L’ONU ad Haiti

2 commenti




dal diario – di Simone Bruno
20 gennaio 2010
 


(foto di Emiliano Larizza)

Fonte: Haiti Freelance – ( 4 romani ad Haiti )

Haiti, 20 gennaio
 

Federico si è addormentato da un po’ sdraiato nel pratino davanti alla porta dell’ ufficio della logistica del WFP, che è anche il posto dove internet funziona sempre. Ha trovato una coperta abandonata, un cartone, una palma e chiama il tutto casa. È tardi, quasi l’una ormai, volevo leggere cosa scrivono i giornali e selezionare un po’ di foto, oltre che scrivere un pezzo sulla gran farsa degli aiuti. Ormai i cancelli della base ONU sono chiusi e comunque non troverei un passaggio per tornare da Fiammetta, la coordinatrice di AVSI ad Haiti che ci ha permesso di accamparci a casa sua. Mi devo arrangiare e trovare un posto dove sdraiarmi qualche ora nella base della Minustah.

Per fortuna molte macchine dell’ Onu dentro la base vengono lasciate aperte proprio per dormirci, visto che molti hanno perso la casa e tanti giornalisti o volontari non sanno dove riposare.

Per fortuna trovo un furgoncino vuoto, gli altri erano occupati e quelli che avevano qualche posto avevano i finestrini chiusi. Odio quell’odore che fanno le persone quando dormono insieme e non aprono le finestre.

Ironico, una settimana tra i cadaveri e mi lamento dell’odore dei vivi.

Non avevo mai visto tanti morti, non mi sono abituato, eppure non mi commuovo vedendoli, credo che il mio cervello non li registri come umani, sono gonfi, enormi, e i volti sono sfigurati. Poi hanno quel rigagnolo. E’ la linfa, mi ha spiegato un medico volontario, la nostra acqua che lentamente li abbandona. Devo fare uno sforzo razionale per pensare a loro e alla vita che hanno perso; quello, quando ci penso, mi commuove. Poi l’odore. È talmente forte che entra nel cervello e ti fa allontanare. Fabio invece resiste di più, si avvicina, scatta le foto riuscendo ancora ad avere composizioni perfette.

 

Quello che invece non riesco a guardare sono i malati negli ospedali, sento il dolore delle persone a livello irrazionale, soprattutto se sono bambini che non ridono più.

Ho visto parecchi degli ospedali, sono decine di migliaia i feriti. Far loro le foto mi fa pensare: se fossi io al loro posto me ne farei fare? Forse no, forse mi incazzerei, loro no. Finora nessuno mi ha mai detto nulla. Qualcuno sorride, qualcuno no e mi guarda. Mi chiedo a cosa pensano, chi hanno perso e se si domandano cosa voglio.

Ma perchè non piangono? Ora che ci penso non ho ancora visto una lacrima dopo una settimana qui. Perché non si disperano e non gridano?

Ho chiesto alla gente che vive da tempo e al marito di Fiammetta, che è haitiano.

Mi sono fatto l’idea che sia una ragione culturale che si mischia con vari schemi sociali di un paese conquistato, colonizzato, invaso e poi aiutato con la stessa violenza.

Insomma il risultato è che gli haitiani convivono giornalmente con la morte e quindi non li tocca tanto, almeno in modo visibile, spesso sorridono quando si parla di qualcuno morto. E poi sono diventati molto individualisti, anzi forse lo sono diventati come reazione alla loro negazione della morte e del lutto.

Forse, penso, dovrei scriverle queste cose, le dovrei raccontare. Ma come si può fare a dire una cosa del genere senza sembrare che li accusi o non li rispetti?

 

Anche se ora dormo in una macchina ONU dentro una base ONU penso di odiare la gente dell’ ONU. Non singolarmente, anzi, uno ad uno mi stanno anche simpatici, alcuni sono preparati e interessanti, ma, tornare sudato, con i morti negli occhi e nelle narici e vederli seduti a bere un caffè, o scorazzare in macchine blindate e oscurate mi irrita. Perché devono sempre costruire le loro oasi di coca-cola e aria condizionata ovunque vadano e perché non parlano creolo se sono qui da 5 anni?

Perchè hanno le unghie pulite in questi giorni?

È una nuova burocrazia internazionale, di gente molto specializzata nel fare poco con il massimo sforzo.

Del resto chi vorrebbe una ONU forte rapida e autoritaria? Sicuramente nessuno dei paesi che la finanziano. E quindi il meccanismo deve essere tutto protocollato e farraginoso, sembrando organizzato, tecnico e specializzato allo stesso tempo.

Penso di avere circa 4–5 ore per dormire oggi, domani Fabio ed Emiliano vanno fuori città, io e Federico invece voliamo con gli elicotteri americani per vedere come funzionano gli aiuti.

 
P.S.

4 romani a Port Au Prince sono:

Fabio Cuttica dalla Colombia

Emiliano Larizza da Santo Domingo

Federico Mastrogiovanni da Città del Messico

Simone Bruno dalla Colombia

 

Honduras, il golpe dimenticato

7 commenti

Il golpe avvenuto in  Honduras   il 28 giugno scorso  che ha deposto e cacciato dal paese il presidente democraticamente eletto nel 2006 Manuel Zelaya e che ha visto l’insediamento manu militari  di Roberto Micheletti (dello stesso partito di Zelaya, il Parito Liberale) che ricopriva la carica di presidente del Congresso Nazionale,  è stato oramai di fatto legittimato con le elezioni del 30 novembre, realizzate in un clima di paura e di tensione,  tra repressione, detenzioni arbitrarie, omicidi e senza la presenza di osservatori internazionali. Porfirio Lobo  è  il nuovo presidente del paese e  si insedierà formalmente il 27 gennaio prossimo. Il governo uscente del golpista Roberto Micheletti e il nuovo esecutivo stanno  tentando di conquistare  adesso agli occhi miopi della comunità internazionale un volto democratico che convince veramente poco.  E nel frattempo  tentano di salvare gli autori materiali del golpe garantendo l’impunità sia a Roberto Micheletti (che proprio in questi giorni è stato nominato dal Congresso deputato a vita per i suoi 28 anni di lavoro svolti per il paese),  sia ai generali delle Forze Armate che sono sotto accusa da parte della Procura Generale per “abuso di potere” e “invio in esilio” del presidente deposto Manuel Zelaya (la Costituzione del paese infatti vieta esplicitamente di mandare in esilio cittadini honduregni). I militari rischierebbero in caso di condanna pene irrisorie che vanno dai 3 ai 5 anni di carcere.
Manuel Zelaya dall’ambasciata brasiliana dove si trova tuttora  denuncia che il Procuratore Generale Luis Rubí con questo provvedimento   “appoggia l’impunità dei militari accusandoli di reati minori e di abuso di potere e non per i gravi delitti che hanno commesso” e cioè “tradimento della Patria , omicidio, violazione dei diritti umani e torture al popolo” . Secondo Zelaya è chiaro inoltre che “ciò che si sta mettendo in pratica sono gli atti preliminari per ottenere l’impunità dei militari e lasciare senza condanna gli altri autori materiali e intellettuali del colpo di Stato militare”.
Andres Pavón, presidente del Comitato per la Difesa dei Diritti Umani (Codeh) ha ricusato formalmente il giudice in quanto “si è sostenuto e si continua a sostenere che è totalmente evidente che la rottura dell’ordine costituzionale in Honduras, avvenuta tramite un colpo militare di Stato, si è realizzata con la partecipazione e l’avallo diretto della Corte Suprema di Giustizia”.
In Italia,   a parte le sporadiche notizie di agenzie che si leggono in rete sulle vicende più propriamente politiche del paese centroamericano, il golpe  è stato completamente dimenticato e quindi legittimato e perfino uno dei pochi  spazi informativi onesti rimasti, Radio Tre Mondo, lo  ha “ratificato” recentemente,  intervistando Carlos Lopez Contreras, ministro degli Esteri del governo golpista. La redazione del programma, lo ha presentato infatti  come rappresentante del  “Governo di Transizione”.  
La stampa invece   ormai  ignora completamente e ha calato un velo di silenzio sulle violazioni dei diritti umani accadute e che continuano ad accadere in Honduras. Dalla resistenza honduregna,  dal COFADEH (Comitato dei familiari di detenuti scomparsi) e dalle altre associazioni umanitarie continuano  a  giungere  denunce di omicidi di difensori dei diritti umani, come quello di Walter Trónchez ucciso il 14 dicembre a colpi di pistola mentre camminava per il centro di Tegucigalpa (era stato già arrestato e sottoposto a torture nel luglio scorso). Walter era stato anche testimone dell’arresto da parte di alcuni membri della polizia di Pedro Magdiel Muñoz Salvador, poi ucciso il 25 luglio durante una manifestazione. Walter, che faceva  parte del Fronte nazionale di resistenza popolare e che si occupava  dei diritti della comunità LGTB già il 4 dicembre scorso era stato sequestrato da quattro uomini incappucciati che dopo averlo picchiato ripetutamente lo avevano minacciato di morte. In quell’occasione riuscì a fuggire e sporse denuncia alle autorità. Inutilmente. Il 15 dicembre è stato trovato anche il corpo senza vita e senza testa di Santos Corrales, anche lui appartenente al  Fronte  che era stato arrestato dieci giorni prima da membri della Direzione nazionale di investigazione criminale (DNCI).
Andres Pavón (Codeh) denuncia che squadre di paramilitari percorrono le vie di Tegucigalpa e dei centri minori sequestrando e uccidendo giovani appartenenti al FNRP.  Dal 30 novembre  giorno delle elezioni, sarebbero già 30 i militanti uccisi, che vanno ad aggiungersi a quelli morti  immediatamente dopo il colpo di Stato e nei mesi successivi. Si tratta di una “vera e propria offensiva” contro un movimento che va crescendo sempre di più e che trova sempre maggior consenso in Honduras ma anche fuori dal paese.
La repressione si sta accanendo  duramente anche contro la comunità gay, come dimostra l’omicidio di Walter Trónchez , e contro le associazioni femministe, mentre quanto mai  pericoloso e difficile è  il lavoro di giornalisti e operatori dell’informazione. Le sedi di giornali e radio comunitarie vengono ripetutamente perquisite   con uso sproporzionato di forza e violenza, quando non sono oggetto di attentati compiuti da paramilitari, come avvenuto recentemente alla radio Faluma Bimetu, che da anni denunciava i crimini e gli interessi dei gruppi finanziari che cercavano di cacciare la comunità degli indigeni Garifuna dai loro territori (gli stessi dove è stata girata l’Isola dei Famosi per capirsi). Alcuni giornalisti invece sono stati arbitrariamente detenuti e poi rilasciati dopo aver subito percosse e torture.
Le elezioni del 30 novembre sono state riconosciute valide da pochi paesi. Oltre ovviamente agli Stati Uniti, la cui partecipazione diretta o indiretta al golpe è ormai stata definitivamente accertata (e poca rilevanza ha se ciò sia avvenuto con o senza il consenso di Obama), anche  il Messico, Panamá, Costa Rica, Perú, Colombia, Italia, Francia, Germania , Israele e Giappone hanno salutato favorevolmente il risultato elettorale,  mentre nella regione ha un certo peso, anche se alla nuova classe dirigente honduregna sembra non interessare particolarmente, la posizione di Brasile, Argentina, degli altri paesi aderenti all’Alba e del Mercosur che non riconoscono Porfirio Lobo come presidente.
Il Congresso tra l’altro  ha ratificato proprio in questi giorni la decisione di uscire dall’Alba, la cui adesione era stata fortemente voluta da Manuel Zelaya e che di fatto è  stato il motivo scatenante del colpo di Stato.
Il 7 gennaio si è tenuta la prima manifestazione del nuovo anno contro il governo proprio in protesta contro questa decisione, ma anche per chiedere un’Assemblea Costituente e per esprimere ancora una volta solidarietà a Zelaya.  A Tegucigalpa hanno sfilato  decine di migliaia di honduregni  dall’ Università Pedagogica al palazzo del Congresso e si sono dati appuntamento nuovamente   a fine gennaio per la data di insediamento di Lobo.
Mentre nelle strade della capitale una folla pacifica e chiassosa, in un clima di relativa tolleranza, gridava slogan contro il governo e in favore di Mel Zelaya,  nelle campagne e nelle zone più rurali del paese,  dove le telecamere sono assenti e i giornalisti difficilmente arrivano, l’esercito e la polizia mostrano invece il  vero volto di quella che nessuno chiama dittatura ma che non lascia dubbi rispetto alla sua vera natura.
Una comunità di contadini nella Valle del Aguàn è stata infatti violentemente sgomberata dalla polizia e dall’esercito da alcuni territori statali nei quali aveva costruito povere capanne e seminato mais e cereali, territori che erano invece reclamati da alcuni latifondisti che spesso in Honduras assoldano anche bande paramilitari per liberare le terre.
Le colture sono state distrutte, le capanne incendiate e i contadini, circa 600 famiglie,   cacciati con lacrimogeni e proiettili (di piombo).
Sono innumerevoli le situazioni come queste nel paese,  a dimostrazione anche del fatto che i latifondisti e i grandi proprietari terrieri sono stati una delle anime del golpe e che proprio quella Riforma Agraria della quale si era timidamente iniziato a discutere durante la presidenza di Manuel Zelaya adesso  si rende estremamente necessaria. Appare  invece sempre più lontana.
Riforma Agraria e Assemblea Costituente sono le due battaglie sulle quali l’eterogeneo Fronte Nazionale di Resistenza Popolare dovrà  investire nel prossimo futuro forze ed energie,  canalizzandole probabilmente in espressioni e iniziative che abbiano sicuramente più rilevanza e peso politico di quello che hanno oggi le grandi mobilitazioni per le strade di Tegucigalpa.
Le associazioni per la difesa dei diritti umani intanto puntano sulla giustizia internazionale: Luis Guillermo Peérez Casas segretario generale della Federazione Internazionale dei Diritti Umani  (FIDH) e Manuel Ollé Sesé, presidente dell’ Associazione Pro Diritti Umani (Spagna)  hanno sporto denuncia contro Roberto Micheletti e il capo delle Forze Armate Romeo Vásquez Velásquez, per il delitto di persecuzione politica contro il popolo honduregno. Anche se questa, a voler essere pragmatici, sembra un’inutile iniziativa. L’Honduras ha ormai il suo nuovo presidente. E’ contro il nuovo governo, e il silenzio che circonda quanto accade nel paese  che adesso bisogna lottare.
.….….….….……
Segnalo:
Usa-Honduras-America Latina alla battaglia finale
IL RITORNO DEL CONDOR
Di FULVIO GRIMALDI
Il ritorno del Condor. Il racconto del colpo di Stato effettuato in Honduras contro il presidente progressista Manuel Zelaya dai militari agli ordini dell’oligarchia honduregna e degli Stati Uniti. L’inizio di un’operazione Condor 2, con la quale Washington si propone di rinnovare i nefasti dell’operazione Condor degli anni ’70 che installò Pinochet in Cile e altre sanguinarie dittature in America Latina. Una controffensiva statunitense, con nuove basi militari in Colombia e manovre di destabilizzazione in tutto il Cono Sud, per strappare ai governi e movimenti progressisti e rivoluzionari quello che Washington considera il suo “cortile di casa”. L’irriducibile resistenza del popolo honduregno e dei popoli latinoamericani.
 
Fulvio Grimaldi. Giornalista, scrittore, inviato di guerra ex-Rai i cui docufilm sullo scontro tra popoli e imperialismo non verranno mai trasmessi dalla Rai. E’ il quarto documentario sul “continente della speranza”, dopo “Cuba, el camino del sol”, “Americas Reaparecidas”, “Cuba, Venezuela, Bolivia, Ecuador: l’Asse del Bene”. Si affianca ai suoi popolari lavori di controinformazione su Balcani, Iraq, Libano, Palestina – ultimo “Araba fenice, il tuo nome è Gaza” – e ai libri sugli stessi argomenti e sulla crisi della Sinistra italiana.
 
Produzioni VisioNando-Roma – visionandoatvirgiliodotit – tel/fax 06 99674258
Dal 16 gennaio al 7 febbraio Il Circolo di Italia-Cuba della Tuscia organizza, insieme ad altri circoli e strutture, un tour italiano di una dirigente del Fronte Nazionale della Resistenza al Colpo di Stato in Honduras, nel corso del quale verrà presentato anche il nuovo documentario “Il ritorno del Condor”.
Per le date degli appuntamenti consultare :


 
 
 
 
 

Paraguay, intervista al senatore del Partito Liberale Alfredo Luís Jaeggli

3 commenti
Quest’intervista realizzata da tre giornalisti argentini della Radio Nacional di Buenos Aires il 17 dicembre 2009 al senatore del Partito Liberale Alfredo Luís Jaeggli,  conferma in modo inequivocabile le voci di un processo di impeachment  al quale il Parlamento del Paraguay sta cercando di sottoporre il presidente Fernando  Lugo per permettere al vicepresidente Federico  Franco di assumere il mandato.  Un “golpe istituzionale” come quello realizzato in Honduras. L’intervista è sconcertante. Si legittima il golpe (perché tale sarebbe) in nome della libertà di applicare nel paese quelle politiche neoliberali che a detta di Luís Jaeggli hanno per esempio fatto il Cile di Pinochet un paese dal quale trarre esempio. Scavalcare la volontà popolare in nome di un “noi” ripetuto varie volte nel corso dell’intervista. Un “noi” che sarebbe stato interessante chiedere al senatore a che percentuale della popolazione del paese si riferisce … (AM)
Programma “Carbono 14” , Radio Nacional, Buenos Aires Argentina, 17 dicembre 2009
Intervista realizzata dai giornalisti Pedro Brieger (PB), Eduardo Anguita (EA) e Miriam Lewin (ML)
PB – A proposito della situazione complicata in Paraguay e  per capire qualcosa di più di quello che sta succedendo,  abbiamo deciso di intervistare il senatore liberale Alfredo Luís Jaeggli, presidente della commissione finanze e della bicamerale sulla legge finanziaria. Lo salutano da Radio Nacional Pedro Brieger, Eduardo Anguita y Miriam Lewin.
ALJ – Buona sera, come stanno gli amici argentini? Sono Alfredo Luis Jaeggli, senatore liberale presidente della commissione finanze e della bicamerale sulla legge finanziaria di quest’anno.
PB – Senatore ci spiega quello che sta succedendo in Paraguay. Si  sta parlando molto di un possibile impeachment al presidente Lugo. Di cosa si tratta?
ALJ – Guardi, si sta parlando veramente  di impeachment. La discussione non è ancora ad un livello formale all’interno del partito liberale e dico “ non ancora” perché c’è un gruppo di senatori, tra i quali il sottoscritto,  che è a favore di un giudizio politico del presidente. Non si stanno realizzando quelle promesse e quei  cambiamenti che il Partito Liberale si era impegnato ad attuare e quindi c’è una divisione all’interno dello stesso rispetto al giudizio politico al presidente Lugo. In tal caso il vicepresidente Federico Franco assumerebbe la presidenza.
PB – Dal momento in cui il Parlamento avvia  l’impeachment deve assumere la presidenza il vicepresidente? Qual’ è l’iter giuridico?
ALJ – L’accusa formulata dalla Camera dei Deputati deve essere trasmessa ai senatori, c’è bisogno di 30 voti e noi siamo 45 e quindi va avanti il giudizio politico, come ben sapete. Questo ovviamente comporta  instabilità e turbamento  ma …
EA – Durante l’epoca di Stroessner si viveva meglio in Paraguay?
ALJ – No, no, no, sotto nessun punto di vista.
EA – Allora perché la necessità di forzare una situazione per impedire che un presidente termini il suo mandato?
ALJ – Io vi dico che il Paraguay è l’unico paese insieme ad Haiti e Cuba che non ha ancora fatto riforme di modernizzazione. Voi avete avuto la vostra modernizzazione, lo sapete bene,  con il governo di Menem. Sapete a cosa  mi riferisco. Anche il Brasile e anche  che l’Uruguay, anche la Bolivia che purtroppo  ha avuto un ritorno involuzione. Il Paraguay sta ancora come negli anni ’50, le istituzioni sono completamente obsolete, c’è bisogno di riforme moderne e questo è uno dei problemi che ha il Presidente Lugo…
ML – Scusi, che intende lei per riforme moderne?
ALJ – Le spiego rapidamente, lei sa che il Paraguay è ancora produttore di canna. Le sembra possibile che uno Stato possa produrre canna? Lei sa cosa è la canna vero? Bene,  c’è una produzione  di canna che è in perdita. Le sembra che questo possa essere uno stato moderno?

PB – Il presidente Lugo quindi rappresenta un ostacolo per questa modernizzazione?

ALJ – Si, si si, infatti, come le  sto dicendo …
PB– Quindi la cosa migliore è metterlo da parte e che assuma la presidenza Franco il quale potrebbe dare impulso alla modernizzazione.
ALJ – Per lo meno questa è la mia idea e quella di molti altri. Non possiamo tornare indietro, dobbiamo avviare una rivoluzione. Abbiamo avuto 60 anni di dittatura! Di vandalismo, di sofferenza. Dobbiamo democratizzare, dobbiamo rendere attraente questo paese agli investimenti.
EA – Ah ecco, quindi per far arrivare investimenti stranieri  mettereste da parte Lugo per quella che voi chiamate sicurezza giuridica
ALJ– Non solo investimenti stranieri, ma anche fantastici, formidabili investimenti nazionali. Quelli nazionali! Sappiamo che ci sono ingenti somme di denaro ma per l’insicurezza giuridica e politica che abbiamo nel paese, nessuno investe i suoi soldi …
 EA–  É qualcosa di simile a quanto accaduto in Honduras, cacciare Zelaya affinché sia più sicuro il capitale da investire.
ALJ– Guardi, ho idee diverse da quelle che ha lei rispetto a quanto accaduto in Honduras , me ne rendo conto.  Faccio parte della Fundación Libertad e la Fundación Libertad fa parte della Fundación Naumann. Il  presidente honduregno aveva assunto il mandato  secondo un modello neoliberale ma poi lo ha tradito e si é dato al socialismo del secolo XXI. Scusatemi ma quello che é successo in Honduras per me é assolutamente legale.
EA– Assolutamente legale?
ALJ– Dal mio punto di vista.
PB– Per questo potrebbe accadere qualcosa di simile in Paraguay come lei segnala, per questo sarebbe legale un impeachment per far assumere la presidenza al vicepresidente Franco. Non stiamo parlando di uno strappo  alla Costituzione in nessun momento…
ALJ– In nessun momento e sotto nessun punto di vista. Qui il giudizio politico é costituzionale, é totalmente regolamentato e lo decidono i voti …
ML– Quali sarebbero i crimini  di cui è accusato il presidente? Quali sarebbero le omissioni commesse da Lugo nell’esercizio dei suoi doveri secondo il suo punto di vista?  Perché fino a questo momento quello che lei sta dicendo è soltanto che si tratta di un ostacolo per l’applicazione delle politiche neoliberali che lei invece sostiene … In nessun momento ha indicato però secondo il suo punto di vista cosa è che giustifica un giudizio politico …
ALJ– Lei sa che cosa é un giudizio politico? Sa qual’é la differenza tra giudizio politico e giudiziario? Nel giudiziario  uno deve essere un delinquente, un assassino,  in un giudizio politico ci sono 30 senatori e 43 deputati che affermano che questo non va più bene, che non funziona. È semplice, mi perdoni…
ML– Ma ci devono essere dei motivi.  Lei ci può dire quali sono?
ALJ– Il primo é che questo povero paese non ha nessuna possibilità di cambiamento e con questo signore avremo un’involuzione invece di una rivoluzione, questo signore quello che vuole é cancellare i partiti e  dare denaro alle organizzazioni sociali. Quello che vuole é presentare come una panacea il socialismo del XXI secolo e per la maggior parte nella Camera dei Deputati e in quella dei Senatori, che siamo rappresentanti eletti, non é così. Noi dobbiamo fare il contrario di tutto ciò. A noi non piace quello che sta succedendo in Bolivia , in Venezuela e nemmeno in Argentina, dobbiamo essere onesti. E meno che meno in Nicaragua. Forse ci stiamo sbagliando, ma gli indici economici di Bolivia e Venezuela sono peggiorati molto rispetto al  passato  e allora quello che vogliamo evitare è questo, perché qui la povertà è estrema e dobbiamo mandare avanti questo paese. Dobbiamo far sì che ci siano industrie, investimenti che l’economia cresca, dobbiamo democratizzare, aprire il paese e questo signore vuole fare tutto il contrario …
ML– In quali paesi dell’America latina questi piani economici di orientamento neoliberale hanno diminuito la povertà?
ALJ– In Cile. Non le sembra? Non é d’accordo con me? O lei crede che i socialisti in Cile sono quelli che hanno fatto crescere l’economia, non hanno cambiato nemmeno il diritto del lavoro. Il diritto del lavoro è ancora quello di Pinochet,  che crede!
ML– E a lei sembra positivo questo?
ALJ– Che crede! Il Cile é l’esempio del progresso. Perché ci sono meno poveri, la gente lavora, c’è benessere e democrazia.
ML– Mi sembra strano senatore che lei non abbia ancora fatto riferimento alle abitudini personali del presidente Lugo e glielo domando come donna.
ALJ– Guardi,  in tutta onestà le dico che sono pratico e molto sincero. Se Lugo avesse avuto la condotta  morale che ha avuto ma avesse fatto delle  riforme che avessero portato benefici come li hanno portati in Cile…
ML– Ah!  Non ho più  domande grazie.
EA– Buona sera senatore.
ALJ– Grazie, arrivederci.
PB– Abbiamo parlato con  Alfredo Luis Jaeggli,  senatore liberale presidente della Commissione Finanze e della bicamerale sulla legge finanziaria,  che in qualche modo conferma le voci che stanno circolando rispetto a un giudizio politico contro il presidente Fernando Lugo e di una destituzione alla maniera honduregna– come si sta iniziando a utilizzare adesso – pensando in un colpo di Stato  non guidato da militari ma condotto dai propri parlamentari. Dargli un volto di costituzionalità per discutere dopo sulla sua legittimità o meno, ma da lontano, prendendo esempio dall’Honduras. Il golpe si mantiene e il destituito non può tornare al potere.
Traduzione Annalisa Melandri
 

 

 


L’arroganza dei soliti noti

1 commento

“L’inviato di Obama dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che la perdita di sicurezza giuridica ed economica è stata generata da loro (gli statunitensi) con la crisi finanziaria”. Così ha replicato l’ex presidente argentino Néstor Kirchner ad Arturo Valenzuela, sottosegretario  del Dipartimento di Stato Usa per l’America Latina  che durante la sua visita in Argentina ha dichiarato che nel paese esiste “insicurezza giuridica”.
“Valenzuela crede che ancora esistano i viceré” ha concluso Kirchner.

Nasce il Movimento Continentale Bolivariano

0 commenti
di Giorgio SabaudoVaccamagra.blogspot.com
Caracas, dicembre 2009
Abbiamo partecipato, documentandola, alla nascita del Movimiento Continental Bolivariano. La dinamicitá e l’energia sentita ha ‚a tratti, commosso e dato speranze.
Il 7, l’8 e il 9 di Dicembre si é tenuta a Caracas la costituente. Trenta delegazioni da tutto il mondo hanno contribuito e agito intensamente per la creazione dal basso di questo nuovo attore politico, sociale e di lotta mondiale.
L’associazione bolivariana de prensa da tempo aveva lanciato pubblicamente questo incontro che si é aperto il 7 all’auditorium del Parque central di Caracas.
Circa duemila delegati hanno partecipato intensamente in questi tre giorni lavorando a quattro differenti tavoli di lavoro.
Tra questi erano  presenti Héctor Acevedo (poeta salvadoreño), Iñaki Gil de San Vicente (intellettuale basco), María Gurutxiaga (attivista femminista basca), Miguel Ángel Sandoval (ex candidato alla presidenza del Guatemala), Néstor Kohan (intellettuale argentino), Luís Barrios (sacerdote portoricano residente negli Stati Uniti) e tanti altri..
Le tavole di lavoro avevano come obiettivi:
.Il primo aveva il compito di sviluppare le strategie, le controffensive e la resistenza alla crisi economica e all’attacco imperialista in atto.
.Il secondo ha analizzato il ruolo dei movimenti sociali nella continentalizzazione delle lotte al fine di articolare, per un futuro sempre piú prossimo, i vari attori sociali per fare un fronte comune all’offensione neo e ultraliberale.
.Il terzo ha preso in considerazione i diritti umani e i diritti internazionali umanitari documentando la loro costante violazione nel mondo.
.L’ultimo tavolo ha avuto il compito di creare una rete internazionale dei mezzi e dei comunicatori bolivariani.
I quattro gruppi hanno lavorato per due giorni finendo col lanciare innumerevoli proposte e vari dibattiti che sono state incluse nella Dichiarazione di Caracas del 9 Dicembre 2009.
All’incontro ha partecipato gente da tutto il sud e centro America; delegazioni turche che hanno denunciato il genocidio curdo; baschi che hanno denunciato la repressione spagnola; francesi, australiani, statunitensi..
L’idea (attuata) era quella di creare un unico blocco che unisse tutte le varie forze di resistenza antimperialiste centro e sudamericane.
Per questo motivo la Costituente é stata aperta con un messaggio audiovisuale di Alfonso Cano, líder delle Farc-Ep (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia– Esercito Popular) che ha espresso la sua soddisfazione per questo nuovo passo verso una unitá bolivariana antimperialista:
 
 
 
La reazione del governo colombiano del presidente Alvaro Uribe e dell’alto comando militare, rappresentato dal generale Padilla, non s’é fatta attendere e l’8 la Costituente ha ricevuto una lettera dello stesso Padilla; questa minacciava di perseguire la presidenza collettiva del MCB se non avesse pubblicamente rifiutato la solidarietá e l’appoggio di Alfonso Cano delle Farc.
A sua volta la risposta della Costituente é stata radicale e il giorno seguente Alfonso Cano é stato nominato membro della Presidenza collettiva del Movimento Continentale Bolivariano.
Uribe e soci hanno chiesto l’estradizione dai loro rispettivi paesi per tutti i membri della presidenza e a tutti i firmatari della costituente.
Il MCB, essendo un movimento antimperialista continentale, appoggia tutte le forme di resistenza popolare al neoliberismo e all’imperialismo:
Non puó non incorporare una forza belligerante che esiste dal 1964 in Colombia, paese che vive una guerra civile ormai da decenni.
Il MCB incorpora il concetto di diversitá rivoluzionaria dei popoli oppressi portando solidarietá alla resistenza curda, afghana, irachena, palestinese, basca e a tutti i popoli oppressi del mondo.
Il MCB ha tra i suoi obiettivi:
.La lotta contro l’imperialismo attuando una strategia continentale di potere popolare partendo dalle esigenze locali sentendo come propria ogni ingiustizia nel mondo
.L’integrazione latinoamericana per un nuovo modello di uguaglianza e giustizia sociale che punti sulla difesa delle risorse.
.La liberazione di tutti i prigionieri politici dell’Impero:
Tra questi quella dei cinque cubani arrestati a Miami, quella di Carlo Alberto Torres, membro del Movimento rivoluzionario portoriqueño, incarcerato da 28 anni e del venezuelano Illich Ramirez (Comandante Carlos), incarcerato in Francia per aver intrapreso la lotta armata in favore della causa palestinese (nel Fronte popolare per la liberazione della Palestina).
Il fratello presente alla costituente ha denunciato le sue precarie condizioni di salute e la violazione dei diritti umani attuata dal regime carcerario francese.
.Una convocatoria internazionale per il primo di Marzo del 2010 in solidarietá alla lotta popolare messicana e alle vittime della repressione.
.La denuncia dell’imperialismo nordamericano incarnato dalle basi militari ad Haiti, nelle isole caraibiche olandesi, in Honduras, Colombia, Medio Oriente, Europa.
.La nascita di una scuola continentale culturale, umana, politica e strategica per la creazione di nuovi quadri politici bolivariani.
.La creazione di una rete di intelligenza e di contrintelligenza bolivariana.
.L’appoggio attivo alla resistenza portoriqueña e a quella del Fronte di Resistenza Hondureño che deve essere riconosciuto come forza belligerante.
.L’appoggio allo sciopero generale  in Porto Rico che sará il 9 Gennaio del 2010.
.Una unitá internazionale che porti alla nascita di una Quinta Internazionale.
.Superamento della societá patriarcale e un incontro culturale e politico in favore delle donne del mondo.
.La creazione di una Carta Bolivariana dei diritti umani che incorpori il diritto di Resistenza in risposta alla violazione dei diritti umani e in favore dell’autodeterminazione dei popoli di tutto il mondo.
.Essere avanguardia di lotta nella difesa delle popolazioni indigene e delle risorse naturali.
Padri intellettuali del Mcb sono Manuel Marulanda (creatore delle Farc Ep nel ’64), José Artigas, Simon Bolivar, José Martí, Ernesto Guevara, Antonio Sucre e Emiliano Zapata.
 
Tra i membri della presidenza collettiva sono presenti:
–Salvador Tió, avvocato portoriqueño in difesa dei diritti umani.
–Mirella Baltra, ministro del lavoro durante il governo cileno di Salvador Allende.
–Alfonso CAno (Farc-Ep)
–Behel (Movimento internazionalista turco)
–Narciso Isa Conde (politico e scrittore dominicano. Combattente contro il tiranno Trujillo e gli invasori nordamericani nel 1965)
–Carlos Reyes (uno dei leader ed ex candidato alla presidenza del Fronte di Resistenza contro il Golpe in Honduras)
Segue la DICHIARAZIONE DI CARACAS del 9 Dicembre del 2009:
 
‘Hoy 09 de diciembre de 2009, a los 185 años de la trascendente batalla de Ayacucho que puso fin al colonialismo español y dio inicio a nuestra primera independencia…
Desde Caracas, cuna del libertador, capital de la revolución bolivariana liderada por el comandante Chávez, declaramos ante los pueblos del mundo:
¡Somos movimiento continental bolivariano!, después de transitar por la fructífera ruta de la Coordinadora Continental Bolivariana (CCB).
Somos Movimiento Continental Bolivariano (MCB) para asumir con inteligencia y pasión revolucionaria la causa heroica de la Patria Grande y el socialismo emancipador.
Somos “pensamiento y acción fundidos en armas contra las injusticias”. Unidad desde una gran diversidad y combinación de distintas identidades políticas, sociales, culturales revolucionarias.
Somos la conjugación de variadas formas y métodos de lucha.
En esta hora crucial para nuestros pueblos asumimos con determinación las respuestas que desde variadas resistencias y ofensivas en marcha ameritan el pérfido y desesperado contra-ataque que desde su evidente declinación como imperio ha emprendido contra nuestros pueblos la militarizada súper-potencia del “Norte revuelto y brutal”
La revolución bolivariana, punto de partida junto a la insurgencia zapatista en México, de esta nueva y promisoria época; y la heroica revolución cubana, principal conquista de los pueblos del continente americano en este siglo XX, serán defendidas con alma y corazón por nuestro movimiento. ¡Con sangre cargada de indignación si fuera necesario!
Los avances políticos y sociales de diferente calado en Ecuador, Bolivia, Nicaragua, El Salvador, Uruguay, Brasil… y muy especialmente la que encarna el ALBA y todo aquello que apunte en dirección a la autodeterminación, a las reformas avanzadas y a las transformaciones revolucionarias– así como a las perspectivas de profundización y ampliación de esos procesos– tendrán en el naciente MCB un bastión de solidaridad y de impulso desde las resistencias y las ofensivas de nuestros pueblos.
Contribuir a derrotar el régimen golpista en Honduras y abrir cauce a la constituyente popular es un compromiso de honor.
Enfrentar todo intento de golpe similar en Paraguay o donde sea, es un deber insoslayable.
Haremos hasta lo imposible para contribuir a aislar , acorralar y derrotar el engendro cipayo y narco-para-terrorista que representa el régimen de Álvaro Uribe, impuesto a sangre y fuego en ese hermano país con pretensiones de expansión a otras naciones de la región.
Contribuiremos al canje humanitario de prisioneros y prisioneras y a la solución política del conflicto armado colombiano en procura de la paz anhelada.
No hay chantaje sobre el planeta que nos conduzca a renunciar al merecido respaldo a la insurgencia y a todas las fuerzas sociales, políticas y democráticas que representan la libertad y emancipación del pueblo colombiano. La misma actitud asumimos frente a la insurgencia indígena Mexico y en cualquier parte del continente.
La arrogancia, la agresividad y la vocación guerrerista de un imperialismo decadente y senil, empecinado por imperiosas razones de sobre-vivencia e incierta continuidad a apropiarse mediante la fuerza militar del valioso patrimonio natural de nuestros pueblos, a intentar revertir su ofensiva transformadora y a desestabilizar y erradicar los gobiernos revolucionarios y progresistas de la región no nos atemorizan. Nadie podrá arrebatarnos lo conquistado.
Nadie podrá apoderarse impunemente de las fuentes de agua, biodiversidad, minerales, mares, bosques, playas, reservas científicas y valores culturales. ¡Ese pleito esta cazado y vamos a triunfar!
Desde nuestros territorios poblados por nuestros pueblos originarios, trabajadores y trabajadoras, campesinos y campesinas, jóvenes, niños y niñas, comunidades rurales y urbanas, mujeres discriminadas, iglesias de los pobres , negros /as, mestizos/as, etnias discriminadas, artistas e intelectuales, cooperativistas y productores nacionales…vamos a librar las luchas necesarias para preservar y asumir colectivamente esas riquezas, para impedir su conversión en fuentes de explotación , expansión y lucro del gran capital criollo y transnacional. Igual los acompañaremos en su insumisión frente a todas las modalidades de explotación, dominio y exclusión de que son víctimas.
Seremos luchadores por la liberación de los presos políticos colombianos, venezolanos, hondureños, vascos, peruanos y puertorriqueños que cumplen condenas por sus luchas libertadoras y solidarias en las cárceles de los imperios y de los gobiernos antidemocráticos de América, Europa, África, y Asia.
Nuestras queridas patrias chicas, camino a conformar la Patria Grande soñada por Bolívar, tendrán en el MCB un defensor inclaudicable frente a los desmanes de los imperialismos norteamericano y europeo.
Las bases gringas en Colombia, Honduras, Puerto Rico y en todo el continente habrán de enfrentar pronto el clamor y la movilización que las aísle; al tiempo que potencie la reacción capaz de disuadir los perversos planes de guerras que implican su presencia y expansión en Nuestra América, y que en caso de ejecutarse puedan ser derrotados por nuestros pueblos.
La unidad antiimperialista será una de nuestras divisas relevantes. Confluiremos en todas las iniciativas que la amplíen y fortalezca.
No habrá causa justa en el mundo que no cuente con nuestro concurso militante. Las resistencias y luchas de los pueblos de Irak, Irán, Afganistán, Pakistán, Kurdistán, Turquía, Euskal Herria, Galicia, República Saharaui, y otros pueblos de África, tendrán en el MCB un aliado firme y leal.
Las demandas y los combates de las y los inmigrantes del tercer mundo en Estados Unidos y en Europa serán apoyadas con determinación. No habrá presos ni presas en las cárceles del imperio y de los estados represivos a los que no llegue nuestro clamor de libertad.
El colonialismo en Puerto Rico, las Malvinas y en todo el Caribe insular y en el mundo nos tendrá de frente.
¡ABAJO LAS COLONIAS! ¡VIVA LA LIBERTAD DE LOS PUEBLOS!
¡SOMOS MCB!
¡SOMOS DEMOCRACIA VERDADERA, ANTI-IMPERIALISMO, ANTI-CAPITALISMO!
¡SOMOS SOCIALISMO SIN CALCO NI COPIA, SOMOS TRANSICIÓN CREADORA HACIA ÉL!
¡SOMOS REENCARNACIÓN COLECTIVA DEL LIBERTADOR, DEL CHE, DE LOS HEROES Y HEROINAS DE AMERICA!
¡SOMOS NUEVA INDEPENDENCIA!
NACIMOS HOY CONMEMORANDO AQUEL GLORIOSO AYACUCHO PARA DESDE SU INAGOTABLE FUENTE DE INSPIRACION CONTRIBUIR AL NUEVO Y DEFINITIVO AYACUCHO!
¡PARA CREAR PATRIA GRANDE Y SOCIALISMO!
¡SOMOS MCB PORQUE EN BOLÍVAR Y LAS Y LOS PRÓCERES DE NUESTRA AMÉRICA NOS ENCONTRAMOS TODAS Y TODOS!
¡HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!
CARACAS, 9 DE DICIEMBRE DE 2009′
Pubblicato da Vaccamagra a 08.07

Paraguay, segnali di golpe?

3 commenti

Fernando Lugo e Federico Franco
Sono sempre più insistenti in Paraguay  le voci di un probabile colpo di Stato che dovrebbe attuarsi secondo le modalità di quello messo in atto il 28 giugno scorso in Honduras. Come si vocifera anche tra gli alti vertici dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani), preoccupati per la crescente tensione nel paese,   “nessuno pensa che in Paraguay ci sarà un golpe, ma tutti ne parlano”.
 
Fernando Lugo  ha denunciato che da quando ha assunto la presidenza, nell’aprile del 2008,  ci sono stati vari tentativi di destabilizzarlo messi in atto da esponenti del Partido Colorado che è stato al potere nel paese  per 60 anni e che è uscito sconfitto nelle ultime elezioni presidenziali.  “Dopo decenni di dominio assoluto di uno stesso gruppo politico, non deve sorprendere che fin dal principio di questo governo alcuni settori e personaggi abbiano avuto la tentazione di fermare  il processo politico” ha dichiarato Lugo, mentre per sgomberare il campo da sospette  alleanze tra politica e Forze Armate ne ha riformato tutti  i vertici appena un mese fa.
 
A dirigere il tentativo di golpe è  il vicepresidente Federico Franco, leader del Partido Liberal Radical Auténtico, che guida l’ala conservatrice e più reazionaria della coalizione in cui si trova anche Lugo (Alianza Patriótica para el Cambio).  Franco  ha in vaie occasioni accusato pubblicamente  il presidente  di essere un “traditore” e ha detto  di “essere pronto ad assumere la presidenza del paese”, nel caso Lugo venga  sottoposto a impeachment.
 
La svolta a sinistra presa dal governo dopo l’elezione del  “vescovo rosso”   gli ha fatto progressivamente perdere l’appoggio politico di cui godeva in Parlamento e che era stato  soltanto funzionale a liberare il paese da decenni  di dominazione del Partido Colorado. Alleati  strategici di Franco, in quest’opposizione che potrebbe scaturire, come avvenuto in Honduras  in un “golpe istituzionale”,  sono  il presidente del Senato Miguel Carrizosa e il politico ed ex generale  Lino Oviedo, controverso personaggio accusato di aver realizzato in passato due colpi di stato, massacri contro alcuni civili e l’omicidio di un vicepresidente, attualmente alla testa del partito di destra UNACE.
 
Come già avvenuto in Honduras, anche in Paraguay i settori più conservatori della società, rappresentati dai latifondisti, da una classe politica e dirigenziale corrotta e spesso legata al narcotraffico, dal settore imprenditoriale,  sono preoccupati per  la decisione del presidente Lugo di aderire all’Alba, l’Alternativa Bolivariana  per le Americhe.  Ma non solo. Sono tante le riforme che il governo sta cercando di realizzare con non poche difficoltà,  come rendere gratuite sanità ed educazione, attuare una Riforma Agraria, liberarsi progressivamente della presenza delle forze militari statunitensi e  programmare una riforma costituzionale che renda possibile la realizzazione in tempi brevi del progetto sociale riformista  in favore dei più deboli ed emarginati.
 
Gli Stati Uniti, dal canto loro non possono che  vedere con preoccupazione crescente il  nuovo scenario che si profila all’orizzonte: un paese strategicamente importante (anche per le immense risorse idriche di cui è ricco) come il Paraguay, nel cuore dell’America latina, che lentamente sfugge al loro controllo e che ha intenzione di “restare un paese sovrano” come ha dichiarato in una recente intervista il ministro degli Esteri Héctor Lacognata, che ha respinto la proposta statunitense  di inviare nel paese 500 soldati in cambio di 2,5 milioni di dollari da destinarsi per la  costruzione di infrastrutture e  per attrezzature e spese mediche per le comunità più isolate de paese, nell’ambito di un progetto di cooperazione che prende  il nome di Nuevos Horizontes 2010.
 
L’ambasciatrice statunitense  ad Asunción, Liliana Ayalde ha detto che si è trattato di  un “duro colpo” se si pensa che si sta parlando “dell’educazione di circa 600 bambini, di assistenza medica per  19mila persone delle  comunità povere  e  di assistenza odontoiatrica per altre  3600.”
 
Il Paraguay di Lugo, che aderisce all’Unasur, l’Unione delle Nazioni Sudamericane,   non può non far proprie  le inquietudini  dell’America latina integrazionista rispetto alla  crescente presenza militare degli Stati Uniti nella regione, testimoniata anche dal recente accordo statunitense con la Colombia per la costruzione di 7 nuove basi militari nel paese andino. La presenza di 500 militari americani è stata pertanto giudicata inopportuna da Palacio de López, la sede del governo ad Asunción e Lacognata ha tenuto a ribadire a coloro che lo accusano di essere portatore di posizioni estremamente ideologizzate,  che il suo ruolo è quello di mantenere l’autonomia di un paese  che deve restare sovrano. “Non possono venire medici civili a realizzare gli interventi? Non possono venire civili a costruire le scuole?” si chiede il ministro. “Quello che vogliono fare gli Stati Uniti nel nostro paese non è una politica sociale, nel migliore dei casi  è carità” ha detto. A voler essere buoni. Perchè quello che gli Stati Uniti vogliono fare in Paraguay è quello che fanno molto più sfacciatamente in paesi zerbino quali ad esempio la Colombia.
 
Si chiama tattica o strategia in una regione nella quale  trovano sempre minori spazi all’interno della sempre maggiore coesione e integrazione economica e politica, ma soprattutto strategica ( e in un prossimo futuro probabilmente anche militare) che si sta organizzando in America latina.
 
Salvo Colombia, Perú,e  in parte il Cile in America del Sud sembra veramente che il “cortile” non abbia più intenzione di rimanere  tale.
Segnali preoccupanti  fanno tuttavia pensare che  i “falchi”  del Nord  stiano riorganizzando forze e mezzi. Le fragili democrazie come quella del Paraguay farebbero bene a stringere alleanze più solide ma soprattutto a rafforzare gli appoggi interni, che come l’Honduras ha insegnato, non possono essere più soltanto quelli realizzabili  sul piano istituzionale e politico, con alleati dell’ultima ora inaffidabili e corrotti o corruttibili,   ma devono necessariamente partire da un ampio consenso della base e dei movimenti sociali del paese, dei movimenti indigeni e delle donne. Quelli che come è avvenuto in Honduras hanno anche, e non è solo enfasi, veramente dato la vita per il ritorno del loro presidente legittimamente eletto.
 

El país de Alan García, donde él come y no deja comer a los y las excluido/as.

0 commenti
Ricevo dall’ amica e instancabile attivista per la difesa dei diritti umani Diana Avila questo articolo. Sono considerazioni politiche condivisibili e importanti sull’anno che si sta appena concludendo nel Perú di Alan García. E riflessioni amare, su quello che sta iniziando. Illustrato dalle vignette del grande Carlos Tovar (Carlín)
 
Perú, terminando un año difícil
por Diana Avila Paulette                                                                    
publicato en la Revista Ideele Diciembre 2009
 
Finalizamos el año 2009 y ya estamos nuevamente en la campaña electoral 2010 para las elecciones regionales, municipales y las presidenciales el 2011. Alan García, en su segundo mandato tiene solamente quince meses para cumplir sus innumerables “promesas” y dejar el camino libre para que el APRA le asegure un blindaje en el período que viene, contra investigaciones necesarias y cabales frente a la corrupción de su segundo gobierno.
 
Logros del gobierno, el cinismo, de no al TLC y si al TLC que lo vimos antes que García asumiera. La burla en el cumplimiento de sus promesas. El “Perro del Hortelano” que come mucho y no deja comer, la criminalización de la protesta social, ese es el presidente García.
 
¿Lo más resaltable? Es una buena pregunta. Cuesta decidir, la corrupción me viene a la mente permanentemente y luego pienso en Bagua, no solamente por Bagua en tanto conflicto con los pueblos amazónicos, postergados de siempre, sino como ejemplo de una forma de enfrentar los problemas del país, con engaños, con “mecidas”, negocio/dialogo y te persigo/te ilegalizo como organización y entonces termino en la criminalización de la protesta social como la tónica de su gobierno. Cómo se ha resuelto Apurímac, Canchis, la lista es muy larga… Lo más permanente criminalizar y perseguir dirigentes sociales, “frases como disparen y luego piensen”. Cuántos muertos en el premierato de Yehude Simon? solamente.
 
Pensaría en los Petroaudios, Business Track, la alianza con su vicepresidente el Almirante Giampietri, como elementos muy significativos. La corrupción en definitiva y la impunidad total. Si eres ministro/a puedes hacer cualquier cosa y basta que renuncies y quedas en la total impunidad. Está la ex ministra de Comercio, gestora de Tratados de “Libre” Comercio, era ella la que decía que sin los Decretos Legislativos, en la crisis de los pueblos amazónicos en Bagua, el TLC con los Estados Unidos entraría en crisis. Una mentira muy grave. Ahora es Ministra de la Producción. Yehude Simon, responsable de los crímenes de Bagua, como Primer Ministro la acusa, cuando dejó de ser Premier Ministro. Y la responsabilidad de Yehude Simon??!!! La ex ministra del Interior Mercedes Cabanillas, durante la crisis de Bagua, condecorada por la Policía. Otro caso patético y más reciente es el de Frances Allison le ofreció una manifestación de apoyo, públicamente, cuando era Alcalde de Magdalena. Nombrado Ministro de Vivienda, donde se mueven proyectos y dineros muy relevantes. Aparece ligado a Business Track y los Petroaudios famosos y renuncia. Se va tranquilo y luego de sus vacaciones lo apresan en Miami por llevar 50,000 dólares, dinero no declarado. Evidentemente un error de cálculo!
 
Ese ha sido y es el país de Alan García, donde él come y no deja comer a los y las excluido/as. Lo que viene el próximo año, más concesiones a las grandes empresas, más criminalización de la protesta social, más persecución. La ley que corta los beneficios por trabajo, educación… a los condenados por “terrorismo” en los tiempos de la revuelta aprista de Trujillo habría dejado a la dirigencia aprista presa para toda la vida?
 
Me quedo en términos de la economía con el balance del modelo neoliberal que hizo Jurgen Schulz hace unas semanas en el Diario La República. “En pocas palabras, se trata de un modelo económico que asigna perfectamente los recursos productivos en base a la dinámica de los libres mercados, tal como se expresan a través de las tendencias de los precios relativos básicos. Pero, por eso mismo, es frágil frente a shocks externos, políticamente inestable y socialmente excluyente, por lo que la lógica ricardiana bien podría abrirle el campo a un gobierno abiertamente autoritario de uno de los extremos del espectro político.”
 
O las conclusiones de Francisco Durand cuando habla de Perú como “nueva oligarquía y neo latifundismo: “Vivimos los tiempos de la nueva oligarquía y el neolatifundismo. El grupo Gloria, por ejemplo, tiene 29,000 hectáreas. El país, dicen, prospera como nunca, aunque los primeros en prosperar son ellos. El Perú parece que fuera un puerto o un aeropuerto. Mirando siempre hacia el mar, para ver si llegan las importaciones, o si se embarcan a tiempo las exportaciones. A los cielos, para ver si llega a tiempo el avión que trae inversionistas o que nos lleva a París. Siempre de espaldas a la sierra o la selva.”
 
El 2010 será un año de conflictos sociales, de más denuncias de corrupción, de más congresistas desaforados. Año de campaña electoral con el dinero de nosotros y nosotras, el dinero del Estado peruano, ese que no está para la reparación de las víctimas del conflicto armado interno. No es pesimismo, porque en realidad en el contexto de América Latina nuestro futuro si puede ser diferente, a pesar de lo hecho por Alan García.
 
Diciembre 2009

Honduras, semillas de libertad (Primera parte)

1 commento


Colombia, la pace tra le FARC e l’ELN fa paura al governo di Uribe

1 commento

di Antonio Moscato

Fonte: Il megafono quotidiano

Il 21 dicembre il sequestro del governatore di Caquetá, ucciso quasi subito, ha inferto un duro colpo alle speranze della chiusura della fase più drammatica della storia insanguinata della Colombia, e ha suscitato non pochi sospetti.
Pochi giorni fa dalla Colombia era arrivata una notizia importante e positiva: Le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l’ELN (Ejército de Liberación Nacional), le principali formazioni storiche della guerriglia, avevano firmato un importante accordo. FARC ed ELN negli ultimi anni si erano scambiati accuse molte aspre, tra cui quella gravissima di collaborare col regime di Uribe, e in alcuni casi erano arrivati a scontrarsi con le armi in alcune località. Il testo dell’accordo, datato novembre e reso pubblico agli inizi di dicembre, aveva toni decisamente nuovi, e parlava di “riscattare la bandiera della pace in Colombia”, definendolo “un impegno di tutto il continente”.
Abbandonando i toni settari di un passato non lontano, il comunicato affermava che “solo l’unità e l’azione decisa dei patrioti colombiani, dei democratici, dei rivoluzionari, e di tutti coloro che conservano speranze in una soluzione politica, potrà fermare la guerra, trovare la pace e rendere possibile la costruzione di una nuova Colombia”. Significativo il riferimento a un “destino non estraneo alle nuove dinamiche che oggi si vivono nella nostra America”.
Come conseguenza di questo preambolo si stabilivano quattro punti:
Fermare immediatamente ogni scontro (confrontación) tra le due forze;
Non permettere alcun tipo di collaborazione col nemico del popolo;
Rispettare la popolazione non combattente, i suoi beni e interessi e le sue organizzazioni sociali;
Fare uso di un linguaggio ponderato e rispettoso tra le due organizzazioni rivoluzionarie.
Già questi punti indicavano una svolta non solo nei rapporti tra FARC e ELN, ma tra le due organizzazioni e la società. Inoltre indicavano la necessità di trovare spazi e meccanismi di consultazione “che permettano di chiarire e identificare le vere cause che ci hanno portato ad assurdi scontri in alcune regioni del paese, di superarle e di lavorare per riparare i danni arrecati.
Già in aprile era emersa un’altra novità: Le FARC avevano deciso di liberare unilateralmente un militare, Pablo Emilio Moncayo, caduto nelle mani dei guerriglieri dodici anni fa (viene indebitamente definito “ostaggio”, ma è un prigioniero di guerra catturato in combattimento). La Croce Rossa Internazionale si era impegnata a organizzare il difficile compito di prenderlo in consegna e portarlo fuori dalle zone occupate dalla guerriglia, ma pochi giorni fa si è ritirata per protesta contro la decisione del presidente Uribe di procedere al recupero a mano armata di tutti gli ostaggi detenuti. Il padre del sottufficiale, il professor Gustavo Moncayo, ha denunciato duramente l’atteggiamento del governo, che ha ignorato la decisione delle FARC di liberare unilateralmente oltre a suo figlio tutti i prigionieri di guerra in loro potere. Uribe ha respinto tutti i tentativi di negoziati basati su varie ipotesi, dallo scambio umanitario con i moltissimi militanti e simpatizzanti di sinistra detenuti, alla creazione di condizioni di sicurezza indispensabili per rendere possibile la consegna unilaterale.
È a questo punto che è arrivata la notizia del rapimento del governatore del dipartimento colombiano di Caquetá, Luis Francisco Cuéllar, che secondo il governo sarebbe stato sequestrato la notte tra lunedì e martedì dai guerriglieri delle FARC. È verosimile che, mentre ribadiscono da otto mesi di voler liberare unilateralmente tutti i prigionieri, un po’ per le pressioni internazionali (Venezuela compreso), un po’ per le difficoltà militari, le FARC vogliano catturarne un altro? O è stata una formazione locale in disaccordo con la linea distensiva della direzione?
Qualche dubbio riguarda anche le modalità del sequestro: come è stato possibile il rapimento di un uomo politico che è anche un potente latifondista, protetto da una milizia privata? Possibile che questa sia risultata così inefficiente e così poco combattiva, da cavarsela con un solo caduto nello scontro? Insomma, non è chiaro chi fosse e da dove venisse il “gruppo di uomini armati e vestiti con divise militari”che dopo aver fatto saltare con l’esplosivo il cancello della residenza di Cuéllar, lo hanno portato via. In ogni caso il corpo è stato trovato subito dopo, sgozzato, e imbottito di esplosivo, accanto al veicolo usato per rapirlo, a soli 15 km da Florencia, la capitale del dipartimento.
Gustavo Moncayo, che sta da lungo tempo “marciando per la pace” e la liberazione di suo figlio, ha affermato che la decisione del governo di procedere a interventi armati per liberare gli ostaggi, impedendo l’attività della Croce Rossa e di altri mediatori, mettere in pericolo la vita di suo figlio e degli altri prigionieri di cui le FARC hanno disposto da mesi la liberazione. “Vogliamo una soluzione politica negoziata”, ha ribadito.
Anche senza sollevare altri più pesanti dubbi, il professor Moncayo ha affermato che in ogni caso la sua famiglia e quelle di altri prigionieri di cui le FARC hanno deciso di consegnare a mediatori “non hanno la colpa del sequestro di questo signor Cuéllar”. E ha fatto un appello alla “comunità internazionale” perché intervenga per evitare che il governo Uribe utilizzi altri pretesti per evitare la liberazione di suo figlio e di altri soldati.
Uribe, che ha governato male, e che ha visto crescere nelle elezioni amministrative il peso delle sinistra, che governano ormai le principali città, ha bisogno, ad ogni costo, di giustificare la sua politica di provocazione e di sudditanza agli Stati Uniti con lo spauracchio della guerriglia, identificata sistematicamente con il narcotraffico, nonostante sia proprio la maggioranza governativa ad avere al suo interno decine di noti narcotrafficanti e capi di bande paramilitari.
La pace auspicata dal comunicato congiunto di FARC ed ELN, fa paura a Uribe…


Nuova denuncia di Narciso Isa Conde

0 commenti
Narciso Isa Conde

Uribe-CIA e i generali scagnozzi di qua e di là: chiedendo la mia testa e quella di molti altri
di Narciso Isa Conde /MCB Repubblica Dominicana
ABP/17/12/2009
 
Non è per caso che mi segnalano ancora una volta come “coordinatore e ideologo” del “braccio politico” delle FARC-EP. Il Congresso Costitutivo del Movimento Continentale Bolivariano (MCB) deve averli infastiditi molto. Il Coordinamento Continentale Bolivariano (CCB) è cresciuto nonostante la criminalizzazione subita e si è trasformato in un forte movimento grazie alla   volontà di 1200 delegati provenienti da 30 paesi della nostra America, dell’Europa, dell’Australia e del Nord America, anche se ovviamente la maggior parte dei comitati partecipanti giungono dall’America latina e dai Caraibi. Forze rivoluzionarie molto diverse e intellettuali e militanti di gran peso politico e sociale hanno partecipato a questo evento che si è tenuto nei giorni 7, 8 e 9 dicembre a Caracas, dandogli un segno distintivo di qualità e un chiaro senso strategico nelle sue decisioni. Le forze più progressiste, quelle più anti-sistemiche, anti-imperialiste e anti capitaliste si sono unite ancora di più.
 
L’orrore narco-paramilitare-terrorista guidato da Alvaro Uribe, le basi militari statunitensi nella regione, i golpisti honduregni, la destra e la lumpenoligarchia continentale,il farsante Obama e il suo imperialismo pentagonizzato, sanno molto bene che gli risponderemo con nuove espressioni di resistenza e offensiva di carattere regionale e di vocazione internazionalista. Per questo la loro menzognera campagna mediatica.
 
Ho coordinato la presidenza Collettiva della CCB dal 2005, ho partecipato attivamente a questo Congresso Costitutivo del MCB e ora mi hanno scelto per coordinarne la presidenza. Da qui tanto accanimento contro di me.
 
Ci abbaiano contro perché stiamo galoppando e in modo particolare abbaia il “bulldog” di Washington con sede in Colombia, accompagnato dalla CIA e dal Mossad. Gli hanno assegnato compiti criminali da svolgere al di là delle sue frontiere, come fa Israele in Medio Oriente.
 
Abbaiando accusano che il comandante Iván Márquez (membro del Secretariato dellle FARC-EP) ed io abbiamo deciso di fondare il Coordinamento Continentale Bolivariano – trasformato ora in Movimento – come “braccio politico” internazionale dell’insorgenza colombiana, trasferendo così su di me le stigmatizzazioni e le calunnie anti-FARC e la decisione di annientarmi militarmente come se fossimo in guerra aperta.
 
La storia è invece molto diversa e la quantità di menzogne annesse non le andremo né a contare né a ribattere adesso, perché questo dossier ha un altro scopo; promettendo, sia chiaro, farlo nel più breve tempo possibile, dopo la pubblicazione di questo articolo.
 
Le accuse che rimbalzano dall’Ecuador: un’altra manovra per rafforzare la criminalizzazione.
 
Il lancio di questa vecchia accusa, falsamente viene attribuito al governo ecuadoriano, cercando così di dargli la legittimità di cui è carente, mentre proviene invece direttamente dai rappresentanti dello screditato Stato colombiano.
La “Commissione di Verità e Trasparenza” sul caso Angostura-Sucumbíos (bombardamento e massacro in territorio ecuadoriano dell’accampamento del comandante Raúl Reyes), sebbene sia stata istituita per decisione del presidente Correa, in realtà ha rappresentato una domanda della società civile, autonoma dal governo, che non ha tardato a prendere una sua propria direzione. Intorno a questa commissione gravita l’USAID e nel suo seno hanno esercitato influenza le corrotte e contorte versioni di fattura colombiana.
 
Il suo rapporto non è stato pubblicato formalmente e non rappresenta la posizione del governo ecuadoriano. Solo alcuni frammenti dello stesso, con evidente mala intenzione, sono stati resi pubblici attraverso i mezzi di comunicazione di destra e le agenzie internazionali della stampa.
 
La citata Commissione non ha rispettato il tempo fissato per la sua pubblicazione e si è prestata a questa manovra che include elaborazioni dell’intelligence colombiana, della CIA e del Mossad. Il suo presidente Francisco Huerta ha fama di essere un opportunista ed evidentemente insieme ad altri membri della Commissione si è prestato a favorire versioni che sembrano provenire più dal governo colombiano che da quello ecuadoriano. In definitiva ha ingannato il suo proprio Stato.
 
In quel poco pubblicato in questo rapporto, abbondano le falsità e le mezze verità, anche molto pasticciate. Si tratta di un vero e proprio sgorbio che inizia ad essere contestato nel seno della società ecuadoriana e specialmente dalle persone calunniate.(*)
 
Tra i passaggi più diffusi ci sono quelli che mi citano e mi accusano, alcuni di essi usati dalle agenzie internazionali e ripresi dai mezzi di comunicazione dominicani.
 
Chiedono la mia testa : reiterano il proposito
 
Ripeto che questo non avviene a caso.
 
La macchina mediatica alimentata dai centri del potere della tragica alleanza colombiano-statunitense è tornata a rimettersi in moto contro la mia persona e contro altri dirigenti del nascente MCB, chiedendo le loro teste e il carcere.
 
Nel mio caso ho denunciato e diffuso molte informazioni precisando che il regime di Uribe, con l’appoggio del potere imperialista statunitense, vuole la mia testa, cioè è deciso ad uccidermi.
 
Ha cercato di farlo nel settembre del 2008 quando l’ex ambasciatore colombiano Juan José Chaux Mosquera (uno dei capi politici del paramilitarismo) e l’addetto militare di questa missione diplomatica, il capitano Manuel Hernández, per ordine di Montoya hanno tramato questo piano criminale con la luce verde dell’ambasciata americana, rappresentata dalla colombiana-statunitense Beatriz Arena.
 
Alcune settimane fa hanno reiterato il loro terribile proposito.
 
Lo stesso generale Montoya ambasciatore colombiano in Repubblica Dominicana e la stessa Beatriz Arena, consigliere dell’ambasciata degli Stati Uniti, hanno proposto all’attuale capo della Polizia Nazionale, generale Guillermo Guzmán Fermín, il quale muore dalla voglia di mandarmi all’altro mondo, una forma di “annientarmi”, di farmi scomparire dalla mappa. Questo è stato giustamente denunciato ma prima ne è stato informato   il presidente Fernández.
 
Fino ad ora sono vivo grazie all’ alto costo politico che rappresenterebbe il mio omicidio per il governo attuale, il cui presidente si limita a ripetere i rischi che corro e a promettere garanzie che non mantiene.
 
Leonel Fernández non ha il coraggio di agire e di mettere al loro posto i colombiani e gli statunitensi che partecipano attivamente a questa congiura, nonostante siano stati già segnalati con nome e cognome.
Al contrario gli sta dando la possibilità di organizzare, mettere a punto e disegnare piani repressivi e di contaminare con le loro mafie narco-paramilitari le strutture dello Stato e la società dominicana.
 
Operano impunemente in Haití e nella Repubblica Dominicana, vincolati a investimenti provenienti dal narco-lavaggio (più di mille milioni di dollari in totale), a gruppi imprenditoriali mafiosi e ai loro cartelli preferiti.
 
Leonel Fernández, i politici del PLD che gli ruotano intorno e una parte dei generali che lo appoggiano sono complici e beneficiari tanto di questi affari e di questi metodi sporchi come dell’appoggio politico derivato da quest’associazione a delinquere con i generali e le mafie colombiane. Per questo gli garantisce impunità per le loro malefatte.
 
Nel mio caso, Leonel e l’attuale capo della Polizia sono stati frenati dalla consapevolezza che entrambi hanno dell’enorme costo politico che rappresenterebbe per loro e per il governo il mio omicidio. Farò in modo che questo sia ogni giorno più grande.
 
Ciò nonostante, la cupola civile e militare colombiana, strumento degli Stati Uniti nella regione, non ha desistito da questo proposito. Questa nuova campagna criminalizzatrice evidenzia che continuano in questa strada e cerca di aumentare la sua offensiva annunciando misure legali, ordini di cattura e richieste di estradizione come quella contro il compagno venezuelano e presidente del Parlamento latinoamericano , Amilcar Figueroa.
 
 
Generali dominicani, compari    del generale Montoya
 
Nel mio caso il pericolo è maggiore perché fanno affidamento nel paese con forti connessioni a livello militare e della Polizia, incluso con l’attuale capo di questa, che si dimena tra il desiderio di contribuire al piano criminale e la coscienza delle sicure implicazioni catastrofiche dello stesso sulla sua “carriera” e sulla sua persona.
 
Questa “patata” è così calda che scotta. Non si tratta però, rispetto alle citate connessioni, ripeto, soltanto di lui, famoso per la sua durezza e vocazione criminale, meglio conosciuto come il capo dei “chirurghi” e il campione delle fucilazioni illegali. Nel suo caso si può dire “tale padre, tale figlio” ricordando il boom degli omicidi e le torture durante la direzione della polizia da parte di suo padre generale Guzmán Acosta, durante gli anni del terrore di Balaguer.
 
Ci sono altre connessioni colombiano-dominicane molto pericolose.
 
Esternamente alle strutture di polizia propriamente dette, a capo dell’Autorità Metropolitana del Trasporto (AMET ma con forti legami con esse), agisce il generale Rafael Bencosme Candelier, forgiato nel crimine e nelle torture, coinvolto in ogni tipo di delinquenza commessa dal potere e associato direttamente alle narco-mafie.
 
Ex capo del potente Dipartimento di Investigazioni della Polizia Nazionale, Rafael Bencosme Candelier, è socio del suo attuale dirigente, generale Manuel Fructuoso, un altro della sua stessa risma, esperto in torture, prove false, abusi, angherie e associazione mafiosa. Gli antecedenti di ambedue si fanno risalire al lugubre Servizio Segreto (SS) della Polizia Nazionale nei governi di Balaguer, entità responsabile di omicidi e torture da far rabbrividire.
 
Ambedie hanno diretto l’operazione di polizia nella quale ho rischiato di perdere la vita a settembre dello scorso anno. Lo stesso capo della polizia, Guzmán Fermín, ha ammesso in riservatezza la partecipazione di Bencosme Candelier in questa operazione, cercando di evadere proprie responsabilità e di segnare la distanza con lui per i contrasti che li dividono. Bencosme gli altri generali sono coinvolti nel massacro di Paya, prodotto delle lotte tra le mafie colombiano-domenicane, realizzato per appropriarsi di un enorme carico di cocaina e di una ingente somma di danaro che ancora non sono stati recuperati.
 
I tre, per vie diverse hanno adesso una relazione “carnale” con Montoya. Sono i suoi compari in tutto e per tutto.
 
Montoya , come capo dell’esercito colombiano ha visitato clandestinamente il paese prima di essere ambasciatore e tra le sue missioni c’era quella di preparare il piano per uccidermi, missione che è rimasta a carico di Chaux Mosquera e Beatriz Arena. Il generale Freddy Padilla de León, attuale capo dell’esercito colombiano, ha seguito i preparativi e dopo una settimana in incognito è apparso annunciando un accordo di “cooperazione strategica” tra ambedue le forze armate.
 
In entrambe le occasioni il generale dominicano Ramón Aquino García, allora Segretario delle Forze Armate Dominicane e ora capo della Direzione Nazionale di Investigazioni (DNI) , vincolata alla CIA, si è prestato a favorire questi propositi, impegnandosi inoltre a “investigare” sui “vincoli” dominicani con l’insorgenza colombiana.
 
Aquino García si è alleato con il generalato mafioso colombiano ed è stato decorato due volte: ufficialmente ed extraufficialmente. In quest’ ultimo caso gli è stato   consegnato come prova di “amicizia” e “riconoscimento” il fucile del comandate fariano Martín Caballero, caduto in combattimento qualche anno fa.
 
Una vecchio legame con le mafie civili e militari colombiane ha avuto il Contralmirante Ventura Bayonet, ex capo della Direzione Nazionale del Controllo degli Stupefacenti (DNCD) e della Marina di Guerra, dove costituì gli “squadroni della morte”, fece fortuna e successivamente organizò il sicariato militare all’interno delle Forze Armate. Oggi è sottosegretario di questa istituzione nonostante le evidenze che lo vedono coinvolto nel massacro di Paya, nella protezione dei voli carichi di droga, nel traffico per mare della cocaina e nel contrabbando di alcolici.
 
Ed egli è uno di quelli che è stato a favore del mio omicidio.
 
Va precisato che una parte dei capi della scorta presidenziale, tra i quali il generale Florentino y Florentino (socio del cartello Quirino e oggi capo del corpo di sicurezza della frontiera) e il proprio Aquino García hanno usato questa posizione per catapultarsi alle alte gerarchie delle Forze Armate e stabilire relazioni di complicità e associazione con le mafie civili e militari colombiane. Entrambe queste persone sono state ministri delle Forze Armate.
 
Tutti questi generali delle Forze Armate e della Polizia Nazionale sono compari dei generali colombiani, protetti da Leonel Fernández e pedine chiave nel processo di accelerazione nella conversione dello Stato Dominicano in “narco stato”, ciò che ha reso più facile e veloce per lui arricchirsi insieme agli alti gerarchi civili e militari del governo attuale.
 
Nessuno spazio alla paura
 
Questo quadro di degrado criminale non solo favorisce la trama delittuosa contro di me, ma soprattutto minaccia, se non si risponde ad esso con fermezza e coraggio, di consolidare (favorito dalla recente controriforma costituzionale) uno Stato narco-corporativo, espressione del potere dei vecchi e dei nuovi ricchi, che privatizza tutto il patrimonio nazionale ed è accompagnato da una forte impronta fascistoide mascherata da democrazia rappresentativa.
 
Rispetto a così infauste prospettive non è consentito avere paura spaventarsi, ma dobbiamo indignarsi, ribellarsi, e combatterle prima che sia troppo tardi. Denunciare la loro illegittimità e illegalità e mobilitare il paese per sventarle, ricostruendo lo Stato per mezzo di un processo costituente.
 
La paura deve essere vinta e allontanata. La nostra società è stanca di tanta criminalità di Stato associata alla delinquenza comune. Dobbiamo avere il coraggio di sfidarla fino a sconfiggerla definitivamente. La partecipazione del popolo a questa lotta di trascendentale importanza è l’unica cosa che garantisca la vittoria dell’onestà e della giustizia collettiva.

.
(*) L’ Associazione dei genitori e familiari delle vittime di Sucumbíos ha espresso le stesse opinioni rispetto alla citata Commissione nel corso del loro viaggio in Ecuador, realizzato immediatamente dopo aver partecipato al Congresso del MCB di Caracas. Leggi qui.

 
traduzione di Annalisa Melandri
.
 
.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
.
 
.
 
 
 
 
 
 
 


Pagina 53 di 87« Prima...102030...5152535455...607080...Ultima »