.F., Noviembre de 2008
ASOCIACION DE PADRES Y FAMILIARES DE LAS
VICTIMAS DE SUCUMBIOS ECUADOR.