Signor Presidente, signori, signore, amici e amiche, prometto che non parlerò più di quanto altri non abbiano già fatto questo pomeriggio, ma permettetemi un commento iniziale che avrei voluto facesse parte del punto precedente discusso da Brasile, Cina, India e Bolivia. Chiedevamo la parola, ma non ci è stato possibile prenderla.
Ha parlato la rappresentante della Bolivia, e porgo un saluto al compagno Presidente Evo Morales qui presente, Presidente della Bolivia. Tra le varie cose ha detto che, ho preso nota, il testo che è stato presentato non è democratico, non è rappresentativo di tutti i paesi. Ero appena arrivato e mentre ci sedevamo abbiamo sentito il Presidente della sessione precedente, la signora Ministra, dire che c’era un documento da queste parti, che però nessuno conosce: ho chiesto il documento, ancora non lo abbiamo avuto. Credo che nessuno sappia di questo documento top secret.
Certo, la collega boliviana l’ha detto, non è democratico, non è rappresentativo, ma signori e signore: siamo forse in un mondo democratico? Forse il sistema mondiale è rappresentativo? Possiamo aspettarci qualcosa di democratico e rappresentativo nel sistema mondiale attuale? Su questo pianeta stiamo vivendo una dittatura imperiale e lo denunciamo ancora da questa tribuna: abbasso la dittatura imperiale! E che su questo pianeta vivano i popoli, la democrazia e l’uguaglianza! E quello che vediamo qui è proprio il riflesso di tutto ciò: l’esclusione.
C’è un gruppo di paesi che si reputa superiore a noi del sud, a noi del terzo mondo, a noi sottosviluppati, o come dice il nostro grande amico Eduardo Galeano: noi paesi travolti come da un treno che ci ha avvolti nella storia [sorta di gioco di parole tra desarrollados = sviluppati e arrollados = avviluppati NdT]. Quindi non dobbiamo stupirci di quello che succede, non stupiamoci, non c’è democrazia nel mondo e qui ci troviamo di fronte all’ennesima evidenza della dittatura imperiale mondiale. Poco fa sono saliti due giovani, per fortuna le forze dell’ordine sono state decenti, qualche spintone qua e là, e i due hanno cooperato, no? Qui fuori c’è molta gente, sapete?
Certo, non entrano tutti in questa sala, sono troppi; ho letto sulla stampa che ci sono stati alcuni arresti, qualche protesta intensa, qui per le strade di Copenaghen, e voglio salutare tutte quelle persone qui fuori, la maggior parte delle quali sono giovani. Non ci sono dubbi che siano giovani preoccupati, e credo abbiano una ragione più di noi per essere preoccupati del futuro del mondo; noi abbiamo – la maggior parte dei presenti – già il sole dietro le spalle, ma loro hanno il sole in fronte e sono davvero preoccupati. Qualcuno potrebbe dire, Signor Presidente, che un fantasma infesta Copenaghen, parafrasando Karl Marx, il grande Karl Marx, un fantasma infesta le strade di Copenaghen e credo che questo fantasma vaga per questa sala in silenzio, aleggia in quest’aula, tra di noi, attraversa i corridoi, esce dal basso, sale, è un fantasma spaventoso che quasi nessuno vuole nominare: il capitalismo è il fantasma, quasi nessuno vuole nominarlo. È il capitalismo, sentiamo ruggire qui fuori i popoli. Stavo leggendo alcune delle frasi scritte per strada, e di questi slogan, alcuni dei quali li ho sentiti anche dai due giovani che sono entrati, ho preso nota di due. Il primo è ‘Non cambiate il clima, cambiate il sistema’.
Io lo riprendo qui per noi. Non cambiamo il clima, cambiamo il sistema! E di conseguenza cominceremo a salvare il pianeta. Il capitalismo, il modello di sviluppo distruttivo sta mettendo fine alla vita, minaccia di metter fine alla specie umana. E il secondo slogan spinge alla riflessione. In linea con la crisi bancaria che ha colpito, e continua a colpire, il mondo, e con il modo con cui i paesi del ricco Nord sono corsi in soccorso dei banchieri e delle grandi banche degli Stati Uniti, si è persa il conto, per quanto è astronomico. Ecco cosa dicono per le strade: se il clima fosse una banca, l’avrebbero già salvato. E credo che sia la verità. Se il clima fosse una delle grandi banche, i governi ricchi l’avrebbero già salvato. Credo che Obama non sia arrivato, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace quasi nello stesso giorno in cui mandava altri 30mila soldati ad uccidere innocenti in Afghanistan, e ora viene qui a presentarsi con il Premio Nobel per la Pace, il Presidente degli Stati Uniti. Gli USA però hanno la macchinetta per fare le banconote, per fare i dollari, e hanno salvato, vabbhé, credono di aver salvato, le banche ed il sistema capitalista.
Bene, lasciando da parte questo commento, dicevo che alzavamo la mano per unirci a Brasile, India, Bolivia e Cina nella loro interessante posizione, che il Venezuela e i paesi dell’Alleanza Bolivariana condividono fermamente; però non ci è stata data la parola, per cui, Signor Presidente, non mi conteggi questi minuti, la prego. Ho conosciuto, ho avuto il piacere di conoscere Hervé Kempf – è qui in giro -, di cui consiglio vivamente il libro “Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta”, in francese, ma potete trovarlo anche in castigliano e sicuramente in inglese. Hervé Kempf: Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta. Per questo Cristo ha detto: E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Questo l’ha detto Cristo nostro Signore.
I ricchi stano distruggendo il pianeta. Pensano forse di andarsene su un atro pianeta quando hanno distrutto questo? Hanno qualche piano a tal proposito? Fino adesso nell’orizzonte della galassia non se ne vede nessuno come la terra. Questo libro mi è appena arrivato, me l ha regalato Ignacio Ramonet, che è anche lui qui presente, ho terminato il prologo ed il preambolo, questa frase è molto importante, Kempf dice quanto segue: “Non possiamo ridurre il consumo materiale a livello globale se non facciamo in modo che i potenti scendano di vari gradini e se non combattiamo la disuguaglianza. È necessario che al principio ecologista tanto utile al momento di prendere coscienza, pensare globalmente ed agire localmente, aggiungiamo il principio che impone la situazione: consumare meno e distribuire meglio”. Credo che sia un buon consiglio che ci da questo scrittore francese Hervé Kempf.
Bene, Signor Presidente, il cambiamento climatico è senza dubbio il problema ambientale più devastante di questo secolo, inondazioni, siccità, tormente, uragani, disgeli, innalzamento del livello del mare, acidificazione degli oceani e ondate di calore, tutto questo acuisce l’impatto delle crisi globali che si abbattono su di noi. L’attività umana d’oggi supera i limiti della sostenibilità, mettendo in pericolo la vita del pianeta, ma anche in questo siamo profondamente disuguali. Voglio ricordarlo: le 500 milioni di persone più ricche del pianeta, 500 milioni, sono il sette per cento, sette per cento, seven per cento della popolazione mondiale. Questo sette per cento è responsabile, queste cinquecento milioni di persone più ricche sono responsabili del cinquanta per cento delle emissioni inquinanti, mentre il 50 per cento più povero è responsabile solo del sette per cento delle emissioni inquinanti. Per questo mi sembra strano mettere qui sullo stesso piano Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti hanno appena 300 milioni di abitanti. La Cina ha una popolazione quasi 5 volte più grande di quella degli USA. Gli Stati Uniti consumano più di 20 milioni di barili di petrolio al giorno, la Cina arriva appena ai 5,6 milioni di barili al giorno, non possiamo chiedere le stesse cose agli Stati Uniti e alla Cina.
Ci sono questioni da discutere, almeno potessimo noi Capi di Stato e di Governo sederci a discutere davvero di questi argomenti. Inoltre, Signor Presidente, il 60% degli ecosistemi del pianeta hanno subito danni e il 20% della crosta terrestre è degradata; siamo stati testimoni impassibili della deforestazione, della conversione di terre, della desertificazione e delle alterazioni dei sistemi d’acqua dolce, dell’iper-sfruttamento del patrimonio ittico, della contaminazione e della perdita della diversità biologica. Lo sfruttamento esagerato della terra supera del 30% la sua capacità di rigenerazione. Il pianeta sta perdendo ciò che i tecnici chiamano la capacità di autoregolarsi, il pianeta la sta perdendo, ogni giorno si buttano più rifiuti di quanti possano essere smaltiti. La sopravvivenza della nostra specie assilla la coscienza dell’umanità. Malgrado l’urgenza, sono passati due anni dalle negoziazioni volte a concludere un secondo periodo di compromessi voluto dal Protocollo di Kyoto, e ci presentiamo a quest’appuntamento senza un accordo reale e significativo.
Voglio dire che riguardo al testo creato dal nulla, come qualcuno l’ha definito, il rappresentante cinese, il Venezuela e i paesi dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe, noi non accettiamo nessun altro testo che non derivi dai gruppi di lavoro del Protocollo di Kyoto e della Convenzione: sono i testi legittimi su cui si sta discutendo intensamente da anni. E in queste ultime ore credo che non abbiate dormito: oltre a non aver pranzato, non avete dormito. Non mi sembra logico che ora si produca un testo dal niente, come dite voi.
L’obiettivo scientificamente sostenuto di ridurre le emissioni di gas inquinanti e raggiungere un accordo chiaro di cooperazione a lungo termine, oggi a quest’ora, sembra aver fallito. Almeno per il momento. Qual è il motivo? Non abbiamo dubbi. Il motivo è l’atteggiamento irresponsabile e la mancanza di volontà politica delle nazioni più potenti del pianeta, nessuno si senta offeso, ricorrendo al grande José Gervasio Artigas quando disse: “Con la verità non temo e non offendo”. È davvero un atteggiamento irresponsabile di marce, di contromarce, di esclusione, di gestione elitaria, un problema di tutti e che solo possiamo risolvere collettivamente. Il conservatorismo politico e l’egoismo dei grandi consumatori, dei paesi più ricchi testimoniano di una grande insensibilità e della mancanza di solidarietà con i più poveri, con gli affamati, con coloro più soggetti alle malattie, ai disastri naturali, Signor Presidente, è chiaramente un nuovo ed unico accordo applicabile a parti assolutamente disuguali, per la grandezza delle sue contribuzioni e capacità economiche, finanziarie e tecnologiche, ed è evidente che si basa sul rispetto assoluto dei principi contenuti nella Convenzione.
I paesi sviluppati dovrebbero assumersi degli impegni vincolanti, chiari e concreti per la diminuzione sostanziale delle loro emissioni e assumere degli obblighi di assistenza finanziaria e tecnologica ai paesi poveri per far fronte ai pericoli distruttivi del cambiamento climatico. In questo senso, la peculiarità degli stati insulari e dei paesi meno sviluppati dovrebbe essere pienamente riconosciuta. Signor Presidente, il cambio climatico non è l’unico problema che colpisce la umanità, altri flagelli ed ingiustizie ci colpiscono, la forbice che separa i paesi ricchi da quelli poveri non ha smesso di crescere, nonostante tutti gli obiettivi del millennio, la riunione di finanziamento di Monterrey, tutte questi vertici, come diceva qui il presidente del Senegal, denunciando una grande verità, promesse e promesse incompiute ed il mondo continua nella sua marcia distruttiva.
Le entrate totali delle 500 persone più ricche del mondo sono superiore alle entrate delle 416 milioni di persone più povere, le 2800 milioni di persone che vivono nella povertà, con meno di 2 dollari al giorno e che rappresentano il 40 per cento della popolazione mondiale, ricevono solo il 5 per cento delle entrate mondiale. Oggi muoiono all’anno 9,2 milioni di bambini prima di arrivare al 5’ anno di vita ed il 99,9% di queste morti avvengono nei paesi più poveri. La mortalità infantile è di 47 morti per mille nati vivi, ma nei paesi più ricchi è solo 5 per mille. La speranza di vita mondiale è di 67 anni, nei paesi ricchi è di 79 anni, mentre in alcune nazioni povere è solo di 40 anni. Ci sono 1100 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, 2600 milioni prive di servizio di sanità, più di 800 milioni di analfabeti e 1020 milioni di persone affamate: ecco lo scenario mondiale. E ora, la causa, qual è la causa? Parliamo della causa, non evitiamo le responsabilità, non evitiamo la profondità del problema, la causa senza dubbio, torno all’argomento di questo disastroso scenario, è il sistema metabolico distruttivo del capitale e della sua incarnazione: il capitalismo.
Ho qui una citazione di quel gran teologo della liberazione che è Leonardo Boff, come sappiamo, brasiliano, che dice: Qual è la causa? Ah, la causa è il sogno di cercare la felicità con l’accumulazione materiale e il progresso senza fine, usando, per fare ciò, la scienza e la tecnica con cui si possono sfruttare in modo illimitato le risorse della terra; e cita qui Charles Darwin e la sua “Selezione Naturale” la sopravvivenza dei più forti, però sappiamo che i più forti sopravvivono sulle ceneri dei più deboli. Rousseau, dobbiamo ricordarlo sempre, diceva che tra il forte ed il debole la libertà opprime, per questo l’impero parla di libertà, è la libertà di opprimere, invadere, assassinare, annichilare, sfruttare, questa è la sua libertà, e Rousseau aggiunge la frase salvatrice: solo la legge libera.
Ci sono alcuni paesi qui che stanno giocando affinché non ci sia alcun documento, perché non vogliono una norma, perché l’inesistenza di questa norme permette loro la libertà si sfruttare, la libertà di travolgere gli altri. Facciamo uno sforzo e facciamo pressione qui, nelle strade, affinché si realizzi questo impegno, esca un documento che impegni i paesi più potenti della terra.Bene, si domanda Leonardo Boff. Avete conosciuto Leonardo Boff? Non so se è presente qui, l’ho conosciuto poco tempo fa in Paraguay, lo abbiamo sempre letto. Può una terra finita sopportare un progetto infinito?
La tesi del capitalismo, lo sviluppo infinito, è un modello distruttivo, accettiamolo. Dopo Boff ci domanda: Che possiamo aspettarci da Copenhagen? Solo questa semplice confessione: così come ci troviamo non possiamo continuare, ed un proposito semplice, andiamo a cambiare la rotta, facciamolo, ma senza cinismo, senza menzogne, senza doppie agende, senza documenti prodotti dal nulla, con la verità davanti a noi.
Fino a quando ci chiediamo dal Venezuela, signor Presidente, signore, signori, fino a quando andiamo a permettere simili ingiustizie e disuguaglianze; fino a quando andiamo a tollerare l’attuale ordine economico internazionale e i meccanismi di mercato vigente, fino a quando andiamo a permettere che grandi epidemie come l’HIV AIDS colpiscano la popolazione intera; fino a quando permetteremo che gli affamati non possano alimentarsi, ne nutrire i propri figli; fino a quando andiamo a permettere che continuino a morire milioni di bambini per malattie curabili, fino a quando andiamo a permettere conflitti armati che massacrano milioni di esseri umani innocenti, con il fine di appropriarsi delle risorse degli altri popoli da parte dei potenti? Noi popoli del mondo chiediamo agli imperi, a quelli che pretendono di continuare a dominare il mondo e noi, chiediamo loro che finiscano le aggressioni e le guerre. Niente più basi militari imperiali, né colpi di Stato, costruiamo un ordine economico e sociale più giusto e equitativo, sradichiamo la povertà, freniamo subito gli alti livelli di emissioni, arrestiamo il deterioramento ambientale ed evitiamo la grande catastrofe del cambiamento climatico, integriamoci nel nobile obiettivo di essere tutti più liberi e solidali.
Signor Presidente, da quasi due secoli, un venezuelano, libertador di nazioni e precursore di coscienze ha lasciato per la posterità un apoftegma pieno di volontà: “Se la natura si oppone lotteremo contro di lei e fare in modo che ci obbedisca…” era Simón Bolívar, el Libertador. Dal Venezuela Bolivariano, dove un giorno come oggi da circa dieci anni, dieci anni esatti viviamo la tragedia climatica più grande della nostra storia: la tragedia di Vargas così chiamata, da questo Venezuela che tenta con la sua Rivoluzione di conquistare la giustizia per tutto il suo popolo.
Il solo cammino possibile è quello del socialismo, il socialismo, l’altro fantasma del quale parlava Carlo Marx, anche questo aleggia da queste parti, il socialismo, questa è la rotta, questa la direzione per la salvezza del pianeta, non ho il ben che minimo dubbio, ed il capitalismo è il cammino dell’inferno e della distruzione del mondo.Il socialismo, da questo Venezuela, che per questo è minacciato dall’impero nordamericano. Dai paesi che conformano l’ALBA, la Alleanza Bolivariana esortiamo, lo dico con rispetto, però dal profondo della mia anima, a nome di molti su questo pianeta, esortiamo i governi ed i popoli della Terra, parafrasando Simón Bolívar, el Libertador: se la natura distruttiva del capitalismo si oppone, dunque lotteremo contro essa e faremo in maniera che ci ubbidisca, non aspettiamo con le braccia conserte la morte dell’umanità.
La storia ci chiama all’unità e alla lotta. Se il capitalismo ci oppone resistenza, noi siamo obbligati a dar battaglia contro il capitalismo ed aprire il cammino alla salvezza della specie umana, tocca a noi alzare le bandiere di Cristo, de Mahoma, della uguaglianza, dell’amore, della giustizia, dell’umanismo, del vero e più profondo umanismo. Se non lo facciamo, la più bella creazione dell’universo, l’essere umano, sparirà, sparirà.
Questo pianeta è vissuto migliaia di milioni di anni, e questo pianeta è vissuto per migliaia di milioni di anni senza di noi, la specie umana: non ha bisogno di noi per esistere. Bene, noi senza la Terra non viviamo, e stiamo distruggendo la Pachamama, come dice Evo e come dicono i nostri fratelli aborigeni del Sudamerica.
In conclusione, signor presidente, solo per concludere, ascoltiamo Fidel Castro quando dice: una specie è in pericolo di estinzione, l’essere umano. Ascoltiamo Rosa Luxemburg, quando dice: Socialismo o barbarie.
Ascoltiamo Cristo il redentore quando dice: Benvenuti i poveri perché loro sarà il regno dei cieli. Signor presidente, signore e signori, dobbiamo essere capaci di non fare di questa terra la tomba dell’umanità, ma facciamo di questa terra un cielo, un cielo di vita, di pace, di pace e fratellanza, per tutta la umanità, per la specie umana. Signor presidente, signori, mille grazie e buon appetito.
Salvador Tió con i familiari dei giovani messicani massacrati a Sucumbíos. Altre foto del Congresso del Movimiento Continental Bolivariano qui.
La Coordinadora Continental Bolivariana (CCB) va verso il Movimiento Continental Bolivariano (MCB) con un grande congresso.
Al suddetto evento (che si è svolto a Caracas tra il 7 e il 9 dicembre) hanno partecipato circa 1200 delegati e delegate provenienti da trenta paesi, la maggior parte della nostra America, ma anche dell’ Europa, dell’America del Nord e dell’Australia.
Organizzazioni rappresentative dei popoli originari, movimenti femminili, giovanili, ambientalisti, intellettuali, lavoratori, contadini, religiosi, forze politiche di sinistra, si sono dati appuntamento qui, sotto il motto del Libertador: “l’unità ci aprirà i cammini della speranza”.
Eminenti figure della lotta e del pensiero rivoluzionario continentale e mondiale ci accompagneranno, tra le quali Jorge Beinstein (ricercatore argentino), Luís Barrios (sacerdote portoricano residente negli Stati Uniti), Iñaki Gil de San Vicente (intellettuale basco), Miguel Ángel Sandoval (ex-candidato della presidenza del Guatemala), Héctor Acevedo (poeta salvadoregno e dirigente del FMLN), Carlos Reyes (uno dei leader ed ex candidato alla presidenza del Fronte di Resistenza contro il Golpe in Honduras), Elizabeth Flores (dirigente sindacale indigena della Bolivia), Néstor Kohan (intellettuale argentino), Lidia Veras (cantautrice venezuelana), Dax Toscano (intellettuale ecuadoriano), Jerónimo Carrera (intellettuale e riconosciuto dirigente comunista venezuelano), Oscar Figueras (segretario generale del PC venezuelano), María Gurutxiaga (femminista basca), Salvador Tió (intellettuale indipendente portoricano) e Salvador Caputo (dirigente del PC argentino).
Nella manifestazione culturale a chiusura dell’ evento hanno partecipato importanti complessi musicali, teatrali e cantautori.
Questo importante evento ha scatenato un’intensa campagna di criminalizzazione contro i suoi organizzatori da parte del capo dell’esercito colombiano e del presidente Uribe (specialmente contro Narciso Isa Conde e altri compagni membri della presidenza collettiva e della direzione esecutiva), imputando la partecipazione indiretta delle FARC nel congresso al messaggio audiovisivo di solidarietà del comandante Alfonso Cano e stigmatizzando la partecipazione di questa organizzazione insorgente all’interno della diversità rivoluzionaria che compone il MCB.
In questo stesso contesto, allegando dati falsi tratti dal computer del comandante delle FARC Raúl Reyes, si inserisce la richiesta di estradizione e l’ordine di cattura emesso contro il deputato venezuelano, presidente alterno del Parlamento Latinoamericano, Amilcar Figueroa, contro Maria Augusta Calle, deputata dell’Ecuador e contro Gustavo Larrea, ex ministro dell’Interno del governo di Rafael Correa.
Per tutte queste ragioni il Congresso del MCB ha deciso di tenere una linea di solidarietà con tutti i compagni perseguitati e minacciati di morte dal regime narco-terrorista-paramilitare di Uribe e dagli Stati Uniti
Carlos Casnueva
Segretario Generale
Narciso Isa Conde
Coordinatore della Presidenza Collettiva
11 dicembre 2009 Caracas
Movimento Continentale Bolivariano:
Coscienza, creatività, unità
sala stampa Agencia Bolivariana de Prensa
Il giorno 8 dicembre si sono realizzati i tavoli di lavoro che hanno perfezionato le conclusioni politiche alla base del Movimento Continenttale Bolivariano. Le parole che danno il titolo a questo articolo possono definire lo spirito di lavoro collettivo che si è percepito nelle sale del Parque Central di Caracas, mentre già la “grande stampa” aveva diffuso la notizia che anche il comandante Cano faceva parte di questo incontro di forze rivoluzionarie.
Tavolo 1: Strategie, controffensiva e resistenza di fronte alla situazione attuale di crisi economica e nuovo assalto imperialista.
Tavolo 2: Ruolo dei Movimenti sociali nell’espansione continentale delle lotte e articolazione dei distinti attori sociali nell’offensiva anti neoliberista.
Tavolo 3: Diritti umani e diritto internazionale umanitario (prigionieri politici dell’impero e dei governi subordinati)
Tavolo 4: Incontro internazionale di mezzi di comunicazione e
comunicatori bolivariani.
Il dibattito è stato utile e ha fornito elementi utili al consolidamento e allo sviluppo di un maggior livello di coscienza e di impegno nei partecipanti.
Poco a poco si vanno configurando le strategie, percorsi in cui in ognuno degli argomenti si possa affrontare un lavoro che fortifichi il pensiero bolivariano e sviluppi organicamente il MCB in ognuno dei paesi dove già esiste e si possano aprire nuovi capitoli. La decisione di avanzare in questo spazio di unità strategica e di avanzare nella costruzione della Patria Grande e del socialismo è stata il distintivo che ha segnato tutti i tavoli di lavoro.
Sono emerse molteplici e iniziative dei diversi capitoli e dei delegati venezuelani, brillando per creatività e pregio e incorporandosi alle proposte centrali, arricchendo così il dibattito, il lavoro e l’unità.
traduzioni in italiano:
Annalisa Melandri
maggiori info sulle pagine:
Il giornalista colombiano residente in Australia Luis Ernesto Almario, corrispondente di Radio Café Stereo, collaboratore dell’ Agencia Bolivariana de Prensa e dell’ Asociación Bolivariana de Periodistas è stato fermato mercoledì scorso all’aeroporto di Los Angeles mentre era in transito diretto a Caracas per partecipare al Congresso Costitutivo del Movimento Continentale Bolivariano (nato dal Coordinamento Continentale Bolivariano) e al primo incontro internazionale di giornalisti e operatori dell’informazione bolivariani che avrebbe dovuto sancire la nascita proprio dell’ Asociación Bolivariana de Periodistas.
Luis Ernesto Almario è stato trattenuto per circa 24 ore in aeroporto, interrogato da membri dell’FBI e della CIA, accusato di essere un “giornalista terrorista” al soldo delle FARC, minacciato in quanto tale di essere trasferito a Guantanamo, ricattato e rispedito in Australia (nonostante l’intervento del console a Los Angeles) dopo avergli sequestrato la memoria USB nella quale era contenuto il suo lavoro e la bozza di un libro in corso d’opera.
Il sig. Almario che aveva raccolto con sacrificio il denaro per l’acquisto del biglietto aereo si trova adesso di fatto impossibilitato a raggiungere Caracas per partecipare agli eventi in programma. Potrà farlo soltanto riacquistando un nuovo biglietto.
Quello che gli è successo rimanda a quanto già avvenuto qualche mese fa al giornalista colombiano Hernando Calvo Ospina e anche al consigliere del Parlamento Europeo del gruppo Sinistra Unitaria (GUE/NGL), Paul Emile Dupret, i quali — in occasioni diverse — durante il loro volo Parigi/Città del Messico, furono informati dai membri dell’equipaggio (in entrambi i casi la compagnia aerea era Air France) che gli Stati Uniti non avevano concesso l’autorizzazione al sorvolo del proprio spazio aereo al velivolo dell’Air France perché la loro presenza a bordo poteva attentare alla sicurezza dello Stato.
Quanto avvenuto si ricollega infine a una serie innumerevole di soprusi, prepotenze, arresti ingiustificati come quello dell’avvocato colombiano difensore dei diritti umani, Athemay Sterling, detenuto in carcere negli Stati Uniti con le stesse accuse mosse contro Almario, per arrivare fino al massacro premeditato compiuto il 1 marzo del 2008 contro l’accampamento diplomatico delle FARC a Sucumbiós in Ecuador dove hanno trovato la morte quattro giovani studenti messicani oltre al numero due della guerriglia colombiana Raúl Reyes e altri venti guerriglieri.
Attacco compiuto in territorio neutrale al conflitto colombiano in spregio a ogni trattato internazionale tra Stati e alla legislazione internazionale in materia di diritti umani.
Se essere “giornalista terrorista” è l’accusa che ci muove il potere gestito da criminali, se essere giornalisti al soldo della guerriglia colombiana è l’accusa che muovono l’FBI o la CIA in combutta con i servizi segreti colombiani contro chiunque utilizza la parola, l’intelletto e il senso critico per denunciare i crimini di Stato commessi in Colombia, se essere “giornalista terrorista” vuol dire essere attenti osservatori di quanto accade in un paese martoriato da una dittatura mascherata da democrazia, allora sì, confessiamolo apertamente e senza timori che siamo tutti giornalisti terroristi al soldo della libertà e verità. Che potete anche chiamare guerriglia.
D’altra parte è sempre la dignità che fa la differenza.
Tutti quei servi del potere che si vendono oggi, come facevano in passato, per coprire e nascondere il terrorismo di Stato, in Honduras come in Irak, in Israele come in Vietnam, sono e resteranno sempre succubi dei potenti. Che potete anche chiamare giornalisti.
di Gennaro Carotenuto
Pepe Mujica, l’ex guerrigliero Tupamaro, per 13 anni prigioniero della dittatura fondomonetarista, per nove anni rinchiuso in un pozzo e torturato continuamente, è il nuovo presidente della Repubblica in Uruguay. Ha ottenuto il 51,9% dei voti, superando il 50.4% con il quale Tabaré Vázquez era stato eletto cinque anni fa. Il suo rivale, Luís Alberto “Cuqui” Lacalle, del Partito Nazionale, si è fermato al 42.9% dei voti.
E’ uno scarto di nove punti, superiore a tutte le aspettative e, con un’affluenza alle urne superiore al 90% in uno dei paesi dal più alto senso civico al mondo, conferma che quella del presunto rifiuto per la figura popolana e popolare e dal passato guerrigliero di Mujica era una menzogna cucinata e venduta a basso costo dal complesso disinformativo-industriale di massa.
Il trionfo di Mujica (nella foto incredibilmente in giacca, ma senza cravatta) è espressione di quello che negli anni del Concilio Vaticano II si sarebbe definito “segno dei tempi”. Come ha detto lo stesso dirigente politico tupamaro, emozionatissimo nel suo primo discorso sotto la pioggia battente a decine di migliaia di orientali che hanno festeggiato con i colori del Frente Amplio, quello che lo porta alla presidenza è proprio “un mondo alla rovescia”.
Un mondo nuovo i contorni del quale non sono ancora del tutto visibili nella prudenza dei grandi dirigenti politici che rappresentano il fiorire dei movimenti sociali, indigeni, popolari del Continente ma che si tratteggia in due grandi temi di fondo: uguaglianza tra i cittadini e unità latinoamericana.
Mujica è stato chiarissimo: il primo valore della sua presidenza sarà il mettere l’uguaglianza tra i cittadini al primo posto e il primo ringraziamento è andato oltre che al popolo orientale “ai fratelli latinoamericani, ai dirigenti politici che li stanno rappresentando e che rappresentano le speranze finora frustrate di un continente che tenta di unirsi con tutte le sue forze”.
Proprio il trionfo di Mujica, la quarta figura che viene dal basso, plebea se preferite, e non espressione delle classi dirigenti, illuminate o meno, a divenire presidente in appena un decennio, testimonia che l’America latina sta riscrivendo la grammatica politica della rappresentanza democratica in questo inizio di XXI secolo in una misura perfino insospettabile e incomprensibile in Europa.
Mujica, nonostante la militanza politica di più di mezzo secolo, è un venditore di fiori recisi nei mercati rionali. E’ uno che quando è diventato deputato per la prima volta e fino a che non ha avuto responsabilità di governo ha accettato dallo Stato solo il salario minimo di un operaio e, siccome questo non è sufficiente per vivere, ha continuato a vendere fiori nei mercati rionali. Per campare. Indecoroso per un parlamentare, ma solo così, solo dal basso, oggi Mujica può permettersi a testa alta di rappresentare il popolo e proporre a questo “un governo onesto”.
Non è un medico, come Tabaré Vázquez o Salvador Allende o Ernesto Guevara, né ha un dottorato in Belgio come l’ecuadoriano Rafael Correa. Non ha studiato dai gesuiti come Fidel Castro né proviene dalla classe dirigente illuminata come Michelle Bachelet in Cile o i coniugi Kirchner in Argentina. Non è, soprattutto, un pollo di batteria, allevato per star bene in società come tanti burocratini dei partiti politici della sinistra europea, che infatti passa di sconfitta in sconfitta e di frammentazione in frammentazione mentre invece in America l’unità delle sinistre è un fatto.
Pepe il venditore di fiori recisi nei mercatini rionali è un uomo del popolo come l’operaio Lula in Brasile, come il militare di umili origini Hugo Chávez in Venezuela e come il sindacalista indigeno Evo Morales in Bolivia. Non a caso sono tre uomini politici che hanno mantenuto un rapporto privilegiato con la loro classe di provenienza, che non hanno tradito e che sono ricompensati con alcuni tra i più alti indici di popolarità al mondo, nonostante siano costantemente vittime di campagne ben orchestrate di diffamazione da parte dei complessi mediatici nazionali e internazionali.
Non è un caso che da questi dirigenti politici venga posto sul piatto dell’agenda politica lo scandaloso problema dell’uguaglianza che trent’anni di retorica neoliberale avevano umiliato, vilipeso e cancellato e che invece è più che mai l’unico motore dell’unico futuro possibile non solo in America latina.
L’America latina integrazionista, dove diventa presidente un ex-guerrigliero venditore di fiori recisi nei mercatini dei quartieri popolari di Montevideo, è davvero “il mondo alla rovescia”, ma è anche la speranza di un “mondo nuovo”, di un nuovo inizio e un futuro migliore in pace e in democrazia. Questa speranza non poteva che venire dal Sud del mondo, da quella “Patria grande latinoamericana” che sta riscrivendo la Storia.
di Franca Pesce*
Nei giorni scorsi a Roma, nell’ambito del festival del cinema, è stato proiettato il film di Miguel Littin: “Dawson Isla 10″.
In quest’isola, a cui si era cancellato il nome e che veniva chiamata solo con il numero dieci, dopo il colpo di stato di Pinochet erano stati incarcerati i maggiori collaboratori del presidente Salvador Allende, con l’intento di emarginarli e di annientarli fisicamente e mentalmente.
La pellicola presenta la capacità di resistenza dei reclusi ai rigori del clima e della prigionia, la loro fierezza nell’esprimere quella dignità, che altri avrebbero voluto calpestare, la manifestazione dei valori morali, che li avevano portati a operare le loro scelte politiche, la loro determinazione nel coltivare la cultura con lo studio delle lingue e con la collaborazione reciproca in quell’ambiente così difficile ed ostile.
Mi ha colpito questa vicenda perché in questo momento in Perù, nazione confinante col Cile, altri uomini stanno vivendo un’esperienza, per alcuni versi, simile a questa.
In varie carceri del Paese i prigionieri politici, molti dei quali professionisti o in possesso di un elevato livello culturale, oltre ad aver partecipato ad attività gestite da operatori al servizio dell’amministrazione carceraria, producendo manufatti di ceramica, di sartoria, di pelletteria, o creando opere di pittura, scultura ecc., da tempo si sono organizzati dando vita a laboratori ed attività di vario tipo.
Essi infatti si sono dedicati all’apprendimento ed all’insegnamento delle lingue, hanno organizzato incontri con artisti, scrittori, professori, o commemorazioni di personaggi o di momenti significativi della storia e della cultura, svolgendo in tal modo una importantissima funzione educativa e sociale in un paese che ancor oggi discrimina ed emargina le classi più povere.
Per quanto ci riguarda più da vicino, dall’anno 2001 un prigioniero politico, condannato con l’accusa di appartenere all’MRTA, ha fondato ed organizzato un laboratorio per lo studio dell’italiano, il taller ” Papà Cervi”( operante in questi ultimi anni nel carcere Castro Castro” di Lima), superando le difficoltà causate dalla mancanza di mezzi, dagli ostacoli posti dall’amministrazione carceraria e dall’ambiente oggettivamente difficile e spesso ostile. Nonostante ciò, da tre anni il lavoro svolto dall’autodidatta ingegner Emilio Villalobos Alva, organizzatore ed insegnante del laboratorio, ha ottenuto il riconoscimento dell’Istituto Italiano di Cultura di Lima, che periodicamente ha inviato insegnanti a verificare e a valutare il livello di conoscenze raggiunte. Lo stesso direttore, dott. Renato Poma, nell’ottobre scorso si è recato in visita al taller in occasione della “Settimana della Lingua Italiana nel Mondo” , valorizzando la serietà e l’impegno dimostrato dagli studenti e dai professori-studenti. Molte altre sono state le iniziative ideate ed organizzate dal laboratorio “Papà Cervi”, come incontri culturali con la partecipazione di insegnanti ( come il prof. Maurizio Leva dell’Università “Sedes Sapientiae” di Lima), di artisti, o come la fondazione della biblioteca “Javier Heraud”, adiacente alla stanza delle lezioni.
Seguendo passo passo l’evolversi di quest’esperienza, ed essendomi recata ad estati alterne nel carcere “Castro Castro” di Lima ad insegnare italiano e latino nel laboratorio “Papà Cervi”, ho avvicinato un mondo inaspettato, carico di energie positive e ricco di esempi di collaborazione e dignità.
Attraverso gli esercizi a cui sottoponevo gli alunni, i dialoghi per ampliare la conoscenza e la fruizione dei vocaboli, la correzione dei loro elaborati, ho percepito la difficile realtà in cui molti di loro sono vissuti, il loro desiderio di riscatto, la volontà di apprendere, migliorarsi e rendersi utili alle loro famiglie.
Mi hanno accolta con atteggiamenti di rispetto e di attenzione, da tutti ho ricevuto affetto, amicizia e gratitudine.
Ho sperimentato così il valore del laboratorio, come la coerenza morale, la capacità di combattere le brutture di un sistema carcerario oppressivo, l’assimilazione e la condivisione di valori coltivati attraverso l’impegno e la cultura.
Purtroppo in queste ultime settimane dal Congresso del Perù sono state prese decisioni che aggravano la posizione dei prigionieri politici, non considerati più degni di accedere ai benefici penitenziari previsti dalla legge. Anzi, senza preavviso ed in modo arbitrario, il 14 ottobre, dieci di loro sono stati trasferiti in un altro supercarcere di massima sicurezza, quello di Piedra Gorda.
Tra loro c’era Emilio Villalobos Alva, che ha dovuto interrompere la sua attività al servizio dei compagni.
Pare che alcuni laboratori siano stati smantellati e che il clima si sia fatto oppressivo ed intimidatorio: nonostante si predichi da parte delle autorità di spirarsi a principi di “reinserimento” e di “rieducazione” dei carcerati, si tende a punire e a colpire.
Non è facile spiegare la complessa situazione di un paese difficile come il Perù.
Mi era stato detto, a proposito della figura dell’ex presidente Fujimori, ammirato da molti in quanto abile nello “sconfiggere il terrorismo”, ma attualmente condannato a causa di violazioni dei diritti umani:” Qui non è come in Europa: si può uccidere per fame o con le pallottole, è la stessa cosa.”
Io penso che si tenta anche di uccidere togliendo la speranza e impedendo di nutrire la mente con interessi culturali e l’animo con valori morali.
* insegnante d’ italiano presso il penale di Castro Castro in Perú
Nos enteramos con profunda contrariedad que, a pesar de haber solicitado una cita al embajador Roberto Ochoa Madrid con anticipo suficiente, el día de la manifestación bajo la embajada de Honduras en Roma, , dicha sede se encontraba cerrada; vacia, como comunicadonós por el dirigente de la Policia que ha tratado de contactar a un responsable del servicio diplomático, como por nosotros requerido. Incluso en ese día, la bandera de Honduras ha sido retirada de la embajada.
Interpretamos tal comportamiento como un rechazo explícito al dialogo con un amplio grupo de reèpresentantes de la sociedad civil italiana y una precica posición política de la sede diplomática de Honduras en Italia y del mismo embajador Sig. Roberto Ochoa Madrid.
Sr. Roberto Micheletti
Casa Presidencial
Tegucigalpa, Honduras
Congreso Nacional de Honduras
Tegucigalpa, Honduras
Secretario de Estado en el Despacho de Relaciones Exteriores
del gobierno de facto — Honduras
Carlos López Contreras
Tegucigalpa, Honduras
Ministro de Asuntos Exteriores – Italia
Franco Frattini
Roma, Italia
Embajador de Honduras en Italia
Roberto Ochoa Madrid
Roma, Italia
Roma, 13 octubre 2009
Nosotros representantes de Asociaciones en defensa de los derechos humanos, del trabajo y de los sindicatos, de la cooperación internacional y del asociacionismo civil ciudadano, agradecemos al embajador Sr. Ochoa Madrid por recibirnos en esta jornada de movilización y de protesta contra el golpe de Estado que desde hace 100 días ha anulado las diarias prácticas democráticas y políticas del país, despojando al legitimo presidente Manuel Zelaya de su encargo. Deseamos hacerlos participes de nuestras preocupaciones debidas sea por las violaciones de derechos humanos que se cometen diariamente en Honduras que por la evolución de la situación, considerando las elecciones que el régimen golpista entiende realizar el próximo 29 noviembre, ilegitimas por la ausencia del libre confronto político y de las garantías democráticas.
Solicitamos al Sr. Ochoa que comunique a la junta del Sr. Micheletti esta nuestra misiva.
Respecto a la situación que hasta hoy se presenta en Honduras observamos lo siguiente:
1. Sea la promulgación del Estado de sitio que el decreto n. PCM –16–2009 de la suspensión de las garantías constitucionales, edito el 26 septiembre pasado, son medidas abiertamente “violatorias del derecho internacional”, como denunciado también por la Corte Interamericana de los Derechos Humanos (CIDH). La revocación verbal de las garantías constitucionales, del 6 octubre del año en curso, efectuada por el gobierno en vista de la inminente visita de la OSA, de hecho no ha sido incluida en la Gaceta Oficial y por esto no es aplicada por las autoridades que continúan a actuar sobre la base del decreto de suspensión de los Derechos. Razón por la cual, según cuanto denunciado también por la asociación francesa Reporters Sans Frontières, las dos emisoras independientes y criticas hacia el régimen, Radio Globo y Canal 36 hasta el día de hoy, non han podido reanudar regularmente sus transmisiones ni han podido recuperar el material que les ha sido secuestrado. Non podemos prescindir de observar que, si de una parte se dice de querer respetar la fecha del 29 noviembre como posible fecha de las elecciones presidenciales en Honduras, es de anotar que desde hace tres meses cada voz que se expresa en contra del golpe de Estado viene callada con la represión y la violencia; no permitiéndole así el libre ejercicio de la campaña electoral en vista de tal evento.
2. La ultima misión de la OEA que ha visitado el país, debido a la respuesta negativa del gobierno de hecho Sr. Micheletti, se ha concluido sin ninguna novedad positiva, debido al rechazo de la junta golpista para aceptar el punto numero seis del acuerdo de San José, base fundamental para cada tratativa, es decir, la restitución de la presidencia de Honduras al Sr. Zelaya.
3. Nos preocupan, además, las personas que permanecen en la cárcel con acusas infundadas y sometidas a torturas y a tratamientos violentos y degradantes por parte de las autoridades. Según los datos difundidos por el Comité de Familiares de los Detenidos y Desaparecidos en Honduras (COFADEH), los prisioneros políticos actualmente serian 45 aproximadamente, aunque si el portavoz del Frente Nacional de Resistencia Popular considera que sean muchos más. Particularmente preocupante es el caso de la maestra Agustina Flores López, 50 años, hermana de la directora del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH) y miembro dirigente del Frente Nacional Contra el Golpe de Estado; de Bertha Cáceres, arrestada el 29 septiembre pasado con la acusa de sedición, ha sido victima de torturas y tratamientos degradantes por parte de miembros de la policía. En un video que hoy circula, resulta evidente que la Sra. López ha sido golpeada violentamente aunque si habia sido esposada por mujeres del cuerpo de policía. La noticia de ayer, anuncia su liberación bajo caución; queda aún indiciada con graves acusaciones y con el entero implanto acusatorio vacío de garantías y transparencia.
4. COFADEH denuncia que 17 personas han muerto en Honduras por causa de la violencia che se ha desencadenado después del golpe de estado del 28 de junio.
5. De las investigaciones de la ONU, surgen noticias que nos preocupan profundamente. Denuncian que grupos de paramilitares colombianos pertenecientes a las Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), están en Honduras protegiendo los latifundistas locales. Además, la ONU trabaja sobre las denuncias recibidas con respecto al uso de aparatos acústicos a largo rayo, utilizados contra Zelaya y sus sostenedores que se encuentran en la embajada del Brasil por parte de miembros de la policía y de mercenarios.
Pedimos entonces lo siguiente:
1. Que sea inmediatamente restituida la presidencia, robada manu militari con la fuerza y la violencia al legitimo mandatario del país Manuel Zelaya, regularmente electo por el pueblo hondureño, para que le sea dada la posibilidad de terminar su mandato.
2. Que en el país sea reestablecido inmediatamente el Estado de Derecho y sea garantizado el respeto de los Derechos Humanos, civiles y políticos previstos por todos los tratados internacionales firmados incluso por Honduras.
3. Que cese inmediatamente la criminalizacion de la protesta social actuada por le régimen con el fin intimidatorio y represivo y la persecución penal contra los opositores del régimen y sea garantizado su legitimo derecho al disenso.
4. Que sean inmediatamente liberados todos los prisioneros políticos detenidos y se inicien investigaciones que punten a establecer las responsabilidades penales con respecto a los casos denunciados por muerte, tortura, detenciones arbitrarias, crueldad y degrado en el tratamiento a las personas o contra las personas que han manifestado en contra del régimen.
5. Que sea garantizado y respetado el derecho a la libertad de expresión y el derecho a la información: por consiguiente, que todos los operadores los medios de comunicación críticos ante el régimen puedan realizar su labor de difusión en absoluta seguridad.
6. Que sean realizadas las in
vestigaciones oportunas con respecto a la denuncia de la presencia de grupos paramilitares colombianos que se encontrarían operando en el país pagados por latifundistas locales.
Y luego afirmamos:
1. Que reconocemos como legitimo presidente de Honduras al Sr. Manuel Zelaya.
2. Que solidarizamos con el Frente Nacional de Resistencia Popular y con todo el pueblo hondureño en la lucha contra el golpe de estado.
3. Que sostenemos el Frente Nacional de Resistencia Popular y todo el pueblo hondureño en las legitimas peticiones de establecer una Asamblea Constituyente que les restituya dignidad y participación civil.
4. Que no reconoceremos los resultados de las elecciones políticas del 29 noviembre próximo en cuanto realizadas bajo un régimen golpista sin ninguna garantía de respeto de las reglas democráticas sea por cuanto respecta la campaña electoral sea por como se han llevado a cabo.
Al ministro de Asuntos Exteriores italiano Franco Frattini pedimos:
1. Que no reconozca como legitimas las elecciones políticas del 29 noviembre próximo en cuanto realizadas bajo un régimen golpista sin ninguna garantía de respeto de las reglas democráticas sea por cuanto respecta la campaña electoral sea por el modo como se han llevado a cabo; como ya declarado por el secretario general del ONU, de la OEA, y del gobierno de los Estados Unidos en el caso no sea nuevamente en poseso de la presidencia del país el Sr. Manuel Zelaya.
2. Que se opere activamente por la cancelación de cada relación económica y tratado comercial con el gobierno golpista hondureño hasta cuando no venga reestablecida la democracia en el país.
3. Que se prohíba la entrada en Italia de todos los miembros del gobierno golpista y de los colaboradores declaradamente cómplices del régimen, empezando por el Sr. Micheletti Bain, originario de Bergamo.
4. Que se haga promotor en la Unión Europea porque se suspenda cualquier acuerdo económico y comercial con Honduras.
Saludos.
Firmantes: Associación A Sud, Comitato Carlos Fonseca, Unione Forense per la Tutela dei Derechos dell’Uomo, Comitato Pro Zelaya, Collectivo Italia-Centro America, Associación Italia-Nicaragua, Annalisa Melandri, Rete Italiana de Solidarietà Colombia Vive!, On. Marco Rizzo, Comunisti Sinistra Popolare, Ex-SNIA, Fulvio Grimaldi, Sandra Paganini, Circolo della Tuscia, Italia Cuba
El escándalo del DAS ante la Comisión Interamericana de Derechos Humanos
Miércoles, 4 de noviembre de 2009
Washington D.C., Estados Unidos de América
Hoy, a las 2pm hora de Washington D.C., en la sede de la Organización de Estados Americanos (OEA), el periodista colombiano Hollman Morris –director del programa periodístico de televisión ‘Contravía’–, estará denunciando al Estado colombiano ante la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) por la persecución sistemática –e ilegal– por parte del Departamento Administrativo de Seguridad (policía secreta, adscrita a la Presidencia de la República colombiana).
En la reunión de trabajo con la Comisión, el periodista contará cómo las medidas de seguridad, otorgadas por el Programa de Protección a periodistas de Ministerior del Interior, fueron utilizadas para hacerle espionaje en “tiempo real” a Hollman Morris, su familia –incluyendo a sus dos hijos memores de edad–, y a su equipo de trabajo periodístico.
Hacia las 3pm Morris estará dando declaraciones sobre dicha reunión; para tal efecto se pueden comunicar con:
Juan Pablo Morris (Productor Ejecutivo de ‘Contravía’ y hermano del periodista)
Teléfono: (571) 3170934
Correo: hollmanmorrisgmailcom
In Perù una recente legge promulgata dal presidente della Repubblica Alan García e approvata in tempi record dalla maggioranza del Congresso, ha improvvisamente cancellato gran parte dei benefici carcerari di cui godevano tutti i prigionieri politici che da decenni ormai stanno marcendo lentamente (o morendo congelati a seconda di dove sono rinchiusi) nelle carceri del paese.
I benefici, che erano stati concessi nel 2003 tramite il Decreto Legislativo n. 927 ai carcerati con condanne per “terrorismo” e “tradimento alla Patria”, riguardavano la riduzione di pena per il lavoro svolto, l’educazione, il regime di semilibertà e la libertà condizionale.
La mano pesante di Alan García ha riscosso ampio consenso sia sulla maggior parte dei mezzi di comunicazione, in mano all’oligarchia conservatrice del paese, che nell’opinione della gente comune. Questo si spiega con le polemiche che si erano accese nelle settimane scorse rispetto al dibattito sulla partecipazione alla vita sociale e politica degli ex guerriglieri del movimento armato ormai smobilitato Túpac Amaru. Polemiche inaspritesi ulteriormente dopo la pubblicazione, circa un mese fa, del libro “de puño y letra” di Abimael Guzmán, leader di Sendero Luminoso attualmente in carcere (12 persone legate alla pubblicazione di questo libro sono attualmente indagate per apologia di terrorismo).
Evidentemente non si tratta soltanto di questo. In Perú il fujimorismo è tutt’altro che morto dopo la sentenza che ha condannato l’ex dittatore giapponese a 25 anni di carcere per violazioni dei diritti umani. Serpeggia nemmeno tanto celatamente in tutto un importante settore della società, quello appartenente all’alta imprenditoria, vincolato con i vertici cattolici e le Forze Armate e che si ritrova riunito adesso nel partito Alianza por el Futuro, ma soprattutto in Fuerza 2011, guidato dalla figlia di Fujimori, Keiko, che risulta oggi nei sondaggi possibile vincitrice nelle prossime elezioni presidenziali del 2011.
Keiko Fujimori si sta battendo tra l’altro e sta cercando alleanze proprio per far uscire quanto prima dal carcere suo padre. Lo stesso presidente della Commissione di Giustizia del Congresso, Rolando Sousa, parla addirittura di quella che secondo lui sarebbe una vera ingiustizia e cioè il fatto che i membri delle Forze Armate che si trovano attualmente in carcere (condannate quindi per massacri, sparizioni forzate o esecuzioni extragiudiziali per esempio) non godano, a differenza dei detenuti politici (che hanno combattuto e lottato contro quella che è stata ormai all’unanimità considerata come una dittatura) di alcun beneficio carcerario.
“Da oggi non è più così” ha concluso commentando la nuova legge e segnalando il fatto che con essa si vuole evitare che si vadano a incrementare le fila del terrorismo con la liberazione “di sovversivi che ottengono la libertà grazie alla libertà condizionale e al 7 per 1” (un giorno di libertà per ogni sette di lavoro).
E infatti è con sorprendente velocità che gli ex tupamaru Jaime Castillo Petruzzi, Elmer Ramírez Palacios, Fernando Martin Morales Ponce, Rider Arévalo López, Abraham Guizado Ugarte ed Emilio Villalobos Alva, che stavano scontando pene comprese tra i 14 e i 18 anni nel carcere di Castro Castro, sono stati improvvisamente trasferiti al carcere di massima sicurezza di Pietras Gordas. Ed è con sorprendente velocità inoltre che sono stati cancellati tutti i laboratori di manualità e i corsi di studio dei quali potevano beneficiare questi ed altri detenuti.
Il ministro della giustizia Aurelio Pastor, ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale i detenuti sarebbero stati trasferiti in modo da non avere più nessun contatto con l’esterno. Essendo un carcere di massima sicurezza il regime vigente è diverso dal precedente ed inoltre trovandosi ad oltre 50 chilometri da Lima è più difficile per i familiari dei detenuti mantenere una continuità nelle visite.
Giorni fa inoltre non è stata concessa la libertà condizionale ad Alberto Gálvez Olaechea, ex dirigente del MRTA, che ha già scontato 20 anni di prigione pur non avendo mai ucciso un uomo, che in carcere ha vinto un premio letterario e che ha dimostrato sempre un’ottima condotta e volontà di reintegro alla vita sociale del paese.
Tutto questo accade mentre il quotidiano Republica pubblica un editoriale secondo il quale l’ex dittatore Fujimori nel carcere dove si trova rinchiuso dopo la recente condanna è libero di scegliersi il personale di sorveglianza di sua fiducia (con il rischio quindi di sue possibili fughe) e di passeggiare e coltivare rose al di fuori della zona a lui destinata.
Quanto sia strumentale ad altri fini questa criminalizzazione che si fa degli ex prigionieri politici è evidente se si tiene in considerazione il fatto che non si è mai stato registrato un solo caso di prigioniero politico uscito dal carcere che abbia ripreso la via della lotta armata. Anzi, soprattutto nel caso di quelli che sono appartenuti all’MRTA, a partire dal loro leader Victor Polay, hanno pubblicamente manifestato in varie interviste che tale opzione non è più accettabile per il ripristino della giustizia e della democrazia partecipativa nel loro paese.
Il terrorismo, o meglio il narcoterrorismo resta quindi il grande spauracchio del Perù di Alan García, che come il suo omologo colombiano Álvaro Uribe, sta investendo in questa battaglia una quantità sproporzionata di uomini, mezzi e risorse. Questo sebbene non vi siano avvisaglie di una recrudescenza importante del fenomeno, sebbene sia abbastanza evidente che quei pochi e isolati attentati che si sono verificati in questi ultimi mesi abbiano a che fare più con il narcotraffico (molto sviluppato nella regione del VRAE, Valle dei fiumi Apurímac e Ene, una delle più povere e dimenticate del paese) e la criminalità organizzata e sebbene sia sempre più evidente che la crescente militarizzazione del paese e la criminalizzazione di ogni forma di dissenso o di attività politica organizzata di sinistra o che faccia riferimento per esempio ad altri movimenti antimperialisti latinoamericani, stia ormai raggiungendo livelli veramente preoccupanti.
I militanti del movimento Patria Libre, che sta raccogliendo firme per la sua presentazione alle prossime elezioni presidenziali del 2011 e che tra le sue fila raccoglie molti ex emerretisti, non passa giorno che non vengano discreditati o additati su stampa e televisione come terroristi o come un pericolo per la stabilità del paese.
Ricordiamo inoltre emblematico il caso di Roque Gonzáles La Rosa, ex militante del MRTA e membro del Coordinamento Continentale Bolivariano che fu arrestato in Perù nel febbraio del 2008 insieme ad altre 6 persone, tra le quali la poetessa Melissa Patiño, mentre faceva ritorno dal II congresso della CCB che si era svolto a Quito, con accuse gravissime quali vincoli con le FARC e tentata ricostituzione del MRTA con lo scopo di effettuare attentati terroristi nel suo paese. Per lui, che in carcere per la sua militanza nel MRTA aveva già scontato ben 8 anni, tali accuse, mai provate, hanno significato altri 8 mesi di carcere e un processo ancora in corso.
Ma nemmeno Abimael Guzmán leader indiscusso del Partito Comunista del Perú – Sendero Luminoso, ci sta ad essere strumentalizzato nella guerra senza quartiere di Alan García contro il narcotraffico.
Dalla base navale del Callao, il carcere militare dove è rinchiuso dal 1992 giorno del suo arresto, fa sapere attraverso un comunicato diffuso dai militanti senderisti agli arresti, che lui e Sendero Luminoso nulla hanno a che vedere con il gruppo armato che sta spadroneggiando nel VRAE, trattandosi di “un gruppo di mercenari che obbediscono ai propri interessi personali e non a quelli del popolo”.
Auspica Guzmán inoltre, una soluzione politica, un’amnistia generale e una riconciliazione nazionale, che se pure si era tentata con quell’ imponente lavoro di studio e analisi della guerra civile nel paese tra il 1980 e il 2000 che ha compiuto la Commissione di Verità e Riconciliazione, nei fatti e soprattutto nella coscienza collettiva del paese è ben lontana dall’essere raggiunta.
Le stesse istituzioni governative con la proposta e l’approvazione della legge che cancella i benefici carcerari ai prigionieri politici stanno violando e venendo meno a quanto indicato loro dalla stessa Commissione di Verità e Riconciliazione, (nominata proprio dal governo nell’anno 2003 proprio per far luce sul conflitto armato nel paese), quando questa segnala nella relazione finale che: “l’opinione pubblica in generale, non mostra un interesse positivo per la sorte di coloro che si trovano in carcere. C’è un’idea molto diffusa della pena come un castigo che va a esasperarsi quando si tratta di delitti molto gravi. Spesso si odono espressioni estremamente dure che rivelano poca disposizione a comprendere un fenomeno complesso come questo. Nel caso dei prigionieri per reati connessi con il terrorismo, i crimini ai quali hanno partecipato e l’angoscia che hanno seminato nel paese, sono presenti nella memoria della gente a tal punto che questa guarda con compiacenza le severe restrizioni al diritto. Nonostante questo è obbligazione dello Stato di Diritto restituire diritti fondamentali compatibili con la reclusione e trasmettere alla cittadinanza un’idea più corretta della vita in carcere, specialmente di quella vissuta e che ancora vivono i circa 2mila carcerati accusati di terrorismo”.
Alan García, ancora una volta invece, lo Stato di Diritto continua a calpestarlo, dopo averlo fatto impunemente durante il suo primo mandato presidenziale (1985–1990), già sotto accusa da numerosi organismi internazionali per le ripetute violazioni dei diritti umani commesse.
chi vuole se lo stampa e lo fa girare come meglio crede. Gracias
RESPINGIAMO IL GOLPE IN HONDURAS!
Sono trascorsi oltre tre mesi dal golpe in Honduras finanziato e realizzato dalla cricca oligarchica del paese che detiene la totalità della ricchezza e del potere politico.
Il governo fascista di Roberto Micheletti ha decretato come ultima mossa per consolidare la sua dittatura, lo stato d’assedio e la sospensione delle garanzie costituzionali, accentuando la repressione contro il Fronte nazionale di resistenza popolare e contro la popolazione civile che si oppone con ogni mezzo al golpe pagando un alto prezzo di sangue e di arresti.
L’Honduras, uno dei paesi più poveri del mondo, con una mortalità infantile del 48% fino al 5° anno di età, con una disparità tra classi ricche e classi povere tra le più alte in assoluto. Un sistema sociale dove una decina di famiglie possiede la totalità della ricchezza e del potere, controlla le istituzioni politiche e giudiziarie e, in combutta con le gerarchie militari ed ecclesiastiche, gestisce ogni aspetto della vita nel piccolo paese centroamericano.
Manuel Zelaya , il presidente legittimo del paese è asserragliato in queste ore all’interno dell’Ambasciata brasiliana, rientrato in Honduras clandestinamente dopo essere stato cacciato nel giugno scorso manu militari perché tentava di realizzare alcune riforme sociali delle quali avrebbero beneficiato gli strati più poveri della popolazione.
Già aveva aumentato il salario minimo del 60% e dall’agosto dello scorso anno l’Honduras era entrato a far parte dell’Alba, l’Alternativa Bolivariana delle Americhe, il progetto di integrazione politico, economica e sociale dei paesi progressisti latinoamericani.
Proprio l’adesione all’Alba, osteggiata dai settori più ricchi e reazionari del paese, sembra sia stato uno dei motivi scatenanti del golpe, oltre alla proposta di Zelaya di indire un’Assemblea Costituente per modificare la Costituzione scritta dal dittatore Policarpo Paz nel 1982, in un periodo segnato da arresti, torture, sparizioni di persone, una modifica che avrebbe restituito finalmente un po’ di sovranità popolare alla nazione.
L’Honduras è sempre stato una vera e propria “Repubblica delle Banane”, la sua politica e la sua economia, fin dal XIX secolo, sono state influenzate in maniera determinante dagli interessi della potente United Fruit Company che ha imposto dittatori e presidenti a suo piacimento, comportandosi come prolungamento degli interessi politici ed economici di Washington nel paese.
Tutti coloro che pensavano che, con l’avvento di Obama alla Casa Bianca, sarebbe iniziata una nuova fase nei rapporti tra Stati Uniti e paesi dell’America latina, non più caratterizzata dalla supremazia militare ed economica nord americana, dovranno ricredersi. Il “cortile di casa” fa sempre gola ai settori più retrivi di Washington.
Sono gli alti gerarchi del Pentagono, quelli che fanno capo al Comando Sud e che hanno recentemente concordato con il governo narcoparamilitare di Uribe l’installazione di 7 nuove basi americane in Colombia, quelli che hanno riattivato le operazioni militari della IV flotta; sono sempre quelli che in questi giorni stanno imponendo il complice silenzio del governo americano rispetto alle terribili notizie che giungono ogni giorno da Tegucigalpa, che sono stati complici fin dall’inizio del golpe in Honduras.
È urgente la mobilitazione di tutti i democratici, gli antifascisti, gli antimperialisti contro la barbarie e l’arroganza dei potenti.
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