“Iluminemos México” (illuminiamo il Messico) è stato lo slogan che ha identificato la marcia organizzata contro la delinquenza e l’inefficacia del governo a fronteggiarla e che si è svolta sabato 30 agosto a Città del Messico. Si calcola che vi abbiano partecipato circa 200 mila persone, forse più, ognuna delle quali portava una candela accesa per “illuminare” simbolicamente il baratro di violenza nel quale sembra essere precipitato il paese negli ultimi tempi.
Tuttavia questa manifestazione non esprime i desideri e il sentire di tutta la società messicana.
Questa marcia esprime soltanto il timore di una piccola porzione di essa che si sente minacciata dalla criminalità organizzata nei suoi affetti e nei suoi interessi.
Alla quale appartenevano per esempio il piccolo Fernando Martí, appena 14 anni, figlio dell’imprenditore Alejandro Martí, sequestrato e poi trovato morto il 1 agosto scorso dopo il pagamento di un riscatto di 5 milioni di pesos e Silvia Vargas Escalera di 19 anni, figlia del titolare della Commissione Nazionale dello Sport, sequestrata il 10 settembre del 2007 e di cui non si hanno più notizie da quella data.
Due nomi e due volti apparsi sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali per settimane e il dramma delle loro famiglie trasmesso in televisione per mesi.
Due storie che hanno provocato, giustamente, indignazione e rabbia nella gente che sono state raccolte dagli organizzatori della manifestazione, appoggiata tra gli altri anche dal gruppo di estrema destra del Yunque e sostenuta dal governo, dalla Chiesa e massicciamente dai mezzi di comunicazione nazionali.
Una marcia quindi anche e soprattutto con forte rilevanza politica, si chiede a Carlderón (e il Yunque da tempo lo fa) maggior sicurezza e maggior militarizzazione del paese, come se quella imponente già messa per le strade non fosse sufficiente. E tale richiesta va di pari passo con le istanze che di fatto tendono a polarizzare il paese: la penalizzazione dell’aborto (recentemente depenalizzato nel Distretto Federale), la privatizzazione della Pemex, la compagnia petrolifera del paese, la criminalizzazione della protesta sociale e l’applicazione di politiche neoliberiste che rappresenterebbero ulteriore miseria e povertà per milioni di messicani. Inoltre a tratti, gli slogan della marcia si sono dimostrati anche e soprattutto essere, slogan contro Manuel López Obrador, da più di mezzo paese considerato il presidente legittimo del Messico, che se pur ha perso qualche consenso, continua ad essere amato e rispettato.
Restano invece dimenticati da questa società, dalla Chiesa, dal governo e dai principali media i nomi dei 23 desaparecidos registrati dall’inizio del mandato di Felipe Calderón, in cima alla cui lista figurano quelli dei due integranti dell’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) Edmundo Reyes Amaya e Alberto Cruz Sánchez, scomparsi da Oaxaca il 25 maggio del 2007 e quello di Francisco Paredes Ruiz, difensore dei diritti umani scomparso da Michoacán il 26 settembre del 2007 e per i quali nessuno è disposto a marciare.
Questa lista include soltanto nomi per i quali si sospetta unicamente un movente politico, per cui i casi di sparizioni forzate o sequestri indiscriminati (levantones) sarebbero molti di più, circa 600, come denuncia la rivista Proceso.
Purtoppo spesso le vittime dei levantones vengono poi ritrovate in qualche discarica decapitate o con il corpo squarciato e queste morti vengono associate a crimini legati al narcotraffico o alle delinquenza comune. Ma non è sempre così, nel mucchio dei numeri cadono anche giovani, leader di comunità contadine o indigene, innocenti cittadini o attivisti politici e sociali. I familiari delle persone scomparse, come accadeva negli anni della “guerra sucia”, hanno anche oggi paura a sporgere denuncia alle autorità i per timore che i nomi dei loro cari vengano gettati nel gran mucchio dei morti della guerra al narcotraffico di Felipe Claderón.
E quando invece vengono sporte le denunce i nomi vengono presto dimenticati dalle istituzioni, le quali si rifiutano o sono incapaci di fornire notizie di queste persone, e dai mezzi di comunicazione, che riservano il loro spazio a scomparsi di ben altra estrazione sociale. Nomi come quelli di Virginia e Daniela Ortiz Ramírez, 20 e 14 anni, indigene di etnia Triqui dello stato di Oaxaca, scomparse più di un anno fa. Tutto un’altro Messico, diverso da quello che ha sfilato sabato, da dimenticare in fretta e per il quale non vale la pena di marciare né di accendere candele, il Messico vittima dell’abuso di potere delle forze di polizia e di quella stessa militarizzazione che si chiede venga intensificata.
Poche città mi rapiscono come e quanto riesce a fare Città del Messico. E questo avviene fin da quando, in aereo, pochi minuti prima dell’ atterraggio, ti si manifesta in tutta la sua imponenza e appare all’improvviso smisurata. “El monstruo”, la chiamano. Ed in parte lo è, un mostro. Arrivando di notte, appare all’improvviso, un mostro di luci, che sembrano non avere fine e che si spengono pian piano, con lentezza, solo lungo le pendici dei cerros che la circondano.
Una città che mi entusiasma e che mi fa sorridere, che mi commuove e mi intriga ad ogni passo. La osservo dagli infiniti angoli che offre e godo dei suoi colori e delle sue contraddizioni, della sua viva umanità con la sua capacità di resistere, con il suo orgoglio, la fierezza e la dignità.
È magica una città che riesce ad offrire continui spunti di riflessione al visitatore, sul senso della storia, sul destino dei vinti, sul ruolo e il peso dei vincitori nelle generazioni a venire.
Che sa rimettere in gioco e mescola continuamente, i concetti eterni di giustizia e di ingiustizia, di passato, di presente e di futuro, di sogno e di realtà.
Che sa sfidare sfrontatamente facendolo tuttavia senza rabbia né malizia, quasi senza averne consapevolezza, miti antichi e tradizioni consolidate, potere e religione con l’ingenuità di quella rebeldía naturale che qui ancora sopravvive e che, si esprime e si manifesta quotidianamente per le strade di quella che è una delle metropoli piu‘grandi del mondo. E che va di pari passo con lucha e resistencia, concetti che qui sono parte imprenscindibile del bagaglio umano ma anche del vissuto quotidiano di milioni di persone.
Non è mai avara questa città con gli altri, si offre completamente, ostentando orgogliosamente la sua storia e il suo passato, splendida negli scorci isolati e silenziosi, nei passagi moderni e caotici, negli angoli chiassosi e tipici. Spettacolare nelle sue espressioni architettoniche ora ostentate, ora più nascoste e segrete, che appaiono agli occhi più attenti e sensibili come vere preziosità incastonate tra dettagli di culture differenti, particolari unici per i quali ogni palazzo, ogni angolo, ogni patio, ogni balcone sono capaci di trasformarla in un vero e proprio museo a cielo aperto che affascina continuamente.
….
P.S. Ma forse tutto ciò ha a che vedere più in generale con quanto sto costruendo in Messico in questo ultimo anno e quanto mi sta offrendo questo paese.
¡Te quiero México! e dopo aver passato il pomeriggio con i narcocorridos dei vicini a palla, finamente mañana ….Real de Catorce y Cerro del Quemado… desierto… 2750 mt.
Domenica 27 luglio si è tenuta in Messico la Consulta Ciudadana, con la quale la popolazione è stata chiamata ad esprimersi sulla proposta di completa privatizzazione dell’impresa petrolifera PEMEX presentata da Felipe Calderón, il presidente del paese.
L’85% della popolazione ha detto NO.
di ABP Messico
16/04/2008
Fonte :ABP Agencia Bolivariana de Prensa
Traduzione di Annalisa Melandri
La denuncia presentata lo scorso 7 aprile alla Procura Generale della Repubblica (PGR) del Messico contro Lucía Morett ed altri 15 messicani, tra i quali i quattro studenti universitari morti in territorio ecuatoriano per mano dell’esercito colombiano, è opera dell’organizzazione cattolica di estrema destra conosciuta come El Yunque .
Il così detto Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Justicia Penal, A.C.
(CCSPyJP) propone una denuncia penale contro Morett e gli altri messicani per il reato di terrorismo con l’accusa basata su documenti che sarebbero stati passati dagli organismi di sicurezza messicani e colombiani a quotidiani, settimanali e televisioni controllate dalla destra di entrambi i paesi.
Il suo presidente José Antonio Ortega Sánchez è, come hanno segnalato ricercatori specializzati nello studio dell’estrema destra messicana, e in modo particolare il giornalista del settimanale messicano Proceso, Álvaro Delgado, dirigente di El Yunque.
Gli altri dirigenti del gruppo fascista messicano sono: Jorge Espina Reyes (ex presidente della Condeferazione Patronale Messicana , Coparmex) e Jorge Serrano Límon(presidente del gruppo antiabortista Provida) . El Yunque rappresenta l’ala più radicale e intollerante del Partito di Azione Nazionale (PAN), rappresentazione politica dell’attuale presidente Felipe Calderón.
Rispetto ai membri di El Yunque, Calderón è un moderato. Sono vari i contrasti che ci sono all’interno del PAN tra Calderón e l’organizzazione fascista messicana, di fatto, a suo dire Calderón non prende sufficienti misure repressive contro le organizzazioni sociali e la sinistra in Messico.
Il giornalista Álvaro Delgado, dopo alcuni anni dedicati a studiare questo gruppo di destra, conclude che i membri di El Yunque si caratterizzano per “essere nemici di tutte le libertà umane, estremamente intolleranti, anticomunisti, antisemiti e contro la sinistra (.…) e si dichiarano soldati di Dio”.
Con questa concezione, El Yunque ha creato organizzazioni di scontro responsabili di omicidi contro dirigenti di destra, sindacalisti, accademici, etc. I suoi gruppi più conosciuti sono stati Il Muro, DIHAC, Asociación Cívica Femenina, el Comité Nacional Pro-vida, la Unión Nacional de Padres de Familia, la COPARMEX e ovviamente il Consejo Ciudadano para la Seguridad Pública y la Justicia Penal, A.C.
Il caso dei messicani morti in Ecuador
Nei giorni scorsi, il CCSPyJP ha presentato una denuncia penale contro Lucía Morett, la messicana sopravvissuta all’attacco colombiano contro il campo delle FARC in territorio ecuatoriano, e altri quindici messicani. Il reato contestato è quello di “terrorismo internazionale”.
Secondo l’organizzazione yunquista i messicani morti, la ragazza ferita e gli altri, i cui nomi sono stati riportati da alcuni mezzi di informazione dominati dalla destra messicana e colombiana, sarebbero responsabili “di atti di terrorismo” in territorio messicano.
Nella sua pagina internet (www.seguridadjusticiaypaz.org) , il CCSPyJP fa affermazioni che per la loro grossolaneria e mancanza di fondamenta sembrano più un proclama ideologico che un’argomentazione giuridica. Per esempio il titolo del documento nel quale espongono la loro denuncia alla PGR dice: “ In quali sequestri e attacchi terroristici in Messico hanno partecipato i messicani che hanno ricevuto addestramento terroristico in Ecuador? Per commettere quali crimini sono stati addestrati? Cosa stanno tramando adesso?”
In un documento firmato l’11 aprile del 2008, il presidente di questa organizzazione cerca di supportare la sua denuncia con presunte prove che riescono solo a ridicolizzare il querelante. Per esempio: il 27 marzo 2008 l’emittente televisiva TC dell’Ecuador, filiale di RCN colombiana e poi la stessa RCN, hanno diffuso un video dove si vede Lucía Morett che indossa abiti militari e che riceve addestramento terrorista nello stesso campo delle FARC che fu attaccato il 1 marzo 2008. La registrazione però corrisponde al dicembre del 2007. E quindi Morett e gli altri messicani si sarebbero recati in varie occasioni ai campi delle FARC. Il video si può vedere qui:
Raccomandiamo al lettore la visione del video per farsi un’idea più chiara del livello di disinformazione e del montaggio propagandistico di stampo fascista che c’è dietro la campagna di El Yunque. E’ impossibile perfino per i periti più inesperti sull’argomento, confondere Lucía Morett con la persona indicata nella registrazione.
La CCPSPyJP segnala, nello steso documento che “nel suo viaggio di addestramento terroristico (sic), i 16 (messicani) avrebbero speso per lo meno 50 mila dollari, quantità di denaro fuori dalla portata di semplici studenti e sulla cui origine non è stata fatta chiarezza fino a questo momento”.
Così, senza dire secondo chi, o in che modo, si conclude che questa cifra fu spesa dagli studenti messicani. Questa cifra è stata inventata e diffusa sui mezzi di informazione di destra del paese.
Il suo documento conclude dicendo che: “Non c’è nessuno sforzo serio per superare il grave deficit di sicurezza del governo sul terrorismo. Il messaggio che tutto questo rimanda ai terroristi e alle altre persone fanatiche della violenza e della sovversione, è che lo Stato messicano è disposto a tollerare tutto, che sta in ginocchio davati a loro (sic) e davanti a questo invito a scatenare impunemente l’inferno , quale ammiratore messicano del Che o di Osama (sic) potrebbe resistere? Giudicate voi la stupidità del discorso yunquista.
E se non bastasse, il documento segnala che il governo messicano “invece di appoggiare la Colombia che si difende dal terrorismo e dall’aggressione esterna, mantiene una posizione secondo le necessità e gli interessi di Castro e Chávez (mentre questo ruba ai nostri compatrioti che investono in Venezuela)”
Merita essere preso in considerazione questo rabbioso proclama come denuncia penale seria e consistente? Tutto indica di no, ma sembra che alcuni settori della cancelleria e dell’apparato giuridico messicano, come coloro i quali che autorizzarono l’aggressivo interrogatorio della PGR a Lucía nell’Ospedale Militare di Quito, credono che questa propaganda di estrema destra sia sufficiente motivo per dare fondamento a una azione giuridica.
Qual’è l’obiettivo dell’estrema destra quando cerca di stravolgere il ruolo delle vittime messicane dell’attacco colombiano trasformandole in carnefici?
Sarà un pretesto per poter dare seguito definitivamente alla così detta Iniziativa Mérida di stampo statunitense? Che ruolo gioca in questo il governo narcoparamiliatre di Álvaro Uribe Vélez in Colombia?
Questo sì merita una indagine approfondita.
“Era otro Pancho Villa, era un loco que a nada le tenía miedo”, (era un altro Pancho Villa, era un pazzo che non aveva paura di niente)…, così hanno gridato i suoi compagni ai suoi funerali, mentre decine di trattori con la scritta “governo assassino” sfilavano insieme al suo feretro.
In Messico, Armando Villareal Martha, dirigente di Agrodinámica Nacional, era un leader stimato e seguito dai contadini del suo stato, Chihuahua, e dell’intero paese, ed era nello stesso tempo temuto dal governo federale per i suoi metodi radicali di lotta.
Le sue battaglie andavano dalla difesa dei diritti dei lavoratori del settore agricolo e zootecnico alle proteste contro l’approvazione dei capitoli più controversi del Trattato di Libero Commercio del Nord America (aveva guidato la marcia da Ciudad Juárez fino allo zócalo della capitale); da quelle contro le privatizzazioni del settore energetico, alle pressioni sul governo perchè rivedesse i prezzi, troppo elevati, delle tariffe elettriche dell’energia da utilizzare per le irrigazioni e quelli dei fertilizzanti e concimi, che in tre anni sono saliti da 3mila a 8mila pesos la tonnellata.
Si vocifera che stesse per pianificare l’occupazione totale della centrale petrolchimica della Pemex nella città di Camargo, inattiva da molti anni e in procinto di essere smantellata e svenduta per “dimostrare al paese lo spreco del sistema che vende attrezzature nuove e costosissime come ferro vecchio”. Già era successo qualche mese fa, quando più di 200 agricoltori, con alla testa Armando Villareal Martha avevano occupato alcune installazioni degli stabilimenti ormai chiusi, chiedendo al governo di riattivare l’impianto, che fino a pochi anni fa produceva fertilizzanti chimici e che adesso invece giungono ai contadini e produttori messicani dall’estero a prezzi troppo alti per le loro tasche. La sua era una lotta impari contro il neoliberismo che stava distruggendo il senso del lavoro e le esistenze dei suoi compagni di vita e di lotta e che aveva ridotto alla miseria e costretto all’emigrazione nei vicini Stati Uniti, centinaia di famiglie.
Non sono riusciti a zittirlo in tutto questo tempo con le minacce e nemmeno con il carcere ingiusto, ci sono riusciti il 14 marzo scorso, crivellando di colpi l’auto nella quale viaggiava nel municipio di Nuevo Casas Grandes nello stato di Chihuahua e che era guidata in quel momento dal figlio, solo miracolosamente rimasto illeso.
Racconta la gente del luogo che poche ore prima del suo omicidio, nella zona si era notata una grande presenza di polizia federale e che invece già poche ore dopo la sua morte, le squadre della Commissione Generale dell’Elettricità (CFE) stavano staccando la corrente dai pozzi agricoli di quella zona e di quelle circostanti. Armando Villareal Martha era stato già minacciato di morte varie volte in passato, mentre nel 2002 fu arrestato e si trovò a scontare un anno e mezzo di carcere, accusato di vari reati e delitti contro la sicurezza dello Stato, condanna che lo fece diventare a tutti gli effetti il primo prigioniero politico del governo di Vicente Fox.
Adesso i suoi compagni dicono che si è trattato di un crimine di Stato.
La democrazia messicana, dopo le ultime elezioni presidenziali del 2 luglio 2006, vinte per una manciata di voti e in modo poco chiaro da Felipe Calderón Hinojosa, del PAN (Partito di Azione Nazionale) attualmente poggia le sue fragilissime basi proprio su questo contestatissimo e assolutamente poco trasparente processo elettorale che ha lasciato il paese nel dubbio se considerare o meno l’attuale presidente legittimo o espurio (illegittimo).
Qualunque sia la legittimità o meno della presidenza di Felipe Calderón, attualmente il Messico è ben lontano dal poter essere considerato una democrazia.
Segnato da questa debolezza originaria, l’attuale governo ha rafforzato il suo potere e il consenso intorno al suo mandato, avvalendosi dell’appoggio incondizionato delle Forze Armate.
La nomina di Francisco Ramirez Acuña come ministro degli Interni, ne è la dimostrazione.
Sul suo capo pendono infatti circa 640 denunce per tortura e il suo operato quando era governatore dello stato di Jalisco, ha all’attivo centinaia di casi di sparizioni forzate, abuso dell’uso della forza e torture.
Tristemente famoso per la brutale repressione dei manifestanti che protestavano contro il vertice euroamericano del 2004, dove centinaia di giovani furono arrestati arbitrariamente, furono picchiati e subirono violenze di ogni tipo dai reparti di polizia che eseguivano i suoi ordini.
Il Messico sta lentamente tornando così al clima della guerra sucia che ha caratterizzato gli anni ‘70.
La Limeddh (Lega Messicana dei Diritti Umani) denuncia in un lungo e dettagliato informe dal titolo: — Criminalizzazione della protesta sociale, una vecchia nuova grande sfida del campo dei diritti umani -, che “i metodi oggi sono più sofisticati ma la sostanza è la stessa, reprimere sistematicamente le proteste sociali utilizzando tutti i metodi a disposizione. Ogni volta si fa sempre più difficile dimostrare le violazioni dei diritti umani dal momento che per metterle in pratica si ricorre alla scienza e alla tecnica; la criminalizzazione sociale contro le riforme giuridiche.”
L’11 settembre 2001
Questa data ha rappresentato a livello mondiale un evento limite per il quale, a partire da quel momento, nel nome della sicurezza tutto è diventato lecito.
E questo imperativo ha travalicato i confini degli Stati Uniti, cioè del paese direttamente interessato, finendo per stabilire un principio universalmente valido e cioè che l’uso della forza viene legittimato in situazioni particolarmente difficili e soprattutto quando manca la volontà politica di condurre trattative diplomatiche dei conflitti in corso.
La lotta contro il terrorismo è diventata, si legge nella relazione della Limeddh, “la principale arma giuridica e politica usata nella criminalizzazione delle proteste sociali e si articola attraverso una vasta gamma di mezzi e risorse che permettono violazioni dei diritti umani rispettando nello stesso momento le leggi interne degli Stati”.
Mentre a livello mondiale si assiste all’assoluta impunità dell’esercito statunitense anche di fronte alla Corte Penale Internazionale, i governi dei paesi del centro e sud America si vedono sollecitati da Washington a militarizzare fortemente la loro risposta interna ai problemi di sicurezza. In particolare in Messico, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato nell’ottobre del 2007, il bilancio di spesa di 1400 milioni di dollari da destinare nell’ambito del Plan México per le spese militari nella regione.
Sebbene tale sforzo sia destinato alla lotta al narcotraffico è evidente che un’estrema militarizzazione della sicurezza pubblica in un paese come il Messico già caratterizzato da un profondo conflitto sociale non può che avere come conseguenza una criminalizzazione estrema della protesta sociale e delle categorie sociali ad essa collegate che risultano essere anche e sempre le più deboli.
La perdita di consenso intorno all’operato del governo, unitamente alla richiesta da parte degli Stati Uniti di un maggiore impegno militare nella lotta al narcotraffico fa sì che vengano attuate nuove tipologie di repressione.
Gli apparati di sicurezza, lungi dall’assicurare tranquillità al paese, vengono sempre più spesso utilizzati per criminalizzare e perseguitare i cittadini.
Si registrano denunce sempre più frequenti da parte degli enti nazionali e internazionali, tra i quali la Limeddh (che è affiliata alla Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) e all’ Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) di sistematiche violazioni dei diritti umani verso tutti coloro che nei documenti degli apparati di sicurezza vengono indicati genericamente con il nome di “oppositori”, violazioni che vanno dalle semplici minacce alle percosse, per finire a casi documentati e accertati di torture, detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali e scomparse.
Si ricordano a titolo di esempio i gravi fatti avvenuti a Guadalajara nel 2004, a Michoacán nel 2005, a San Salvador Atenco nel maggio del 2006, a Mérida nel marzo 2007 durante l’incontro Calderón-Bush e per finire a Oaxaca nel 2006, in cui forze di sicurezza e di intelligence sono state utilizzate massivamente per reprimere le manifestazioni utilizzando metodi diversi come il “compiere provocazioni” e l’utilizzo di infiltrati.
Come negli anni della guerra sucia del passato, in Messico si sono registrati solo nel corso del 2007 tre casi di persone scomparse e cioè i due integranti dell’EPR (Ejercito Popoluar Revolucionario), Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez e Francisco Paredes della Fondazione Diego Lucero del quale non si hanno più notizie dal 4 ottobre scorso.
Oaxaca
Oaxaca ha rappresentato il momento in cui una situazione di repressione fino ad allora tenuta “sotto controllo” a livello nazionale, si è manifestata agli occhi del mondo in tutta la sua violenza, anche e sopratutto per la morte di Brad Will, il reporter di Indymedia ucciso da un poliziotto in abiti civili il 27 ottobre 2006.
La repressione a Oaxaca ha lasciato un saldo di 23 morti, numerosissimi feriti, più di 500 detenzioni arbitrarie e numerosi casi di tortura.
A Oaxaca possiamo dire che sono stati ripetutamente violati da parte della PFP (Polizia federale preventiva) i diritti umani di centinaia di persone in un contesto di assoluta mancanza di rispetto di ogni principio dello Stato di Diritto.
In tutti i casi registrati di detenzioni arbitrarie avvenute ad Oaxaca, per le quali si può legittimamente parlare di prigionieri e perseguitati politici, (molti di essi accusati di crimini comuni), esiste un denominatore comune, e cioè il fatto che i loro processi presentano gravi irregolarità commesse soprattutto dalla Magistratura e dall’Autorità giudiziaria.
Esistono inoltre forti indizi di mancanza di indipendenza del Potere Giuridico da quello Esecutivo.
La Riforma penale in Messico
“Dentro la legge è tutto permesso, al di fuori della legge niente”.
“Si attuerà con profondo rispetto dello Stato di Diritto”
Queste frasi ricorrono spesso nei discorsi dei politici e nei mezzi di comunicazione, la realtà è che si tratta di frasi vuote che mascherano una situazione costante di violazione dello Stato di Diritto.
“Oggi la legge nel nostro paese, permette la violazione dei diritti umani rispettando l’ambito giuridico” denunciano alla Limeddh.
Nel marzo del 2007 è stato presentato dall’Esecutivo al Congresso un pacchetto di riforme in materia penale , che sebbene contenga alcuni elementi positivi e di apertura sociale, rende molto più difficile la difesa dei diritti umani da parte delle associazioni preposte.
Alcune di queste riforme sono:
–La Legge sulla Criminalità Organizzata, creata con il pretesto di legiferare su una serie di azioni o fatti giuridici ma che in realtà può nasconde gravi insidie relativamente a violazioni dei diritti umani e criminalizzazione della protesta sociale.
–La Legge di Sicurezza Pubblica e Basi di Coordinazione in cui si trasferiscono ruoli di polizia all’esercito e con la quale sembra più facilitata la tortura e la creazione o la falsificazione di prove.
–La Legge sulla Polizia Federale Preventiva , che viola la Costituzione in quanto stabilisce che la persecuzione dei crimini è compito del Pubblico Ministero e conferisce poteri di Pubblico Ministero alla polizia giudiziaria che diventa pertanto una “super polizia” con poteri illimitati e integrata anche da elementi dell’Esercito.
–L’allargamento del concetto di flagranza e di urgenza, in virtù dei quali il Pubblico Ministero può detenere senza ordine preventivo di custodia cautelare.
–La riforma dell’articolo 20 della Costituzione che nega la libertà su cauzione a coloro che sono privi di precedenti penali e nonostante i delitti per i quali sono stati accusati non siano stati considerati gravi, su richiesta del Pubblico Ministero motivata dalla pericolosità sociale. In questi casi non è previsto il “recurso de amparo”( e cioè la possibilità da parte del cittadino di richiedere un ricorso quando esiste violazione dei suoi diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione).
José Luis Soberanes, presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha dichiarato relativamente alla riforma che così come è concepita “rappresenta un passo indietro in quanto contempla disposizioni che non tutelano le garanzie individuali dei messicani”.
Metodi e luoghi di repressione
Il fatto di essere il Messico uno Stato federale, fa sì che nonostante il paese abbia aderito alle convenzioni ONU e OEA in materia di rispetto dei diritti umani, in realtà nelle costituzioni politiche dei singoli stati esistono delle lacune che rendono difficile il controllo della situazione nel paese da parte degli enti preposti alla tutela dei diritti umani dei cittadini.
I crimini spesso vengono fabbricati e così anche le prove, gli avvocati o non ci sono o si corrompono.
La situazione carceraria nel paese è disastrosa, tanto che le carceri sono diventate delle vere e proprie “università del crimine” e il narcotraffico le ha trasformate in centrali di smercio e spaccio di stupefacenti.
La popolazione carceraria in Messico è composta per l’85% da giovani tra i 18 e i 25 anni con scarsi mezzi economici.
Per l’attiva e capillare presenza nel territorio dei movimenti a difesa dei diritti umani, si può affermare che non si registrano quasi più casi di esecuzioni extragiudiziarie, ma continuano e si fanno sempre più violente altre forme di repressione contro gli attivisti sociali.
Queste altre forme sono più subdole e di più difficile individuazione perchè di minor impatto mediatico e consistono prevalentemente nella fabbricazione di capi d’accusa e nella manipolazione degli atti giuridici.
La criminalità organizzata e il terrorismo rappresentano due categorie di capi d’accusa che ben si prestano ad essere utilizzati come forma repressiva contro gli attivisti sociali.
Si rende inoltre spesso difficile da parte di chi è vittima di abusi commessi dall’autorità giudiziaria il riconoscimento dei colpevoli, e quindi la denuncia, in quanto le violazioni sono commesse da agenti di polizia dal volto coperto o addirittura da civili che lavorano per le autorità, mentre gli stessi detenuti sono incappucciati. Si ricorre con sempre maggior frequenza inoltre alla pratica della “tortura scientifica” con la quale si cerca di lasciare meno tracce possibili.
Nonostante esista il Protocollo di Istanbul, documento redatto da un gruppo di lavoro dell’ONU nel 1999 con lo scopo di combattere la tortura nel mondo e che rappresenta uno strumento internazionale di controllo pur senza essere vincolante, il governo messicano, con l’accordo A/057/2003 della Procura della Repubblica (una versione rivista del Protocollo di Istanbul) ha stabilito le direttive istituzionali che devono essere seguite dai periti e dai medici legali forensi nella valutazione dei casi di tortura e/o maltrattamenti.
Ciò nonostante, per elaborare l’accordo, il governo di Vicente Fox ha utilizzato in qualità di specialisti, militari ed esperti di pubblica sicurezza che hanno redatto pertanto una versione mutilata e incompleta del protocollo di Istanbul soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto psicologico della tortura.
E’ interessante notare, sottolineano alla Limeddh, che dalla data in vigore dell’accordo A/057/2003 e cioè dal 18 agosto del 2003, nessun caso di tortura è stato registrato dai periti della Procura Generale della Repubblica nell’applicazione di detto documento, per cui paradossalmente possiamo affermare che in Messico il protocollo di Istanbul viene utilizzato per coprire o nascondere i casi di tortura.
Molti detenuti segnalano inoltre di essere stati arrestati senza che il Pubblico Ministero abbia mai emesso nessun ordine in tal senso, sebbene il mandato di arresto sia poi “miracolosamente” apparso in un momento successivo nei fascicoli del caso.
Le detenzioni senza mandato di arresto avvengono con la motivazione del “caso urgente” per cui possono essere attuate in qualsiasi momento o circostanza.
Altri metodi repressivi messi in atto consistono nel “seminare prove” quali ad esempio droga, armi o propaganda sovversiva nel corso delle operazioni di polizia con lo scopo di legittimare le detenzioni successive.
Alcune volte si utilizzano gli avvisi di comparizione per poter compiere detenzioni arbitrarie, la persona viene invitata a presentarsi per generici accertamenti in un posto di polizia dove poi viene immediatamente arrestata.
Casi più gravi di detenzioni arbitrarie riguardano quelli in cui le persone sono detenute in regime di arresti domiciliari presso case di sicurezza o stanze di alberghi dove, sebbene possano ricevere le visite degli avvocati e dei familiari, la loro limitazione della libertà non è tutelata da un giudice.
In tali luoghi sono stati documentati anche gravi casi di tortura.
Negli anni dal 1995 al 2000, soprattutto negli stati di Oaxaca, Guerrero e Distrito Federal, si è registrata una recrudescenza dell’utilizzo delle carceri clandestine e delle sparizioni forzate transitorie che hanno caratterizzato la repressione degli anni ’70.
I casi sono stati documentati e presentati alla magistratura in attesa che compia gli accertamenti anche se purtroppo ci sono poche speranze che si possano stabilire le responsabilità penali.
Attualmente sono sotto l’occhio vigile dei difensori dei diritti umani, i CEFERESOS, cioè i Centri federali di massima sicurezza, dove spesso vengono commessi abusi verso i detenuti che vanno dalla negazione del diritto di difesa, alla mancanza di riservatezza nel rapporto con i legali, (tanto che le conversazioni che i detenuti hanno con i loro avvocati vengono sistematicamente registrate nei parlatori), a trasferimenti che non avvengono nei termini di legge, tanto per citare i meno gravi e i più comuni.
Riguardo ai termini in cui debba avvenire un processo, nonostante esista una legge che stabilisce il periodo di un anno affinché il giudice emetta la sentenza, ci sono casi incontestabili di persone che hanno atteso vari anni prima di essere giudicati.
La repressione contro gli attivisti sociali, oltre che in campo giuridico e penale si manifesta anche nei rapporti lavorativi, personali e di studio.
Ci sono frequenti casi di persecuzioni sul lavoro, licenziamenti ingiustificati, retribuzioni ridotte e gli studenti segnalano la presenza di gruppi di scontro (porros) cioè di provocatori finanziati e promossi dalle autorità, sanzioni amministrative o accademiche, sospensione o espulsione dalle attività didattiche.
Gli attori della criminalizzazione della protesta sociale
Il Pubblico Ministero
Un capitolo a parte nella relazione presentata dalla Limeddh riguardo alla criminalizzazione della protesta sociale spetta alla la figura del Pubblico Ministero.
Questa come viene intesa in Messico e con i poteri che ha in questo paese, viene definita dalla stessa Lega come la figura “che rompe con le regole elementari di ogni giusto processo, che possiede il monopolio della persecuzione e dei diritti e l’esercizio dell’azione penale, senza sospensione giuridica”.
In Messico l’80% delle denunce di violazione dei diritti umani riguarda l’operato del Pubblico Ministero.
La riforma dell’articolo 16 del Codice Penale attualmente in vigore, stabilisce il principio di quasi flagranza o flagranza equiparata.
Questo particolare modo di intendere la flagranza limita il concetto di presunzione di innocenza stabilito in quasi tutti i trattati internazionali ratificati dal Messico.
Anche nella riforma dell’art. 20 con la quale il Pubblico Ministero può negare la libertà su cauzione a quelle persone prive di precedenti penali accusate di reati non gravi, inserendoli nella categoria generica di delinquenti socialmente pericolosi, si può ravvisare un agire che potrebbe permettere giudizi sommari e la criminalizzazione degli attivisti sociali.
Come già testimoniato dal relatore dell’ONU per l’indipendenza della magistratura, in Messico esiste una diffusa corruzione nel potere giuridico.
Mentre gli attivisti e i lottatori sociali vengono condannati con pene altissime per reati comuni, gli agenti dello stato che torturano fino alla morte vengono condannati solo per omicidio colposo senza considerare il reato di tortura.
Inoltre è stato dimostrato nel tempo che l’applicazione di pene detentive più severe, in alcuni casi sono state infatti emesse sentenze che prevedevano una detenzione fino a 100 anni di carcere, successivamente ribassata a 40 anni, invece che essere un deterrente contro il crimine, rendono la criminalità ancora più violenta.
Il potere giudiziario in Messico ha creato una gran quantità di precedenti giuridici in cui viene legittimata la violazione dei diritti umani, questo fa sì che si inneschi una spirale di repressione e violenza dalla quale è sempre più difficile venire fuori mentre nel contempo l’esercito è stato autorizzato a svolgere sempre più spesso funzioni di polizia .
Gli enti pubblici di difesa dei diritti umani
Il principale problema consiste nel fatto che le organizzazioni in difesa dei diritti umani eludono le loro responsabilità argomentando il fatto che il loro compito consiste esclusivamente nel fornire linee guida che inevitabilmente non vengono attese e cadono nel mare dell’impunità.
Il principale ente pubblico preposto alla difesa dei diritti umani, diventato una vera e propria istituzione pubblica nel 1999 è la Commissione Nazionale dei Diritti Umani , nata nel 1990 sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari e riconosciuta nella costituzione del paese nel 1992.
Il suo compito è quello di indagare su violazioni dei diritti umani nei quali sia accertata o anche solo presunta la responsabilità o la complicità di autorità pubbliche.
La CNDH però può solo formulare raccomandazioni agli enti preposti che purtroppo non hanno carattere vincolante. Può anche sporgere denunce alle autorità preposte.
Una delle più grosse difficoltà nel lavoro svolto dalla CNDH è rappresentata dall’impossibilità di avere accesso a tutti i casi di violazioni dei diritti umani che si registrano a livello nazionale, tanto che spesso si dichiara incompetente a dare risposta a molte situazioni.
Si dovrebbe pertanto, raccomandano alla Limeddh, realizzare un lavoro congiunto tra le varie associazioni rappresentative dei diversi settori della società per poter monitorare interamente la realtà del paese e determinare così l’operato della CNDH.
Queste sono le linee guida che andrebbero tenute, tenendo presente che, per gli errori che vengono commessi e per le limitazioni, la gente non ha molta fiducia nel lavoro della CNDH:
- Il ruolo del Difensore del Popolo è molto importante e andrebbe rivalutato, egli deve far fronte alle richieste nel minor tempo possibile e in nessun modo deve legittimare lo Stato.
- Il consiglio direttivo della CNDH dovrebbe avere una partecipazione attiva maggiore e dovrebbe poter lavorare congiuntamente con le ONG e le organizzazioni in difesa dei diritti umani
- Andrebbero migliorate e incrementate le leggi in difesa dei diritti umani
- Dovrebbe essere mantenuto un contatto costante con le vittime. Una stretta vigilanza sull’attuazione delle raccomandazioni dell’ONU e dell’OEA non dovrebbe essere compito delle vittime ma piuttosto un impegno costante della CNDH.
- Riguardo alle raccomandazioni della CNDH, le sanzioni in caso di inadempienza dovrebbero essere più severe, dal momento che la loro inadeguatezza ai crimini commessi favorisce l’impunità. Nel caso di violazioni commesse direttamente da militari i rapporti dei casi relativi dovrebbero essere inviati direttamente al Presidente della Repubblica come capo supremo delle Forze Armate.
- Rafforzare l’operato della CNDH ed eliminare gli ostacoli amministrativi secondo quanto raccomandato dall’articolo 4 della Legge della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Già durante il governo di Vicente Fox si ebbero dei cambiamenti importanti nelle istituzioni responsabili della sicurezza nazionale nel paese. In particolare Il CISEN (Centro de Investigaciones y Seguridad Nacional) si trasformò in un apparato di sicurezza e di intelligence e le funzioni specifiche dei suoi uomini adesso sono svolte dalla Polizia Federale Preventiva. Gli archivi precedenti al 1985 inoltre sono aperti al pubblico ma sotto vigilanza stretta di uomini del CISEN.
Nonostante la CNDH abbia emesso nel 2001 la raccomandazione n. 26 sulle persone scomparse e sia stata creata dal governo Fox un tribunale speciale, è un dato di fatto che ad oggi non è stata avviata nessuna azione penale e lo stesso tribunale si è dichiarato incompetente in alcuni casi in cui erano coinvolti militari nella violazione dei diritti umani contro la popolazione civile.
Purtroppo queste istituzioni che nei fatti legittimano l’impunità dei responsabili nei crimini di lesa umanità, non fanno altro che applicare nuove versioni, più moderne, delle leggi di punto finale.
Lo stesso Vicente Fox il 2 dicembre del 2000 ha firmato l’Accordo di Cooperazione Tecnica tra il governo del Messico e l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani che ha tra gli altri, il fine della creazione di un Programma Nazionale per i Diritti Umani. Questo importante strumento purtroppo ha dimostrato essere lacunoso sotto molti aspetti e ha incontrato nella realizzazione del progetto una gran quantità di ostacoli, dovuti principalmente al fatto che la politica del governo non ha assunto come compito principale la difesa dei diritti umani, anzi molti passi indietro purtroppo sono stati fatti in tal senso, come per esempio la cancellazione della segreteria dei Diritti Umani nella Cancelleria. La realizzazione del Programma Nazionale invece non è stata minimamente presa in considerazione dall’attuale presidente Felipe Calderón.
La prevenzione
La prevenzione dovrebbe realizzarsi partendo da una adeguata interpretazione dei fatti sociali, che non sono fenomeni imprevisti , ma al contrario rispondono a leggi determinate.
Uno degli aspetti importanti è quello che riguarda la spesa pubblica.
“Dimmi come spendi e ti dirò cosa realmente vuoi per il tuo popolo”.
In materia di sicurezza pubblica, in Messico le spese maggiori vengono sostenute per l’equipaggiamento delle forze di polizia e per le loro attrezzature, trascurando la spesa necessaria per la sicurezza e la protezione civile, atteggiamento che pertanto lascia il popolo indifeso di fronte a gravi catastrofi e disastri naturali e senza gli strumenti necessari per far fronte alle emergenze.
L’altro aspetto fondamentale nel campo della prevenzione riguarda la possibilità di poter presentare le denunce di gravi violazioni dei Diritti Umani presso la Corte Penale Internazionale e la Giurisdizione Universale dal momento che l’occhio vigile e la condanna della comunità internazionale aprono spesso importanti fronti di lotta contro l’impunità.
Mary Robinson, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, ricordava spesso la necessità di prevenzione e la messa in pratica di azioni urgenti per evitare che situazioni a rischio degenerino.
La Limeddh è fortemente impegnata nell’ambito della prevenzione delle violazioni dei diritti umani, intensificando la formazione di personale e reti locali in quelle regioni più colpite dalla violenza, orientare il lavoro educativo della popolazione relativamente alle violazioni dei diritti umani più frequenti e studiando i meccanismi giuridici che favorisco l’impunità.
Tuttavia il primo passo consiste nel riscattare la memoria storica e nel sistematizzare i dati, lavoro che può essere compiuto sia ampliando la capacità di dar seguito al maggior numero possibile di denunce, sia approntando sistemi di registrazione comuni in tutto il paese, creando gruppi di lavoro a livello nazionale e individuando vuoti e carenze legislative che possano favorire la violazione dei diritti umani.
E’ necessario inoltre che il Potere Legislativo diventi un organo di controllo e vigilanza sempre più efficace e che sia uno strumento di garanzia dell’impegno del Messico di fronte alle raccomandazioni della comunità internazionale, in accordo alla Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, approvata dal Senato nel 1972.
E’ urgente inoltre una più stretta collaborazione tra le diverse ONG operanti sul territorio e le varie organizzazioni politiche e sociali, collaborazione, che senza nulla togliere al carattere fondamentale di neutralità e indipendenza delle ONG, riesca a fornire strumenti importanti alla popolazione affinché le richieste della società siano accolte con dovizia di mezzi e competenza.
Il ruolo della politica
La Limeddh crede che attualmente lo Stato di Diritto in Messico permette la continua violazione dei diritti umani nel “rispetto della legge”.
Per questo motivo sarebbe necessario:
- approntare una politica pubblica che si rifaccia completamente al rispetto della Giurisdizione Internazionale dei Diritti Umani.
- eliminare le clausole con riserva e le dichiarazioni che danno adito a interpretazioni nei trattati.
- armonizzare la legislazione nazionale e statale secondo la Giurisdizione Internazionale dei Diritti Umani
- creare leggi che rendano attuabili gli altri diritti economici, sociali e culturali.
Sarebbero auspicabili inoltre tutta una serie di iniziative politiche che vadano dallo sviluppo costante di forme di democrazia partecipativa (il plebiscito, il referendum, la consultazione pubblica) alla promozione di un’ Amnistia per tutti i prigionieri politici e di coscienza del paese, alla verifica delle nuove riforme penali, alla possibilità di rinvigorire la pressione giuridica e le sanzioni sui delitti commessi dai servitori dello Stato, all’accettazione incondizionata da parte del Governo del Messico alla Corte Penale Internazionale, tra le altre proposte.
Infatti bisogna ricordare che nel 2002 il Senato della Repubblica ha approvato la riforma all’articolo 21 della Costituzione secondo la quale il Potere Esecutivo può riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale caso per caso e con l’avallo del Senato, nonostante il 7 settembre del 2000 sia stato firmato lo Statuto di Roma da parte del Governo Messicano.
La Colazione Messicana per la Corte Penale Internazionale ha manifestato la sua preoccupazione per la messa in atto di questa grave limitazione che potrebbe in alcune occasioni ostruire il lavoro della CPI.
Piano d’azione
1) Laboratori permanenti con il proposito di scambiare esperienze e mettere in pratica le proposte di un’Agenda Nazionale.
2) Un’ Agenda Comune di azioni e attività rivolte all’opinione pubblica, soprattutto in concomitanza di eventi importanti o date commemorative.
La legge di Amnistia
In questo particolare momento di gravità della situazione, relativamente ai diritti umani nel paese e soprattutto per la risposta forte del popolo, si può osservare che il governo si vede costretto a riconoscere l’esistenza di prigionieri politici e di coscienza e a favorire i ricorsi presentati dalla Limeddh tra le altre associazioni, che possono creare strumenti giudiziari tali da poter mettere in atto misure veloci per ottenere la loro liberazione.
La Legge di Amnistia, riconoscendo l’esistenza di prigionieri politici rappresenta un potente mezzo di distensione nei conflitti sociali e nei casi di negazione dello Stato di Diritto, cosa che propizia la formazione di gruppi ribelli che non vedono altra forma che la belligeranza per far valere i proprio diritti.
La Limeddh tiene a precisare che sebbene la richiesta di un’amnistia viene da diversi settori della popolazione e da varie organizzazioni sociali anche in riconoscimento del valore e dell’apporto sociale del lavoro degli attivisti, questa mai diventerà un modo per confermare l’impunità di coloro che si sono macchiati di gravi crimini contro l’umanità. In nessun modo si potranno accettare nuovamente le leggi della dimenticanza e del punto finale che tanti danni hanno causato ai popoli quando sono state applicate.
“Si ricorda che le violazioni gravi dei diritti umani, come le esecuzioni extragiudiziarie, la sparizione forzata, la tortura e i crimini di guerra sono delitti di lesa umanità, cioè violano l’umanità nel suo insieme, e in accordo alla Giurisdizione Internazionale de Diritti Umani e al Diritto Internazionale Umanitario essi sono imprescrittibili e di competenza universale”.
I delitti contro l’umanità pertanto non sono amnistiabili, né si può invocare per essi l’immunità politica, non si può concedere asilo e sono imprescrittibili.
Molti detenuti si rifiutano di beneficiare di un’amnistia in quanto erroneamente credono che questa significhi un’ammissione di colpevolezza o un pentimento per aver commesso il reato.
Bisogna inoltre ricordare che il governo del Messico non ha ratificato il Protocollo della convenzione di Ginevra, in cui si stabiliscono le norme internazionali in casi di conflitto armato interno al paese. In questi casi, gli scontri tra forze insorgenti ed esercito non vengono assimilati ad azioni di guerra e quindi i belligeranti vengono considerati come delinquenti comuni o terroristi, non riconoscendogli le motivazioni politiche dei loro atti.
Inoltre è urgente che la legge d’Amnistia possa avere sostegno in una commissione apposita detta Commissione d’Amnistia , che dovrebbe essere formata dalla Camera dei Deputati, dall’Esecutivo e dalle ONG per vigilare sulla sua applicazione, dal momento che le istituzioni pubbliche per la difesa dei diritti umani non hanno competenze sufficienti in materia giuridica e la difesa d’ufficio non garantisce il diritto alla difesa e al giusto processo.
Strumenti
- Rapporto annuale della situazione degli attivisti sociali e politici
Verrà realizzato un rapporto annuale nel quale verranno esaminati, caso per caso, le situazioni in cui sono coinvolti gli attivisti sociali e politici, differenziandoli a seconda se siano prigionieri di coscienza ( perseguitati per le loro idee) prigionieri politici (legati a gruppi armati contro il governo), quelli relazionati indirettamente alla politica e quelli accusati ingiustamente.
Verranno inoltre visitate le carceri che si trovano negli stati a rischio più elevato, come quelli del Chiapas, Guerrero e Oaxaca. E’ necessario per svolgere questo lavoro che comunque ci sia una coordinazione con le organizzazioni dei vari stati della Repubblica.
- Osservatorio Nazionale delle Carceri
Prendendo spunto dall’operato e dalle metodologie dell’ Osservatorio Internazionale delle Carceri, verranno monitorate le condizioni carcerarie del paese rispetto ai servizi e alle condizioni di detenzione dei prigionieri.
I prigionieri politici e di coscienza sono divisi in diverse categorie: prigionieri politici e di coscienza, prigionieri per motivi politici, ostaggi politici, perseguitati politici e di coscienza.
Inoltre le violazioni dei diritti umani riguardano anche i numerosi prigionieri in carcere accusati di aver commesso crimini comuni,
Vanno inoltre considerate per la gravità e importanza dei casi, le detenute migranti, i detenuti minorenni, le donne con bambini, le indigene e i pazienti malati mentalmente.
Sono oggetto di studio anche le varie forme di repressione lavorative o sindacali o contro gli studenti.
Verrà stilato un rapporto annuale sulla situazione dei prigionieri politici e di coscienza del paese e tramite dei corsi di formazione formare personale specializzato che possa seguire i casi e le necessità e i bisogni dei familiari dei detenuti, nonché deglii stessi.
Observatorio Nacional de Prisiones : onpmexicogmailcom
Ha lo scopo di creare un fondo economico di supporto alle vittime e finanziare reti di servizi volti alla protezione, alle esigenze sanitarie, scolastiche e abitative delle vittime di repressione.
- Il Giudizio Popolare Nazionale e il fronte Nazionale Contro la Repressione.
Questi due spazi sono uno sforzo congiunto a livello politico in difesa delle organizzazioni e dei soggetti che hanno subito repressione.
Questi spazi permettono di avvicinare gli obiettivi e monitorare i casi di organizzazioni che sono a rischio di violazione di diritti umani.
L’obiettivo del Giudizio Popolare Nazionale è lavorare dalla base con le persone che sono state vittime di violazione dei diritti umanai e con le loro organizzazioni e fare in modo che nessuno dimentichi il passato
Sono numerosissimi i casi di sparizione forzata, tortura ed esecuzioni extragiudiziarie che si sono registrate in Messico soprattutto intorno alla decade degli anni’ 70. Sebbene negli anni successivi il loro numero sia andato progressivamente riducendosi, tali pratiche purtroppo sono messe in atto ancora oggi, soprattutto nei tra stati già citati di Guerrero, Oaxaca e Chiapas.
Tutti i casi registrati fino a questo momento sono oggetto di studio e investigazione da parte delle varie associazioni dei Familiari di Detenuti Scomparsi, delle ONG, e di persone singole.
Questo studio ha il nome di Progetto Nunca Más.
Il 30 agosto del 2000 furono arrestati i generali Mario Arturo Acosta Chaparro e Francesco Quieroz Hermosillo, con l’accusa di traffico di stupefacenti, associazione a delinquere e corruzione.
Entrambi i generali inoltre sono stati accusati di aver commesso delitti di lesa umanità come la tortura, sparizione forzata, ed esecuzioni extragiudiziarie negli anni ’70 contro gli oppositori politici e i gruppi insorgenti.
Mario Arturo Acosta Chaparro inoltre è accusato di aver preso parte al massacro di Aguas Blancas quando nel 1995 circa duecento uomini della polizia comandati dal maggiore Manuel Moreno Gonzales, uccisero in un’imboscata dei contadini membri dell’Organizzazione Contadina della Sierra del Sud (OCSS) che in quei giorni erano in rivolta per con il governo dello stato di Guerrero.
In quella che si dimostrò successivamente essere stata una vera e propria operazione pianificata a tavolino contro i contadini, morirono 17 persone, 23 furono i feriti e molte altre furono detenute e torturate.
La detenzione di questi due generali ha aperto la possibilità pertanto che possano essere giudicati per questi gravi delitti di lesa umanità, e le associazioni dei familiari degli scomparsi nonché le organizzazioni dei diritti umani hanno raccolto così tanta documentazione da stabilire con certezza la loro responsabilità nei delitti di lesa umanità, mentre la CNDH ha emesso la raccomandazione relativa ed è stato creato il tribunale speciale.
Tuttavia, le leggi messicane prevedono la prescrizione per i delitti di omicidio e tortura, ed inoltre non è previsto il delitto di sparizione forzata ma è contemplato solo quello di privazione illegale della libertà come modalità di sequestro. Questo fatto purtroppo favorisce l’impunità.
Sia l’Associazione delle Famiglie dei Detenuti Scomparsi e Vittime di Violazioni dei Diritti Umani in Messico (FADEM) , che la Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (LIMEDDH) organizzazioni con 18 anni di esperienza, stanno portando avanti un progetto complesso in sinergia con volontari, familiari delle vittime, amici e ONG per lo studio, la classificazione e il recupero dei dati riguardanti i casi violazione dei diritti umani registrati in Messico dagli anni ’70 ad oggi.
Il progetto Nunca Más ha la finalità di fare pressioni anche sul sistema legislativo affinché reati come la sparizione forzata, la tortura e il genocidio diventino imprescrittibili.
Annalisa Melandri
(in collaborazione con la Limeddh – Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani)
[1] Carlos Fazio La democrazia en Pie de Guerra de Calderón La Jornada 17/12/2007 http://www.jornada.unam.mx/2007/12/17/index.php?section=opinion&article=019a2pol
[2] Devoto-Oli vocabolario della lingua italiana 2008 Le Monnier , pag.112
Domenica 18 novembre si è tenuta nello Zócalo di Città del Messico la terza assemblea della Convenzione Nazionale Democratica, il movimento popolare che fa riferimento alla figura di Andrés Manuel López Obrador e lo riconosce come “presidente legittimo” del Messico fin dalle elezioni del 2 luglio 2006 “vinte” por fraude dal presidente espurio (illegittimo) Felipe Calderón.
In uno zócalo gremito di gente, AMLO, celebrando un anno di “presidenza legittima”, ha tenuto un discorso nel quale oltre a confermare il carattere di movimento partecipativo della Convenzione Nazionale Democratica, della quale egli è il leader indiscusso e amato, parla della costruzione “dal basso e con la gente” di una nuova Repubblica “dove le cose importanti sono la felicità e il benessere del popolo e dove non domini il denaro sulla dignità dei messicani”.
La parte più importante e cruciale del suo discorso è stata comunque quella nella quale ha affrontato il tema dell’energia condannando duramente le intenzioni dell’attuale governo di privatizzare la Pemex, azienda petrolifera di stato.
Manuel Lopez Obrador ha chiamato il popolo messicano a difendere le sue risorse energetiche, svendute dall’attuale governo che agisce esclusivamente nell’interesse del Fondo Monetario Internazionale, ai capitali stranieri.
Toni accesi, senza mezzi termini, che richiamano quelle di altri leader e presidenti latinoamericani che stanno lavorando duramente perchè intere nazioni riconquistino dignità nazionale e padronanza sulle proprie risorse.
Cosa sarebbe stato il Messico senza il fraude? Senza quell’offesa collettiva che ha tolto a migliaia di messicani la possibilità di riacquistare dignità?
Difficile dirlo, un grande paese, un grande popolo che non merita l’attuale governo ma che forse ha bisogno di organizzare le sue forze.
Ed è questo il compito della Convenzione Nazionale Democratica, “in modo pacifico, senza violenza, ma con molta fermezza”.
AMLO per molti rappresenta una speranza, l’uomo della strada che percorre a piedi il paese, con la Costituzione in mano, stato dopo stato, come fece molto prima di lui Benito Juarez, il benemérito de las Américas, detto il “presidente errante” che governò il Messico dal 1858 al 1872, anno della sua morte.
…
Il tradimento di mettere nella mani degli stranieri il patrimonio del popolo e della nazione.
Manuel López Obrador ha ricordato al “suo” Messico il presidente Lázaro Cardenas del Río che il 18 marzo 1938 informò il popolo della sua decisione di espropriare le ricchezze petrolifere del suo paese, allora in mano alle compagnie straniere, nazionalizzandole, e in effetti il discorso di AMLO ricorda molto da vicino il testo del messaggio di Lázaro Cardenas con il quale comunicava la sua decisione al popolo.
“Con la cosiddetta riforma energetica, pretendono portare a termine la privatizzazione dell’industria elettrica e quello a cui più ambiscono: appropriarsi del petrolio, che è proprietà del popolo e della nazione”, ha detto Manuel López Obrador.
“Ciò che a loro importa”, ha aggiunto “è vendere sempre più prodotto grezzo all’estero, tralasciando l’esplorazione dei giacimenti petroliferi e in particolare trascurando la raffineria e l’industria petrolchimica. E nello stesso modo stanno facendo con il gas.”
“Il governo espurio ha intrapreso un’offensiva contro la Pemex , dicendo che perde denaro e che non ha risorse né tecnologia a disposizione.”
Questo è falso, afferma AMLO, ricordando che Pemex è l’impresa più redditizia del paese e la seconda compagnia petrolifera con maggior flusso di effettivo nel mondo.
AMLO e la Convenzione Nazionale Democratica hanno pertanto proposto la costituzione di una Commissione Coordinatrice per la Difesa del Petrolio, incaricata di promuovere ed organizzare le campagne pacifiche di difesa della risorsa nazionale dal tentativo dell’attuale governo di svenderla ai capitali esteri. In tal senso, segretari e tecnici del governo legittimo, che procede sempre più incisivamente ma parallelamente a quello di Felipe Calderón, stanno preparando proposte e programmi.
La campagna di informazione nazionale per la difesa del petrolio sarà portata avanti, “paese per paese, rione per rione, quartiere per quartiere, casa per casa” e contemporaneamente verranno approntate azioni di rivolta civile pacifica che impediranno qualsiasi tentativo di riforma in materia energetica. Le azioni dovranno comunque essere sempre caratterizzate da tre principi fondamentali: la non violenza, il non arrecare danni a terzi e la messa in pratica di misure efficaci che abbiano realmente il proposito di mantenere il petrolio sotto il controllo della nazione.
…
La provocazione della Chiesa
Domenica nello Zócalo inoltre sono state denunciate gravi inadempienze relative alla politica di privatizzazione dell’energia, le quali, insieme alle sottrazioni di fondi pubblici da parte del PRI che erano stati destinati alle opere di ingegneria idraulica, hanno causato la recente tragedia dell’inondazione nello stato di Tabasco, irregolarità per le quali è stata presentata denuncia penale contro i responsabili.
La Convenzione Nazionale Democratica si è unita inoltre al nuovo Fronte Nazionale contro la Repressione promosso dalla senatrice Rosario Ibarra de Piedra, ed è stato proprio durante il discorso della senatrice, che è anche Presidente della Commissione dei Diritti Umani in Senato, che ha preso il via quella che da molti è stata definita una vera e propria provocazione da parte della Chiesa messicana. Dalla cattedrale infatti, per ben 1o minuti sono state fatte suonare con vigore le campane in modo tale da coprire del tutto la voce di doña Rosario.
In altre occasioni, nella cattedrale dello Zócalo, contemporaneamente simbolo del potere coloniale ed ecclesiastico, la funzione domenicale era stata sospesa per il contemporaneo svolgersi di altre manifestazioni. In questo particolare periodo invece profonda è la frattura tra i vertici ecclesiastici e il movimento che ruota intorno a Manuel López Obrador. Da un lato perchè le gerarchie ecclesiastiche sono di fatto vicine al PAN, il Partido Acción Nacional attualmente al governo, dall’altro, e questo fa pensare a una sorta di ripicca, per l’uscita nelle sale, il 15 novembre, appena 5 giorni fa, del film Fraude, México 2006 del regista Mandoki. Il film è in realtà un documentario sulle elezioni del 2006 , e nonostante i tentativi di censura, in soli tre giorni di programmazione è stato visto da più di cento mila persone e nel quale si vede il cardinale Norberto Rivera, recentemente indagato dalla giustizia statunitense per la sua protezione a un prete pedofilo, benedicendo alcuni partecipanti a una cena tra i quali l’ex presidente Carlos Salinas de Gortari, (illegittimo, come Felipe Calderón) fautore del liberalismo più sfrenato e delle privatizzazioni e artefice del riavvicinamento con il Vaticano. Questo testimonierebbe in particolare la complicità degli alti vertici della Chiesa Cattolica con i personaggi più discussi della politica del paese e il suo coinvolgimento nel fraude elettorale del 2006.
Molti credono che quella partita dalla Cattedrale domenica in realtà sia stata una provocazione studiata a tavolino, vista anche l’assenza dalla messa del discusso cardinale Norberto Rivera.
Alcuni partecipanti all’Assemblea della CND, un numero esiguo in verità, raccogliendo la provocazione, hanno però fatto irruzione in chiesa chiedendo a gran voce che si rispettasse il discorso della senatrice.
Ne sono nati scontri con alcuni fedeli e la cattedrale è stata chiusa a tempo indeterminato.
Il rivoluzionario discorso, ma forse era proprio questo lo scopo, di Andrés Manuel López Obrador è stato messo in secondo piano, offuscato dal “pericolo anticlericale pejista”. (I pejistas sono i simpatizzanti di AMLO, detto anche El Peje).
Rosario Ibarra de Piedra è stata inoltre accusata dal presidente del Collegio di Avvocati Cattolici, Armando Martínez, di aver incitato alla violenza il gruppo che si è introdotto nella Cattedrale per aver pronunciato queste parole mentre non riusciva più a portare avanti il suo discorso a causa del frastuono delle campane: “non si sa se le campane suonino per gioia o per la presenza di tanta gente nella Convenzione Nazionale Democratica, bisognerebbe fare chiarezza su questo”.
Sebbene la direzione nazionale del PRD, Partido de la Revolución Democrática, di cui AMLO fa parte, si dissocia dal gesto di protesta di alcune persone, non appartenenti al PRD, che hanno fatto irruzione nella cattedrale, fa comunque notare la provocazione partita dalla gerarchia ecclesiastica di far suonare con veemenza le campane per più di 10 minuti durante un discorso pubblico. E’ stata inoltre criticata fortemente la decisione di far chiudere la chiesa a tempo indeterminato.
Quello che è certo è che quelle che si sentono qui suonare per dieci minuti con forza, sulla voce di Rosario Ibarra mentre parla di donne violate e di uomini scomparsi non sono certo le campane della pace, è un suono violento e rabbioso che dimostra soltanto l’arroganza del potere quando dal basso, il potere viene seriamente messo sotto accusa, ma che dimostra altresì la frattura profonda tra il popolo messicano e la Chiesa Cattolica sempre più lontana, sempre più chiusa nelle sue posizioni, sempre più intransigente.
L’appuntamento è per il 18 marzo 2008 in commemorazione del 70° anniversario dell’Espropriazione Petrolifera, sperando che questa volta le campane della cattedrale dello Zócalo siano un po’ più vicine ai messicani e un po’ più lontane dal cielo.
…
Il 28 agosto nel Club de Periodistas di Città del Messico si è tenuta la prima assemblea del Frente Nacional contra la Represión, (Fronte Nazionale Contro la Repressione) organizzata da moltissime associazioni civili tra cui il comitato EUREKA (per la Difesa dei Prigionieri, Perseguitati, Desaparecidos ed Esiliati Politici del Messico) fondato dalla senatrice Rosario Ibarra de Piedra (PT Partido del Trabajo) che presiede anche la Commissione Nazionale dei Diritti Umani in Senato.
Alla riunione hanno partecipato associazioni civili per la difesa dei diritti umani, la Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca, el Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra de San Salvador Ateneo, il Consejo para la Defensa de Los Derechos Humanos e la LIMEDDH tra gli altri.
La necessità di unire le forze e convocare un Fronte Nazionale contro la repressione si è fatta urgente in quanto ormai in Messico si sta assistendo ad una progressiva militarizzazione dello Stato e il governo federale già precedentemente con Fox e ora con l’attuale presidente Calderón sta portando avanti una politica di sistematica repressione di ogni manifestazione di protesta civile dei movimenti popolari, di cui Atenco e Oaxaca hanno rappresentato soltanto l’espressione più visibile e più internazionalmente conosciuta di quanto sta accadendo nel paese. Di fatto l’intolleranza e la repressione serpeggiano e il Messico sta lentamente scivolando verso una deriva di violenza che viene spesso mascherata dalla crociata contro il narcotraffico e la delinquenza intrapresa da Felipe Calderón , ma che in realtà colpisce sempre e comunque i contadini, gli indigeni, le donne e i più indifesi come sempre.
Particolarmente preoccupante è la situazione della violenza alle donne, vere e proprie vittime di un’espressione criminale “in uniforme”.
In Messico si dice che si sta assistendo ad un ritorno della “guerra sucia” degli anni 60/70, gli ultimi due casi di desaparecidos risalgono infatti appena a maggio di quest’anno e si tratta di Raymundo Rivera Bravo e Edmundo Reyes Amaya due militanti dell’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) scomparsi da Oaxaca.
La necessità quindi di unire le forze di tutte le espressioni di lotta civile organizzata che qui nel paese sono molteplici e diversissime fra loro (perché su vari fronti si compiono qui le violenze dei diritti umani), in un unico grande Frente Nacional Contra la Represión, dal carattere plurale e democratico.
Alla costituzione del Frente è stata chiamata a partecipare il comitato EUREKA fondato dalla storica militante Rosario Ibarra de Piedra, varie volte candidata al Premio Nobel per la Pace, candidata presidenziale in passato e attualmente senatrice e presidente della Commissione dei Diritti Umani in Senato, ma
soprattutto madre di Jesús Pietra Ibarra, scomparso nel 1974. Rosario Ibarra de Piedra da allora si dedica con energia e coraggio alla difesa delle cause civili e dei diritti dei prigionieri ed esiliati politici, contro la sparizione forzata e la tortura.
Il 28 agosto è una data importante per le madri messicane, si commemorano infatti i 29 anni dello storico sciopero della fame organizzato nel 1978 per chiedere la riapparizione in vita dei loro figli davanti alla Cattedrale nello Zócalo di Città del Messico. Allora si costituì, al grido di “vivos los dejamos, vivos los queremos!” (vivi li abbiamo lasciati e vivi li vogliamo!) il comitato Eureka e il primo Frente Contra la Represión che ottenne un’aministia per 1500 prigionieri politici e la riapparizione in vita di 148 desaparecidos.
Il nuovo Fronte che si è costituito invece il 28 agosto di quest’anno, propone:
- la libertà di tutti i prigionieri politici
- la riapparizione in vita di tutti i desaparecidos
- la cancellazione dei mandati di cattura e la fine della persecuzione degli attivisti sociali
- porre un freno alla militarizzazione crescente del paese e alla criminalizzazione delle proteste sociali
- un battaglia contro l’impunità e per la condanna dei responsabili della repressione e dei crimini contro il popolo
Il Fronte si propone pertanto di portare avanti denunce sistematiche contro l’operato dell’attuale governo di Felipe Calderón ed è opinione comune a tutte le organizzazioni che hanno preso parte all’assemblea che il suo è un governo illegittimo che cerca di governare il paese solo con l’uso della forza.
E’ stato entusiasmante percepire lo spirito rivoluzionario e l’ardente desiderio di giustizia che hanno animato la riunione, sentire la solidarietà tra i suoi partecipanti. Giovani, vecchi, donne e bambini, singoli individui e associazioni, rappresentanti di sindacati e di comunità indigene, ognuno con la sua storia e le sue proposte, tutte regolarmente annotate e registrate dagli organizzatori.
Tutti insieme per gridare NO – BASTA CON LA REPRESSIONE!
Ed è stato un grido unanime che si è levato varie volte nella sala del Club de Periodistas.
C’era il magistrato Roberto Laza Hernandez che ha posto la sua esperienza e quella di un nutrito gruppo di suoi collaboratori al servizio del Frente.
Un rappresentante di Sonora ha esposto il problema degli alloggi della città, mentre un rappresentante di un movimento sociale ha esposto il programma del suo gruppo per organizzare il 15 settembre il “controgrito”, opposto a quello del presidente “espurio”, perché ha spiegato, “il grito è stato dato originariamente e storicamente dal popolo messicano contro i dominatori”.
Si è alzata una donna che ha fatto notare come stia diventando sistematica e quindi “politica” la violenza sulle donne, indigene, contadine e prigioniere politiche.
Una donna di Atenco ha preso la parola e ha raccontato in un sentito intervento di come ringrazi Dio tutti i giorni perché “io e i miei figli siamo vivi, dopo quello che è successo l’anno scorso ad Atenco, spaventati ma vivi”. “Non riesco ad immaginare – ha aggiunto – il dolore di avere un figlio desaparecido”. Rosario Ibarra, al tavolo sul piccolo palco, visibilmente commossa, ha abbassato lo sguardo.
“Quello che ci da la forza –ha continuato– è sapere che noi di Atenco non siamo soli e mai ci siamo sentiti soli dopo quello che è successo”
“No están solos” , non siete soli, un grido si è alzato ancora in sala, ripetuto decine di volte.
Il Frente nacional serve anche a questo.
Serve a dar voce al compañero Manuel, 102 anni, ferroviere, che sebbene dica che la situazione non sia molto cambiata rispetto a quando lui era più giovane, mette a disposizione le sue energie.
Si raccolgono firme ed adesioni, ci si scambia inviti, indirizzi e numeri di telefono, c’è molto da fare e si appronta una fitta agenda di appuntamenti: la marcia dal El Ángel (il monumento all’Indipendenza, simbolo della città) fino allo Zócalo del 31 agosto al grido di “libertad para los presos politicos y aparición de los desaparecidos” (libertà per i prigionieri politici e apparizione degli scomparsi) e soprattutto la grande giornata commemorativa del 2 ottobre quando nell’anniversario della Strage di Tlatelolco verrà dato vita ufficialmente al Frente Nacional Contra la Represion.
Poco prima del termine dell’assemblea, è arrivata anche Elvira Arellano, di ritorno dall’udienza con il presidente Felipe Calderón, la quale ha rilasciato queste dichiarazioni alla stampa nazionale presente.
Invece la Senatrice Rosario Ibarra de Piedra per il blog annalisamelandri.it ha concesso questa intervista esclusiva.
L’arrivo di Flavio Sosa all’aeroporto di Oaxaca (foto La Jornada)
Il 15 agosto scorso, in seguito alle forti pressioni della comunità internazionale e delle associazioni per la difesa dei diritti umani, Flavio Sosa Villavicencio, leader dell’Assemblea Popolare di Popoli di Oaxaca (APPO) e suo fratello Horacio sono stati trasferiti dal penitenziario di massima sicurezza di Città del Messico al carcere regionale dello stato di Oaxaca.
I due fratelli Sosa si trovavano nel penitenziario del Altiplano dal 4 dicembre del 2006 quando furono arrestati “a sorpresa” dopo una conferenza stampa nella quale si assicurava che erano in corso trattative per risolvere il conflitto sociale allora in corso.
Il governo di Oaxaca ha diffuso un comunicato secondo il quale il trasferimento dei fratelli Sosa è avvenuto per accogliere le richieste dei loro familiari nonchè quelle della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Ciò nonostante è stata molto forte la pressione esercitata sulle autorità federali e statali da parte di tutta la comunità internazionale affinchè i due fratelli Sosa potessero essere giudicati in un carcere regionale.
Ieri, nella sua prima intervista (a La Jornada) rilasciata da quando si trova in carcere, Flavio Sosa ha fatto sapere che “se la lotta è per il cambiamento, allora vale la pena soffrire”.
“Io non negozierò nulla con il governatore Ulises Ruiz, non ho commesso nessun delitto e prima o poi uscirò dal carcere”.
Ha affermato inoltre che “lo Stato messicano ha lanciato una brutale repressione contro il popolo di Oaxaca. Ha torturato e imprigionato molte persone senza che avessero commesso nessun delitto. E in un caso inedito nella storia recente dello Stato, siamo stati condotti in prigioni di massima sicurezza dello Stato del Messico come Nayarit e Tamaulipas soltanto per aver alzato la voce”.
Alla domanda se valga la pena soffrire tanto per una causa, Flavio risponde sicuro: “certo che vale la pena, la mia famiglia e quelle di tanti altri hanno sofferto cose terribili, ma se la lotta è per il cambiamento, allora vale la pena soffrire.
Arrivo a Oaxaca alle 3 del mattino in autobus, 7 ore di viaggio da Città del Messico.
Domandiamo al tassista che ci sta accompagnando in albergo se la situazione sia tornata tranquilla dopo la violenta repressione di un anno fa della protesta civile dei maestri e del movimento sociale della APPO e dopo gli ultimi gravi episodi del 17 luglio di quest’anno, quando in occasione della festività della Guelaguetza popular sono state arrestate circa trenta persone e un uomo si trova tutt’ora in gravissime condizioni in ospedale. Come infastidito dalla domanda, a mezza bocca e a bassa voce ci dice che adesso la situazione è più tranquilla, che ci sono turisti e che “quelli della APPO sono tornati da dove sono venuti, erano venuti da fuori a creare problemi” dice.
Sembra non crederci nemmeno lui. Si intuisce che non e’ contento di parlare di quello che e’ successo e nei giorni successivi avrò modo di rendermi conto che questo è un sentimento abbastanza diffuso qui. La gente di Oaxaca prova imbarazzo e fastidio a raccontare quello che e’ sucesso a una turista occidentale. Loro che vivevano e vivono quasi esclusivamente di turismo soltanto adesso tirano un respiro di sollievo e vedono riprendere le loro attività. Mi rendo conto di come la criminalizzazione del movimento abbia raggiunto i risultati sperati.
La campagna che è stata portata avanti dal governo statale e che ha fatto passare i maestri della Sección 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione e gli appartenenti alla APPO come dei delinquenti violenti o peggio dei terroristi ha attecchito presso la popolazione, soprattutto fra coloro i quali hanno risentito maggiormente, in termini economici, delle conseguenza della protesta civile, e cioè gli operatori del turismo, i commercianti, i tassisti. Ci sono infatti, due anime distinte che convivono qui ad Oaxaca, coloro i quali condannano la APPO e il movimento sociale, i più vicini al governo panista, quelli che si sono lasciati maggiormente manipolare dalla campagna che ha dipinto il movimento sociale di Oaxaca come una fucina di violenza e terrorismo, e l’anima più popolare, quella indígena, che parlando per strada o nei negozi dice senza timore che “Ulises tiene que caer”, deve cadere. E come accade spesso, nel mezzo prendono posto gli indifferenti. “Ruiz está sordo” mi dice una vecchia contadina in un taxi colectivo, mentre l’autista le risponde “sono tutti uguali, basta che mi lascino lavorare”.
Il governatore di Oaxaca è sordo alle richieste dei settori più poveri dello stato che chiedono di poter disporre più autonomamente delle risorse naturali e soprattutto di beneficiarne e sordo alle richieste di maggior attenzione rispetto alle necesità primarie di educazione, salute, lavoro. Il popolo dello stato di Oaxaca non si sente rappresentato dal suo governo e questa forse è stata e continua ad essere, anche se portata avanti diversamente, la vera anima della protesta. Jessica Sánchez della LIMEDDH di Oaxaca, che incontro nel suo ufficio e che ringrazio per la disponibilità ed il tempo che mi ha dedicato, mi dice che paradossalmente è un bene che Ulises Ruiz sia ancora al suo posto, questo infatti sta permettendo a diversi settori della popolazione di organizzarsi e di approntare nuovi metodi e tappe di lotta. Forse è proprio questa la nuova consapevolezza e maturitá che si percepiscono adesso a Oaxaca.
Oaxaca e’ tranquilla e solare. Lo Zócalo risuona delle voci dei bambini, c’è la musica , la gente che passeggia o pranza sotto il porticato. Questa atmosfera deve essere ben diversa da quella che si respirava appena un anno fa. Vado al mercato Benito Juárez per la colazione, in uno dei tanti comedores. Mi lascio condurre da colori ed odori e mi sembra bellissimo. Torno in piazza, è in festa, oggi è domenica e molte persone giungono dai villaggi vicini. L’unico servizio di sicurezza è rappresentato da quattro donne della polizia municipale, che percorrono la piazza sorridendo, ogni tanto fermandosi in un angolo a chiacchierare con un collega che sembra un bambino. E’ come se la città intera abbia esorcizzato l’accaduto, lo abbia riimosso, molti addirittura ignorano i motivi degli ultimi scontri del 16 luglio e parlano di ciò che è avvenuto lo scorso anno come se si trattasse di qualcosa accaduto molto tempo prima e in un altro luogo. Oaxaca adesso ha bisogno di tempo, del suo tempo, per risorgere e trovare pace mentre la sua gente, a un prezzo molto alto, si sta lentamente riappropriando della sua coscienza civile.
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