Esiliati politici colombiani in Australia su Joaquín Becerra
2 — Con profundo respeto por el pueblo trabajador de Venezuela y por su sueño socialista, responsabilizamos al gobierno de la Republica Bolivariana de Venezuela, en cabeza de Hugo Chavez Frias de la violacion flagrante y descarada (eufemismo) del protocolo sobre el estatuto de los refugiados en su articulo 33.
3 — Al regimen politico Colombiano del Dr Juan Manuel Santos, solo le recordamos que pensar no es un delito. que buscar una nueva Colombia es un compromiso enorme que solo asumimos los revolucionarios, que jamas no van a silenciar; pues somos la voz del pueblo hambrieto, sin empleo, sin asistencia medica y sobre todo sin libertades democraticas.
4 — Llamamos al mundo entero a cerrar filas en defensa de los derechos de los refugiados. somos refugiados porque hacemos parte de la enorme turba de transplantados por la politica norteamericana y crecemos todos dias, por que hasta el ultimo premio nobel de la paz impulsa la guerra.
Presidente Cordinador General. Rosendo “Mano de Piedra ” Duran.
Secretario Informacion y Prensa . Luis Ernesto Almario “Maracaibo
The committee of Colombian political exiles in Australia, motivated by brazen capture of our colleague and journalist Joaquin Perez Becerra in Venezuela;
We tell the world:
1 — Article 33 of the Status of Refugees says: No state shall expel or return a person, in any manner whatsoever to the frontiers of their territories where the life or freedom would be threatened on account of race, religion, nationality membership of a particular social group or political opinion.
2 — With deep respect for the working people of Venezuela and its socialist dream, blame the head of the government of the Bolivarian Republic of Venezuela, Hugo Chavez Frias of the flagrant and blatant violation (understatement) of the Protocol on the Status of Refugees in article 33.
3 — To Colombian political regime of Juan Manuel Santos, just to remind you that thinking is not a crime, to seek a new Colombia is a huge commitment that only is assumed by the revolutionaries who are never going to be silence, as the voice of the people are hungry, jobless, without medical assistance
and especially without democratic freedoms.
4 — We call the world to close ranks in defense of the rights of refugees; we are refugees because we are part of the huge growing crowd created by USA politics, due to the fact that the last nobel peace prize boosts war.
President General Coordinator.
Rosendo “Mano de Piedra” Duran.
Information and Press Secretary
Luis Ernesto Almario “Maracaibo”
1961–2011: Cinquant’anni di Solidarietà e Rivoluzione
1961–2011 50° anniversario dell’invasione di Playa Giron e della fondazione dell’Ass.ne Naz.le di Amicizia Italia-Cuba
Il coordinamento regionale del Lazio dell’Ass.ne Naz.le di Amicizia ITALIA-CUBA
ORGANIZZA:
Cinquant’anni di Solidarietà e Rivoluzione.
c/o ARCI MALAFRONTE — Via Dei Monti di Pietralata, 16 ROMA
Venerdi 29 aprile 2011
17.30: inaugurazione Mostra fotografica dei quotidiani dell’epoca
18.30: Incontro dibattito con Milagros Carina Soto Aguero Ambasciatrice di Cuba
Alessandra Riccio Direttore Responsabile Rivista Latinoamerica
Luciano VasapolloDirettore della rivista NuestraAmerica e vicepresidente CIG x 5
Franco Forconi coordinatore regionale Italia-Cuba
Marco Papacci Italia-Cuba circolo di Roma
Sabato 30 aprile 2011
17.00: proiezione del documentario: Los 4 años que estremecieron el mundo (lingua originale)
incontro con: Vladimir Perez Casal Consigliere Politico dell’Ambasciata di Cuba a Roma
Luciano VasapolloDirettore della rivista NuestraAmerica e vicepresidente: CIG x 5
19.00: rinfresco e brindisi.
Info: 331 3774048 Marco 339 4605762 Franco
e-mail:href=“http://itmc290mailyahoocom/mc/compose?to=infoitaliacubanet“>infoitaliacubanet
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Gracias Chávez…
Lettera aperta a Hugo Chávez Frías, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela
Presidente Chávez, speriamo che il suo governo abbandoni queste pratiche così poco degne per la rivoluzione bolivariana che tanto difendiamo e che con orgoglio vogliamo continuare a difendere a testa alta,
27 aprile 2011
Lettera aperta al presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chávez Frías:
Signor Presidente,
Il 23 aprile scorso è stato arrestato all’aeroporto venezuelano di Maiquetía (Caracas) il cittadino svedese di origine colombiana, Joaquín PÉREZ BECERRA. Il comunicato ufficiale del governo da Lei presieduto afferma che questo giornalista, direttore dell’agenzia di notizie ANNCOL era «ricercato dalla giustizia colombiana, con una circolare rossa Interpol per i delitti di associazione a delinquere, finanziamento del terrorismo e amministrazione di fondi relativi ad attività terroriste.» Per cui si procedeva alla sua estradizione in Colombia.
All’improvviso, due giorni dopo, il 25 aprile, il presidente della Colombia ed ex ministro della Difesa, Juan Manuel Santos, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano El Tiempo di Bogotà, ha dichiarato quello che sembra essere la verità: «Sabato ho chiamato il presidente Chàvez e gli ho detto che un personaggio per noi molto importante appartenente alle FARC sarebbe arrivato in un volo della Lufthansa quel pomeriggio a Caracas e se lo poteva arrestare. Chávez non ha avuto esitazioni. Lo ha fatto arrestare e ce lo consegnerà.» (altro…)
Carta pública a Hugo Chávez Frías, presidente de la República Bolivariana de Venezuela
Abril 27 del 2011.
Carta pública a Hugo Chávez Frías, presidente de la República Bolivariana de Venezuela
Señor presidente:
Este 23 de abril fue detenido en el aeropuerto venezolano de Maiquetía el ciudadano sueco, de origen colombiano, Joaquín Pérez Becerra. El comunicado oficial del gobierno que Usted encabeza, dijo que este periodista, y director de la agencia de noticias ANNCOL, era “requerido por los órganos de justicia de la República de Colombia, a través de INTERPOL, con difusión roja, por la comisión de los delitos de concierto para delinquir, financiamiento del terrorismo y administración de recursos relacionados con actividades terroristas.” Por lo cual se dispondría su extradición a Colombia.
Sorprendentemente, dos días después, el 25 de abril, el presidente de Colombia y ex ministro de Defensa, Juan Manuel Santos, en declaraciones al diario El Tiempo de Bogotá, expresó: “el sábado llamé al presidente Chávez y le dije que un tipo muy importante para nosotros de las Farc llegaba en un vuelo de Lufthansa esa tarde a Caracas y que si lo podía detener. No titubeó. Lo mandó capturar y nos lo va a entregar.” (altro…)
Comunicados respecto a la detención de Joaquín Becerra
Campagna di solidarietà con Joaquín Pérez Becerra
Facciamo appello a tutti i Partiti rivoluzionari, organizzazioni popolari, giornalisti alternativi, attivisti dei diritti umani, internazionalisti e specialmente al popolo bolivariano del Venezuela perché non venga espulso in Colombia il giornalista Joaquín Pérez. Esprimiamo alle autorità venezuelane la condanna per l’arresto del giornalista, che mette in pericolo la sua vita e la sua sicurezza.
E’ importante che vengano inviate quante più mail possibile ai contatti ufficiali nelle pagine web del Governo venezuelano chiedendo espressamente che Joaquín Pérez Becerrra non venga espulso o estradato in Colombia.
Queste le pagine:
Governo del Venezuela: http://www.gobiernoenlinea.ve
Ministero del Potere Popolare per le relazioni interne e la Giustizia: http://www.gobiernoenlinea.ve
Ministero del Potere Popolare per le relazioni esterne: http://www.mppre.gob.ve//
Ministero del Potere Popolare per la Comunicazione e l’Informazione: http://www.mppre.gob.ve//
E poi anche ai profili twitter @chavezcandanga, @vencancilleria, @mincioficial e altri associati al Governo e si possono lasciare commenti al blog di Chávez: http://www.chavez.org.ve
La mail dell’ambasciata italiana a Roma è embaveitambaveneit (embaveitambaveneit) scrivere direttamente all’ambasciatore Luis Berroterán Acosta
Vi invitiamo inoltre ad aderire alla campagna di solidarietà con Joaquín Pérez Becerra inviando le adesioni a: libertadjoaquinperezhotmailcom (libertadjoaquinperezhotmailcom)
Appello della Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC) al comandante Chávez
Questo il testo del comunicato della ABC, Asociación Bolivariana de Comunicadores, fondata a Caracas nel 2009 e della quale faccio parte, al comandante Chávez rispetto alla detenzione di Joaquín Pérez Becerra, della quale è tra i membri fondatori. (AM)
La Asociación Bolivariana de Comunicadores (ABC), condanna profondamente la detenzione nel nostro paese dell’ operatore della comunicazione e membro fondatore della ABC, Joaquín Pérez Becerra e chiede al comandante Bolivariano Hugo Chávez Frías che annulli l’arresto e impedisca il trasferimento del giornalista in Colombia.
Compagno presidente, non ci sono motivi per cui si protragga la detenzione di Joaquín Pérez Becerra avvenuta ieri all’ aeroporto di Maiquetia in Venezuela. Joaquín non ha doppia cittadinanza, è cittadino svedese da quando, come perseguitato politico ha rinunciato alla nazionalità colombiana dieci anni fa. Pérez è entrato nel nostro paese con passaporto svedese, e quindi non può essere deportato in Colombia come vari mezzi di disinformazione stanno anticipando. Caso mai dovrebbe essere deportato in Svezia. Lo stesso avviene quando esiste un ordine di estradizione, il governo colombiano infatti sta richiedendo un cittadino svedese.
Come esiliato politico non può essere estradato in Colombia dal momento che il diritto internazionale rispetto al rifugio umanitario e all’asilo, stabilisce che nessuno può essere consegnato ad un paese dove la sua vita, la sua integrità fisica e la libertà sono in pericolo. Inoltre non può essere consegnato se non gli viene garantito il debito processo. E’ di dominuo pubblico che il direttore dell’agenzia ANNCOL è permanentemente e pubblicamente minacciato dal governo colombiano, nel gennaio dello scorso anno Joaquín Pérez e la direzione dell’Associazione Jaime Pardo Leal hanno sollecitato protezione al governo del primo ministro svedese, Fredrik Reinfeldt, viste le “costanti minacce ” del governo colombiano. (altro…)
El Tiempo mente sul presunto sostegno della sinistra tedesca al TLC con la Colombia
“La sinistra radicale appoggia il TLC con l’Europa, ma con riserva”, così titola il quotidiano colombiano El Tiempo rispetto alla posizione della sinistra tedesca sull’appoggio al TLC con la Colombia.
Proprio in questi giorni il presidente colombiano Manuel Santos si trova in Europa per approfondire relazioni economiche e politiche nel Vecchio Continente.
Secondo quanto riportato dal quotidiano colombiano, Gregor Gysi, presidente del gruppo parlamentare Die Linke avrebbe espresso al presidente Santos “che il suo partito ha ancora alcune perplessità rispetto all’appoggio alla firma del TLC della Colombia con l’Europa… e che il governo del Presidente Santos rappresenta la congiuntura ideale per porre fine alla problematica con le FARC.”.
Tuttavia, oggi gli stessi dirigenti del partito socialista tedesco (socialdemocratico e non comunista o estrema sinistra come scrive El Tiempo manipolando a proprio vantaggio perfino la posizione politica del partito tedesco) hanno smentito l’articolo del quotidiano colombiano ribadendo anche che Gregor Gysi aveva firmato in passato anche una mozione parlamentare contro l’applicazione del TLC con la Colombia.
In un comunicato stampa diffuso da Heike Hänsel, deputata del Die Link si legge che “il trattato di libero commercio dell’UE con la Colombia e il Perú non apporterà nessun contributo ai diritti umani e allo sviluppo, ma acutizzerà di più le tensioni sociali in Colombia, dichiara la portavoce del gruppo parlamentare della sinistra, Heike Hänsel, in merito alla visita di stato del presidente Juan Manuel Santos Calderón oggi a Berlino … Santos in Europa sta cercando in questo momento di approfondire le relazioni economiche sulla base del trattato di libero commercio neoliberale. Affari vantaggiosi per le grandi imprese europee e colombiane – ma che rappresentano la perdita della base della sopravvivenza per i piccoli contadini e le piccole e medie imprese colombiane. Questi aspetti del trattato di libero commercio che sta per essere ratificato, sono quelli temuti dalle organizzazioni sociali in Colombia, afferma Heike Hänsel”.
La situazione dei diritti umani in Colombia continua ad essere problematica, così il presidente Manuel Santos cerca di ripulire la sua immagine durante la sua visita attuale in Germania”, aggiunge Heike Hänsel. Le minacce di morte contro i membri di diverse organizzazioni di diritti umani e la loro criminalizzazione da parte dello Stato colombiano sono all’ordine del giorno.
“Die Link chiede al governo federale tedesco di far valere la propria influenza sul governo colombiano affinché invii segnali seri con lo scopo di dare inizio a un processo di pace con le FARC, dopo le ultime liberazioni unilaterali portate avanti dalla guerriglia”, continua la portavoce del gruppo parlamentare.
“In caso di entrata in vigore del trattato di libero commercio si istigherebbero ancora di più i conflitti per la terra. Die Link rifiuta il trattato di libero commercio ed esige un processo di ratifica amplio e democratico attraverso i parlamentari degli stati membri dell’Unione Europea” dichiara alla fine Heike Hänsel.
Il trattato di libero commercio con la Colombia che fa parte della proposta più ampia del TLC tra l’Unione Europea e la Colombia, è stato contestato in Europa e in America latina da gruppi parlamentari e da associazioni e movimenti sociali sopra tutto per la grave situazione delle violazioni dei diritti umani in Colombia e per le considerazioni secondo le quali questi accordi favoriscono la concentrazione delle risorse naturali dei paesi in mano alle multinazionali straniere.
Patria es Solidaridad, desde Venezuela el puente de solidaridad con los presos políticos colombianos.
Aunque las autoridades del país se nieguen a considerarlos tales, en las cárceles de Colombia hay más de 7.500 presos políticos detenidos en condiciones inhumanas.
El mismo hecho de no considerarlos como presos políticos (porque esto significaría considerar los guerrilleros como beligerantes y no como terroristas) es parte de la estrategia con que el Estado sigue negando la misma matriz política y social del conflicto que afecta Colombia desde más de 50 años.
Son más de 7500 activistas sociales, políticos, sindicalistas, miembros de movimientos juveniles, defensores de los derechos humanos, intelectuales y guerrilleros que, cada uno a su manera y desde su propia trinchera de lucha, representan las múltiples caras de la resistencia social y política colombiana, invisibilizada sistemáticamente a los ojos de la opinión pública internacional. La periodista colombiana Azalea Robles habla de “tergiversación mediática” de los presos políticos en las cárceles colombianas, contrariamente a cuanto ocurre por los rehenes en manos de la guerrilla, por los cuales existe una sobre exposición mediática en los medios de comunicación.
Sabemos también que en Colombia a las voces de la oposición política le quedan pocas opciones: bajo la tierra en una de las cientos de fosas comunes que a veces salen a la luz o detrás de las rejas de una prisión. Es la cara todavía muy oculta de un país que la opinión pública internacional sigue llamando “democracia”.
Así que, si logran sobrevivir, las voces de las denuncias, de las luchas y de la resistencia de miles de personas desaparecen a los ojos de la sociedad civil nacional e internacional en las 140 prisiones del país.
De estos 7500, los guerrilleros detenidos son unos 500 y están acusados de terrorismo, un cargo casi siempre aplicado en conjunto con el de narcotráfico o de algún otro delito común con el fin de que desaparezca la figura del delito político. Los demás son los llamados “presos de conciencia” o sea los que son encarcelados por su “pensamiento crítico y su labor social”, como el caso emblemático de la poeta y periodista Angye Gaona, mujer de reconocida trayectoria humana y social, detenida en el mes de enero de este año por supuestos vínculos con la guerrilla.
El intercambio de prisioneros o “acuerdo humanitario” sin duda podría ser un paso decisivo hacia la llamada “humanización del conflicto”. Sin embargo la actitud constante del gobierno colombiano de despolitización del conflicto, lleva a que la creciente militarización del país vaya de la mano con el hacinamiento en las cárceles. Hasta la fecha, solamente la guerrilla de las FARC ha hecho liberaciones unilaterales, mientras que el gobierno sigue justificando su fracaso, pero también su falta de voluntad para buscar la paz, con el pretexto de la lucha contra el terrorismo y la aplicación de la política de “seguridad democrática”.
La situación humanitaria y sanitaria en la que se encuentran los presos políticos en las cárceles es terrible. Esta tipología de detenido es objeto de hostigamientos y torturas con el claro intento de humillar su militancia y aplastar su terquedad y su compromiso social.
Nos encontramos en Caracas con los integrantes de la asociación Patria es Solidaridad formada por la mayoría por colombianos y venezolanos, que se ocupa de los presos políticos en Colombia a través de diferentes iniciativas y, sobre todo a través de una importante campaña de información.
Patria es Solidaridad también se ocupa de desplazados y de colombianos indocumentados en Venezuela, la otra casa de conflicto, acaso la menos conocida.
Por Annalisa Melandri — www.annalisamelandri.it
Caracas, marzo 2011
AM: Patria es Solidaridad es una organización que trabaja en Caracas por la “movilización de la solidaridad mundial con los presos políticos colombianos”. ¿Cuándo nace la asociación y porque en Caracas?
PeS: Nos fundamos hace tres años pero estamos trabajando activamente desde dos años ya que el primer periodo fue de preparación del trabajo y de la asociación como tal. Nuestro carácter es bolivariano y trabajamos por los derechos humanos de los colombianos desde Venezuela ya que las condiciones del conflicto político en Colombia no nos lo han permitido. Trabajar en Caracas nos da más posibilidades de ejercer y desplegar una solidaridad internacional con nuestros hermanos que están en las cárceles del régimen colombiano con mucha más libertad que si estuviéramos en Colombia, donde quizás esta entrevista tendríamos que hacerla clandestinamente.
Vale mencionar que hacer solidaridad desde Caracas es significativo también por ser este país referencia por los cambios en América latina y en el mundo.
Es importante resaltar que a pesar de las dificultades que implica trabajar en Colombia sobre un tema tan sensible para los intereses del gobierno colombiano, hay organizaciones que lo hacen en medio de una política de seguridad democrática que ha criminalizado el tema de la solidaridad. Estos compañeros que hacen solidaridad en el ojo del huracán merecen nuestro respeto y nuestra ayuda por su heroica labor. Nosotros somos, por decirlo así, una extensión de ellos en Venezuela y ejercemos labores que a ellos se le dificultan. En lo que se refiere a la composición de Patria es Solidaridad, la mayoría somos colombianos y venezolanos que participábamos en varias organizaciones y que decidimos solidarizarnos y humanizarnos con este drama que vive la población colombiana en el conflicto social y armado.
AM:. ¿Pueden contarnos en detalle en qué consiste el trabajo de ustedes?
PeS: Nosotros como asociación nos ocupamos de tres frentes de trabajo: el frente de trabajo de los presos políticos y los prisioneros de guerra, el frente de trabajo estudiantil y el frente de trabajo de la población refugiada, desplazada y en situación migratoria irregular en Venezuela.
Para nosotros la solidaridad con los presos políticos va en dos vías, primero en el aspecto material, segundo en el aspecto moral y político. Las dos son muy importantes porque los presos tienen muchas necesidades materiales pero es también importante el pronunciamiento político de todos los países.
Allá en Europa por ejemplo es importante que se conozca que en Colombia existen los presos políticos, que hay 7500 presos en las cárceles y que nosotros como asociación abogamos por un intercambio humanitario. Son importantes por eso las denuncias que hacemos y que están colgadas mensualmente en nuestra página web. En un mes podemos tener cuatro, cinco, denuncias de atropellamiento en las cárceles. Necesitamos que esto se conozca o sea que haya un eco de esto y que el mundo se exprese sobre el drama humanitario de los presos.
Además el estado colombiano quiere desmoralizar la moral al máximo a estos presos políticos, trata de acabar con los luchadores sociales bajo cualquier mecanismo y para ellos es muy gratificante que un pronunciamiento se haga en Europa y que algún colectivo por ejemplo se pronuncie respecto a la situación en que ellos están viviendo en las cárceles. El aspecto moral es determinante para la persona presa: una carta de aliento, un video, un audio, un pronunciamiento que a los compañeros les permita saber que no están solos y que hay personas y organizaciones movilizándose por ellos.
AM: ¿Qué quiere decir en Colombia ser un preso político y quiénes son los presos políticos?
PeS: Tenemos tres categorías de presos políticos: están los presos de conciencia que son aquellas personas capturadas y retenidas por manifestar sus ideales en contra del gobierno; están los prisioneros y prisioneras de guerra que son aquellos presos políticos guerrilleros de las FARC o del ELN que son capturados en flagrancia y que se reconocen como guerrilleros y están los presos políticos por falsos positivos que son aquellos presos que son capturados en redadas o en capturas dentro de su casa, de su hogar o en capturas masivas en poblaciones, a quienes les hacen un montaje judicial y los criminalizan sin tener ninguna prueba, sin tener nada en absoluto.
El estado colombiano también usa esta manera para amedrentar cualquier expresión de oposición hacia el gobierno. La persona permanece, como no conoce sus derechos, uno o dos años en la cárcel y cuando sale de la prisión el gobierno lo único que le dice es: “bueno disculpe, nos equivocamos”, pero queda señalada por la vida, no es indemnizada por el Estado y nadie le dará trabajo; en otras palabras se quiebra su tejido social y familiar, esto sin contar con las implicaciones en materia de seguridad porque la persona se vuelve en muchos casos en objetivo militar del paramilitarismo.
Para establecer una diferencia entre un preso político y un delincuente común o un preso social, tiene que estar claro que el preso político es aquella persona capturada o que se le quita su libertad por sus ideales. Por ejemplo esta es la diferencia entre los presos políticos colombianos y los que se hacen llamar “presos políticos” venezolanos que están tras las rejas la mayoría por corrupción. Aquí en Venezuela los que se hacen llamar presos políticos no son presos políticos sino políticos presos. El único preso político venezolano que consideramos como tal es Carlos Ilich Ramírez militante comunista internacionalista que cayó preso defendiendo la causa de Palestina. Los políticos presos en Venezuela son capturados por delitos comunes y los presos políticos colombianos son capturados por sus ideales políticos en favor de los intereses del pueblo.
AM: ¿Cuál es la situación de los presos políticos en las cárceles?
PeS: La situación de los presos políticos colombianos es bien dramática. Los compañeros son casi invisibles, para la gente común parece que no existen, parece que en Colombia no haya presos políticos, no se habla de ellos. Su situación es bastante crítica, nosotros en estos últimos meses hemos denunciado tres suicidios de presos políticos. Hay maltrato por la policía carcelaria que es el INPEC y por el grupo de reacción inmediata GRIP.
Hay varias maneras de represión carcelaria. Primero, la Colombia es un país bien montañoso y las personas que son detenidas casi siempre son campesinos así que una de las maneras de reprimirlos es también la de trasladarlos de una ciudad a otra, otra una muy recurrente es también la de colocarlos en patios con presos sociales o con paramilitares. Esa es una manera de amedrentar la expresión y la organización dentro de las instituciones carcelarias.
AM: ¿Cuantos presos políticos hay en las cárceles del país y cuantas son las mujeres detenidas?
PeS: En general sin hacer discriminación entre los presos políticos y los presos sociales, según estadísticas de enero 2010 del INPEC, en las mazmorras del régimen colombiano existen 139 establecimientos de reclusión con capacidad para 55.042 personas, pero se encuentran privadas de la libertad 76.471 personas, 71.644 hombres y 4.827 mujeres. De de esta cantidad 25.619 son los sindicados y 50.852 son condenados, es decir que hay 23.837 hombres y 1.782 mujeres a las que no se les ha resuelto su situación jurídica y que pese a eso las mantienen privadas de la libertad.
Nosotros estamos en esta tarea de afinar el censo respecto a los presos políticos. Hemos introducido en las cárceles un formato que se llama “formato de diagnostico” con el que hacemos un censo cuantitativo pero también valorativo de la situación. Tenemos conocimiento de una cifra de más de 7500 presos que es un número que la gente ya conoce y que está muy publicitado por internet, de los cuales 500 son los guerrilleros presos. Esta es una cifra que nosotros usamos oficialmente porque en este momento no podemos tener un dato cierto, pero seguramente son mucho más, alrededor de 1000 o 1200 son los guerrilleros presos, por la mayoría de las FARC-EP.
Alrededor de un 20% de los prisioneros políticos son mujeres. No hay distinción de género en la criminalización de la lucha política, sin embargo vale la pena mencionar que en el caso de las mujeres se reproduce y se aumenta la violación de los derechos sexuales y reproductivos, castigando a la mujer prisionera política con más fuerza que a los hombres por salirse de los esquemas femeninos que históricamente se les ha impuesto.
Hay presos políticos de todos los sectores de la sociedad colombiana, del sector campesino, obrero, estudiantil, juvenil, indígena, comunal etcétera. La represión del Estado colombiano no mira si eres mujer, si eres joven, si eres indígena, si eres campesino, no discrimina entre luchas dentro del marco legal y la lucha de las organizaciones armadas. Toda la protesta social en Colombia ha sido criminalizada y señalada de estar relacionada con el narcotráfico y el terrorismo con el fin de eliminar el delito político.
AM: ¿Por qué el gobierno colombiano no reconoce de tener presos políticos o los invisibiliza? ¿Y cómo se puede lograr que sean visibilizados?
PeS: Por la misma razón que no reconoce el estatus de beligerancia a las fuerzas insurgentes. El gobierno colombiano al reconocer el delito político reconocería también que el conflicto en Colombia es un conflicto armado de profundas raíces sociales y que tiene como origen la gran desigualdad social y económica, además, al reconocer el conflicto social y armado reconocería la gran responsabilidad de la oligarquía colombiana en el derramamiento de sangre durante más de cincuenta años. El estado colombiano esté obstinado en mantener la guerra y a darle una salida militar al conflicto, entre otras cosas porque la guerra es su negocio y no son sus hijos los que la pelean, si no los hijos del pueblo colombiano. Somos los pobres los que engrosamos las filas de la guerrilla, del ejército y del paramilitarismo, que es la otra máquina de guerra del estado colombiano. Por todas estas razones no han sido capaces siquiera de apostarle a un intercambio humanitario con las FARC como paso hacia un diálogo.
Los gobiernos narco-paramilitares en Colombia han cambiado las leyes internas para condenar las personas por muchos delitos, inclusive los delitos comunes. Ahora un guerrillero no es capturado solamente por rebelión sino es capturado por rebelión, por narcotráfico, por terrorismo y otros delitos que le han sumado para que la condena supere los 40 años. Por ello es sumamente importante antes que todo abrir la discusión, manifestar que en Colombia existen los presos políticos y que estos son el producto del conflicto social y armado que hay en el país.
AM: ¿Cómo se organizan los presos políticos en las cárceles?
PeS: Lo primero que hacen los presos políticos en la cárcel es organizarse, porque si no se organizan son más débiles y allá aprovechan para reprimirlos más duramente. Las mujeres del Buen Pastor por ejemplo se han organizado con una asociación que se llama Manuelita Sáenz. En general se organizan para defenderse de las arbitrariedades del régimen penitenciario, en algunos casos se organizan para producir artesanías y manualidades para sostenerse económicamente.
Las organizaciones políticos militares hacen esfuerzos por mantener algún nivel de organicidad de sus militantes en las cárceles pero es muy difícil porque el sistema penal colombiano ha sido transformado para evitar todo tipo de organización, para ello inventaron por ejemplo las cárceles de máxima seguridad donde los presos políticos no tiene contacto entre si y a veces ni siquiera con otros presos, en otros casos mandan a los presos muy lejos de sus lugares de origen o militancia y activismo político así se aísla al preso incluso de sus familias y de sus organizaciones.
El gobierno colombiano le teme a la organización dentro de las cárceles. Trata con la represión de mantenerle la moral baja a los presos y así los trasladan a otra zona para alejarlos de las familias. Es difícil que la familia de un campesino se desplace con 24 o 25 horas de viaje por ejemplo para llegara a la cárcel modelo de Barranquilla o a la de mujeres del Buen Pastor en Bogotá para visitar el preso. Desde Patria es Solidaridad hacemos un gran esfuerzo por alentar y apoyar todas las iniciativas de organización de los presos políticos dentro de las cárceles pese a las dificultades y a la oposición de todo el aparato jurídico y penal.
AM: ¿Como hacen desde Venezuela a dar seguimiento a los presos políticos en Colombia?
PeS: Nosotros trabajamos con los abogados en Colombia porque la única manera para darles seguimientos a los presos políticos es por parte de los abogados y de los familiares, no hay ninguna otra manera de hacerlo.
Los abogados que llevan los procesos y que trabajan con nosotros pueden entrevistarse con el preso o hacernos un diagnostico de cómo está la situación allá por lo menos respecto a la salud y a las necesidades básicas. La mayor necesidad de un preso obviamente es la libertad y el preso político está siempre con su mente afuera con su familia y con la lucha de la libertad del pueblo colombiano en cada uno de los frentes de lucha en el que se encuentre: estudiantil, campesino, obrero, sindicalista.
En Colombia tenemos colectivos de abogados que trabajan con nosotros y los aportes económicos salen por eventos que hacemos nosotros de aquí o por eventos que hacen en otros lados y que se canalizan por medio de nosotros para los familiares o los abogados.
AM. Decían que abogan por el intercambio humanitario. ¿Hay avances en tal sentido con el gobierno?
PeS: El estado colombiano no reconoce que hay un conflicto social y político, afirma que hay una guerra con narcoterroristas y entonces al reconocer un intercambio humanitario estaría reconociendo que hay una organización beligerante. Humanizar la guerra quiere decir tener una posibilidad de dialogo. Para que haya un intercambio humanitario simplemente hay que haber voluntad de las partes de querer humanizar un poco la guerra.
Reconocemos que las FARC han sido uno de los actores políticos que ha hecho con las liberaciones unilaterales un gesto muy valioso para la paz en Colombia y que el gobierno colombiano hasta el momento no lo ha querido asumir como un gesto real de paz. Además un intercambio humanitario estaría suportado por la ley nacional porque esta suportado por el Derecho Internacional Humanitario. Nosotros también abogamos por todos aquellos presos políticos que están en las cárceles del imperio. En este sentido nosotros como Patria es Solidaridad también exigimos la repatriación de Simon Trinidad, de Sonia y de otros presos políticos que están en Estados Unidos por narcotráfico y terrorismo. Sabemos que son simples montajes judiciales, una de las herramientas que el Estado utiliza para desmoralizar a combatientes de las FARC.
Obviamente las organizaciones que trabajan por los derechos humanos y por la paz en Colombia no son interlocutores validos para el gobierno colombiano en lo que se refiere al intercambio humanitario, con contadas excepciones como la organización Colombianos y Colombianas por la Paz por el reconocimiento y la gran labor de la ex senadora Piedad Córdoba. Nuestra labor por el momento se ha dado en términos de difusión de la necesidad del intercambio humanitario en Colombia, para esto es importante sumar solidaridad internacional y presionar desde el movimiento social mundial para obligar al gobierno Colombiano a discutir los términos de una verdadera paz con justicia social para todos que acabe con cincuenta años de derramamiento de sangre.
AM: ¿Se ocupan también de desplazados y de problemas de migrantes?
PeS: Estamos en la tarea también de ocuparnos de desplazados, de migrantes y de poblaciones irregulares. En Venezuela existen alrededor de 5millones de colombianos en condiciones de desplazamiento, algunos refugiados, algunos asilados, algunos simplemente desplazados económicos que ni siquiera ellos mismos se reconocen como desplazados al llegar a este país en una condición de incertidumbre donde no tienen ningún vinculo político o familiar. Les toca una vida muy difícil y desarrollar en tareas que los desvinculan inclusive políticamente. Una persona que era un luchador campesino, con su familia, con sus hijos, le toca sumarse a los cinturones de miseria de Caracas y dedicarse a la buhonería que es la venta informal a la calle y deja su condición de campesino, todo su saber tradicional de 30/40, todo eso lo pierde cuando llega aquí, porqué llega en una condición de desamparo total.
AM: ¿Cuál es la actitud de los venezolanos respecto a los colombianos?
PeS: La respuesta en general que hemos recibido de pueblo venezolano, es de plena solidaridad, está llena de profundo afecto bolivariano, así mismo la política del gobierno es una política incluyente del colombiano en la estrategia de bienestar social, que contempla el plan Simón Bolívar, en donde el fin último es la suprema felicidad social. Cualquier hecho de esclavismo, de maltrato, de abuso o de exclusión, que pueda presentarse, es claro que no es política de gobierno, sino son acciones individuales y enemigas del proceso bolivariano. Nosotros de Patria es Solidaridad, como bolivarianos consideramos que más que ser hermanos, los colombianos y los venezolanos somos un mismo pueblo.
AM: Finalmente, la campaña de solidaridad que impulsa Patria es Solidaridad con los presos políticos se llama “Plan Hermanamiento”. ¿Pueden contarnos en qué consiste?
PeS: Esta campaña consiste en que una persona o una organización se hermana con un preso político. Plan Hermanamiento es hacerle un seguimiento y un acompañamiento tanto material como moral a un preso político en Colombia.
Una asociación supongamos italiana, puede enviarle dinero, enviarle las cosas que necesita y este envío pero debe ser hecho por preso político. Puede hacer una campaña de solidaridad, una fiesta de solidaridad, un recital poético y recoger cartas o una solidaridad material. Esta solidaridad material puede llegar a nuestra asociación que se hace puente para que llegue a los presos.
En seguida los datos:
Tel: 0212–7425751
e-mail: patriaessolidaridadyahoocom (patriaessolidaridadyahoocom)
Pagina web: www.patriaessolidaridad.com.ve